• Non ci sono risultati.

L’Italia negli anni della Seconda Repubblica

Il nuovo millennio, inaugurato dalla strage dell’11 settembre 2001, si trascina, oramai da diciotto anni, un senso di instabilità politica e sociale che in realtà è, in Italia, un continuum di un processo storico inaugurato nel secondo dopoguerra e forse, a parer mio, interrotto solo dal decennio del Boom Economico. Ritorniamo a parlare di crisi economica, disoccupazione giovanile, un’infinità di governi instabili, conflitti (questa volta tra Stati Uniti d’America e Medio Oriente ma che non possono non coinvolgerci visto che l’Italia appartiene all’Occidente ricco, democratico e sicuramente anche etnocentrico). A ben guardare anche in Italia il nuovo millennio si è inaugurato con una strage: quella del G8 di Genova nel luglio 2001 che ha riportato in vita forme nuove di violenza politica.

Già dal 1994 il nostro protagonista politico indiscusso (si può dire ancora oggi!) è Silvio Berlusconi. Protagonista e regista di un grande film che ci porta all’Italia di oggi: un’Italia plasmata dalla malapolitica, dal malcostume, dalla corruzione, dal declino della cultura.

Gli anni novanta consegnano alla Storia un’Italia martoriata da stragi, scandali e malaffare, da una classe politica compiacente e collusa con mafie e massoneria. Sono gli anni che vedranno, nel Maxiprocesso dell’aula bunker di Palermo, processati mafiosi e collusi, ma, soprattutto, dal processo che vedrà imputato il Senatore Giulio Andreotti di associazione mafiosa. Durante questi anni, gli italiani, reduci dalla scoperta della Loggia Massonica P2 e dagli scandali di Tangentopoli, sperano di poter archiviare una Prima Repubblica spregevole dalla quale far emergere una Seconda Repubblica fondata su basi più solide per contrastare la corruzione, basi sempre garantite dalla nostra Costituzione.

33

Il Processo Andreotti sconcerta proprio perché ci dà l’idea di un’Italia governata dalla mafia tramite il sistema politico, quindi tramite Andreotti, potere ufficiale e potere criminale, ed è grazie ai pentiti che, con le loro deposizioni – confessioni, si è arrivati a scoperchiare le gerarchie politiche del partito di governo, la Democrazia Cristiana; gli italiani si scoprono innocentisti o colpevolisti e questi ultimi mal riescono ad imprimere l’immagine dell’incontro tra lo statista ed il criminale autore, mandante di omicidi efferati, suggellato dal famoso (o solo immaginario) bacio. L’incriminazione di Andreotti assume un significato importante nell’opinione pubblica: se è vero che Tangentopoli ha smantellato una classe dirigente politica delinquenziale, è ancor più vero che tale classe dirigente si intreccia anche col potere mafioso, quindi complice di Cosa Nostra e quindi complice degli assassini dei magistrati simbolo della lotta alla mafia, Giovanni Falcone (23 maggio 1992) e Paolo Borsellino (19 luglio 1992).

Se negli anni sessanta e settanta l’Italia è stata lo scenario del terrorismo di destra e sinistra che comunque ha una matrice politica atta a destabilizzare l’equilibrio dello Stato, tra gli anni settanta e novanta, ventennio che vede protagonista Giulio Andreotti, la mafia, la camorra e la ‘ndrangheta usano gli stessi criteri e si collocano in una posizione più ampia ed estesa rispetto alle proprie regioni di riferimento fino al nord dell’Italia, assumendo quindi un potere mai avuto in precedenza, meglio organizzate a trattare col sistema politico subordinato al potere mafioso in una sorta di scambio: assicurare voti e quindi l’eleggibilità dei referenti politici, i quali, a loro volta, ottenute le loro posizioni, devono pilotare appalti pubblici e privati, giudici compiacenti, ma anche leggi che alleggeriscano la permanenza in carcere dei capi e sottoposti mafiosi (41 bis). Ma questo non basta: quando i referenti non sono più

