Capitolo 2 IL MADE IN ITALY NEI PRIMI ANNI NOVANTA
2.2 L’INDUSTRIA MODA: UNA RILEVANZA STRATEGICA NEL
All’inizio degli anni Novanta l’industria manifatturiera italiana si trova in condizioni di netto svantaggio rispetto ad alcuni Paesi europei.
La crisi dell’industria italiana nei primi anni Novanta è dovuta ad una molteplicità di fattori, ed in particolare: la bassa crescita della produttività, in rapporto ai principali competitori; il tasso di cambio reale fortemente sopravvalutato (fino alla svalutazione del settembre 1992); la debolezza finanziaria e l’elevatezza dei tassi di interesse.4
2 A questo proposito è appena il caso di ricordare che la Germania mostra presenze significative nel
settore del mobile, la Gran Bretagna in quello delle calzature e la Francia nell’abbigliamento. Come è noto, l’Italia si distingue dagli altri Paesi perché è specializzata contemporaneamente in tutti questi e in
altri settori tradizionali, legati principalmente ai prodotti per la casa e per la persona. Una caratteristica condivisa da tutti questi settori è il forte orientamento verso lo stile, il design e la moda.
3 Nell’opinione di molti l’apprezzamento del tasso di cambio reale che si è registrato negli anni ’80
avrebbe dovuto generare impulsi positivi per la riorganizzazione dei settori “avanzati”. La necessità di fronteggiare un ambiente ostile ha in realtà stimolato fortemente l’efficienza delle imprese dei settori tradizionali. Quando all’inizio degli anni’90 il tasso di cambio è diventato nuovamente favorevole esse
erano pronte ad avvantaggiarsene, come dimostra il fortissimo aumento registrato delle esportazioni.
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Tab. 2.1 – Confronto Italia-Europa: scarto assoluto fra l’indicatore italiano e quello rilevato per i diversi paesi nel 1990(il segno negativo indica valori più bassi per l’Italia, e viceversa; valori percentuali
INDICI Germania Francia Spagna
Ris. Ante oneri fin./fatt. -2,9 -1,5 -0,5
Utile correte/fatturato -5,7 -2,9 -0,9
Ris. netto rett./fatturato -2,4 -3,0 -1,1
Oneri fin./fatturato 2,8 1,3 0,4
ROE -12,1 -6,1 -0,2
ROI -8,0 -4,1 -0,7
Rapporto di indebitamento 14,9 4,1 12,3
Fonte: dati Bach
Scognamiglio (1994), scrive che, in riferimento ad alcuni indicatori economico/finanziari (Tab. 2.1), Germania e Francia, ma anche Spagna, mostrano tutti una miglior performance rispetto all’Italia.
Egli sottolinea che, i margini di profitto delle imprese italiane che, fra il 1987 ed il 1988 si erano portati sui livelli medi europei, ed anzi in alcuni casi risultavano addirittura superiori, paiono nel 1990 nettamente inferiori: non solo l’incidenza dell’utile corrente sul fatturato, ma anche il risultato netto rettificato ed il risultato ante oneri finanziari vedono l’Italia decisamente staccati da Germania e Francia, e di poco inferiori alla Spagna. Il rapporto di indebitamento e l’incidenza degli oneri finanziari risultano i più elevati. La redditività del capitale investito e dei mezzi propri, che nel 1987 si poneva circa sugli stessi livelli di Germania e Francia, nel 1990 risulta assai modesta, con scarti elevatissimi rispetto alle imprese di quei paesi.
Si assiste dunque ad un declino di redditività dell’industria italiana iniziato sin dal 1988, e che fra il 1987 ed il 1990 evidenzia i risultati presentati nel Grafico 2.1.
Grafico 2.1 – Industria manifatturiera italiana: scarto assoluto fra il valore 1987 ed il valore 1990 (dati Bach).
Sempre Scognamiglio , evidenzia che nel 1990 si assiste ad un calo del valore aggiunto, che unito alla crescente incidenza del costo del lavoro determina una forte compressione del rapporto fra margine lordo e fatturato. Inoltre, il più elevato rapporto di indebitamento fa crescere il peso degli oneri finanziari, erodendo il cash-flow ed il risultato finale. Ma quel che più impressiona è la caduta degli indicatori di redditività ed efficienza del capitale: il ROI diminuisce, in termini relativi, del 40 per cento circa, ed il ROE viene più che dimezzato, mentre diminuisce la già insoddisfacente rotazione del capitale investito.
