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L’interessato al trattamento come consumatore

3. L’ipotesi del regime proprietario sui dati personali

3.7. L’interessato al trattamento come consumatore

Se la disciplina del trattamento dei dati personali pare difficilmente permeabile da parte delle norme codicistiche, anche in presenza di un’autorizzazione a titolo oneroso, minori resistenze si incontrano in merito all’operatività del Codice del Consumo, già affermata in dottrina e dall’AGCM con riferimento ai contratti di accesso gratuito ad internet o di fruizione di un servizio offerto da un social network138, e dunque a fortiori

applicabile laddove sia espressamente pattuito un corrispettivo in cambio del consenso al trattamento dei dati personali.

L’Autorità amministrativa ha però attribuito alla normativa consumeristica un ruolo più di supplenza che di integrazione, ascrivendole una funzione di strumento di tutela del consumatore-interessato per tutti quei

137 Così FONDERICO G., La regolamentazione amministrativa del trattamento dei dati personali, cit., p. 420.

138 Cfr. Provvedimenti n. 26597 e n. 56596, entrambi emessi nei confronti di Whatsapp in data 11 maggio 2017. In dottrina, cfr. S.RODOTÀ, Tecnopolitica, 2ª ed., Roma-Bari, 2004, pp. 155 ss.; A. GALASSO, Proposte di sintesi, in A. GALASSO -S.MAZZARESE (a cura di), Il principio

di gratuità, Giuffrè, Milano, 2008, pp. 496 ss.; S.F.BONETTI, La tutela del consumatore nei

contratti gratuiti di accesso ad Internet: i contratti dei consumatori e la privacy tra fattispecie giuridiche e modelli contrattuali italiani e statunitensi, in Dir. Inf., 2002, pp. 1093 ss.; P.

SAMMARCO, Le clausole contrattuali di esonero e trasferimento della responsabilità inserite

nei termini d'uso dei servizi del web 2.0, ivi, 2010, 4-5, pp. 631 ss.; M.GRANIERI, Le clausole

ricorrenti nei contratti dei social networks dal punto di vista della disciplina consumeristica dell'Unione europea, in AIDA, 2011, pp. 125 ss.; A.R. POPOLI, Social network e concreta

protezione dei dati sensibili: luci ed ombre di una difficile convivenza, in Dir. Inf., 2014, pp.

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casi in cui il Regolamento 2016/679 non fornisca meccanismi rimediali specifici.

La dottrina ha poi ascritto in capo al d.lgs. 206/2005 una valenza suppletiva con riferimento alle ipotesi in cui il trattamento sia lecito, ovvero in cui sia del tutto escluso il ruolo della normativa a tutela dei dati personali, ossia nei confronti delle analisi aventi ad oggetto dati anonimi139.

In particolare, si è sostenuto che, alla luce della normativa consumeristica, è evidente il contrasto dei termini e delle condizioni di servizio rispetto alla direttiva 93/13 in materia di clausole abusive140.

Infatti, tutti i termini e le condizioni che stabiliscono che il fornitore non sia vincolato a qualsiasi standard di servizio, possono a sua volta modificare o sospendere il servizio e non garantire continuità di servizio141.

Ugualmente invalide sono tutte le clausole che esonerano il fornitore dalla responsabilità, o la limitano a una somma simbolica.

Interessante sarebbe chiedersi, piuttosto, se il nuovo Regolamento europeo sia altresì idoneo a ricoprire un ruolo integrativo della disciplina posta a tutela del consumatore, se, cioè, una clausola pattuita in violazione delle norme individuate dal primo possa essere sottoposta al regime di nullità di protezione introdotto all’art. 36 Cod. cons. avverso le clausole vessatorie. Mentre la soluzione in senso positivo è pacifica per tutte le ipotesi assimilabili a quelle contemplate all’art. 33 Cod. cons., per quelle non espressamente menzionate, il primo comma attribuisce al giudice un sindacato discrezionale circa le clausole idonee a creare «a carico del

consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto».