34

in grado di garantire queste protezioni, scatta l’intimidazione, e quindi la punizione. Verranno assassinati Piersanti Mattarella, Presidente della Regione Sicilia, Salvo Lima, diretto referente per la Democrazia Cristiana di Giulio Andreotti, i cugini Salvo, sempre appartenenti al gruppo andreottiano e molto probabilmente, secondo il pentito La Barbera, si pensava di colpire lo stesso senatore, già in precedenza avvertito affinché non promulgasse leggi a sfavore di Cosa Nostra. Tutto ciò in base alla logica mafiosa di attaccare persone e beni dello Stato, mediante le stragi, come a Firenze in via dei Georgofili, a Roma in San Giovanni in Laterano, terrorismo mafioso e politica ricattata. In questi anni tutti i poteri occulti si fondono in un abbraccio mortale: servizi segreti deviati, mafia e massoneria con il braccio armato anche di bande organizzate come quella della Magliana, mediante la quale Giulio Andreotti avrebbe fatto assassinare sotto commissione di Cosa Nostra, il giornalista Mino Pecorelli e per questa accusa messo sotto inchiesta dalla Procura di Perugia. Giulio Andreotti viene anche additato come il vero capo della Loggia Propaganda

2 (P2) il cui regista occulto, fino al momento della scoperta nella sua famosa Villa Wanda dell’elenco degli affiliati, è il Maestro venerabile Licio Gelli. Tra i nomi

rinvenuti nella lista degli affiliati, spiccherà il nome di Silvio Berlusconi, altro vero protagonista incontrastato del periodo post – andreottiano. Mafia e P2 perseguono gli stessi obiettivi di destabilizzazione dello Stato: da una parte mediante l’uso politico del terrorismo stragista i mafiosi mirano all’alleggerimento del carcere duro e dall’altra mirano ad arricchirsi con i loro loschi affari protetti e incrociati con quelli altrettanto loschi di banchieri: Roberto Calvi e Michele Sindona, alti ufficiali della Guardia di Finanza e Carabinieri, magistrati e giudici che pilotano i processi a loro carico, tutti elementi affiliati alla Loggia P2 che con il Piano di Rinascita

35

Democratica indica la strada per una Repubblica presidenziale, i media pilotati a

garanzia di una degna propaganda di Stato, la giustizia che vuole la divisione delle carriere dei giudici, l’abolizione del Monopolio della RAI a favore di imprenditori privati liberi di gestire l’informazione in video e su carta. La madre di tutti i conflitti di interesse impensabili in ogni altro Paese democratico del mondo e che farà dell’Italia l’unico caso in quell’Europa bandiera del motto francese Libertà

Uguaglianza e Fraternità.

Mutua assistenza, quindi, tra gli affiliati ed i criminali, i cui affari e denaro transitano nelle banche di Calvi e Sindona mediante operazioni spericolate, elargizioni ai dirigenti di partito, massoni, senza disdegnare rappresentanti della Santa Sede come il vescovo e finanziere della Banca Vaticana (IOR) Monsignor Paul Marcinkos. In questo vortice di denaro però, le banche vengono inghiottite e pian piano portate al fallimento. Gli intrighi finanziari e criminali cominciano a mietere le prime vittime: viene assassinato il liquidatore giudiziario del Banco di Sindona, Giorgio Ambrosoli, così come il vice presidente che però viene ferito e il cui esecutore è un componente della Banda della Magliana, stretta alleata di Cosa

Nostra. Calvi viene trovato morto sotto il Ponte dei Frati Neri a Londra, mentre

Sindona muore in carcere avvelenato da una tazzina di caffè. Il quadro che ne viene fuori è alquanto contorto, ma la figura di Andreotti spicca sempre in ogni suo dettaglio quando a volerne capire di più ci si imbatte sempre in lui, Il Divo, immune e immunizzato dagli eventi catastrofici innescati dai comprimari che gli girano attorno. Gelli, Sindona, Calvi banchieri della mafia e quando questa ha visto le loro banche calare a picco, ha preteso la restituzione, ha preteso di rientrare in possesso dei propri capitali malamente gestiti. Andreotti ha protetto e difeso i loro imperi

36

senza per questo divenirne vittima, senza mai scomporsi anche durante i processi, negando sempre e comunque ogni coinvolgimento. Se Cosa Nostra sceglie le stragi come mezzo di ricatto nei confronti dei referenti democristiani è proprio perché si sente da essi stessi rafforzata e legittimata a chiedere sempre di più e per questo pronta a tutto pur di ottenerlo. Il voto di scambio altro non è che l’indice del proprio potere che prevarica la politica e la politica stessa viene messa in ginocchio quando non riesce più a garantirne immunità ed impunità. Ci saranno giudici coraggiosi e magistrati impegnati fino al sacrificio della propria vita che nel corso degli anni futuri faranno emergere questo patto scellerato, stipulato da Andreotti e continuato nel tempo dal politico più discusso, corrotto, delinquente naturale che la storia dell’Italia repubblicana abbia conosciuto: Silvio Berlusconi. La cosiddetta

