• Non ci sono risultati.

La contemporaneità nel cinema di Sorrentino e Garrone

Il 2008, similmente al 2003, è segnato dall’uscita di due film importanti da un punto di vista culturale e sociale: Il Divo di Paolo Sorrentino e Gomorra di Matteo Garrone, il primo mette in luce, attraverso l'uomo e politico, un sistema di gestione del potere, il secondo ci mostra, in tutta la sua reale crudezza, un sistema criminale supportato da una politica marcia che flagella ed umilia una delle più tormentate zone dell'Italia meridionale, la Campania.

Paolo Sorrentino debutta sul grande schermo nel 2001 con L’uomo in più, il quale segna l’inizio del sodalizio con l’attore Toni Servillo, presente anche nel 2004 in

Le conseguenze dell’amore. Sorrentino si distingue subito nel panorama italiano

soprattutto nel circuito del Festival di Cannes che gli permette di presentare i film successivi come L’amico di famiglia nel 2006 e Il Divo nel 2008, film per la prima volta tratto da una storia contemporanea e basato sulla vita del senatore Giulio Andreotti. Vince: il Premio della Giuria, sette David di Donatello, il Globo d'oro per la Migliore Sceneggiatura, cinque Nastri d'argento. Seguono nel 2011 This Must

Be the Place, primo film girato in lingua inglese con Sean Penn protagonista, La grande bellezza nel 2013 che lo porta a vincere l’Oscar come miglior film straniero

e nel 2015 una nuova esperienza internazionale con Youth - La giovinezza. Infine nel 2018 è uscito l’attesissimo film su Silvio Berlusconi: Loro.

Matteo Garrone dopo alcuni cortometraggi e documentari esordisce nel 1996 con il primo lungometraggio, Terra di mezzo, tre storie di immigrazione ambientate a Roma. La notorietà arriva però nel 2002 con L'imbalsamatore, storia di un uomo solitario coinvolto nei traffici di droga camorristi. Nel 2008 esce Gomorra, liberamente tratto dal libro omonimo di Roberto Saviano, che consacra

75

definitivamente il regista: presentato in concorso al Festival di Cannes entusiasma subito la giuria e il pubblico ricevendo numerosi riconoscimenti. Nel 2012 dirige

Reality, storia di un pescivendolo che cerca il successo cercando di partecipare al Grande Fratello. Nel 2015 il regista firma un film fantastico a episodi: Il racconto dei racconti – Tale of tales, primo film in lingua inglese con un cast straniero.

76 3.3.1 Il Divo

Il film comincia con la presentazione del VII governo Andreotti e finisce con l'inizio del processo per associazione mafiosa, abbracciando un lasso di tempo che va dal 1991 al 1993.

La pellicola ha una durata di 110 minuti ed è stata distribuita dalla Lucky Red. Il film si apre con un glossario italiano che spiega cosa sono le Brigate Rosse, la Democrazia Cristiana e la P2, per portarci poi direttamente nella dimensione domestica del suo appartamento privato. Intento a curarsi le frequenti emicranie e mentre, in voice over, sottolinea con orgoglio la sua longevità a discapito di una morte precoce che gli era stata diagnosticata in gioventù. È una scena montata con quelle degli omicidi riguardanti Roberto Calvi, Michele Sindona, Mino Pecorelli, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Giorgio Ambrosoli e Giovanni Falcone.

Da un primo piano sul bicchiere d’acqua con accanto la scatola dell’aspirina è mostrato il contesto storico, tramite un sottotitolo, da cui parte la diegesi: Roma

inizi degli anni novanta. Vediamo ora Giulio Andreotti sulla sua cyclette che

osserva tutti i suoi titoli posti sulle pareti del suo studio.

