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L’usad’ba come sogno e illusione nei racconti di Čecho

«E nella testa immaginava sentierini in giardino, fiori, frutti, casette per gli storni, carassi nei laghetti, e, sapete, tutte cose del genere»254.

A. P. Čechov, Uva spina (1898)

Nella narrativa di Čechov l’usad’ba diventa uno dei cronotopi principali che palesa la particolare visione del mondo dell’autore255. Gli aspetti socio-culturali, storici,

biografici di cui si è parlato sopra, i cambiamenti irreversibili avvenuti nella cultura delle tenute nobiliari nella seconda metà del XIX secolo e la nascita del mito degli antichi «nidi dei nobili» si riflettono in una serie di racconti cechoviani formando all’interno del suo testo provinciale un caratteristico testo delle usad’by.

Il sogno di acquistare un imenie e condurre una vita da vero pomeščik turba diversi personaggi cechoviani. Nei primissimi racconti questo desiderio è presentato per la maggior parte in chiave comica con elementi di grottesco: gli abitanti delle città – persone comune che vogliono semplicemente fuggire il caos urbano e la rutine

253 Lettera a Suvorin del 26 giugno 1899.

254 A. Čechov, op. cit., trad. di B. Osimo, vol. II, p. 1457.

255 Suchich, op. cit., disponibile su: http://apchekhov.ru/books/item/f00/s00/z0000039/st008.shtml,

quotidiana – non hanno idee precise su cosa significhi esattamente trasferirsi in campagna, pensando solo al piacere di possedere una piccola proprietà o conquistare un nuovo status sociale. Così il protagonista del racconto Vyigryšnyj bilet (Il biglietto vincente, 1887) Ivan Dmitrič, che crede erroneamente di aver vinto la lotteria, decide di comprarsi per prima cosa «qualche proprietà immobiliare, una specie di podere» nelle parti del governatorato di Tula o in quello di Orël. La vita nella propria tenuta è vista da Ivan Dmitrič come felice e tranquilla, contraddistinta dalla sensazione di sazietà, che nel sistema artistico di Čechov tale condizione del personaggio è spesso un segno della deficienza spirituale e il sinonimo di pošlost’256, ma in questo racconto

è soltanto un modo per creare un effetto umoristico. Ed ecco che l’eroe immagina se stesso «sazio, sereno e sano» addormentato sotto un tiglio del giardino oppure mentre beve il tè con la panna e soffici krendeli o bicchierini di vodka uno dopo l’altro. Il suo sogno dell’usad’ba in alcuni momenti ricorda i sogni di Oblomov perché anche per gli abitanti di Oblomovka la regolarità dell’alimentazione giornaliera e il riposo dopo un pranzo abbondante rappresentano l’essenza della vita257. Una serie di

sintagmi verbali, attraverso i quali si presentano le fantasie di Ivan Dmitrič, esprimono il significato di lentezza e ozio: «лежит вверх животом» (disteso a pancia all’aria), «сладко дремлет» (sonnecchia dolcemente), «ни о чем не думает» (non pensa a nulla), «плетется в купальню» (cammina lentamente verso la cabina), «не спеша раздевается» (si spoglia senza fretta), «долго разглаживает ладонями свою голую грудь» (a lungo si accarezza col palmo della mano il petto nudo), «развалиться на диване» (sprofondare nel divano), «отдаться дремоте» (abbandonarsi alla sonnolenza). Il sentimento decisamente più piacevole percepito

256 Cfr. T. Šechovcova, "U nego net lišnich podrobnostej..." Mir Čechova. Kontekst. Intertekst, Char’kov,

Char’kovskij nacional’nyj universitet im. V. N. Karazina, 2015, pp. 49, 53.

257 Cfr.: «Но главною заботою была кухня и обед. [...] Всякий предлагал свое блюдо: кто суп с

потрохами, кто лапшу или желудок, кто рубцы, кто красную, кто белую подливку к соусу. [...] Забота о пище была первая и главная жизненная забота в Обломовке. Какие телята утучнялись там к годовым праздникам! Какая птица воспитывалась! [...] Какие запасы были там варений, солений, печений! Какие меды, какие квасы варились, какие пироги пеклись в Обломовке!», in I. Gončarov, Oblomov, Moskva, Gosudarstvennoe izdatel’stvo detskoj literatury, 1954, disponibile su: http://public-library.ru/Goncharov.Ivan/oblomov.html, ultima consultazione 6.09.2019.

nell’immaginazione di Ivan Dmitrič è quello di non dover andare in ufficio «né oggi, né domani, né dopodomani».

