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L’impugnazione dei crediti ammessi (art 100) e la revocazione (art 102)

L’art. 100231 della legge fallimentare previgente disciplinava l’istituto “dell’impugnazione dei crediti ammessi”.

227 D. lgs 19 febbraio 1998, n. 51, “Norme in materia di istituzione del giudice unico

di primo grado”.

228 Vedi Corte di Cassazione 26 marzo 1980, n. 2003, in Il fall., 1980, p. 668.

229 D. Lgs. 9 gennaio 2006, n.5, Riforma organica della disciplina delle procedure

concorsuali a norma dell’art. 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80.

230 D. Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, Disposizioni integrative e correttive al regio

decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonché al d. lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell’articolo 1, commi 5, 5 bis e 6, della legge 14 maggio 2005, n. 80.

Per quel che concerne la sua natura giuridica, secondo alcuni232 costituiva un rimedio analogo a quello dell’opposizione, ovvero un giudizio a cognizione piena ed esauriente che mirava a produrre una modificazione del decreto che rende esecutivo lo stato passivo; per altri233, invece, il giudizio d’impugnazione era assimilabile a quelli che possono sorgere, nel corso dell’espropriazione forzata234, al momento della distribuzione delle somme ricavate.

Attraverso l’impugnazione promossa ai sensi dell’art. 100 della legge fallimentare previgente, già all’epoca, poteva essere fatto valere qualunque motivo di esclusione, totale o parziale, del credito ammesso allo stato passivo o delle garanzie che lo assistono235.

231 Art. 100, legge fallimentare previgente: “Entro quindici giorni dal deposito dello

stato passivo in cancelleria ciascun creditore può impugnare i crediti ammessi, con ricorso al giudice delegato.

Il giudice fissa con decreto l’udienza in cui le parti e il curatore devono comparire davanti a lui, nonché il termine perentorio per la notificazione del ricorso e del decreto al curatore ed ai creditori i cui crediti vengono impugnati. Le parti si costituiscono a norma dell’art. 98, terzo comma.

Se all’udienza le parti non raggiungono l’accordo, il giudice dispone con ordinanza non impugnabile che in caso di ripartizione siano accantonate le quote spettanti ai creditori contestati.

Per l’istruzione e la decisione delle impugnazioni si applicano le disposizioni dell’articolo precedente e il giudizio deve essere riunito a quello delle opposizioni”.

232 Vedi P. PAJARDI, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 1993, p. 444; M.

MONTANARI, in Le procedure concorsuali, a cura di G.U. TEDESCHI, I, 2, Torino, p. 864.

233 Vedi S. SATTA, Diritto fallimentare, Padova, 1996, p. 344 ss.; R.

PROVINCIALI, Trattato di diritto fallimentare, III, Milano, 1974, p. 1494.

234 L’art. 512 c. p. c. prevede che, se in sede di distribuzione, sorgono controversie tra

i creditori concorrenti, circa la sussistenza o l’ammontare di uno o più crediti o circa la sussistenza di diritti di prelazione, il giudice dell’esecuzione, sentite le parti e compiuti i necessari accertamenti, provvede con ordinanza.

235 Vedi Corte di Cassazione 26 luglio 1994, n. 6954, in Giust. Civ. Mass., 1994, p.

1009.

Con tale sentenza la Corte aveva altresì affermato che “l’eventuale difetto di motivazione del decreto di ammissione al passivo non implica la nullità di quest’ultimo e, conseguentemente, il creditore impugnante deve provvedere a provare la fondatezza della sua contestazione. Nel caso di specie, il ricorrente sosteneva che in ragione del fatto che il decreto che rende esecutivo lo stato passivo non era motivato, ciò era sufficiente a giustificare l’accoglimento dell’impugnazione”.

I creditori, quindi, potevano, ad esempio, sollevare le eccezioni che avrebbe potuto sollevare il debitore236.

