3. L’ipotesi del regime proprietario sui dati personali
3.5. La negoziabilità del consenso alla luce delle norme
Anche coloro che ammettono la contrattualizzazione dei diritti della personalità non trascurano di reinterpretare la disciplina contrattuale in chiave di maggiore tutela del soggetto al quale i dati trasferiti di riferiscono113. Nondimeno è trascurabile l'esigenza di riconoscere una certa
stabilità all'accordo intercorso fra le parti, alla luce dei canoni e delle regole poste a presidio di una corretta esecuzione del rapporto contrattuale.
Nello specifico, una volta ammesso che la volontà dei soggetti coinvolti si possa trovare a convergere validamente su un oggetto considerato lecito dall'ordinamento e a fronte del quale è stata corrisposta una contropartita economicamente apprezzabile, inclusa una somma di denaro, pare utile una riflessione sull'opportunità di circoscrivere, in qualche modo, la facoltà di ripensamento da parte dell'interessato.
Gli stessi Autori che hanno riconosciuto in capo all’interessato un «libero ed inderogabile diritto di revoca del consenso al trattamento dei dati
personali», hanno parimenti escluso che, in presenza di una vera e propria
pattuizione contrattuale, possa prescindersi dal rispetto del canone generale di correttezza, anche e soprattutto in sede di revoca114.
113 Cfr. V. Z
ENO-ZENCOVICH, Profili negoziali degli attributi della personalità, in Dir. inf., 1993, pp. 564 ss.; V. ZENO-ZENCOVICH, Una lettura comparativa della L. 675/96, cit., p. 170, il quale attribuisce alla disciplina dettata dalla L.675/96 un ruolo di “temperamento” di quegli schemi giuridici utilizzati nelle attività negoziali; G.RESTA, Autonomia privata e diritti della
personalità, Jovene Editore, Napoli, 2005, p. 276. Sul tema, cfr. F. ANAGNINO, Fino a che
punto è possibile disporre contrattualmente dei propri diritti?, cit., pp. 2555 ss.; S. THOBANI,
La libertà del consenso al trattamento dei dati personali e lo sfruttamento economico dei diritti della personalità, cit., pp. 513 ss.
114 Così A. D
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Peraltro, si è correttamente evidenziato che, in ragione del rinvio operato dall’art. 1324 c.c. ai principi in materia di contratti, esigenze di tutela analoghe si dovrebbero porre anche qualora si riconoscesse al consenso natura di atto unilaterale tra vivi avente contenuto patrimoniale115.
Pare, infatti, del tutto lecito il dubbio circa la correttezza di una condotta dell'utente che, una volta percepito il compenso a fronte del quale abbia autorizzato un determinato trattamento dei suoi dati, revochi ex abrupto il consenso, pretendendo di restare indenne da qualsiasi conseguenza sul piano patrimoniale.
Si è anche evidenziato che simili condotte sarebbero «ancor più
opinabili nei casi in cui l'interessato si trovi a beneficiare non già di un vantaggio durevole (e, pertanto, reversibile da parte di chi lo eroga), bensì di un beneficio che viene “consumato” immediatamente e integralmente»116. Del resto, la ricostruzione in termini negoziali dello scambio tra consenso al trattamento e servizio o corrispettivo, porta con sé anche le questioni legate alla possibilità di esercitare le facoltà di cui all’art. 1373 c.c., comma secondo, recante la disciplina del recesso da un contratto ad esecuzione continuata o periodica del quale le parti non abbiano provveduto a fissare una durata, letto in combinato disposto con l’art. 1375 c.c., che impone di eseguire il contratto secondo buona fede.
Proprio di recesso e non, invece, di revoca dovrebbe parlarsi. Con il primo termine, la dottrina tradizionale si riferisce ad un negozio unilaterale recettizio, nonché tipico, caratterizzato dalla specifica funzione di realizzare l’interesse alla deroga all’impegno contrattuale e posto in essere attraverso l’esercizio di un diritto potestativo.
115 Cfr. F. ANAGNINO, Fino a che punto è possibile disporre contrattualmente dei propri diritti?, cit., pp. 2570 ss.. Sul rapporto tra contratto e atto unilaterale tra vivi, cfr. G. BENEDETTI,
Dal contratto al negozio unilaterale, Milano, 1969; C. DONISI, Il problema dei negozi giuridici
unilaterali, Napoli, 1972; C. DONISI, Atti unilaterali, in Enc. Giur. Treccani, Roma, 1988; M.
