La ricostruzione in Italia Abaco delle modalità
3.8 L’incontro-scontro tra le due pianificazion
L’ultimo aspetto che si vuole trattare in questo capitolo è l’interazione tra la pianificazione post-sisma e la Pianificazione Territoriale e Urbanistica in Italia. L’interazione tra queste due pianificazioni in Italia inizia nel 1992 con la legge n.225, “Istituzione del servizio nazionale della Protezione
civile”, ha fornito per prima un quadro generale programmatico e
organizzativo necessario ai fini di un’adeguata politica di prevenzione e riduzione dei rischi naturali e antropici, compreso quindi il rischio sismico.
La legge ha definitivamente superato la vecchia concezione della protezione civile intesa esclusivamente come gestione dell’emergenza, individuando nella previsione e prevenzione, oltre che nel soccorso (mansione già di propria competenza), le finalità della protezione civile, e istituendo appositi programmi di previsione e prevenzione da redigersi da parte delle regioni e delle province; è all’interno di tali programmi che emerge il ruolo della pianificazione urbanistica quale strumento di prevenzione e riduzione del rischio sismico, e dei rischi ambientali in generale.
All’interno dunque di una più complessiva politica di riduzione dei rischi ambientali è emersa in questi anni nel nostro paese una politica di riduzione del rischio sismico imperniata su alcune linee fondamentali:
• Uno sviluppo della conoscenza scientifica nel settore, facente capo ad alcuni organismi di ricerca nazionali: il Gruppo nazionale difesa terremoti, l’Istituto nazionale di geofisica, il Servizio sismico nazionale per quanto attiene i compiti di assistenza agli enti locali.
• U n a p o l i t i c a d i g e s t i o n e d e l l ’ e m e r g e n z a , i m p e r n i a t a prevalentemente sul ruolo del Dipartimento della Protezione Civile a livello nazionale, e sulle prefetture a livello locale.
• Una politica di prevenzione e riduzione dei danni, fondata su un’adeguata normativa tecnica per le costruzioni in zona sismica e su un uso sempre più frequente della Pianificazione Urbanistica.
Le competenze in materia di ricostruzione post-sisma vengono poi implementate con l’adozione del così detto “Metodo Augustus” che determina la governance, attraverso la riarticolazione delle competenze degli attori, fornisce delle linee guida per l’individuazione delle aree di ricovero e per le funzioni temporanee legate al soccorso, al ricovero e alla ricostruzione.
Nel caso di Umbria-Marche la Protezione Civile si trovò di fronte alla prima vera prova della sua efficacia di fronte ad un grande evento. Anche se nelle fasi di soccorso vi furono incertezze e errori (Nimis, 2010 p. 77) da subito la Protezione Civile e gli Enti locali iniziarono una proficua interazione basata sul principio di sussidiarietà e la cooperazione interistituzionale, parte degli esiti positivi di quella ricostruzione sono addebitabili anche a questa “sincresi” (Nigro, 2002). In particolare non vi furono né ingerenze né forzature da parte della Pianificazione post-sisma rispetto a quella Territoriale e Urbanistica ma al contrario sopratutto quest’ultima fu arricchita dal Know-How dei tecnici esterni al territorio al
punto da riuscire a sperimentare soluzioni nuove e innovative per la riduzione della vulnerabilità.
Nel caso invece de L’Aquila in particolare questa “sincresi” non è avvenuta, al contrario vi è stata una esautorazione della Pianificazione Territoriale e Urbanistica sin dalle prime fasi con esiti deleteri per l’assetto territoriale e socio-economico. Le scelte compiute dalla Protezione Civile e dal Commissario Straordinario hanno sconfinato dai compiti previsti, di soccorso, assistenza e ricovero, agendo in maniera pesante sul territorio con opere infrastrutturali e progetti di edilizia abitativa rilevanti. Lo strumento dell’ordinanza in deroga è stato usato per bypassare e evitare le procedure proprie della Pianificazione Territoriale e Urbanistica. Ma altrettanto dannosa è stata l’esclusione dalle scelte della Comunità relegata al ruolo di semplice beneficiario del processo.
La gestione degli assi precedentemente individuati è stata tutta nelle mani della Pianificazione post-disastro e quindi degli attori sovralocali. Alla fine della fase d’emergenza, durata tre anni, il territorio è stato ridato in mano alla Comunità agli amministratori e alla Pianificazione Territoriale e Urbanistica che inevitabilmente sta faticando nel cercare un rinnovamento del processo di ricostruzione in senso più decentrato e sostanziale.
L’approccio della Protezione Civile, sopratutto nelle prime fasi è stato radicalmente centralistico e formale, si voleva cioè dall’esterno imporre un modello di ricostruzione non condiviso e partecipato partendo dalla convinzione che una governance di tipo cooperativa e la concertazione delle scelte avrebbe solamente allungato i tempi. Il risultato è che a quasi quattro anni dal sisma non si sa di fatto ancora strumenti, governance e obiettivi del processo. Sul finire del 2012 il ministro Barca in collaborazione con ANCE e INU ha prodotto un documento bipartito che
prospetta un processo di ricostruzione che affronta sia il tema dello sviluppo socio-economico che quello della ripianificazione.
Il ruolo dello stato e l’esclusione sostanziale delle Comunità e delle amministrazioni locali porterebbe a credere che vi sia un parallelo con le fallimentari ricostruzioni di Belice e Friuli, ma di fatto questa volta le ingerenze da parte degli attori sovralocali non è avvenuta per così dire all’interno del processo ma piuttosto si è concentrata nella fase iniziale e cioè nella ricostruzione e nel ricovero. La Pianificazione post-disastro è stata utilizzata come mezzo, da parte degli attori sovralocali, per agire sul territorio lasciando formalmente la possibilità a agli attori locali e alla Pianificazione Territoriale e Urbanistica comunque di avere un ruolo nel processo, ma solamente al termine della fase di emergenza che è stata procrastinata oltre misura.
In altre parole si è operato con una modalità demiurgica e centralistica, perseguendo obiettivi non condivisi con la comunità e gli attori locali similmente a quanto avvenuto in Belice, ma non in nome della proposizione di un nuovo modello di sviluppo o di una “modernizzazione” del territorio, piuttosto celandosi dietro la necessità di reagire in maniera efficace all’emergenza abitativa e alle crisi generate dal sisma. Uno dei motivi addotti alla necessità imprescindibile del “Progetto Case” era riuscire a dare un ricovero più duraturo e confortevole possibile agli sfollati delle zone del centro storico danneggiate che sicuramente avrebbero necessitato tempi lunghi di ricostruzione, una risposta della Pianificazione post-disastro ad una problematica reale e contingente, data però in deroga alle regole del territorio bypassando qualsiasi procedura pianificatoria territoriale e urbanistica. La ratio non è stata quella di far convivere le due pianificazioni all’interno del processo ognuna nel proprio ambito, ma piuttosto quella di sostituire la seconda forti dei poteri conferiti alla prima dalla fase emergenziale.
Il conflitto appare quindi evidente che a poco serve appellarsi ai modelli virtuosi precedenti perché questi, mancando di un quadro favorevole e trovandosi di fronte all’utilizzo strumentale dei poteri conferiti dallo stato d’emergenza, non riusciranno ad essere efficaci vuoi perché carenti in merito all’inversione dei trends negativi e vuoi perché basati su un approccio formale.