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L’evoluzione del rapporto città-campagna in Italia

2. Sistemi alimentari locali nell’evoluzione del rapporto città-campagna

2.4 L’evoluzione del rapporto città-campagna in Italia

Il rapporto città-campagna, parte della più ampia e prolungata relazione tra agricoltura e territorio, si connota quale tratto caratteristico del processo storico generale, perno della complessa coevoluzione uomo-natura che possiamo identificare con i processi che vanno sotto l’etichetta della territorializzazione (Marchetti et al., 2014). La storia d’Italia rappresenta un ambito privilegiato di questo rapporto dinamico e per molti aspetti gerarchico: gli stessi divari regionali, spesso frettolosamente ricondotti ad una visione dualistica nord-sud, riflettono più propriamente il diverso grado e modalità di tale rapporto, che si è rivelato nettamente più marcato e duraturo al Centro-Nord, più flebile (anche se non assente) nel Mezzogiorno (Pazzagli, 2012). La veloce e disordinata colonizzazione di nuovi spazi da parte del tessuto urbano (urban sprawl), unita a due fenomeni, apparentemente opposti, come l’abbandono rurale e l’industrializzazione dell’agricoltura, ed alla prepotenza delle lobbies fondiario-edilizie, determinano un effetto convergente negativo sui caratteri del paesaggio, che mostra evidenti segni di banalizzazione e di semplificazione legati ad una sostenuta perdita di biodiversità e di complessità. In questo contesto, il rapporto città-campagna ha sempre costituito un campo soggetto ad interpretazioni che intercettano vari campi, da quello economico a quello pianificatorio a quello sociale e antropologico, per sfociare in quello identitario e storiografico. Nel 1946 Emilio Sereni scriveva: “L’analisi marxista dei rapporti tra città e campagna ha rivelato tutta la

sua fondamentale portata rivoluzionaria. Tanto maggiore è questa portata in un Paese, ove, come nel nostro, una millenaria civiltà, un millenario sviluppo cittadino, han fatto della divisione, dei rapporti, dei contrasti tra città e campagne, il centro indiscusso di tutta l’evoluzione storica, di tutto il processo di formazione nazionale”. Circa vent’anni più tardi, nel 1970,

Sereni pubblica il saggio Città e campagna nell’Italia preromana, che risulta essere uno studio fondamentale non solo sul tema specifico, ma anche sulla concezione

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contemporanea della città, per la quale egli imposta un interessante accostamento tra la città del mondo antico greco-romano e quella moderna, cercando tra le due epoche una lettura unitaria in merito alla supremazia della città nei confronti della campagna. Ad esse oppone il mondo medievale feudale, periodo in cui “la supremazia economica, politica e militare” era dalla parte della campagna piuttosto che della città. Uno dei maggiori contributi che possono essere riconosciuti a Sereni è la comprensione di come l’ascesa delle città e della popolazione urbana e la trasformazione – da paese agricolo a paese agricolo- industriale - a cui era soggetta l’Italia, iniziano ad avere nel dopoguerra un valore intensamente storico e politico. Per questo è assai interessante notare come il primo capitolo di La questione agraria venga dedicato ai processi sociali di inurbamento nella realtà italiana. In Sereni, se la città disegna la campagna, vi è analogamente un legame dialettico e biunivoco di quest’ultima nei confronti della prima: “Nei testi urbanistici si riportano talvolta delle cartografie comparate dalle quali risulta

con evidenza un fatto assai indicativo e sintomatico, che è d’altronde ben noto. Il fatto cioè, che le lottizzazioni urbane avvengono nel rispetto e nel conservatorismo del reticolo della proprietà agraria, sicché in definitiva è appunto la proprietà agraria a determinare la forma della città”.

Nel 1994 Camagni sottolineava come, nell’era post-fordista, il conflitto tra città e campagna non possa essere confinato all’interno di una dicotomia in quanto il problema è ben più complesso e richiede una preliminare precisazione sul significato da dare al termine “campagna”. L’autore afferma che la “campagna” può essere interpretata secondo due diversi approcci, i quali configurano due distinte prese di posizione. Infatti, la campagna può essere intesa come l’attività agricola, cioè quell’attività legata all’utilizzazione di risorse naturali primarie come il suolo; oppure, come un insieme di risorse scarse, non necessariamente o interamente naturali ma comunque non riproducibili, date da aria, acqua, foreste, terre di diversa fertilità in un ambiente non urbanizzato. Nel primo caso il conflitto potrebbe considerarsi superato per una serie di motivi: 1) l’agricoltura ha usufruito di politiche di sostegno dei redditi e dei prezzi agricoli in modo

