• Non ci sono risultati.

L’introduzione del concetto di paese terzo sicuro

CAPITOLO II IL PRINCIPIO DI SOLIDARIETÀ TRA GLI STATI MEMBR

1 Il principio di solidarietà nel diritto dell’Unione europea

2.1 L’introduzione del concetto di paese terzo sicuro

Al fine di garantire un corretto funzionamento del meccanismo di attribuzione delle competenze, stabilito dalla Convenzione di Dublino, fu necessario avviare un processo di armonizzazione delle normative nazionali di asilo. Il sistema Dublino è fondato sul principio di fiducia reciproca tra gli Stati Membri, i quali sono tenuti al mutuo rispetto delle decisioni sulle domande di asilo, dal momento che è stata eliminata la possibilità di valutare nuovamente l’istanza sulla quale si è già pronunciato un Paese membro273. Quindi, l’armonizzazione introdotta con la Convenzione Dublino necessitava di essere supportata anche negli aspetti procedurali e sostanziali, al fine di garantire all’interno della Comunità europea un’equivalente valutazione delle istanze di protezione nonché un omologo trattamento dell’individuo274. Le divergenze presenti tra i sistemi nazionali avevano infatti contribuito ad accentrare la presentazione delle domande verso quei paesi più attrattivi per i richiedenti: la Germania, ad esempio, tra il 1988 e il 1990 aveva ricevuto il 60% delle domande presentate nella Comunità europea275. Ciò ha indotto i Paesi UE maggiormente destinatari dalle istanze ad adottare politiche restrittive nei confronti dei rifugiati, come mostrato dalla notevole riduzione della percentuale di decisioni positive nei principali Stati di asilo276.

Anche nella disciplina europea relativa agli aspetti procedurali venne inizialmente data priorità alla lotta contro l’abuso del diritto d’asilo, attraverso l’introduzione di misure che consentivano di abbreviare i tempi di valutazione dell’istanza di protezione qualora essa risultasse manifestamente infondata. Infatti, i Ministri europei responsabili per l’immigrazione adottarono nel 1992 le cosiddette “Risoluzioni di Londra”, accomunate dall’obiettivo di alleggerire la pressione sui sistemi di asilo nazionali, consentendo il trasferimento dei richiedenti al di fuori dei confini europei senza dover necessariamente esaminare nel merito le loro istanze di protezione277. Sebbene non vincolanti, tali strumenti assumono una notevole importanza nel processo di armonizzazione, dato che elaborano dei concetti che costituiranno la base del futuro Sistema Europeo Comune di Asilo e saranno tra quelli maggiormente controversi.

La “Risoluzione sulle domande d’asilo manifestamente infondate” intende arginare la presentazione di istanze da parte di soggetti che non necessitano di una protezione internazionale,                                                                                                                

273F. A. N. J. Goudappel, H. S. Raulus, Introduction, in F. A. N. J. Goudappel, H. S. Raulus (a cura di), The Future of

Asylum in the European Union: Problems, proposals and human rights, TMC Asser Press, pp- 1-14, 2011 (p. 2).

274 I. Boccardi, Towards an EU Asylum Policy,cit., p. 44

275 E. Guild, The developing immigration and asylum policies of the European Union, 1996, p.294

276 Ad esempio, il tasso di riconoscimento dello status di rifugiato in Germania è passato da 15,94% nel 1986 a 8,61%

nel 1988, fino a 4, 38 % nel 1990. E. Guild, The developing immigration and asylum policies of the European Union, cit., p. 294.

277 Consiglio dell’Unione Europea, Resolution on manifestly unfunded application for asylum, Resolution on

harmonised approach to question concerning host third countries, Conclusions on countries in which there is generally no serious risk of persecution, 30 novembre 1992

ma che abusano dell’istituto per raggirare la legislazione sull’immigrazione. Si richiede, infatti, agli Stati di valutare tali richieste in base ad una “procedura accelerata”, che non includa tutte le garanzie previste da quella ordinaria e semplifichi i gradi di riesame, al fine di adottare la decisione in un breve lasso di tempo278. La Risoluzione individua un’ampia gamma di elementi, suddivisi in due categorie, in base ai quali la richiesta di asilo può essere definita manifestamente infondata. Il primo gruppo è costituto da quegli elementi che evidenziano l’assenza di un rischio di persecuzione nei confronti del soggetto, mentre la seconda categoria include quei fattori che dimostrano il difetto di genuinità dell’istanza. Il principale aspetto problematico di tale Risoluzione è l’eccessivo peso che ha la valutazione della credibilità dell’individuo nella determinazione dell’infondatezza dell’istanza279. Infatti, la Risoluzione sembra ignorare che le esperienze traumatiche subite dalla persona possono pregiudicare la sua capacità di esporre in maniera coerente e completa le motivazione della domanda, così come la dichiarazione di una falsa identità o il mancato rispetto degli obblighi imposti dalla procedura non costituiscono necessariamente degli indicatori della cattiva fede del richiedente280.