Ai quadri lusinghieri e poetici che si affollano nella mente del personaggio seguono però le immagini di una uggiosa, quando piove giorno e notte, il vento è umido e freddo e tutto attorno è bagnato. Non si può passeggiare, neanche uscire di casa, l’unico passatempo è camminare il giorno intero da un angolo all’altro gettando lo sguardo angosciato alle cupe finestre. «Che noia!» esclama Ivan Dmitrič e decide di disporre il futuro capitale in un’altra maniera.

Nel desiderio di possedere un simbolo di prestigio come l’usad’ba, i personaggi dei racconti cechoviani sono talvolta accompagnati dai luoghi comuni insediati nella loro mente e svelati nel corso del racconto. In Čužaja beda (Disgrazia altrui, 1886) una giovane coppia, volendo acquistare un piccolo «cantuccio poetico» sognato dal giorno delle nozze, si reca presso un’usad’ba messa in vendita da una famiglia dei nobili impoveriti. Mentre lo sposo con un forte senso pratico aspira al futuro servizio presso lo zemstvo, all’economia agricola razionale, alla produzione in proprio e ad altre gioie della vita in campagna «di cui ha letto o sentito parlare così tanto», i pensieri della sua sposa gravitano attorno al lato tutto romantico della questione: immagina viali alberati, la pesca nel fiume, i profumi della notte. Ma l’incontro con la sfortunata famiglia dei proprietari, deperiti dalla necessità di abbandonare la propria casa, contamina le speranze romantiche della donna, trasformandole in un sentimento di skuka che, in questo contesto, si riferisce al senso di profondo sconforto: Когда потом счастливый Степа два раза съездил на торги и на ее приданое купил Михалково, ей стало невыносимо скучно... Воображение ее не переставало рисовать, как Михайлов с семейством садится в экипаж и с плачем выезжает из насиженного гнезда.258 [V, p. 235]

258 «Quando poi il felice Stjòpa andò due volte a trattare e con la dote di lei comprò Michàlkovo, si

sentì intollerabilmente triste… La sua immaginazione non cessava di dipingere come Michàjlov e la sua famiglia montavano in carrozza e, piangendo, se ne andavano dal nido per tanto tempo occupato», Čechov, op. cit., trad. di G. Faccioli, 1955, vol. III, p. 1104.

È così che il riso cechoviano diventa amaro: il racconto sembra rovesciare il famoso proverbio russo «на чужом несчастье счастья не построишь» (lett. «sulle disgrazie altrui non si può fondare la propria felicità») giacché la felicità dei nuovi proprietari dell’usad’ba si fonderebbe appunto sulle disgrazie della famiglia Michajlov. Anche lo sconforto della giovane donna, molto probabilmente, passerà presto, una volta eliminata dalla tenuta acquistata l’ultima traccia del byt dei suoi vecchi padroni259.

Il personaggio del racconto Imeniny (L’Onomastico, 1888) Pëtr Dmitrič è già proprietario di una tenuta di campagna nei pressi del capoluogo del distretto in cui presta il servizio nella corte dei giurati. Sentendosi oppresso, annoiato dalla routine quotidiana, dal suo studio, dai domestici, dalla stretta cerchia dei conoscenti e da «tutto ciò che avrebbe potuto ricordargli il suo amor proprio ferito e i suoi errori»260,

desidera di stabilirsi nella sua fattoria in Ucraina, nel governatorato di Poltava, il più lontano possibile «da questi tribunali, dai discorsi intelligenti, dalle donne che filosofeggiano, dai lunghi pranzi»261 di cui non si può fare a meno nel suo distretto e

nella sua grande casa dove c’è «il giardino grande, molto personale e molto trambusto, perciò non si vede quando falciano»262. È un pensiero incantevole, quello

di vivere tutta la vita in Ucraina, regione deliziosa dove, usando l’espressione dell’epistolario di Čechov, si può «vedere l’orizzonte»263. A Poltava, spiega Pëtr

Dmitrič alla sua giovane conoscente e ammiratrice Ljubočka, non ci sono né ospiti né trambusto e nella sua fattoria quindici desjatine di prato stanno «come sul palmo della mano» e basta affacciarsi a qualunque finestra per vedere i falciatori. Pëtr Dmitrič non mente nel descrivere i momenti poetici della falciatura in Ucraina: poco dopo la conversazione prende in mano la falce e con tanta abilità comincia a falciare l’erba nel giardino. Vuole far divertire gli ospiti, ma lo fa con una tale dedizione da poter intuire subito che avrebbe preferito uno stile di vita diverso: «I capelli gli

259 Cfr. la frase finale del racconto: «Molte cose bisognò dipingere, incollare e demolire per dimenticare

la disgrazia altrui», Ibidem, p. 1104.

