II. LE FATTISPECIE SOGGETTIVE DI PERICOLOSITÀ: STORIA ED
2. Presupposti oggettivi
2.6. L’impresa mafiosa
Il diritto vivente include nel perimetro applicativo della confisca di prevenzione non solo le summenzionate fattispecie di utilizzazione o sostituzione di beni acquistati illegalmente, ma altresì le ipotesi di immissione di beni di provenienza illecita (diretta o indiretta) nei circuiti economici e finanziari, di uso illecito di ricchezze accumulate in epoca anteriore all’entrata in vigore della normativa e i casi in cui un’iniziativa imprenditoriale sia sorta o si sia sviluppata in virtù dell’inserimento del suo titolare nell’organizzazione mafiosa227.
In quest’ultima ipotesi l’oggetto del provvedimento ablatorio è costituito dall’intera azienda. In tal senso, infatti, la giurisprudenza rileva che “la confisca di prevenzione di un complesso aziendale non può essere disposta, in ragione del carattere unitario del bene che ne è oggetto, con limitazione alle componenti di provenienza illecita, specie nel caso in cui l’intera attività di impresa sia stata agevolata dalla cointeressenze con organizzazioni criminali di tipo mafioso”228.
226 A.QUATTROCCHI, La sproporzione dei beni nella confisca di prevenzione, cit. 227 A.BALSAMO, voce Codice antimafia, cit., p. 122.
228 Cfr. Cass. pen., sez. V, 30 gennaio 2009, n. 17988, in Ced, rv.244802. Allo stesso orientamento
ha aderito Cass. pen., sez. V, 23 gennaio 2014, n. 16311, ivi, rv. 259871, che ha escluso che il
quantum confiscabile debba essere circoscritto alla quota ideale riconducibile all’utilizzo di risorse
illecite, anziché estendersi alla globalità del contesto aziendale, in una situazione nella quale nel complesso aziendale non era “possibile operare la reclamata distinzione, stante il carattere unitario dell’azienda, che è il risultato combinato e sinergico di capitali, beni strumentali, forza lavoro ed
L’osservazione che le imprese che hanno avuto “cointeressenze con l’associazione mafiosa” vadano qualificate come “imprese mafiose” si attribuisce alla stessa giurisprudenza di legittimità che ha evidenziato come “in tal caso l’impresa ricava un profitto illecito derivante dall’essere entrata la società in un sistema “anormale” di esercizio della propria attività, contraddistinto dall’inserimento nell'illecito sistema di spartizione degli appalti pubblici grazie all'intermediazione mafiosa. Il rapporto di cointeressenza fra l’impresa e la cosca attribuisce chiaramente alla prima la connotazione di impresa mafiosa229, stante la condivisione dei progetti e delle dinamiche operative che determina una obiettiva commistione di interessi fra attività di impresa ed attività mafiosa”230.
La stessa Corte di cassazione, inoltre, ha rilevato che “la giurisprudenza formatasi in tema di differenziazione, in sede di sequestro e confisca, dei beni di provenienza lecita rispetto a quelli di provenienza illecita, riguarda l’ipotesi di beni considerati nella loro individualità, e non certamente l’ipotesi di beni confluiti in una attività economica organizzata, i quali invece costituiscono nel loro insieme
altre componenti, giuridicamente inglobati ed accomunati nel perseguimento del fine rappresentato dall'esercizio dell'impresa, secondo la definizione civilistica (art. 2555 c.c.)”. Tale arresto giurisprudenziale, in particolare, ha rilevato che “nell’insieme unitario costituente autonoma realtà economico-sociale, proprio perché i vari fattori interagiscono finalisticamente e si integrano vicendevolmente, dando luogo ad un'entità autonoma, non è possibile discernere l’apporto di componenti lecite (riferibili a capacità ed iniziativa imprenditoriale) da quello imputabile ad illecite risorse, tanto più ove il consolidamento e l'esponenziale espansione delle aziende del proposto siano stati, sin dall'inizio, agevolati dall'organizzazione mafiosa, in un circuito perverso di illecite cointeressenze”.
229 Sul concetto di impresa mafiosa, cfr. E.FANTÒ, L’impresa a partecipazione mafiosa. Economia
legale ed economia criminale, Bari, 1999 e le osservazioni critiche di A.MANGIONE, La misura di
prevenzione patrimoniale, cit., pp. 490 ss.