BIANCA, Diritto civile, vol. III, Il contratto, Giuffrè, Milano, 1984, 378-379. 116 Così F. A
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Mentre, ai senti dell’art. 1373, comma 2, c.c., «il recesso non ha effetto
per le prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione», al contrario, la
revoca è un atto unilaterale che estingue il rapporto sin dall’origine. Tuttavia, si fa notare come, talvolta, i due termini siano utilizzati come sinonimi e l’impiego di uno piuttosto che dell’altro dipenda dalla tipologia di atto che sono diretti a sciogliere (ad esempio, il recesso riguarda necessariamente gli atti tra vivi, mentre si può parlare di revoca anche rispetto ad atti mortis
causa)117.
In una prospettiva contrattuale dello scambio dei dati personali, il rispetto della disciplina codicistica implicherebbe, allora, non solo la salvezza delle «prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione», ma anche una valutazione della scelta di esercitare il diritto di recesso alla luce dei canoni della correttezza e buona fede. Ebbene, non solo simile impostazione può apparire d’ostacolo alla portata applicativa dell’art. 7 del Regolamento n. 679 del 2016, il quale permette all’utente di revocare il proprio consenso al trattamento in qualsiasi momento, ma una diversa pattuizione in merito, eventualmente più restrittiva, creerebbe un divario di disciplina ancor più profondo.
Peraltro, il nuovo Regolamento comunitario, con un’impostazione certamente più chiara rispetto a quella della normativa precedente118,
consente non solo l’opposizione al trattamento dei dati, ma anche il diritto di «revocare il proprio consenso in qualsiasi momento», pur senza pregiudicare «la liceità del trattamento basato sul consenso prima della revoca».
117 R. C
LARIZIA, Il recesso, XVI, p. 601, in Diritto civile, III, 2, Il contratto in generale, Lipari- Rescigno (diretto da), Giuffrè, Milano, 2009.
118 L’art. 7, comma 4, d.lgs. 196/2003, recitava: “L'interessato ha diritto di opporsi, in tutto o in parte: a) per motivi legittimi al trattamento dei dati personali che lo riguardano, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta; b) al trattamento di dati personali che lo riguardano a fini di invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazione commerciale”. Il Regolamento, al contrario, distingue già a livello
di principi generali tra “revoca” del consenso rispetto ad un trattamento non ancora intervenuto ed “opposizione” ad un trattamento già realizzatosi, subordinando a determinate condizioni soltanto la seconda prerogativa dell’interessato.
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Al contrario, il d.lgs. 196/2003 prevedeva esclusivamente un diritto di opposizione al trattamento (art. 7, comma 4), subordinandone l’esercizio a determinate condizioni ed omettendo, d’altra parte, di disciplinare a livello generale la libera revoca del consenso per i trattamenti non ancora effettati sui dati personali119.
Difatti, l'art. 7, comma 4º, del Regolamento chiarisce in maniera espressa quanto la dottrina aveva sin qui ricavato ragionando sui principi, sancendo la regola della costante revocabilità del consenso120, ossia che
«dall'esercizio del potere di revoca, che non è subordinato alla prova di un
idoneo motivo giustificativo e produce efficacia ex nunc, discende naturalmente la caducazione del contratto « a valle » - lo si costruisca dogmaticamente come un negozio « di secondo grado », collegato al consenso quale atto unilaterale a contenuto non patrimoniale, o come un'operazione unitaria - rispetto al quale il consenso operava come specifica base negoziale»121.
Ebbene, dal punto di vista del titolare del trattamento, allora, la distinzione tra revoca del consenso ed opposizione allo stesso ha sicuramente una prima ripercussione in termini di responsabilità.
In presenza di un’arbitraria revoca del consenso come legittimata dall’art. 7, comma 3, se il trattamento cessa nel momento stesso in cui viene meno la sua condizione legittimante, il professionista non potrà essere chiamato dall’utente a risarcire alcun danno, perché alcun comportamento illecito sarà stato realizzato.
119 Sul punto cfr. G. C
OMANDÈ, Consenso. Casi di esclusione del consenso, cit., p. 116, A. FICI
– E.PELLECCHIA, Il consenso al trattamento, cit., p. 540 ss.; S. THOBANI, La libertà del
consenso al trattamento dei dati personali e lo sfruttamento economico dei diritti della personalità, cit., pp. 513 ss.; R. RISTUCCIA, Commento all'art. 13, legge 675/1996, in E.
GIANNANTONIO –M.G.LOSANO –V.ZENO ZENCOVICH (a cura di), La tutela dei dati personali.