Tuttavia al creditore era preclusa la possibilità di fondare la propria impugnazione su azioni o eccezioni che la legge riservava al curatore237.

La Corte di Cassazione, con sentenza 04 giugno 1986, n. 3742238, aveva altresì statuito che il creditore impugnante, sul presupposto della qualità di terzo, poteva invocare la mancanza di data certa, ai sensi dell’art. 2704 c. c.239, dell’anteriorità del titolo, in base al quale il creditore aveva ottenuto l’ammissione al passivo, rispetto alla dichiarazione di fallimento, senza che sussistesse alcun motivo che permettesse di ritenere precluso tale potere. E ciò in ragione del fatto che il curatore, se considerato parte e non terzo, in quanto, era questa

Tale pronuncia viene ad essere richiamata dalla stessa Corte in quella precedente.

236 In dottrina vedi S. SATTA, ivi, p. 346.

In giurisprudenza vedi Corte di Cassazione 13 dicembre 1994, n. 10613, in Giust. Civ. Mass., 1994, fasc. 12.

Con tale pronuncia la Corte ha affermato che “l’impugnazione dei crediti ammessi, di cui all’art. 100 legge fallimentare, dà luogo ad un giudizio di cognizione di natura contenziosa, ordinato alla verifica dell’esistenza e dell’ammontare del credito ammesso attraverso la contestazione della validità dell’accertamento sommario del giudice delegato, nel quale l’impugnante è legittimato a far valere tutti i possibili motivi di esclusione, totale o parziale, del credito stesso o delle prelazioni riconosciute e tutte le eccezioni che sarebbero spettate al debitore. Di conseguenza la struttura del procedimento comporta la piena applicazione del principio dell’onere della prova, onde non è il creditore ammesso a dover fornire nuovamente la prova del suo credito, già assistito dalla favorevole valutazione espressa dal giudice della verifica, ma il creditore impugnante a dover provare la fondatezza della sua contestazione”.

In senso contrario vedi Trib. Monza 04 febbraio 1993, in Il fall., 1993, p. 556, che riserva l’eccezione al solo curatore.

237 Vedi Trib. Orvieto 06 febbraio 1995, in Il fall.,1995, p. 1144.

238 Vedi Corte di Cassazione 04 giugno 1986, n. 3742, in Dir. Fall., 1987, II, p. 37. 239 Art. 2704 codice civile: “La data della scrittura privata della quale non è

autenticata la sottoscrizione non è certa e computabile riguardo ai terzi, se non dal giorno in cui la scrittura è stata registrata o dal giorno della morte o della sopravvenuta impossibilità fisica di colui o di uno di coloro che l’hanno sottoscritta o dal giorno in cui il contenuto dalla scrittura è riprodotto in atti pubblici o, infine, dal giorno in cui si è verifica un altro fatto che stabilisca in modo egualmente certo l’anteriorità della formazione del documento”.

questione dibattuta, non poteva contestare la certezza della data secondo la previsione del codice civile.

Conseguentemente, a fronte di tale contestazione, spettava al creditore opposto fornire la dimostrazione, tramite i fatti contemplati dal citato art. 2704 c. c., dell’anteriorità della data, rispetto alla dichiarazione di fallimento, del titolo in base al quale aveva ottenuto l’ammissione al passivo.

Per quanto riguarda il profilo della legittimazione attiva, poiché la norma in commento faceva riferimento a “ciascun creditore”, era pacifico che, il creditore ammesso senza riserva, già all’epoca, era legittimato a proporre impugnazione240.

Anche al creditore non ammesso, fin dall’origine, era riconosciuto il potere d’impugnare a condizione che, contemporaneamente, avesse proposto opposizione ai sensi dell’art. 98 della legge fallimentare previgente241.