260 Čechov, op. cit., trad. di M. Bottazzi, p. 162. 261 Ivi.

262 Ivi.

cadevano sulla fronte, la cravatta si era sciolta, la catenella dell’orologio era scivolata dall’occhiello. In ogni suo passo e in ogni movimento della falce si sentiva l’abilità e la presenza di un’enorme forza fisica»264. La dedizione al lavoro fisico in cui, come è

noto, credeva tanto Lev Tolstoj, e il pensiero incantevole sulla fattoria ucraina dove riesce a fuggire solo per un breve periodo di riposo, rappresentano per Pëtr Dmitrič una via di fuga dalla grigia quotidianità distrettuale, sebbene non possa realizzare il suo sogno perché imprigionato dalle proprie menzogne e da quel ruolo che gli è stato imposto dalla società.

Come ha giustamente notato Vittorio Strada, «la molla dei racconti cechoviani, sia di quelli giovanili che di quelli maturi, è sostanzialmente una: l’equivoco e la disillusione; e le direzioni aperte dalla «scoperta» sono la speranza e la rassegnazione»265. Ma non tutti i personaggi cechoviani sono in grado di disilludersi

e liberarsi dalla dipendenza degli attributi esteriori dei loro ruoli sociali. Nel racconto Kryžóvnik (L’uva spina, 1898) il sogno di acquistare una tenuta di campagna

si trasforma in una vera ossessione per Nikolaj Ivanyč Čimša-Gimalajskij, un piccolo impiegato statale che sacrifica tutta la vita, privandosi di ogni gioia e piacere, alla realizzazione del suo desiderio. Seduto nella sua cancelleria, Nikolaj fantastica come un giorno avrebbe mangiato la zuppa dei cavoli del suo orto, come avrebbe dormito sotto il sole o sarebbe stato seduto delle ore intere su una panca a guardare i campi. Legge solo i libri di economia rurale che costituiscono il suo «cibo spirituale» e sulla pianta della futura proprietà disegna sempre la stessa cosa: una casa padronale, una casetta per la servitù, l’orto e i cespugli d’uva spina. Vivendo da avaro, quasi da mendicante, prendendo in moglie una donna brutta e anziana ma con un po’ di denaro, riesce finalmente ad accumulare la somma necessaria per comprarsi una tenuta. Per prima cosa nella nuova proprietà pianta i cespugli d’uva spina. La raccolta dei frutti è un vero trionfo per Nikolaj Ivanyč, il «trionfo di un bimbo che

264 Čechov, op. cit., trad. di M. Bottazzi, p. 173. 265 V. Strada, op. cit., 1986, p. 103.

abbia finalmente ottenuto il suo giocattolo». Mangia avidamente le bacche elogiando il loro sapore, senza notare che in realtà sono aspre e acide:

Было жестко и кисло, но, как сказал Пушкин, «тьмы истин нам дороже нас возвышающий обман» . Я видел счастливого человека, заветная мечта которого осуществилась так очевидно, который достиг цели в жизни, получил то, что хотел, который был доволен своею судьбой, самим собой.266 [X, p. 61]

Felice e pienamente sodisfatto di sé stesso e della sua vita, Nikolaj Ivanyč è destinato a rimanere nella prigione dell’autoinganno, con il persistere dell’atteggiamento infantile e senza speranze di crescita, trovandosi comodo nello stretto «astuccio» in

cui è sigillato il suo spirito. Una casa di campagna, in questo senso, non è migliore di quei tre metri di terra che, secondo Tolstoj, occorrono a un cadavere e di cui un uomo vivo, secondo Čechov, non ha assolutamente bisogno. A un uomo vivo occorre tutto il mondo terrestre, tutta la natura, «dove in uno spazio vasto possa manifestare tutte le sue attitudini e particolarità del suo spirito libero»267. Come spiega Petr Bicilli,

Kryžovnik continua la tematica centrale del racconto gogoliano Šinel’ e Nikolaj Ivanyč

da questo punto di vista sembra riencarnazione di Akakij Akakievič, provocando nel lettore sia un sentimento di pietà e di compassione sia un orrore per quel «innamoramento» di un oggetto «morto» come l’usad’ba con l’uva spina268.