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consistente rispetto agli altri settori dell’economia; 2) i proprietari dei terreni agricoli si sono avvantaggiati del plusvalore creato con l’urbanizzazione; 3) la riduzione dei terreni agricoli è dovuta a diverse cause di tipo socio-culturale, economico-produttivo, economico-politico, demografico, e non solo all’espansione dell’urbanizzazione; 4) l’utilizzo di tecniche produttive intensive ha determinato elevati inquinamenti delle risorse naturali primarie. Nel secondo caso il conflitto resta forte poiché il valore ambientale delle risorse presenti in campagna non è incorporato nei beni e servizi privati scambiati sul mercato e di conseguenza non è capitalizzato nel valore di mercato delle risorse stesse. Ciò determina, in assenza di interventi pubblici, una sovra utilizzazione di tali risorse lontana dall’ottimale in termini di benessere sociale complessivo. Il problema, quindi, diviene quello di “come passare da una condizione di conflitto e di “predazione” della città sulla campagna, a una condizione di cooperazione e di “simbiosi”, posto che si va estendendo la coscienza del nuovo ruolo della campagna, quello di riserva di risorse territoriali sempre più scarse e di produzione di valori ambientali; un ruolo che implica precise esternalità positive in direzione della città” (Camagni, 1994, p.57). Come sottolinea Iacoponi (2004), per una sostenibilità dello sviluppo è necessaria la compatibilità fra la crescita del benessere economico della società – che ha il fulcro nella città – e la capacità produttiva e riproduttiva degli ecosistemi – che ha il fulcro nelle campagne. Adottando un approccio che integri il parallelismo tra le politiche di sviluppo rurale e quelle di sviluppo urbano sostenibile, è possibile un allargamento del raggio di azione delle politiche ambientali, agricole e alimentari dalle città verso gli spazi rurali circostanti.

Guicidini (1998) propone tre diversi approcci al problema del rapporto città- campagna: un approccio cultural-naturalista, dove città e campagna hanno una loro specifica valenza culturale e dove un vero sviluppo non può prescindere dalla combinazione dei loro tratti più significativi; un approccio strumentale dove le due realtà concorrono a costruire un modello cooperativo-funzionalista secondo

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le specifiche necessità del momento; un approccio urbanistico-pianificatorio, dove l’accento viene posto sulle forme abitative e/o di organizzazione dello spazio. Gli economisti ritengono che il rapporto città-campagna sia mutato nel tempo in relazione ai cambiamenti intervenuti nel sistema economico. In particolare Basile e Cecchi (2001) sostengono che la crisi del fordismo e la successiva ristrutturazione, se osservate in una prospettiva centrata sul cambiamento rurale, sono all’origine di una profonda modifica dei rapporti fra città e campagna osservabile in relazione sia alla “distribuzione spaziale” delle attività produttive, sia alla “distribuzione delle funzioni” che le varie aree svolgono nell’economia capitalistica. Gli autori discutono la rilevanza dei processi osservati per il cambiamento rurale e avanzano un’ipotesi interpretativa sulla natura dell’economia rurale, quale sistema produttivo differenziato e integrato, che nasce dalla ristrutturazione socio-spaziale post-fordista e che diviene l’ossatura economica delle campagne, sostituendosi all’agricoltura. I cambiamenti socio- spaziali, avviati fin dai primi anni Settanta, che hanno profondamente cambiato il rapporto città-campagna, sono individuabili nei seguenti: i) la dispersione territoriale dell’industria; ii) la contro-urbanizzazione; iii) i cambiamenti dei modelli di consumo. Questi avvenimenti hanno permesso alla campagna di recuperare gran parte delle funzioni (produttive e culturali) sottrattele dalla città durante lo sviluppo capitalistico. Oggi si preferisce parlare di rapporto tra urbano e rurale proprio per sottolineare il nuovo atteggiamento della società nei confronti dell’ambiente rurale al quale si attribuiscono valori positivi come quelli della bellezza del paesaggio, della tranquillità, della salubrità dei luoghi, della presenza di alimenti genuini e delle relazioni sociali. Il cambiamento degli stili di vita dei cittadini e le nuove prospettive di sviluppo rurale in chiave multifunzionale, favorite dalla politica agricola comunitaria, aprono spazi innovativi di integrazione tra contesti urbani e rurali e ciò si ripercuote sul piano teorico, nell’elaborazione di modelli di sviluppo coerenti, e in pratiche concrete elaborate su e per il territorio, in una prospettiva di rinnovata integrazione e complementarità (Di Iacovo, 2004).

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