Scognamiglio, sofferma la sua attenzione proprio su quest’ultimo indicatore. Già in precedenza aveva sottolineato la questione dell’idle capital, ovvero della insoddisfacente produttività del capitale investito nell’industria italiana, e questa diviene ancora più grave. Infatti la dinamica 1987/90 vede un peggioramento dell’indice per l’Italia (passando da 1,065 a 0,977), ed il confronto 1990 con altri paesi ci vede all’ultimo posto, dietro a Germania, Francia, Belgio e Spagna (Tab. 2.2). VA/FT C. lavoro/FT MOL/FT Oneri Fin./FT Utile corrente/FT Risultato netto rett./FT ROE ROI Rotazione capitale investito -10 -8 -6 -4 -2 0 2 Rapporto di indebit.
Tab. 2.2 Tasso di rotazione del capitale investito5 PAESI VARI 1990 Italia 0,977 Spagna 1,084 Belgio 1,247 Francia 1,324 Germania 1,562
Mille lire di capitale investito “muovono” in Italia 977 lire di fatturato, contro le 1324 della Francia e le 1562 della Germania: il divario è veramente notevole, e le differenti strutture dell’industria lo giustificano solo in parte. Il maggior peso del circolante è la causa principale di tale situazione, ma vengono messi sotto accusa anche gli immobilizzi netti.
Nel complesso problematico della struttura industriale italiana, il settore moda mantiene primati positivi in termini di occupazioni, redditività ed imprenditorialità.
Quando si parla di settore moda si comprendono i comparti del tessile, abbigliamento e calzature.
Il grado di complementarietà che le produzioni di detti comparti hanno rispetto al rapporto funzionale con i mercati elettivi (lo Italian Style come carattere forte di ciascun prodotto); la similarità che ostentano detti comparti nella organizzazione dei processi produttivi; la rappresentatività di un insieme di produzioni, cosiddette tradizionali, nelle quali, nel contesto della divisione internazionale del lavoro, è specializzato il nostro paese; consentono di valutare congiuntamente i tre comparti.
Balloni (1994), richiama il concetto di moda in “Il Nuovo Zingarelli, 1987” e la definisce “foggia corrente del vestire e dell’acconciarsi, legata ad una determinata epoca e al gusto di una determinata società”. Egli, sottolinea che, in realtà l’idea di moda ingloba il consumo di molti altri beni e servizi che concorrono a definire più estensivamente gli stili di vita o lo stauts sociale.
5Dati estratti da Scognamiglio, C.(1994), Le imprese italiane nel Mercato Unico, in L’Industria, XV, 1,
Nonostante questo, la forma ridotta del concetto, che insiste sulla foggia del vestire e dell’acconciarsi, rende più rigorosa l’analisi empirica dei processi evolutivi di industria e di impresa, trovando infatti questi processi una accettabile identità nell’utilizzo ricomposto di alcuni dei ben noti criteri definitori proposti dal Becattini (1962): similarità del consumo, delle tecnologie di produzione e senso di appartenenza.
Nel 1991, secondo i dati di contabilità nazionale al sistema moda appartenevano 1.156.300 unità di lavoro, pari al 22,4 per cento delle unità occupate nell’industria in senso stretto e al 4,9 per cento del totale delle attività produttive. In un periodo di ventidue anni (1970-91), pur subendo una riduzione di 190.600 unità, questa industria, da un punto di vista occupazionale, risulta la più importante del sistema manifatturiero italiano.6
Non meno rilevante è il contributo dell’industria moda alla formazione del prodotto lordo delle manifatture, cioè alla formazione della ricchezza nazionale. In lire correnti la quota percentuale del valore aggiunto di essa su quello delle manifatture, nel periodo 1970-91, si mantiene tra il 14-15 per cento.
A valori costanti, pur tenendo conto delle insidie che questi dati celano ai fini delle comparazioni nel tempo e nello spazio (Fuà,1993), soltanto negli anni Ottanta le quote tendono a porsi leggermente al di sotto del 14 per cento (Grafico 2.1).
6 Soltanto se si considera l’insieme molto ampio delle industrie meccaniche, comprendenti le attività
Grafico 2.2 - Quota percentuale del valore aggiunto (al costo dei fattori e a valori 1980)
dell’industria moda sul totale delle manifatture negli anni 1970-1991 (Fonte: Istat).