Una carrellata verso destra riprende la scorta camminare lentamente che accompagna l’onorevole durante una passeggiata notturna, il quale improvvisamente si ferma attirato da una scritta su un muro: stragi e complotti a

firma di Craxi e Andreotti. Segue la scena che lo vede con Don Mario in chiesa, il

quale paragonando Andreotti a De Gasperi, gli chiede come mai De Gasperi parlava con Dio mentre lui preferisce parlare con i preti; ma, sfacciatamente, lui risponde i

77

Una lunga sequenza al ralenti mostra l’arrivo a Palazzo di tutta la corrente democristiana andreottiana, Paolo Cirino Pomicino, Giuseppe Ciarrapico, Salvo Lima, Franco Evangelisti, Vittorio Sbardella e il cardinale Fiorenzo Angelini, riuniti per pianificare l'assetto della VII legislatura Andreotti, proclamata poco dopo, mentre lui seduto su una poltrona si fa radere la barba dal barbiere. Successivamente la macchina da presa lo segue camminare per Palazzo Chigi per raggiungere il Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, e scattare la fotografia di rito che immortala la nuova legislatura. Ad un tratto la macchina da presa assume il punto di vista di Andreotti che osserva la massa di fotografi e di flash posti dinanzi a lui e con effetto ralenti avviene un gioco di campo controcampo tra il gruppo dei fotografi e il gruppo dirigente mentre la voice over di Andreotti dice: guerre puniche a parte, mi hanno accusato di tutto quello che è successo in

Italia. Nel corso degli anni mi hanno onorato di numerosi soprannomi: il Divo Giulio, la Prima lettera dell'alfabeto, il Gobbo, la Volpe, il Moloch, la Salamandra, il Papa Nero, l'Eternità, l'Uomo delle tenebre, Belzebù ma non ho mai sporto querela, per un semplice motivo, possiedo il senso dell'umorismo. Un'altra cosa possiedo: un grande archivio, visto che non ho molta fantasia, e ogni volta che parlo di questo archivio chi deve tacere, come d'incanto, inizia a tacere.

Dall’incontro con Pomicino capiamo che il governo in realtà è un governo debole che potrebbe cadere da un momento all’altro ma Andreotti ha l’emicrania e in quel momento è la cosa più importante sulla quale concentrarsi. Mentre è nel suo studio a parlare al telefono con una signora arriva Amintore Fanfani sconvolto, ma Andreotti continuando a parlare al telefono lanciando dei riferimenti a Fanfani, rende la situazione ancora più pesante e Fanfani va via.

78

Una sequenza in montaggio parallelo ci mostra Andreotti assistere ad una gara ippica, mentre la mafia ammazza l’onorevole della Democrazia cristiana Salvo Lima: in questa sequenza è chiaro che l’incitazione di Andreotti non è rivolta al cavallo sul quale puntare, ma all’assassino di Lima. La notizia infatti gli arriva poco dopo dal Ministro dell’interno Scotti appena Andreotti rientra nel suo ufficio. Nel frattempo è distolto dalla telefonata di una sua parente che infastidisce Scotti sicché Andreotti subito dopo spiega delle reazioni incontrollate che ebbe quando rapirono Moro. Segue una significativa scena con la predica del prete in cui denuncia la mancanza di giustizia, l’indignazione da parte dell’opinione pubblica sul mistero di tutte queste stragi. Così nella successiva sequenza Andreotti in primo e primissimo piano si confessa con il prete ricordando, con un velato senso di colpa, il caro Aldo Moro. Durante una cena di partito con i suoi più stretti collaboratori, Pomicino gli annuncia il desiderio da parte della sua corrente di nominarlo Presidente della Repubblica e con franchezza Andreotti risponde: so di essere di

media statura ma non vedo giganti intorno a me. Si arriva così al giorno delle

votazioni in Parlamento in cui il volto di Andreotti resta impassibile tutto il tempo anche durante un’accesa discussione tra i deputati; durante una pausa i dirigenti sono riuniti in un corridoio di Montecitorio quando l’attenzione si concentra sul lancio di uno skateboard seguito dal crollo in plongée dell’auto del giudice Giovanni Falcone, assassinato dalla Mafia a Capaci nel 1992. Dopo un minuto di silenzio osservato dai deputati della Camera riprendono le votazioni ma, a sorpresa, viene eletto Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. La sequenza successiva mostra Andreotti in casa mentre la sua voce over parla prima di sua madre, poi delle uniche tre volte della sua vita in cui ha pianto e infine del fioretto

79

mai osservato di non mangiare più gelati qualora le BR avessero liberato Moro; aggiunge che se in Italia ci fosse stata l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, lui avrebbe sicuramente vinto. La sequenza si interrompe bruscamente per mostrare le immagini televisive del discorso nella Chiesa di San Domenico a Palermo della vedova Rosaria Costa, moglie di Vito Schifani, uno degli agenti della scorta di Falcone morto nella Strage di Capaci.

