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I

l disastro avviene in un territorio che ha una storia, una Comunità e delle tradizioni, ma che è tale anche grazie ad atti di reificazione e strutturazione propri della Pianificazione Territoriale e Urbanistica. Al momento dell’evento quest’ultima si intreccia con la Pianificazione post- disastro all’interno del processo di ricostruzione: la prima con competenze e conoscenze specifiche sul disastro e la seconda sul territorio. Ma la loro interazione è tutt’altro che semplice e automatica.

Esse sono in molti casi quasi più alternative che intrecciate, infatti in assenza di una minaccia reale la prima non viene considerata come una priorità dalla politica e dalle amministrazioni e, quindi, raramente inclusa nella Pianificazione Territoriale e Urbanistica; dopo il disastro, invece, i rapporti di forza si capovolgono, la Pianificazione post-disastro, sull’onda dei primi interventi emergenziali, gioca un ruolo dominante nella gestione del territorio e tende a vedere la Pianificazione Territoriale e Urbanistica come inadatta a operare in uno scenario dinamico e complesso proprio perché lenta e macchinosa.

Certamente se prima dell’evento esiste un rapporto virtuoso tra le due pianificazioni sul tema della prevenzione e mitigazione di rischi, con piani coordinati o piani di emergenza, anche nelle fasi successive la collaborazione tenderà a proseguire o ha comunque maggiore possibilità di produrre esiti positivi (Alexander 2004). Ma questi casi sono sporadici e perlopiù concentrati dove vi è già un meliu pianificatorio e politico forte e una resilienza alta. La ricucitura è quindi maggiormente necessaria proprio negli scenari più complessi e problematici.

Nel caso del Perù la Pianificazione Territoriale e Urbanistica è stata in parte esautorata da enti governativi, e in parte ignorata lasciando alle

amministrazioni locali27 l’onere di pianificare e programmare senza

supporto tecnico e risorse adeguate una situazione sicuramente critica come la ricostruzione e senza reali competenze tecnico politiche per farlo.

Uno dei nodi problematici è quello degli strumenti in mano alle due pianificazioni. Infatti quella post-disastro, legata spesso ad enti di Difesa o Protezione Civile, viene delegata dallo Stato a emettere ordinanze emergenziali che vanno in deroga a qualsiasi altro strumento previsto dalla Pianificazione Territoriale e Urbanistica.

Se è vero che questo dovrebbe avvenire solamente per motivi di somma urgenza, e limitatamente alla fase emergenziale, di fatto spesso questa deroga sconfina a livello temporale ben oltre questa fase. È il caso de L’Aquila che ha visto durare ben tre anni la sua fase emergenziale, durante i quali sono state emesse numerose ordinanze in deroga della Protezione Civile realizzando interventi molto impattanti e invasivi, derogando a qualsiasi piano o norma di regime ordinario dei suoli (Puliafito, 2011). Di fatto in questo caso vi è stata una sostanziale esautorazione degli attori locali che sono rimasti impotenti di fronte al potere pressoché assoluto delle ordinanze della Protezione Civile. Certamente quello de L’Aquila è un caso limite, ma evidenzia bene come l’intreccio tra le due pianificazioni possa non essere equilibrato e consegnare poteri a quella post-disastro anche in capi non di sua competenza; Alexander sul suo blog è arrivato ad affermare:

«Gli sfollati sono stati sistemati nelle tende per 6-7 mesi e poi trasferiti in alloggi di transizione in edifici prefabbricati in legno o prefabbricato con telaio in acciaio a due o tre piani (con una base isolante in calcestruzzo). Alcuni di questi complessi sono stati costruiti su terreni espropriati alcuni vincolati, e altri su terreni agricoli, altri su terreni allagabili, altri in collina. Alcuni di questi soggetti a rischi meteorologici

27 Durante lo studio del 2008 ho potuto osservare che a volte alcune amministrazioni venivano supportate da ONG, come nel caso di Pueblo Nuevo, oggetto della mia tesi magistrale (Scamporrino, 2009) in maniera però episodica, e quindi sostanzialmente inefficace.

invernali e tutti avevano un grado di isolamento dai servizi essenziali, molti dei siti non erano raggiungibili dal trasporto pubblico» 28.

«Lo scandalo del 2009-10 riguardava l'uso delle ordinanze per realizzare opere pubbliche, utilizzando quindi le misure di emergenza semplicemente per aggirare le severi e ingombranti controlli burocratici anti-corruzione sulla procedura di gara» 29.