Tuttavia, nel caso di rigetto dell’opposizione, ciò rendeva inammissibile l’impugnazione. Conseguentemente, data la portata pregiudiziale del giudizio di opposizione, era applicabile l’istituto della sospensione necessaria del giudizio di impugnazione ex art. 295 242c. p. c.. 243

240 Vedi Corte Appello Milano 26 ottobre 1982, in Il fall., 1983, p. 513.

241 In dottrina vedi S. SATTA, Diritto fallimentare, Padova, 1996, p. 344; P.

PAJARDI, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 1993, p. 447.

In giurisprudenza vedi Trib. Palermo 21 marzo 1986, in Il fall., 1987, p. 510.

Con tale pronuncia il Tribunale ha affermato che “il creditore escluso e che abbia proposto opposizione allo stato passivo del fallimento è legittimato ad esperire impugnazione dei crediti ammessi, ai sensi dell’art. 100 r. d. 16 marzo 1942, n. 267; Vedi anche Trib. Genova 02 agosto 1976, in G. comm., 1977, II, p. 513.

In senso contrario vedi R. PROVINCIALI, Trattato di diritto fallimentare, III, Milano, 1974, p. 1490.

242 Art. 295 c. p. c.: “Il giudice dispone che il processo sia sospeso in ogni caso in cui

egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa”.

Analoga soluzione era stata prospettata per il creditore ammesso con riserva al passivo244. Pertanto egli era legittimato a proporre impugnazione ex art. 100 a condizione che, contemporaneamente, avesse proposto opposizione ex art. 98 e quest’ultima fosse accolta. Ai creditori insinuati tardivamente, invece, non era riconosciuta, secondo l’orientamento prevalente245, la legittimazione attiva.

Tuttavia, secondo una soluzione meno rigorosa246, i creditori ammessi in via tardiva avevano il potere di proporre impugnazione, esclusivamente, contro i crediti riconosciuti posteriormente alla loro ammissione.

Con riferimento, invece, alla posizione del curatore, egli non era legittimato ad impugnare i crediti ammessi allo stato passivo247.

A tal riguardo, ritengo necessario esaminare una pronuncia della Corte di Cassazione in quanto esemplificativa della questione in esame.

244 Vedi Trib. Genova 02 agosto 1976, in G. comm., 1977, II, p. 513.

In senso contrario R. PROVINCIALI, ivi, p. 1496 ss.

245 Vedi R. PROVINCIALI, ibidem;

In giurisprudenza vedi Trib. Genova 23 settembre 1987, in Il fall., 1988, p. 479.

246 Vedi Trib. Orvieto 20 giugno 1997, in Il fall., 1998, p. 301.

247 In dottrina vedi S. SATTA, ivi, p. 345; R. PROVINCIALI, ivi, p. 1493.

In giurisprudenza vedi Corte di Cassazione 14 maggio 1981, n.3172, in Giust. Civ. Mass., 1981, fasc. 5.

Con tale pronuncia la Corte ha affermato che “la disposizione dell’art. 100 della legge fallimentare previgente che esclude la legittimazione del fallito e del curatore all’impugnazione dei crediti ammessi, limitandola ai soli creditori, manifestamente non si pone in contrasto né con l’art. 3 della Costituzione, non potendo invocarsi il principio d’uguaglianza per accumunare la posizione di tutti i cittadini a quella del fallito, né con l’art. 24 della Costituzione, che impone l’attribuzione ad ogni soggetto di identici strumenti processuali per la tutela dei propri diritti, in quanto è comunque assicurata al fallito la possibilità di contestare i crediti ammessi, sia in sede di formazione dello stato passivo (art. 95), sia nell’adunanza fissata per la sua verificazione (art. 16, punto 5), senza tacere, poi, che il provvedimento emesso dal giudice delegato ha una sua efficacia limitata all’interno della procedura concorsuale e per i fini di tale procedura, con la conseguenza che tale provvedimento, se positivo, non discende per il singolo creditore un titolo per fondare una pretesa esecutiva individuale, al termine della procedura, mentre se negativo, non è escluso il diritto del creditore di far valere il suo credito nei confronti del fallito, tornato in bonis”. Vedi anche Corte di Cassazione 06 marzo 1979, n. 1392, in Giur. Comm., 1980, II, p.30.