Intanto scoppia il caso di Tangentopoli, che segna la caduta di diversi politici tra cui gli andreottiani Pomicino ed Evangelisti, vengono poi mostrate diverse immagini montate freneticamente sui diversi suicidi provocati dall’indagine cui segue l’intervista del giornalista Eugenio Scalfari a Giulio Andreotti segnata da un clima di tensione dovuto alle domande dirette del giornalista il quale in un lungo monologo accusa il Presidente dicendo: dunque presidente, è un caso che i familiari

di alcune persone assassinate la odino? La odia il figlio del generale Dalla Chiesa. La odia la moglie di Aldo Moro che la ritiene uno dei responsabili della morte del marito. È un caso che la odi la moglie del banchiere Roberto Calvi? E poi mi domando: è un caso che lei fosse ministro dell'Interno quando Pisciotta è stato assassinato con un caffè avvelenato? Si disse che Pisciotta avrebbe potuto rivelare i mandanti dell'omicidio del bandito Giuliano. È un caso che il banchiere Michele Sindona sia stato assassinato allo stesso modo? È un caso che tutti dicano che lei abbia ripetutamente protetto Sindona? Ed è un caso che nel triennio '76-'79, quando lei era presidente del Consiglio, tutti i vertici dei servizi segreti erano nelle mani della P2? È un caso che nei suoi ripetuti incontri con Licio Gelli, capo della P2, parlavate – solo ed esclusivamente – dei desaparecidos sudamericani? Infine, è un caso che lei sia stato tirato in ballo in quasi tutti gli scandali di questo Paese?

80

E tralascio tutti i sospetti che aleggiano sui suoi rapporti con la Mafia. Insomma, come ha detto Montanelli: o lei è il più grande, scaltro criminale di questo Paese, perché l'ha sempre fatta franca; oppure è il più grande perseguitato della storia d'Italia. A questo punto la macchina da presa in una lenta carrellata verso destra

riprende Andreotti che risponde: è un caso che l'autorevole quotidiano, da lei

fondato e diretto, sia stato salvato a suo tempo dal presidente del Consiglio? Quel presidente del Consiglio ero io. Il suo giornale stava per finire nelle mani di Silvio Berlusconi, un datore di lavoro a lei poco gradito. Io l'ho impedito, consentendole così di riacquistare la sua autonomia e la sua libertà. Autonomia e libertà che le consentono di venire oggi qui a pormi domande sfrontate e capziose. È grazie a me se lei oggi può permettersi di essere così arrogante e presuntuoso e sospettoso nei miei confronti.

In montaggio alternato vengono mostrate le confessioni e i pentimenti dei mafiosi: Mannoia che parla di Licio Gelli e della P2 seguito da Buscetta che parla anche di Calvi e Moro, l’ex Sindaco di Palermo Vito Ciancimino, Leonardo Messina, tutte confessioni che compromettono la figura di Giulio Andreotti e che lo accusano di essere un pungiutu cioè un affiliato di Cosa Nostra almeno fino al 1987, anno in cui ha invece iniziato a combattere la mafia.

Una sequenza significativa è quella che vede l’incontro tra Andreotti e Riina segnata solo dal suono intradiegetico del ventilatore e il cui bacio sugellerebbe il patto tra Stato e Mafia.

Intanto Andreotti comunica a Livia l’imminenza dell’arrivo dell’avviso di garanzia per associazione mafiosa ma lei speranzosa lo conforta dicendo: so chi sei. La sequenza immortala i due che guardano un concerto di Renato Zero mentre canta I