139 Così G. GIANNONE CODIGLIONE,I dati personali come corrispettivo della fruizione di un servizio di comunicazione elettronica e la “consumerizzazione” della privacy, in Dir. Inf.,

2017, pag. 425. 140 V. Z

ENO-ZENCOVICH, Ten legal perspectives on the “big data revolution”, in Concorrenza

e mercato, 2016, p. 29. 141 V. Z

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A riguardo, con riferimento ai servizi via web, si è sostenuto che «le

clausole contenute nei termini d'uso delle licenze in questione che obiettivamente hanno un contenuto squilibrato in danno del consumatore sono nulle, in quanto non oggetto di una trattativa individuale attraverso cui questi ne abbia acconsentito e condiviso il contenuto»142.

Chiaramente, l’eventuale squilibrio contrattuale andrebbe valutato tenendo conto anche dell’eventualità che il consumatore abbia o meno percepito un corrispettivo.

In quest’ottica, dunque, non sarebbe vessatoria la clausola che permetta la libera revoca del consenso ai sensi dell’art. 7, anche prevedendo, come contropartita la restituzione di quanto percepito, o meglio, di una sua parte, stante la perdurante legittimità del trattamento intervenuto prima della revoca, ai sensi della stessa disposizione che garantisce il suo esercizio143.

Come accennato, infatti, il diritto di revoca ha presupposti ed effetti diversi rispetto a quello di opposizione al trattamento, il quale è invece ammesso solo per motivi legittimi, a meno che lo scopo del trattamento sia quello pubblicitario, nei casi in cui il trattamento fosse ab origine illegittimo144.

Il carattere della vessatorietà potrebbe essere, al contrario, assunto da clausole che limitino l’esercizio dei diritti spettanti all’interessato in misura più restrittiva rispetto a quanto previsto dalla Sezione terza del Regolamento,

142 P. S

AMMARCO, Le clausole contrattuali di esonero e trasferimento della responsabilità

inserite nei termini d'uso dei servizi del Web 2.0, cit., p. 638. 143 Così, R. F

RAU, Profili del consenso al trattamento dei dati personali per fini economici

nell'esperienza italiana. raffronti con la normativa spagnola, in Resp. civ. e prev., 2010, nt. 85,

il quale, in ossequio al canone della buona fede, rileva che il recesso ingiustificato da parte dell’interessato che abbia ormai percepito il corrispettivo sarebbe “ancor più opinabili nei i casi

in cui l'interessato si trovi a beneficiare non già di un vantaggio durevole (e, pertanto, reversibile da parte di chi lo eroga), bensì di un beneficio che viene "consumato" immediatamente e integralmente”.

144 Prima ancora dell’entrata in vigore del Regolamento, simili distinzioni erano prospettate da R. FRAU, Profili del consenso al trattamento dei dati personali per fini economici

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la quale gli attribuisce, in particolare, un diritto di rettifica (art. 17), un diritto di cancellazione (art. 18) ed un diritto di limitazione del trattamento (art. 19). Un fondamento per simile ricostruzione potrebbe ravvisarsi nel secondo comma dell’art. 6 del Regolamento 593/2008/CE145, il quale, nel

riconoscere la libertà per le parti di scegliere la legge applicabile ad un contratto, contestualmente afferma che attraverso l'esercizio di questa facoltà non si debba in alcun modo «privare il consumatore della protezione

assicuratagli dalle disposizioni alle quali non è permesso derogare convenzionalmente ai sensi della legge che, in mancanza di scelta, sarebbe stata applicabile»146.

Com’è evidente, simile conclusione sarebbe condivisibile soltanto qualora si concordi sulla permeabilità della materia contrattuale rispetto alle regole dettate dalla normativa europea in tema di trattamento dei dati personali.

Peraltro, nel valutare il carattere vessatorio delle clausole inserite in un contratto avente ad oggetto il consenso al trattamento dei dati personali, non si dovrà omettere di considerare il verosimile dislivello di potere contrattuale e l’asimmetria informativa che impediscono al consumatore- interessato di valutare ex ante con piena consapevolezza le conseguenze pregiudizievoli che il trattamento sia eventualmente idoneo a cagionare147.

La nullità di protezione comminata dall’art. 36 cod. cons., infatti, opera non già in astratto, con riferimento a qualsivoglia contratto, ma in

145 Regolamento (CE), n. 593/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, 17 giugno 2008, Roma.

146 Cfr. A. R. P

OPOLI, Social network e concreta protezione dei dati sensibili: luci ed ombre di

una difficile convivenza, in Dir. Inf., 2014, 6, p. 998.