Il riferimento è alla sentenza 27 luglio 1994, n. 7024248, con la quale la Corte aveva statuito che, riconfermando ciò che già aveva affermato con sentenza del 26 gennaio 1988, n. 659, ovvero che il curatore non era legittimato a proporre impugnazione ex art. 100 della legge fallimentare previgente, prendeva le distanze da quello che aveva affermato con una precedente sentenza, del 30 maggio 1974, n. 1547. Con quest’ultima essa aveva ritenuto che il curatore partecipava al giudizio de quo “come parte a tutti gli effetti” e perciò con libertà, al pari delle altre parti, di svolgere tutte le attività, iniziative e conclusioni che rientravano nell’ambito delle finalità affidategli dalla legge.

Le ragioni di tale allontanamento risiedevano nel fatto che ciò che la Corte aveva statuito nella decisione appena indicata non si conciliava con ciò che aveva, in termini generali, affermato in altre pronunce, nelle quali aveva ritenuto che, nel sistema della legge fallimentare, lo stato passivo reso esecutivo non poteva essere modificato ad istanza del curatore, se non al di fuori dell’ipotesi di cui all’art. 102 della legge fallimentare previgente. Inoltre, la disposizione dell’art. 100 non si poneva in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, per il fatto di escludere la legittimazione del fallito e del curatore all’impugnazione dei crediti ammessi, limitandola ai soli creditori. (per la relativa argomentazione vedere sentenza 14 maggio 1981, n. 3172, indicata in nota).

Compiuta tale premessa, la Corte rilevava che, in sede di formazione e verifica dello stato passivo, ai diversi soggetti che vi partecipavano, già all’epoca, era assicurata la tutela degli interessi di cui erano portatori, e al curatore, in particolare, la facoltà di contestare, oppure no, i crediti di cui era chiesta l’ammissione.

In particolare, sulla base del confronto delle diverse ipotesi di contestazione dello stato passivo, essa rilevava che l’art. 98 attribuiva

248 Vedi Corte di Cassazione 27 luglio 1994, n. 7024, in Giust. Civ. Mass., 1994, p.

la legittimazione a fare opposizione ai soli creditori esclusi o ammessi con riserva e la legittimazione passiva al curatore, quale parte con pienezza dei poteri, trattandosi di una controversia che vedeva (e tutt’ora vede) contrapposti l’interesse del singolo creditore all’ammissione e quello contrario della massa, globalmente considerato; nel giudizio di revocazione dei crediti ammessi, in cui erano contrapposti gli stessi interessi, l’art. 102 attribuiva (e tutt’ora attribuisce) la legittimazione attiva al curatore e quella passiva al creditore ammesso, pur se la tutela dell’interesse della massa veniva, già nel regime previgente, rafforzata con la legittimazione attiva attribuita anche a ciascun creditore, giustificata dalle particolari ragioni poste alla base della contestazione, con la conseguenza che il curatore, non avendo potuto svolgere le contestazioni consentitegli, nell’interesse della massa, in sede di viziata formazione dello stato passivo, assumeva la qualità di parte con pienezza dei poteri d’iniziativa o d’impugnazione, sia che avesse egli stesso proposto la domanda sia che fosse intervenuto nel giudizio di revocazione instaurato da un creditore.