81

migliori anni della nostra vita, seguita dalla parte più interessante del film

riguardante il monologo di Andreotti con sguardo fisso in camera e in montaggio alternato con le immagini del cimitero del Verano dove è avvenuto l’incontro con Livia: Livia, sono gli occhi tuoi pieni che mi hanno folgorato un pomeriggio andato

al cimitero del Verano. Si passeggiava, io scelsi quel luogo singolare per chiederti in sposa. Gli occhi tuoi pieni e puliti e incantati non sapevano, non sanno e non sapranno, non hanno idea. Non hanno idea delle malefatte che il potere deve commettere per assicurare il benessere e lo sviluppo del Paese. Per troppi anni il potere sono stato io. La mostruosa, inconfessabile contraddizione: perpetuare il male per garantire il bene. La contraddizione mostruosa che fa di me un uomo cinico e indecifrabile anche per te, gli occhi tuoi pieni e puliti e incantati non sanno la responsabilità. La responsabilità diretta o indiretta per tutte le stragi avvenute in Italia dal 1969 al 1984, e che hanno avuto per la precisione 236 morti e 817 feriti. A tutti i familiari delle vittime io dico: sì, confesso. Confesso: è stata anche per mia colpa, per mia colpa, per mia grandissima colpa. Questo dico anche se non serve. Lo stragismo per destabilizzare il Paese, provocare terrore, per isolare le parti politiche estreme e rafforzare i partiti di Centro come la Democrazia Cristiana l'hanno definita Strategia della Tensione sarebbe più corretto dire Strategia della Sopravvivenza. Roberto, Michele, Giorgio, Carlo Alberto, Giovanni, Mino, il caro Aldo, per vocazione o per necessità ma tutti irriducibili amanti della verità. Tutte bombe pronte ad esplodere che sono state disinnescate col silenzio finale. Tutti a pensare che la verità sia una cosa giusta, e invece è la fine del mondo, e noi non possiamo consentire la fine del mondo in nome di una cosa giusta. Abbiamo un mandato, noi. Un mandato divino. Bisogna amare così

82

tanto Dio per capire quanto sia necessario il male per avere il bene. Questo Dio lo sa e lo so anch'io.

Dopo aver preso la sua solita aspirina contro l’emicrania Andreotti, in un’evidente stato di agitazione, passa la notte girando freneticamente per casa.

Inizia la Giunta del Senato per l’autorizzazione a procedere e l’onorevole nega di aver conosciuto uomini d’onore e pentiti, di non aver mai avuto rapporti con Cosa nostra, di non aver mai avuto a che fare con Licio Gelli e di essere estraneo a tutte le accuse che gli vengono imputate.

Durante una visita in Vaticano riceve la notizia dell’autorizzazione a procedere e che, quindi, il processo si farà.

Una carrellata verso destra riprende l’aula bunker del carcere di Rebibbia e l’area di sicurezza con all’interno tutti i mafiosi mentre al di là del vetro i giornalisti si avvicinano a Riina per chiedergli dei rapporti con Andreotti. Il quale non fa dichiarazioni a riguardo.

Andreotti durante l’interrogatorio col pentito Di Maggio, autista di Riina, continua a dire di essere estraneo ai fatti e di non aver mai incontrato l’uomo mentre Di Maggio, a sua volta, insiste facendo leva sul fatto che grazie a lui la polizia ha arrestato Riina e che quindi le sue accuse sono sincere e fondate.

Durante un pranzo in famiglia Andreotti annuncia l’inizio del processo e dichiara di volersi difendere con tutte le sue forze, nonostante l’aumento delle imputazioni a suo carico come quella di mandante dell’omicidio Pecorelli; durante la successiva intervista ai giornalisti spiega con una velata ironia la sua situazione e all’accusa della giornalista sulla convergenza di tutte queste forze contro di lui, nonostante la

83

mancanza di rapporti tra i vari pentiti, si difende sostenendo la tesi di un complotto ai suoi danni. Andreotti è nell’auto che lo sta portando in tribunale, la camera lo segue entrare nell’aula del tribunale, ma ad un certo punto la sequenza si trasforma in una lunga soggettiva: vediamo i carabinieri, gli avvocati, i testimoni, i flash dei giornalisti e di nuovo sbuca l’onorevole da destra. Entra la giunta in aula e ha inizio il processo. Un primo piano riprende Andreotti e in voice over Aldo Moro denuncia la poca umanità mostrata dall’onorevole nel non aver aperto le trattative con i terroristi per la sua liberazione. Segue un primissimo piano su Andreotti, buio totale.

Partono i titoli di coda in cui è scritto che per tutte le imputazioni a suo carico, Andreotti è stato assolto.