Trattativa è oggetto ancora oggi di processi, controprocessi, depistaggi, ma questa

è un’altra storia. Comunque nel maggio del 1993 il Senato concede l’autorizzazione a procedere richiesta dai magistrati palermitani per l’accusa al senatore Giulio Andreotti di associazione mafiosa e darà il via ad un processo le cui conclusioni hanno un che di beffardo che lascia gli italiani con l’amaro in bocca ed ancora tanti interrogativi: l’Andreotti che ha controllato i servizi segreti, è stato Ministro della Difesa, degli Esteri e Presidente del Consiglio è l’Andreotti ufficiale, ma esiste un Andreotti occulto, di potere massonico, mafioso, mandante di omicidi?

Parlare di Silvio Berlusconi come il politico che ha influenzato e reso la storia d’Italia degli ultimi decenni un’anomalia tra le Democrazie occidentali è quasi riduttivo, per il semplice motivo che non si devono scindere i ruoli di uomo d’affari e uomo di Stato sceso in campo per amore dell’Italia, il Paese che amo. In nome dei suoi affari, l’imprenditore prestato alla politica ha legiferato in un Parlamento

37

prono ai suoi voleri, colpevole di aver votato leggi ad personam inapplicabili ovunque si governi in nome del popolo sovrano.

Da quel fatidico 1994 la nostra Repubblica diventa una malata cronica il cui male incurabile è la malapolitica, nella quale l'aspetto giudiziario si confonde con quello etico: Silvio Berlusconi. Da pluriprescritto si fa votare la legge che accorcia la prescrizione, mandando in fumo, oltre ai suoi, i processi dei colletti bianchi che tengono in vita i suoi affari loschi e poco puliti; se poi ci inoltriamo nel terreno scivoloso dell'informazione, ci scontriamo con la madre del conflitto d'interesse, mai veramente risolto e, ormai tollerato non facendo neanche più notizia: può un proprietario di giornali, televisioni e case editrici fare politica partendo in una posizione di vantaggio potendo farne uso a suo piacimento a scapito di chi non ne possiede? L'ovvietà non è tale se si sta parlando di una nazione e non di una azienda personale, se in gioco c'è il futuro di due generazioni che stanno pagando a caro prezzo la politica dissennata condotta da un uomo che ha fatto dei suoi affari il problema principale, pur di salvare le sue aziende ha tolto dignità al popolo italiano oggetto di scherno perché ormai parte integrante della sua immagine ridicola e priva dell'autorità che il ruolo gli assegna. Silvio Berlusconi, con il suo impero mediatico, ha cambiato socialmente e culturalmente il volto dell'Italia, le sue donnine sono le figure di riferimento per le giovani che le guardano con ammirazione emulandole. Il suo potere economico ha comprato personaggi che, messi nei posti di potere, hanno manovrato ogni settore dove la corruzione, le tangenti ed i ricatti trovano terreno fertile: sanità, appalti per strutture pubbliche, partecipate, la Rai, assoggettata ed usata a fini di propaganda per se e per i suoi cortigiani. La televisione di Stato è stata svuotata dei suoi migliori talenti del giornalismo, della

38

comicità, della satira (editto bulgaro contro Santoro, Biagi e Luttazzi) si è dovuta adattare e plasmare ad immagine e somiglianza delle reti Mediaset, infarcite di pubblicità e mediocrità artistica e programmatica. Le sue televisioni hanno ucciso la televisione di Stato che non fa più vera informazione, anzi la manipola palesemente nascondendo o distorcendo le notizie scomode. Tutto secondo il Piano

di Rinascita della Loggia massonica Propaganda 2, P2, del Maestro venerabile

Licio Gelli, alla quale Silvio Berlusconi aveva aderito e della quale è riuscito in qualche modo a realizzarne i punti più importanti. Ridurre il monopolio dell'informazione pubblica in mano alle reti pubbliche a favore di quelle private per poter meglio gestire il popolo rendendolo inconsapevole se non ignorante, riformare la giustizia separando le carriere dei giudici, riformare la scuola pubblica declassandola a favore di quella privata così come nella sanità. Berlusconi nella sua ormai lunga storia politica ha creato il suo personale labirinto di processi, indagini, condanne, prescrizioni, frodi ed in cui anche la mafia ha il suo perché. Se è vero che è stato dichiarato dalla Corte di Cassazione delinquente naturale, è vero anche che sono ancora numerosi i processi a suo carico, e quello meno noto, anzi sconosciuto ai più perché raramente se ne parla nei telegiornali ormai proni, è proprio quello sulla Trattativa Stato-mafia.