230 Cass. pen., sez. II, 8 febbraio 2007, n. 5640, inedita. Tale sentenza ha inoltre condiviso le
conclusioni del giudice di merito secondo cui “poiché l'impresa è un'entità da intendere in modo unitario (...), una volta accertata, anche soltanto in via indiziaria, la natura illecito-mafiosa dell'attività imprenditoriale, in quanto utilizzata per la consumazione di condotte delittuose (...), va necessariamente sottoposto a confisca tutto il complesso delle quote sociali e dei beni aziendali, senza distinzione tra capitale originariamente lecito e capitale di provenienza illecita immesso successivamente (...) posto che l'impresa ha avuto la possibilità di espandersi e di produrre reddito proprio grazie all'uso distorto (in quanto squisitamente “mafioso”), che è stato fatto dei suddetti beni (anche se originariamente acquisiti in modo lecito) e con l'ulteriore conseguenza che, anche le entrate progressivamente reimpiegate per l'ulteriore sviluppo aziendale devono ritenersi connotate da quella illiceità, che la L. n. 575 del 1965, art. 2 ter intende colpire attraverso la confisca dei beni di provenienza illecita”.
una nuova realtà economico sociale in quanto unitariamente destinati e finalizzati all'esercizio dell'impresa. Ed essendo “l’impresa” l’oggetto della confisca, in quanto caratterizzata da determinate connotazioni previste dalla legge, non è possibile operare, in una visione atomistica che non coincide con le previsioni civilistiche in tema di impresa, le varie componenti in cui essa si sostanzia”231.
Sicché, le investigazioni propedeutiche alla confisca non si devono limitare alla ricerca del reimpiego di proventi non giustificati o del tutto estranei all’attività economica del proposto. Esse, piuttosto, devono riguardare altresì la possibilità che l’impresa abbia prodotto utili o si sia consolidata o espansa in virtù dell’inserimento del relativo titolare nell’organizzazione criminale di stampo mafioso, che è fisiologicamente vocata a condizionare e a penetrare in ampi settori dell’attività economica e del mercato.
Infatti, laddove le imprese, a seguito di adeguati accertamenti e comprovati riscontri, risultino essere favorite dall’organizzazione mafiosa e dalla sua infiltrazione nel tessuto economico e sociale, l’impresa e gli utili di essa devono essere qualificati come frutto del vincolo associativo (o del concorso esterno nell’associazione mafiosa). Frutto, questo ultimo, che deve essere confiscato, indipendentemente dall’originario o sopravvenuto riciclaggio di proventi di altri delitti-scopo del sodalizio232.
In ipotesi siffatte, oggetto della misura di prevenzione patrimoniale non può essere l’attività economica in sé considerata, bensì il complesso aziendale attraverso cui il proposto, indiziato di appartenenza all’associazione mafiosa, esercita l’impresa e agevola il perseguimento dei fini del sodalizio.
A loro volta, gli utili dell’attività economica esercitata, siano a loro volta reinvestite nella stessa impresa o in altro modo, risultano caratterizzate da quel crisma dell’illiceità che la disciplina delle misure di prevenzione patrimoniali intende incidere attraverso la confisca dei beni costituenti il reimpiego dei proventi di natura illecita.
Viceversa, se si reputassero leciti detti ricavi, si frustrerebbe il sistema di prevenzione patrimoniale, che si impernia proprio sulla maturata consapevolezza
231 Cass. pen., sez. V, 30 gennaio 2009, n. 17988, cit. 232 A.BALSAMO, voce Codice antimafia, cit. p. 123.
che è proprio attraverso le attività economiche d’impresa che oggi si manifesta la maggiore pericolosità dell’indiziato mafioso, il quale, come testimoniato dalla prassi, sempre più spesso persegue le proprie finalità illecite divenendo imprenditore, anche se per interposta persona, costituendo o acquisendo aziende e condizionando le altrui attività produttive, non solo per investire, riciclare o fruttificare una ricchezza ab origine contaminata, ma altresì al fine di ampliare le infiltrazioni mafiose nel tessuto economico e sociale233.