Dal film trapela una tesi accusatoria nei confronti del Divo Andreotti, indicato dalle immagini frenetiche dei raccordi sugli omicidi e soprattutto dall’ossessione di Aldo Moro evocato spesso tramite immagini della sua prigionia e soprattutto dalla voice over del finale. La tesi di Sorrentino diventa esplicita nel monologo pronunciato dal giornalista Scalfari che enumera coraggiosamente all’Onorevole stesso tutti i misfatti del quale si sospetta sia il responsabile. Anche l’apparente e innocua frase pronunciata dalla moglie io so chi sei nasconde in realtà un senso di mistero in quanto anche lei sa che non è in realtà in grado di comprendere tutti i pensieri e i misteri che riguardano suo marito.

Nel suo appartamento privato, perennemente al buio, avvengono le riflessioni e le confessioni più intime di Andreotti come il suo lungo monologo in cui si autoaccusa per tutte le malefatte parlando agli spettatori tramite lo sguardo in camera. In questo senso si potrebbe spiegare, anche per la mancanza di immagini di repertorio, una

84

costruzione nel film, da parte di Sorrentino, volta alla denuncia del giornalismo italiano al servizio della costruzione divistica del potere e incapace di svolgere un vero lavoro di inchiesta.

L’immagine andreottiana costruita da Sorrentino delinea un personaggio in bilico tra il divino, rappresentato dal suo potere, e l’umano delineato invece dalla sua immagine fisica apparentemente gracile e grottesca.

85 3.3.2 Gomorra

Gomorra ha una durata di 132 minuti ed è stato distribuito dalla 01 Distribution. Il

film racconta cinque storie che si alternano di persone le cui vite sono intrecciate con quelle della criminalità organizzata.

Il film inizia con le immagini di alcuni uomini in un solarium mentre fanno lampade abbronzanti e manicure; nel frattempo giungono degli altri uomini che sembrano essere dei loro amici e dopo aver salutato e scherzato tirano fuori le pistole e li uccidono tutti.

In un minimarket lavora Totò, un ragazzino di tredici anni che porta la spesa alle donne del quartiere Scampia, ambiente nel quale è cresciuto, abituato quindi ad assistere a scene di spaccio di droga. Tra le varie donne del quartiere porta la spesa anche a Maria, la quale ha un marito in carcere ed un figlio che ha iniziato a frequentare il clan malavitoso della fazione opposta. Nello stesso stabile arriva anche Ciro, una specie di contabile della camorra che regolarmente distribuisce denaro sporco alle famiglie del quartiere che hanno degli affiliati in carcere. Lo vediamo recarsi da un uomo che ha la moglie in carcere e che serve il clan da più di quarant’anni, il quale si lamenta della misera somma di denaro ricevuta.

Una cruda panoramica dall’alto riprende le cosiddette Vele di Scampia, l’edificio simbolo del quartiere, mentre un gruppo di ragazzi gioca in terrazza.

La sequenza successiva mostra Marco e Ciro, due ragazzi delinquenti che giocano con delle pistole scariche simulando di essere dei protagonisti di Scarface. I due decidono di compiere attività illecite in autonomia, senza affiliarsi ad alcun clan; così iniziano recandosi a comprare della droga da un gruppo di uomini di colore ma

86

non appena uno di loro gli passa la roba, tirano fuori le pistole minacciando tutti e scappano con il loro motorino. Li vediamo festeggiare cantando e ballando con della musica napoletana in un lido sul litorale. La scena si sposta nell’abitazione di un capo clan che li convoca e li rimprovera dell’accaduto, minacciandoli di non fare altri gesti simili altrimenti sarà costretto a farli fuori. Dopo l’ammonizione i due si prendono gioco dell’uomo che li ha accolti a petto nudo, imitandolo e sottovalutando il reale pericolo.

Segue una sequenza che mostra una strada deserta con un distributore di benzina e due uomini che sbucano da due tombini, i quali stanno facendo un sopraluogo al sito: si tratta infatti di Franco, un imprenditore che lavora nel settore dello smaltimento dei rifiuti tossici, aiutato da un collaboratore, in cerca di nuovi luoghi

Documenti correlati