Le stragi di Capaci e via d'Amelio aprono un varco tra l'opinione pubblica e la parte sana delle istituzioni che, in una sola voce, reclamano il diritto di giustizia e il dovere dello Stato di reagire con forza combattendo una lotta che troppe vittime ha sacrificato. E da qui in poi le indagini viaggeranno su binari paralleli: i magistrati che raccolgono la loro eredità a rischio della loro stessa vita da una parte, poteri occulti e depistaggi dall'altra. Per capire meglio in cosa consiste la Trattativa si

39

deve risalire ad un intervista che Paolo Borsellino rilasciò poco prima di morire, al giornalista di Canal plus, Fabrizio Calvi, nella quale il giudice rivela che si sta indagando sui legami fra esponenti mafiosi e il duo Berlusconi - Dell'Utri intervista occultata per otto anni e poi, nonostante evidenti pressioni, finalmente trasmessa dalla tv di Stato ma a notte fonda e senza un minimo di reazione da parte dei mass- media, a riprova del suo enorme potere mediatico in pieno conflitto d'interessi. Da qui partono le indagini dei magistrati durante le quali vengono alla luce le vere ragioni per cui è stato fondato il partito personale di Silvio Berlusconi, Forza Italia, Dell'Utri si adopera e garantisce per suo conto e dal 1994 in poi l'Italia sarà governata ad uso e consumo di Berlusconi e dei suoi cortigiani. Nel frattempo Dell'Utri viene condannato definitivamente e sconta in carcere la condanna per associazione mafiosa, mentre Berlusconi subisce una, seppur ridicola, condanna definitiva per frode fiscale, pena ridotta a diciotto mesi che sconterà fuori dal carcere rendendosi utile socialmente in una casa di cura per anziani. Perde la sua poltrona da senatore, il titolo di Cavaliere del lavoro ma, oggi, ultraottantenne assistiamo ancora una volta alla sua ridiscesa in campo, mentre aspetta di essere riabilitato dalla Corte europea per i diritti dell'uomo, mentre i diritti degli italiani, esclusi quelli che lo hanno riportato in vita con il loro voto, restano calpestati e irrecuperabili20.

20 E. Veltri e M. Travaglio, L’odore dei soldi. Origini e misteri delle fortune di Silvio Berlusconi,

40 2.2 Per un nuovo cinema d’impegno civile?

Il cinema italiano sopravvive e anche se non sempre riproduce capolavori come quelli visti quarant’anni fa, ci regala comunque dei bei ritratti degli italiani di oggi e soprattutto di una generazione, quella dei trentenni o dei quarantenni, che smarriti nel caos quale è la società di massa di oggi vivono nella più totale incertezza accontentandosi di creare legami effimeri e piaceri frivoli sempre in fuga dalle proprie responsabilità: il cinema italiano potrebbe avere, infatti, la colpa di non aver raccontato in questi anni il Paese reale e le sue crisi d’identità ma una serie di configurazione retoriche e ideologiche. In generale nei primi anni del duemila è mancato nel cinema italiano quel carattere critico verso i sistemi dominanti che ha caratterizzato il cinema d’impegno civile.

In realtà film di questo tipo non sono mancati anche se rispetto alla stragrande maggioranza di commedie e demenze varie, i titoli sono veramente pochi; tuttavia proprio tra gli anni novanta e soprattutto negli anni duemila molti autori, forse anche per la distanza temporale che li allontana dal periodo, mettono in scena nelle loro opere personaggi e storie riguardanti gli anni del terrorismo narrando trame anche dal punto di vista dei terroristi, avvalendosi spesso della loro collaborazione nella stesura delle sceneggiature. Molti incentrano le loro storie invece sul rapimento e assassinio del presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro.