Commentario alla legge n. 675/1996, Cedam, Padova, 1997, 135 ss.. 120 G. R
ESTA, Revoca del consenso e interesse al trattamento nella legge sulla protezione dei
dati personali, in Riv. crit. dir. priv., 2000, pp. 299 ss. 121 Cfr. G. R
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Al contrario, l’esercizio del diritto di opposizione di cui all’art. 21 del Regolamento, è sì rivolto principalmente ad interdire i trattamenti futuri, ma sembra anche che sia stato introdotto in corrispondenza di situazioni di conflitto tra il risultato dei trattamenti pregressi e la tutela della sfera personale dell’utente.
A sostegno di simile conclusione depone non soltanto il fatto che il diritto di opporsi al trattamento sia inserito nella Sezione quarta del Regolamento, dedicata ai processi decisionali automatizzati, ma anche le singole ipotesi contemplate all’art. 21.
Il primo comma, da un lato, si riferisce ai trattamenti posti in essere ai sensi dell’art. 6, comma 1, lettere e) ed f), ossia ai trattamenti realizzati, pur in assenza del consenso, in connessione con un compito di interesse pubblico assegnato al titolare del trattamento ovvero per il perseguimento del legittimo interesse del titolare del trattamento o di terzi.
D’altra parte, il secondo comma si riferisce ai trattamenti rivolti a finalità di marketing diretto, anche eventualmente conseguenti a tecniche di profilazione.
Si tratta, dunque, di situazioni in cui o le modalità del trattamento non sono il frutto di un accordo con l’interessato (comma primo), oppure sono risultate diverse da quelle inizialmente concordate a seguito dell’operare del processo decisionale automatizzato (secondo comma).
In entrambi i casi, allora, i risultati esulano dal consenso prestato dall’utente, se non addirittura dalla sfera di controllo del titolare, e paiono idonei a dar luogo ad ipotesi di danno ingiusto scaturente da responsabilità (anche oggettiva) e, dunque, a conseguenze risarcitorie.
Al contrario, in presenza di un consenso prestato sin dall’inizio liberamente e consapevolmente per specifiche finalità e poi arbitrariamente revocato, è opportuno chiedersi se il titolare che l’abbia remunerato possa pretendere di essere tenuto indenne dalle spese che dovrà sostenere per distruggere i dati non più utilizzabili.
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In caso di risposta affermativa, si aprirebbe la strada alla prospettazione di una vera e propria responsabilità contrattuale dell’utente per violazione dell’obbligo di correttezza nell’esercizio del diritto di recesso
ad nutum.
A riguardo, se, da un lato, è condivisibile l’impostazione secondo la quale il riconoscimento, in capo all’interessato, di un obbligo di correttezza «non deve condurre in alcun modo ad un’eventuale limitazione, anche
indiretta del diritto di revocare in ogni momento il consenso al trattamento dei dati personali»122, d’altra parte non vi è ragione per escludere che un
esercizio abusivo del diritto di revoca del consenso possa comportare la condanna dell’utente al risarcimento del danno123.
Tuttavia, per consolidata giurisprudenza, l’esercizio abusivo del diritto di recesso non è configurabile per il «sol fatto che una parte del
contratto abbia tenuto una condotta non idonea a salvaguardare gli interessi dell'altra, quando tale condotta persegua un risultato lecito attraverso mezzi legittimi», ma soltanto «allorché il titolare di un diritto soggettivo, pur in assenza di divieti formali, lo eserciti con modalità non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, causando uno sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale, ed al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà sono attribuiti»124.
122 Così A. DE FRANCESCHI, La circolazione dei dati personali, cit., p. 121.
123 La giurisprudenza di legittimità ammette infatti il sindacato giurisdizionale circa il rispetto del canone di correttezza ogniqualvolta sia esercitato il diritto di recesso ad nutum contrattualmente previsto da parte del contraente legittimato e non vi è ragione per escludere tale controllo qualora il diritto sia previsto per legge, salvo nel caso in cui la norma preveda espressamente un indennizzo, al fine di escludere qualsivoglia esame circa i motivi del recesso (come avviene in sede di applicazione dell’art. 1671 c.c.). Cfr. sul punto Cass. civ., sez. III 18 settembre 2009 n. 20106, in Foro it., 2010, I, 95 s., con nota di A.PALMIERI-R.PARDOLESI,
Della serie «a volte ritornano»: l'abuso del diritto alla riscossa; in Contratti, 2010, pp. 5 s.,
con nota di G. D'AMICO, Recesso ad nutum, buona fede e abuso del diritto; in Danno resp., 2010, pp. 347 ss., con nota di A. MASTRORILLI, Abuso del diritto e terzo contratto; in Giur.
comm., 2010, II, 834 s., con nota di L.DELLI PRISCOLI, Abuso del diritto e mercato.