Tra le ipotesi di domande di protezione che possono essere valutate con una procedura accelerata, vi è anche quella basata sul concetto di “paese di origine sicuro”, che si verifica quando l’individuo proviene da uno Stato dove, in termini generali, non sussiste un serio rischio di persecuzione281. Le Conclusioni282, adottate insieme alla Risoluzione, specificano i fattori che gli

Stati dovrebbero prendere in considerazione per valutare la sussistenza o meno di un generale rischio di persecuzione all’interno di un determinato Paese. Essi dovrebbero essere valutati contestualmente e sono: il rispetto dei diritti umani, la presenza di istituzioni democratiche, la stabilità politica e il numero di rifugiati prodotti dallo Stato in questione283. L’elaborazione del concetto di “paese di origine sicuro” era finalizzata a ridurre il carico di lavoro incombente sui sistemi nazionali, limitando le domande di asilo provenienti da Paesi che producevano un alto tasso di dinieghi per manifesta infondatezza284. Tuttavia, l’applicazione di tale concetto si è tradotto in una presunzione relativa circa l’assenza di rischi di persecuzione nei confronti dell’individuo proveniente da un paese ritenuto sicuro. E’ sorto, quindi, un conflitto con l’art. 3 della Convenzione

                                                                                                               

278 Consiglio dell’Unione Europea, Resolution on manifestly unfunded application for asylum, punti 1-2-3-4-5 279 Ibidem, Art. 1(a)

280 E. Guild, The developing immigration and asylum policies of the European Union, cit. pp147-159 281 Resolution on manifestly unfunded application for asylum, Art. 1 (a)

282 Conclusions on countries in which there is generally no serious risk of persecution, 30 novembre 1992 283 Ibidem, Art. 4

284 C. Engelmann, Convergence against the Odds: The Development of Safe Country of Origin Policies in EU Member

di Ginevra, il quale vieta le discriminazioni tra i richiedenti asilo in ragione del loro Paese di origine285.

Infine, la seconda Risoluzione di Londra consente l’esame accelerato della domanda di asilo qualora sia applicabile il concetto di paese terzo sicuro286. Tale nozione sta a indicare lo Stato terzo dove il richiedente asilo ha transitato, prima di raggiungere la frontiera di un Paese UE, e in cui ha già ottenuto o comunque potrebbe richiedere protezione287. Con questa Risoluzione si è inteso scoraggiare la presentazione di domande di asilo negli Stati membri da parte di chi già beneficia di una forma di tutela al di fuori della Comunità europea oppure non ha sfruttato l’opportunità di richiedere asilo in un Paese terzo. I requisiti che dovrebbero essere soddisfatti al fine di qualificare come sicuro un Paese terzo sono: l’assenza di una minaccia alla vita o alla libertà del richiedente; la non esposizione a torture o trattamenti inumani o degradanti; l’ammissione del soggetto in questione nel territorio del Paese terzo; la garanzia di un’effettiva protezione contro il refoulement288. L’accertamento della presenza di uno Stato sicuro precede, secondo tale Risoluzione, la valutazione nel merito dell’istanza di protezione. Quindi, qualora venga individuato un Paese terzo sicuro, lo Stato membro dovrebbe trasferirvi il soggetto, a prescindere dal fatto che sussista o meno un diritto al riconoscimento dello status di rifugiato nei confronti della persona in questione.

La legittimità della nozione di paese terzo sicuro nell’ambito del regime di protezione dei rifugiati è ancora molto dibattuta289. Sebbene essa non sia prevista dalla Convenzione di Ginevra, la sua conformità al diritto internazionale è basata su un’interpretazione estensiva dell’art. 31 di detta Convenzione, il quale proibisce l’imposizione di sanzioni penali per l’entrata o il soggiorno illegali dei “rifugiati che giungono direttamente da un territorio in cui la loro vita o libertà erano minacciate”290. In base a tale interpretazione, si è sostenuto che la Convenzione di Ginevra non si applicasse nei confronti dei rifugiati che, prima di giungere nel Paese di asilo, hanno attraversato uno o più Stati terzi sicuri. Tuttavia, in tal modo, non si tiene conto del carattere umanitario della

                                                                                                               

285 I. Boccardi, Towards an EU Asylum Policy,cit., p. 78-79

286 Resolution on harmonised approach to question concerning host third countries, 30/9/1992

287 V. Moreno-Lax, The Legality of the “Safe Third Country” Notion Contested : Insights from the Law of Treaties, in

G. S. Goodwin-Gill and P. Weck (a cura di) Protection des migrants et des réfugiées au XXIe siècle, aspects de droit international, pp. 665- 721, Brill, 2005

288 Ibidem, Art. 2

289 M. Foster, Responsibility Sharing or Shifting? “Safe” Third Countries and International Law, Revue canadienne sur

les réfugies, pp. 64-78, 2008.