147 Sul punto, e con particolare riferimento alle concessioni di fido bancario, di mutuo o di assicurazione, cfr. G. COMANDÈ, Consenso. Casi di esclusione del consenso, cit., p. 118. Cfr. anche A. LONGO, Privacy e assicurazioni, in V. CUFFARO -R.D'ORAZIO-V. RICCIUTO, Il

codice del trattamento dei dati personali, Giappichelli, Torino, 2007, pp. 555 ss. Con specifico

riferimento al trattamento dei dati personali, si vedano le considerazioni di Malgieri G.,

Property and (Intellectual) Ownership of Consumers’ Information: A New Taxonomy for Personal Data, Privacy in Germany - PinG, n. 4, 2016, pp. 133 ss..

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concreto, in dipendenza della insufficiente prova contraria, da parte del professionista, circa la non abusività della clausola.

In particolare, una prova siffatta dovrà costituirsi, come imposto dall’art. 34 cod. cons., «tenendo conto della natura del bene o del servizio

oggetto del contratto e facendo riferimento alle circostanze esistenti al momento della sua conclusione ed alle altre clausole del contratto medesimo o di un altro collegato o da cui dipende».

Si procede, dunque, caso per caso, avuto riguardo all’interesse del consumatore e all’equilibrio della concreta operazione economica.

Nella materia in esame, la peculiare delicatezza dell’oggetto del contratto, rappresentato appunto dai dati personali del consumatore, potrà allora certamente venire in rilievo ai fini della valutazione circa l’abusività delle clausole ivi inserite.

D’altra parte, si è opportunamente evidenziato come il legislatore italiano, in sede di attuazione della direttiva 93/13/CE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, non abbia riportato quanto previsto dal considerando n. 19 circa la possibilità di tenere conto, nel giudizio di vessatorietà, anche del rapporto qualità/prezzo del servizio offerto e, dunque, del vantaggio goduto dal consumatore in termini di convenienza del corrispettivo pattuito.

L’impostazione adottata dal Codice del Consumo italiano permetterebbe, così, all’interprete di ritenere che il consumatore possa sopportare un qualsiasi svantaggio in cambio di una maggiore accessibilità economica del servizio148.

Eppure, un qualche spiraglio per il consumatore svantaggiato da un contratto economicamente squilibrato sembra emergere da una recente

148 Così, A. B

ARENGHI, Art. 33, Clausole vessatorie nel contratto tra professionisti e

consumatore, in Codice del Consumo e norme collegate, V. CUFFARO (a cura di), IV ed., Giuffrè, Milano, 2015.

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pronuncia della Corte di Giustizia, emessa in occasione della controversia “Ruxandra Paula Andriciuc e altri contro Banca Românească SA”149.

Secondo, la Corte “l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 deve

essere interpretato nel senso che il requisito secondo cui una clausola contrattuale deve essere formulata in modo chiaro e comprensibile presuppone che, nel caso dei contratti di credito, gli istituti finanziari debbano fornire ai mutuatari informazioni sufficienti a consentire a questi ultimi di assumere le proprie decisioni con prudenza e in piena cognizione di causa.

A tal proposito, tale requisito implica che una clausola, in base alla quale il prestito deve essere rimborsato nella medesima valuta estera nella quale è stato contratto, sia compresa dal consumatore non solo sul piano formale e grammaticale, ma altresì in relazione alla sua portata concreta, nel senso che un consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, possa non solo essere a conoscenza della possibilità di apprezzamento o deprezzamento della valuta estera nella quale il prestito è stato contratto, ma anche valutare le conseguenze economiche, potenzialmente significative, di una tale clausola sui suoi obblighi finanziari. Spetta al giudice nazionale procedere alle verifiche necessarie al riguardo”.