Diversa era, invece, la disciplina dell’impugnazione dei crediti ammessi dettata dall’art. 100, che attribuiva la legittimazione all’impugnazione, contro il credito ammesso, a ciascun creditore e non al curatore al quale, il ricorso e decreto di fissazione dell’udienza dovevano essere notificati affinchè la sentenza fosse opponibile alla massa. Ciò si spiegava con la considerazione che, nella valutazione legislativa degli interessi in contestazione e delle modalità della loro tutela, si era ritenuto sufficiente attribuire, da un lato, la legittimazione attiva a ciascun creditore, quale portatore non solo del suo interesse alla riduzione dell’ammontare complessivo del passivo, ma anche dell’interesse di tutti gli altri creditori e dell’interesse pubblico che sovrasta il fallimento; dall’altro, la legittimazione passiva al solo

creditore contestato che era il vero interessato a contrastare l’altrui impugnazione.

Dal confronto delle diverse ipotesi ora descritte, ed in particolare della disciplina di cui all’art. 100 e quella dettata all’art. 102, appare chiaro che la posizione del curatore di fronte agli interessi in contestazione, e conseguentemente la sua posizione nel processo, erano diversamente configurate.

Alla luce di tali considerazioni la Corte riteneva che l’art. 100 esigeva la presenza in causa del curatore, non già per farne una parte sullo stesso piano del creditore ammesso e del creditore impugnante, che erano gli essenziali antagonisti della vicenda processuale in esame, ma per i fini che si sono prima indicati, ovvero per rendere la sentenza opponibile alla massa.

Sulla base di tali argomentazioni la Corte statuiva che il curatore, pur libero di svolgere le sue deduzioni nell’ambito di un processo ritualmente instaurato e pendente, non poteva fare sua l’impugnazione dello stato passivo.

La legittimazione attiva, già all’epoca, era negata al fallito in ragione dell’impostazione di fondo delle regole fallimentari che escludono iniziative processuali del fallito249.

Inoltre era altresì escluso al fallito il potere di proporre reclamo, ex art. 26 della legge fallimentare previgente, contro lo stato passivo.

La Corte di Cassazione250 aveva motivato questa esclusione affermando che, nella disciplina fallimentare, erano specificatamente regolate, agli artt. 98, 100 e 102, le modalità d’impugnazione dello stato passivo e l’individuazione dei soggetti legittimati all’una o all’altra impugnativa.

249 Vedi Corte di Cassazione 22 gennaio 1997, in Il fall., 1997, p. 1084.

In dottrina vedi R. PROVINCIALI, Trattato di diritto fallimentare, III, Milano, 1974, p. 1494.

Le differenze tra le varie forme di opposizione allo stato passivo e il reclamo ex art. 26 legge fallimentare, delineavano mezzi tra di loro non sovrapponibili né sostituibili e, ciò non solo perché solo la prima forma di impugnativa si svolgeva con un procedimento a cognizione piena, ma anche per le diverse modalità e gradi d’impugnativa consentiti nell’uno e nell’altro caso, nonché per l’incidenza che un provvedimento sul reclamo poteva avere sui diritti dei creditori che già erano stati riconosciuti in base ad uno stato passivo che, in quanto non impugnato ex art. 98 e ss della legge fallimentare, avrebbe determinato preclusione.

È opportuno precisare che sulla questione in esame, ovvero del riconoscimento, al fallito, del potere di proporre impugnazione ex art. 100 della legge fallimentare previgente, era intervenuta anche la Corte Costituzionale, con sentenza del 15 aprile 1992, n. 205251.

La Consulta aveva dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 100, nella parte in cui non prevedeva la legittimazione del fallito alla impugnazione dei crediti ammessi, anche quando l’accertamento del passivo era pregiudiziale al giudizio di opposizione alla dichiarazione di fallimento, proposto dallo stesso fallito, in riferimento all’art. 24 della Costituzione.

Il giudice a quo, in particolare, riteneva che una volta che, in virtù della ritenuta efficacia endofallimentare del provvedimento di accertamento dello stato passivo, era impedito al fallito di contestare i crediti ammessi, ne restava automaticamente pregiudicata l’opposizione al fallimento, ove quest’ultima proprio a quella contestazione in tesi si correlava.