124 Cfr. Cass. civ., sez. lav., 07 maggio 2013, n. 10568, con nota di S
ANGIOVANNI, in Lavoro
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Recentemente, le Sezioni Unite della Cassazione, occupandosi dell’annoso dibattito concernente la configurabilità della cd. usura sopravvenuta, hanno avuto modo di affermare che «la violazione del canone
di buona fede non è riscontrabile nell'esercizio in sé considerato dei diritti scaturenti dal contratto, bensì nelle particolari modalità di tale esercizio in concreto, che siano appunto scorrette in relazione alle circostanze del caso»125.
Al fine di imputare una vera e propria responsabilità in capo al contraente legittimato al recesso ad nutum è richiesta, dunque, non solo una violazione dei canoni di correttezza e buona fede, ma un vero e proprio esercizio abusivo del diritto, ossia una condotta diretta ad uno scopo diverso e anomalo rispetto a quello che il legislatore ha posto a fondamento del riconoscimento del diritto stesso e che risulta, dunque, privo di tutela126.
Ebbene, è evidente come, in un ambito come quello in esame, in cui l’esercizio del diritto di recesso è attribuito all’utente a tutela di un diritto soggettivo assoluto, costituzionalmente rilevante, quale il diritto alla riservatezza, nonché a tutela del diritto all’autodeterminazione, la prova dell’abuso del diritto si prospetta particolarmente ardua.
SCRIMA, Obbl. e Contr. on line, 2012, pp. 8-9; Cass. civ., sez. III, 18 settembre 2009, n. 20106,
cit..
125 Cass. civ., sez. un., 19 ottobre 2017, n. 24675, con nota di G. C
ARRIERO, Usura
sopravvenuta - C'era una volta?, in Foro it., 2017, voce Usura, n. 1 e con nota di FAUCEGLIA
G., L'usura sopravvenuta nella Cassazione Sezioni Unite n. 24675/2017: più interrogativi che
risposte, in Banca Borsa Titoli di Credito, 2018, 3, pp. 310 ss.. Nel caso di specie, la Corte ha
concluso che «in presenza di particolari modalità o circostanze, anche la pretesa di interessi
divenuti superiori al tasso soglia in epoca successiva alla loro pattuizione potrebbe dirsi scorretta ai sensi dell'art. 1375 c.c.; ma va escluso che sia da qualificare scorretta la pretesa in sé di quegli interessi, corrispondente a un diritto validamente riconosciuto dal contratto». 126 Sul tema, cfr. V. G
IORGIANNI, L’abuso del diritto nella teoria della norma giuridica, Giuffré, Milano, 1963, p. 63; U. NATOLI, Note preliminari ad una teoria dell'abuso del diritto
nell'ordinamento giuridico italiano, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1958, pp. 18-37; G.GROSSO,
Abuso del diritto (diritto romano), in Enc. dir., I, Giuffrè, Milano, 1958, pp. 161-163; SALV.
ROMANO, Abuso del diritto (diritto attuale), ivi, I (Milano 1958), 168 s.; P. RESCIGNO, L'abuso
del diritto, in Riv. dir. civ., 1965, I, pp. 252 ss; G.CATTANEO, Buona fede e abuso del diritto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1971, pp. 613 ss.; U.BRECCIA, L'abuso del diritto, in Diritto privato,
1997, Padova, 1998; F.D.BUSNELLI -E.NAVARRETTA, Abuso del diritto e responsabilità civile,
in Diritto privato 1997, Padova 1998; G. D'AMICO, L'abuso di autonomia negoziale nei
contratti dei consumatori, in Riv. dir. civ., 2004, I, 644 s.; ID., Recesso ad nutum, buona fede e
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E ciò è tanto più vero se si considera che la citata giurisprudenza, nella valutazione dell’esercizio del diritto di recesso alla luce dei canoni di buona fede e correttezza, impone al giudice di interpretare la condotta anche in funzione del contemperamento degli opposti interessi delle parti contrattuali, tenendo conto della «provata disparità di forze fra i contraenti»127, agilmente
ravvisabile nell’ipotesi di schema contrattuale tra utente e provider.