290 Enfasi aggiunta. Convenzione sullo statuto dei rifugiati, Art 31.1: “Gli Stati Contraenti non prenderanno sanzioni

penali, a motivo della loro entrata o del loro soggiorno illegali, contro i rifugiati che giungono direttamente da un territorio in cui la loro vita o la loro libertà erano minacciate nel senso dell’articolo 1, per quanto si presentino senza indugio alle autorità e giustifichino con motivi validi la loro entrata o il loro soggiorno irregolari”.

Convenzione e del suo fine ultimo di fornire protezione a coloro che non godono di tutela nel paese di origine291.

Inoltre, né la Convenzione di Ginevra né altri strumenti di diritto internazionale sanciscono un obbligo dello Paese terzo definito come sicuro di accogliere il richiedente asilo ivi trasferito in applicazione di tale concetto. La Comunità europea è ricorsa, quindi, alla stipula di accordi per la riammissione con i Paesi terzi, al fine di attribuire a questi ultimi la responsabilità di riammettere, oltre i propri cittadini, anche gli stranieri entrati illegalmente attraverso la loro frontiera esterna292. Tuttavia, la prima generazione di accordi di riammissione non prevedeva l’obbligo del Paese terzo di assicurare ai richiedenti asilo riammessi sul proprio territorio un’equa procedura di esame dell’istanza e un’effettiva protezione dal refoulement293. L’applicazione del concetto di paese terzo sicuro, associata all’adozione degli accordi di riammissione, aveva limitato la possibilità per il rifugiato di accedere alla procedura di asilo e incrementato il rischio che si verificasse la situazione dei “rifugiati in orbita”. Inoltre, tale politica aveva consentito agli Stati membri di declinare le proprie responsabilità in riferimento alla protezione dei rifugiati verso i Paesi terzi, i quali si trovavano così a dover sostenere oneri economici e sociali sproporzionati rispetto alle proprie capacità294.

L’accordo firmato a marzo del 1991 dai Paesi Schengen e la Polonia rappresenta il modello su cui si sono ispirati i successivi accordi di riammissione e mostra le ripercussioni negative che essi possono avere sia sui Paesi terzi contraenti sia sui rifugiati295. Esso impose alla Polonia di riammettere sul proprio territorio ogni straniero irregolare entrato nell’area Schengen attraverso la frontiera polacca. L’assunzione di una responsabilità così estesa da parte della Polonia era controbilanciata dal riconoscimento ai cittadini polacchi dell’esenzione dall’obbligo del visto turistico per la circolazione nello spazio Schengen. Sebbene nell’accordo fosse espressamente richiesta l’attuazione delle disposizioni della Convenzione di Ginevra296, la situazione di particolare fragilità politica ed economica in cui si trovava la Polonia in quel periodo le impediva di rispettare gli standard di protezione richiesti dalla Convenzione. Così le autorità polacche stipularono a loro volta degli accordi di riammissione con gli Stati confinanti, in modo da trasferire verso questi ultimi

                                                                                                               

291 UNHCR, Note on international protection, 4 giugno 1999

292 D. Bouteillet-Paquet, Passing the Buck: A Critical Analysis of the Readmission Policy Implemented by the European Union and Its Member States, European Journal of Migration and Law 5:, 2003, pp.359-357

293 UNHCR, Owerview of readmission agreements in Central Europe, 30 settembre 1993

294 E. M. Uçarer, Managing Asylum and European Integration: Expanding Spheres of Exclusion?, International Studies

Perspectives, 2001, pp. 288–304

295 S. Lavenex, Safe third countries: extending the EU asylum and immigration policies to Central and Estern Europe,

New York, 1999

i richiedenti asilo sulla base del principio di Paese terzo sicuro297. Tale esperienza evidenzia che il maggiore rischio conseguente alla proliferazione degli accordi di riammissione è rappresentato dal fenomeno dello chain-refoulement, ossia la possibilità che la serie di trasferimenti del soggetto da uno Stato ad un altro, sulla base del principio del Paese terzo sicuro, si concluda con il rinvio nel Paese in cui la vita o la libertà dell’individuo in questione siano minacciate.

Gli atti di soft law e gli accordi multilaterali fin qui esposti dimostrano come le politiche adottate a supporto dell’operatività della Convenzione Dublino abbiano avuto lo scopo di esternalizzare verso i Paesi terzi gli oneri associati alla protezione dei rifugiati. Ciò porta a sostenere che l’iniqua distribuzione tra gli Stati membri delle responsabilità di protezione dei rifugiati verificatasi attraverso il Sistema Dublino sia stata riprodotta nelle relazioni tra l’allora Comunità europea e i Paesi terzi, attraverso l’applicazione del concetto di paese terzo sicuro e la stipulazione degli accordi di riammissione.