La Corte aveva statuito che, anche nel caso in cui si riteneva corretta una simile interpretazione, la correlativa questione di costituzionalità era comunque inammissibile in ragione dei limiti entro i quali è

consentita l’adozione di decisioni additive, come quella nella specie richiesta.

Una decisione di tipo additivo, in linea di principio, è consentita soltanto quando la soluzione di adeguamento non debba essere frutto di una valutazione discrezionale, ma consegua necessariamente al giudizio di legittimità, sì che la Corte, in realtà, proceda ad un’estensione logicamente necessitata e spesso implicita della potenzialità interpretativa del contesto normativo in cui è inserita la disposizione impugnata.

Nella specie, invece, erano plurime le scelte astrattamente possibili e pertanto, l’intervento richiesto alla Corte non poteva esercitarsi, spettando la relativa scelta al legislatore.

L’interesse ad impugnare del creditore era stato individuato, secondo un orientamento giurisprudenziale252, oltre che nella tutela del proprio credito, pregiudicato dal concorso di altro creditore non avente diritto all’ammissione al passivo, nel più generale fine pubblicistico di evitare dolose od erronee alterazioni del passivo.

Secondo, invece, un orientamento della giurisprudenza di merito253, l’interesse ad agire del creditore impugnante era limitato alla propria tutela individuale e non ad interessi di carattere generale, ovvero della massa dei creditori.

Per quanto riguarda il profilo della legittimazione passiva, ai sensi dell’art. 100 della legge fallimentare previgente, essa, già all’epoca, veniva riconosciuta ai creditori ammessi allo stato passivo con il decreto di esecutività ex art. 97.

252 Vedi Corte di Cassazione 27 luglio 1994, n. 7024, in Giust. Civ. Mass., 1994, p.

1016. Ampliamente esaminata a proposito dell’esclusione della legittimazione attiva del curatore a proporre impugnazione a norma dell’art. 100, legge fallimentare previgente.

Vedi anche Corte di Cassazione 04 giugno 1986, n. 3742, in Giust. Civ. Mass., 1986, fasc. 6.

253 Vedi Trib. Torino 07 gennaio 1988, in Il fall., 1989, p. 37; Trib. Orvieto 06

In questa categoria venivano ricompresi anche i creditori ammessi con riserva254 e quelli ammessi tardivamente ex art. 101 della legge fallimentare previgente255.

La norma in commento, al secondo comma, prevedeva che il creditore impugnante doveva chiamare in giudizio anche il curatore, il quale, peraltro, non assumeva, nel processo, una posizione antagonista a quella dell’attore256.

A proposito del ruolo del curatore nel giudizio di impugnazione, la Corte di Cassazione, come già ho avuto modo di spiegare nel momento in cui ho esaminato la questione relativa al riconoscimento o meno, in capo al curatore, della legittimazione a proporre impugnazione a norma dell’art. 100, nel corso del tempo, aveva mutato il proprio orientamento. Con la sentenza 27 luglio 1994, n. 7024257, già ampliamente esaminata nel paragrafo corrente, essa aveva ricostruito le tappe evolutive del suo pensiero, con riferimento al tema in esame, ed era giunta ad affermare che il curatore, pur libero di svolgere le sue deduzioni nell’ambito di un processo ritualmente instaurato e pendente, non poteva far sua l’impugnazione dello stato passivo da

254 Vedi P. PAJARDI, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 1993, p. 447.

255 Vedi Corte di Cassazione 08 agosto 1997, n. 7401, in Giust. Civ. Mass., 1997, p.

1383; Corte di Cassazione 15 luglio 1988, n. 4672, in Dir. Fall., 1989, II, p. 8. Con quest’ultima pronuncia la Corte ha affermato che “l’impugnazione di cui all’art. 100 della legge fallimentare previgente è ammissibile anche per i crediti ammessi in accoglimento delle dichiarazioni tardive, previste e regolate dall’art. 101. E ciò sulla base del rilievo che la struttura dei due procedimenti, quello dell’insinuazione

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