Piuttosto, è opportuno limitarsi a chiedersi se l’art. 7, par. 3 del GDPR128, dal quale certamente deriva l’irrinunciabilità del diritto di revoca ad nutum, impedisca anche un’eventuale pattuizione con la quale
l’interessato si obblighi a tenere indenne il titolare del trattamento delle spese sostenute per la rielaborazione dei dati, in vista di una plausibile prosecuzione del trattamento.
Del resto, alcuni hanno addirittura ipotizzato che un'obbligazione indennitaria possa essere desunta analogicamente dall'art. 142, comma 2º, della legge sul diritto d'autore129, il quale recita «L'autore, qualora concorrano gravi ragioni morali, ha diritto di ritirare l'opera dal commercio, salvo l'obbligo di indennizzare coloro che hanno acquistati i diritti di riprodurre, diffondere, eseguire, rappresentare o spacciare l'opera medesima. Questo diritto è personale e non è trasmissibile. Agli effetti dell'esercizio di questo diritto l'autore deve notificare il suo intendimento alle persone alle quali ha ceduto i diritti ed al Ministero della cultura popolare, la quale dà pubblica notizia dell'intendimento medesimo nelle forme stabilite dal regolamento. Entro il termine di un anno a decorrere dall'ultima data delle notifiche e pubblicazioni, gli interessati possono ricorrere all'autorità
127 Cfr. Cass. civ., 18 settembre 2009, n. 20106, cit..
128 Il Regolamento n. 679 del 2016, all’art. 7, comma 3, recita: «L'interessato ha il diritto di revocare il proprio consenso in qualsiasi momento. La revoca del consenso non pregiudica la liceità del trattamento basata sul consenso prima della revoca. Prima di esprimere il proprio consenso, l'interessato è informato di ciò. Il consenso è revocato con la stessa facilità con cui è accordato».
129 G. R
ESTA, Revoca del consenso e interesse al trattamento nella legge sulla protezione dei
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giudiziaria per opporsi all'esercizio della pretesa dell'autore o per ottenere la liquidazione ed il risarcimento del danno»130.
Ebbene, non solo il diritto di ritirare l’opera è qui connesso ad un obbligo indennitario, ma è anche subordinato all’onere procedurale consistente nella notificazione, nonché all’eventuale opposizione dei controinteressati.
Se è pur vero che, come le opere tutelate dalla legge sul diritto d’autore, anche il dato personale, nel circolare, ingenera valori economici sui quali gli operatori di mercato possono legittimamente riporre un qualche affidamento nell’esercizio della loro attività imprenditoriale, d’altra parte vale il fondamentale distinguo per cui il dato personale non raggiunge mai un grado di oggettivizzazione tale da poter circolare a prescindere dal singolo soggetto al quale si riferisce.
Mentre l’opera è frutto dell’attività intellettuale realizzata dal suo autore e, nel momento stesso in cui è creata se ne oggettivizza, rendendosi autonoma, al contrario, il dato personale, almeno finché non è completamente anonimizzato, attiene necessariamente al soggetto interessato, pena la perdita di una sua qualsiasi utilità.
Ciò è tanto più vero ed evidente se si guarda al meccanismo di continua implementazione che caratterizza i big data, direttamente connesso al flusso di dati generato dai soggetti i cui dati son trattati.
Pertanto, seppure non appaia peregrina l’ipotesi indennitaria, quale obbligazione sorta a seguito di un atto lecito dannoso, sarebbe da valutare più cautamente l’idea che all’interessato possa addirittura essere mossa una
“opposizione” fondata su interessi di stampo esclusivamente
imprenditoriale.
Ulteriore fattispecie indennitaria alla quale si potrebbe guardare in ottica analogica è quella prevista dall’art. 1671 c.c. attinente al recesso del
130 Art. 142, legge 22 aprile 1941, n.633.
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committente in materia di appalto, che prescinde dall’accertamento della giusta causa131.
Tuttavia, la prospettiva di un debito da indennizzo si scontrerebbe con l’esigenza di non condizionare in via occulta il diritto di revoca del consenso spettante all’interessato, il quale sarebbe certamente dissuaso dalla prospettata perdita economica.
Infine, a favore del titolare del trattamento che riesca a provare il realizzo di un ingiustificato arricchimento da parte dell’utente, potrebbe prospettarsi anche la possibilità di esperire, in via residuale, l’azione di cui all’art. 2041 c.c., la cui fondatezza dovrebbe vagliarsi in ragione delle modalità pattuite per il trattamento dei dati e per il pagamento del prezzo corrispondente.
3.6. La tutela del “legittimo interesse del titolare” in assenza del