Inoltre, “l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13 deve essere

interpretato nel senso che la valutazione del carattere abusivo di una clausola contrattuale deve essere effettuata con riferimento al momento della conclusione del contratto in questione, tenendo conto dell’insieme delle circostanze di cui il professionista poteva essere a conoscenza in tale momento e che erano idonee a incidere sull’ulteriore esecuzione di detto contratto. Spetta al giudice del rinvio valutare, alla luce di tutte le

149 Corte di Giustizia, II sezione, 20 settembre 2017 - causa C-186/16, con commento di D. ALESSANDRI, Dalla Corte di Giustizia un “test” per valutare l’assoggettabilità delle clausole

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circostanze della controversia oggetto del procedimento principale e tenendo conto in particolare delle competenze e delle conoscenze del professionista, nel caso di specie la banca, riguardo alle possibili variazioni dei tassi di cambio e ai rischi inerenti alla sottoscrizione di un mutuo in valuta estera, la sussistenza di un eventuale squilibrio ai sensi di tale disposizione”.

Il giudice comunitario, dunque, individua nel requisito della redazione chiara e comprensibile un preliminare elemento discretivo ai fini della valutazione dell’abusività di una clausola, chiarendo come questo trovi applicazione “anche quando una clausola rientra nella nozione di “oggetto

principale del contratto” o in quella di “perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro” (punto 43 della sentenza).

Ed invero, sebbene l’art. 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 escluda che la valutazione di abusività di una clausola possa vertere sull’oggetto del contratto o sull’equilibrio economico derivante dallo stesso, secondo la Corte, “le clausole oggetto di tale disposizione esulano, infatti, dalla

valutazione del loro carattere abusivo soltanto qualora il giudice nazionale competente consideri, in seguito ad un esame caso per caso, che esse sono state formulate dal professionista in modo chiaro e comprensibile” (punto

43 della sentenza).

La chiarezza delle clausole contrattuali è allora da valutarsi dal punto di vista sostanziale, utilizzando come parametro di riferimento un consumatore attento e avveduto e tenendo conto di tutte le informazioni di cui il professionista poteva disporre al momento della conclusione del contratto.

Peraltro, la più recente dottrina ha osservato che il titolare del trattamento deve ritersi sottoposto all’obbligo contenuto nell'allegato alla direttiva sulle clausole abusive, alla lettera l), secondo la quale sono abusive le clausole che permettono “al venditore di beni o al fornitore di servizi di

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aumentare il prezzo senza che, in entrambi i casi, il consumatore abbia il diritto corrispondente di recedere dal contratto se il prezzo finale è troppo elevato rispetto al prezzo concordato al momento della conclusione del contratto”150.

D’altra parte, data la natura della controprestazione coinvolta, si è ipotizzato che anche il consumatore possa essere chiamato a rispettare obblighi di veridicità ed esattezza connessi all'ostensione dei dati personali151.

Infatti, «un consumatore che “paghi” in dati […] dovrà fornire dati

personali esatti e/o corrispondenti alle richieste della controparte: non è un caso che nelle condizioni generali di contratto di molti top players, come Facebook e Amazon, si preveda frequentemente l'obbligo per l'utente di fornire dettagli anagrafici esatti e aggiornati e comunicare eventuali variazioni»152.

Infine, merita un chiarimento la circostanza che vede il perdurante obbligo di fornire comunque il servizio in capo al titolare del trattamento, pur di fronte ad una revoca del consenso.

A riguardo, dovrebbe ritenersi che, nelle ipotesi in cui il servizio offerto sia presentato come gratuito ed il consenso al trattamento dei dati personali rappresenti il corrispettivo per trattamenti volti a finalità ulteriori, diverse dal mero accesso al servizio o al dispositivo (come l’accettazione di attività di marketing), la revoca del consenso rispetto a queste diverse finalità non dovrebbe precludere all’interessato la possibilità di continuare ad accedere comunque al servizio. A simile conclusione dovrebbe pervenirsi alla luce delle summenzionate pronunce in cui l’Autorità Garante italiana ha inteso scongiurare il rischio che il consenso al trattamento sia

150 Cfr. V. ZENO-ZENCOVICH, Ten legal perspectives on the “big data revolution”, in Concorrenza e mercato, 2016, p. 30.

151 G. R

ESTA - V. ZENO-ZENCOVICH, Volontà e consenso nella fruizione dei servizi in rete, cit.,

p. 419. 152 G. R

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surrettiziamente dedotto in contratto come vera e propria controprestazione a fronte di un servizio presentato come gratuito153.

153 In questo senso, cfr. S. T

HOBANI, La libertà del consenso al trattamento dei dati personali

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