Un articolo di Michael Kimmelman30 sul New York Times, all’indomani

del passaggio della tempesta Sandy su New York nel bel mezzo del dibattito sulla ricostruzione porta il caso Abruzzese come esempio negativo figlio del malato rapporto tra Pianificazione post-disastro e il territorio:

«“Temporary” housing was constructed: “new towns,” as Italy’s prime minister then, Silvio Berlusconi, boasted about the sad, isolated, cramped and costly apartments he ordered for displaced L’Aquilans along nowhere stretches of the city’s outskirts, cut off from mass transit and civic life. There was no infrastructure created or public consensus reached about combating sprawl, or what to save or sacrifice and how».

Tutto questo non è stato fatto dalla Pianificazione Territoriale e Urbanistica ma da quella post-disastro con finalità legate all’emergenza e alla contingenza, ma con effetti negativi duraturi sulla comunità e sul territorio.

Già da tempo David Alexander (2004) si è interrogato su questo importante nodo dell’interazione tra pianificazione post-disastro e Pianificazione Territoriale e Urbanistica, compiendo un notevole passo in

28 Alexander. D. (2011) dal blog http://emergency-planning.blogspot.it/2011_07_01_archive.html, contributo dal titolo: Disaster, Governament and Governance. (ultima visita 12/03/2013).

29 Alexander. D. (2009) dal blog http://emergency-planning.blogspot.it/2009/04/earthquake-at- laquila-central-italy.html, contributo dal titolo: Earthquake at L'Aquila, Central Italy. (ultima visita 12/03/2013).

30 http://www.nytimes.com/2012/12/01/arts/design/in-laquila-italy-lessons-for-rebuilding-from- storm.html?smid=tw-share&_r=1& (ultima visita 12/03/2013).

avanti portando l’approccio sostanziale ad essere più olistico e multidisciplinare.

Per l’autore la Pianificazione post-disastro deve riguardare non solo la ricostruzione materiale dei manufatti danneggiati e delle infrastrutture, ma anche la ricostruzione della Comunità, assicurando equità, accesso alle risorse e pari opportunità per i membri più svantaggiati, oltre ovviamente alla riduzione della vulnerabilità della Comunità ai rischi. In questo senso individua tre obiettivi principali della Pianificazione post-disastro:

• il recupero tempestivo delle normali attività e condizioni di vita • la protezione della Comunità da futuri rischi

• la formulazione e il raggiungimento di obiettivi comuni tra le parti interessate.

A questi aggiunge anche la necessità di rispettare e preservare quello che lui chiama Genius Loci, e forse è questo il passaggio più innovativo che merita una riflessione. L’approccio formale della disastrologia durante le ricostruzioni tende a rispondere principalmente ai bisogni legati allo shock post disastro, e meno alle problematiche, socio-economiche, ambientali e di assetto territoriale lasciate all’altra pianificazione.

Come se quest’ultime istanze fossero subordinate, in virtù della necessità sovraordinata di recuperare e ricostruire velocemente, gli abitanti diventano così degli assistiti o dei beneficiari, le amministrazioni locali dei semplici collaboratori inesperti in difficoltà e gli enti specializzati preposti, assieme allo Stato, i principali attori del processo, con l’obiettivo di riabilitare il territorio riportandolo ai livelli pregressi.

In realtà il sisma è una parentesi, per quanto portatrice di una grave crisi multilivello, in un processo territoriale stratificato, frutto della

coevoluzione dell’uomo con la natura attraverso la storia, che una volta finito il processo ricostruttivo riprenderà il suo corso. Gli abitanti e le amministrazioni locali dovrebbero rimanere gli artefici e gli attori principali delle trasformazioni in atto, anche se in difficoltà, e il ruolo degli enti specializzati e dello stato dovrebbe essere quello di favorire questa inclusione e non di prescinderla in virtù della straordinarietà.

Il riequilibrio presuppone imprescindibilmente un coinvolgimento diretto degli attori locali, intesi sia come amministrazioni locali che come Comunità. L'obiettivo comune deve essere quello di una ricostruzione rigenerativa e non solo quello di riportare i livelli funzionali del territorio ai livelli pre–sisma, assieme alla ricostruzione materiale. Per fare ciò occorre ripensare e riprogettare in maniera cooperativa, tra attori locali e sovralocali, l’intero territorio.

L’approccio sostanziale della Pianificazione post-disastro anche nel caso in cui coinvolga le comunità non basta a compiere una rigenerazione, necessita inevitabilmente una ibridazione con la Pianificazione Territoriale e Urbanistica così da includere tutti gli attori locali comprese le amministrazioni e indirettamente il Territorio con la sua storia, il suo melieu e le sue peculiarità. Ma come può avvenire questa “sincresi”? su quali basi?

Capitolo 3.

La ricostruzione in Italia.