Nel lungo percorso intrapreso per capire e analizzare tutto ciò che la cinematografia italiana, dal dopoguerra al nuovo millennio, ha rappresentato per la cultura e la stessa società in continua evoluzione, non ho potuto che provare un senso di orgoglio e soddisfazione per i capolavori di autori e registi lasciati alle nuove generazioni: negli anni sessanta e settanta registi di rilievo che si sono cimentati

41

con temi scabrosi quali corruzione, mafia e terrorismo. Negli anni novanta nuovi autori registrano fatti di cronaca che verranno messi a fuoco solo negli anni duemila quando verranno alla luce elementi significativi tramite i processi sulle stragi. Dalla metà degli anni novanta la cinematografia italiana è caratterizzata da un ricambio generazionale sia dal punto di vista registico che attoriale; al centro dell’universo diegetico quasi sempre vi si trova l’identità italiana raccontata attraverso storie che trattano la quotidianità di giovani precari o di famiglie piccolo borghesi con una tendenza a ridurre la complessità drammaturgica rappresentando spesso figure stereotipate21.

Proseguendo invece sulla stessa linea del discorso tracciato fino ad ora possiamo notare anche che, accanto a film di questo tipo, il cinema italiano del nuovo millennio riprende a far circolare opere cinematografiche contraddistinte da una tensione realistica e da una sorta di impegno civile e quindi spesso alludenti al clima politico italiano. Dunque questa seconda parte del mio lavoro si occupa di autori che caratterizzano la cinematografia italiana dalla metà degli anni novanta fino ai giorni nostri e operanti in un contesto politico definito dalla Seconda Repubblica. A partire dagli anni duemila temi quali la politica, la mafia, la criminalità organizzata e il terrorismo tornano ad essere trattati da molti registi italiani sia al cinema che in televisione: non bisogna infatti trascurare il ruolo delle diverse fiction televisive dedicate a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, alle loro scorte e alla loro lotta alle mafie come anche quelle dedicate al Capo dei capi e ad altre bande

21 R. Menarini, Il cinema dopo il cinema. Dieci idee sul cinema italiano 2001 – 2010, Genova, Le

42

criminali, le quali invece di far emergere rabbia e voglia di giustizia, fanno apparire boss e criminali come super eroi da idolatrare.

Roy Menarini nel presentare i vari autori che in modi diversi hanno rappresentato la politica nel cinema descrive diverse strade intraprese: «il cinema satirico impegnato; il proseguimento del cinema indiziario come Il Divo di Paolo Sorrentino, 2008; il cinema antiberlusconiano indipendente in Shooting Silvio di Berardo Cabroni, 2006 e Ho ammazzato Berlusconi di Gianluca Rossi, 2008; infine il vasto panorama del cinema di impegno civile che vanta un legame storico con la tradizione del cinema di denuncia, particolarmente consono alla cultura cinematografica italiana perché sensibile al richiamo realista e aderente al nostro passato cinematografico»22.

Un elemento che caratterizza il cinema degli ultimi vent’anni è l’antiberlusconismo manifestato da diversi registi cinematografici: uno di questi anzi forse il più grande oppositore del cavaliere è Nanni Moretti, il quale in film come Aprile (1998) e soprattutto ne Il Caimano (2006) impiega filmati televisivi di repertorio che aumentano l’effetto di realtà ma provocano anche un’impressione di straniamento. Anche dal punto di vista della satira regna l’antiberlusconismo: celebre il caso dei fratelli Guzzanti passati alla sala cinematografica a causa delle censure dei loro programmi RAI, caso documentato in Viva Zapatero! nel 2005 di Sabina Guzzanti. Silvio Berlusconi, si è già detto, risulta essere il protagonista assoluto degli ultimi vent’anni di Storia d’Italia: è riuscito a crearsi un impero politico, economico e mediatico riuscendo anche a modificare la società italiana e l’immaginario

43

collettivo: «attraverso il Cavaliere avviene il passaggio dalla politica – spettacolo alla politicizzazione dello spettacolo, dai media come oggetto ai media come soggetto del potere»23.

Rappresentare il terrorismo nelle sue vicende più drammatiche come il rapimento di Aldo Moro diventa quasi una caratteristica del cinema più recente, argomento trascurato, cinematograficamente parlando, per anni ed ora esplorato in tutte le sue possibili sfaccettature. L'omicidio dello statista segna un vero e proprio spartiacque che porta, dopo il 1978, ad un raffreddamento dei toni ideologici: «in un primo

Documenti correlati