Per l’effetto, tutte le operazioni poste in essere per il tramite di un’impresa costituita o sviluppatasi beneficiando dell’esplicarsi dell’attività mafiosa rimangono geneticamente avvinte ad una dimensione antigiuridica e concorrono alla determinazione di una ricchezza inquinata, la stessa che la normativa in tema di misure di prevenzione patrimoniali mira a colpire con la confisca dei beni che rappresentano il frutto di condotte illecite o ne costituiscono il reimpiego.
Tali conclusioni, peraltro, non sconfessano l’interpretazione secondo cui la confisca non può aggredire indiscriminatamente l’intero asse patrimoniale del proposto, dovendo riguardare singoli cespiti in riferimento ai quali sia riscontrabile la provenienza illegittima. Semplicemente, laddove ci si riferisca ad una realtà economica produttiva complessivamente e dinamicamente considerata, detta interpretazione deve riferirsi al bene azienda unitariamente considerato. Ciò, in quanto non è possibile considerare atomisticamente ciò che nella dinamica produttiva è un inscindibile tutt’uno.
L’esposto orientamento interpretativo, peraltro, non fa venire meno l’esigenza di un un apprezzabile compendio probatorio al quale riferire il provvedimento di confisca, non essendo certo sufficiente che un soggetto sia indiziato di appartenere all’organizzazione mafiosa e abbia messo in atto iniziative imprenditoriali per dare luogo all’automatica ablazione dei beni destinati all’esercizio dell’attività produttiva o conseguiti per suo tramite.
Piuttosto, abbisogna l’accertamento, sulla scorta di elementi obiettivi, che l’impresa non sarebbe sorta o non si sarebbe sviluppata in quel modo se non fosse
233 Ibidem.
stata sensibilmente condizionata dal potere e dall’intervento mafioso, nelle sue multiformi manifestazioni234.
È anche grazie a interpretazioni di tal fatta che le misure di prevenzione patrimoniali hanno dimostrato una significativa efficacia nel contrasto alle nuove forme di interrelazione tra mafia ed economia, tipiche espressioni della “circolazione di modelli criminali” collegata al complessivo fenomeno della globalizzazione.
In particolare, la confisca di prevenzione si è rivelata efficace nel contrasto della c.d. impresa a partecipazione mafiosa, connotata dal concorso di interessi, soci e capitali illegali, con interessi, soci e capitali legali. Tali caratteristiche ne fanno una delle più pericolose estrinsecazioni della tecnica di mimetizzazione adoperata dai sodalizi criminali.
Segnatamente, tre sono le tipologie fondamentali di impresa caratterizzata dalla riconducibilità ad appartenenti all’associazione mafiosa, che le hanno foraggiate con risorse illegali o le hanno rafforzate la posizione nel mercato ricorrendo alla forza intimidatrice del vincolo associativo: a) l’impresa mafiosa “originaria”; b) l’impresa “di proprietà del mafioso”; c) l’impresa “a partecipazione mafiosa”235.
E, in tutte dette ipotesi, la giurisprudenza è giunta a ravvisare i presupposti per applicare le misure di prevenzione patrimoniali.
In tutti questi casi, come segnalato da attenta dottrina, si arguisce che la distinzione tradizionale tra criminalità economica, cioè l’insieme delle attività illecite commesse da imprenditori e società nello svolgimento delle proprie attività (si pensi ai reati societari, tributari e finanziari), ed economia criminale tende a sbiadire236.
234 Cfr. Trib. Palermo, 15 maggio 2002, in Foro it., 2003, II, pp. 208 ss.
235 A. BALSAMO-G.DE AMICIS, L’art. 12-quinquies della legge n. 356/1992 e la tutela del sistema
economico contro le nuove strategie delle organizzazioni criminali: repressione penale “anticipata” e prospettive di collaborazione, in Cass. pen., 2005, p. 2075.
236 A.MANGIONE, La misura di prevenzione patrimoniale, cit., pp. 464 ss., rileva la possibilità della
convergenza dei due distinti fenomeni criminali ed evidenzia la necessità, nel caso di consolidamento di tale rapporto, di una rivisitazione dei postulati definitori e l’elaborazione di nuovi, più adeguati, strumenti d’intervento.
3. La correlazione temporale tra pericolosità della persona ed epoca di