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La categoria di relazione secondo Aristotele

2. La categoria di relazione nel sistema delle categorie ontologiche

2.2. La categoria di relazione secondo Aristotele

Inquadrata per sommi capi la concezione aristotelica delle categorie, analizziamo la posizione che occupa la categoria di ‘relazione’ in tale sistema. Lo Stagirita affronta il tema delle relazioni in Metafisica Δ (V.15), Categorie VII, e Topici VI (tra i testi principali). Gli studi a cui faremo riferimento sono Cavarnos

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(1975) e Hood (2004)20, per una prima lettura “classica”. Il termine greco utilizzato da Aristotele per indicare la categoria di relazione è ‘ta pros ti’ (ad aliquid) che potrebbe essere tradotto con ‘qualcosa in rapporto a qualcosa’. Già nell’uso di questa terminologia emerge come la relazione non sia un’entità aggiuntiva nel catalogo del mondo: si danno solo ‘cose’ (i due termini della relazione) che stanno ‘in rapporto’. In questo senso, come è stato fatto notare, Aristotele in Categorie non parla propriamente di relazioni (relatio), bensì di relativi (relativum)21.

La categoria dei relativi è quindi una ‘casa di mezzo’, dove alloggiano sia il lato linguistico dei predicati relazionali (‘più alto di’), sia quello ontologico (Studtmann, 2014, 2.2.3). Se a ogni categoria corrispondesse un’entità, Aristotele avrebbe potuto concepire alcune entità corrispondenti alle relazioni, e tuttavia non lo fa: non a tutte le categorie, infatti, corrispondono ‘entità’ paragonabili alla sostanza (il grado di realtà da attribuire alle ‘entità’ indicate dalle categorie è ciò su cui si divideranno gli interpreti di Aristotele – costruendo diverse visioni sulle relazioni – già nel Medioevo). Le relazioni sono entità in quanto nella sostanza, cioè per analogia. Se le categorie sono i mezzi espressivi dell’essere analogo, è lecito attendersi che nel sistema aristotelico il termine relazione, proprio come quello di essere, non sia univoco, ma che rimandi a ciò che accomuna tipi diversi di relazione. Così come il termine ‘essere’ si dice di cose diverse, le relazioni sono reali, ma in molti sensi diversi. La categoria di relazione, in quanto categoria ontologica che dipende dalla categoria di sostanza22, sembra inoltre implicare: (1) che ci sia qualcosa di anteriore, la sostanza prima (categoria primaria); (2) che ci siano oggetti\individui (relata), che ci sia molteplicità. La categoria di relazione, a partire dal termine stesso ‘relazione’, ha quindi senso solo quando è distinta da quella di sostanza.

Andiamo però ai testi, con la prima definizione data da Aristotele: «Relative si dicono poi le nozioni, ciascuna delle quali, proprio ciò che è, in sé, si dice esserlo di qualcos’altro, o in qualsiasi altro modo viene riferita a qualcos’altro» (Categorie, VII, 6a36-39). È una definizione che individua le relazioni in base ai predicati (relativa) che richiedono due termini correlativi per essere detti veri: ‘maggiore di’ richiede un termine minore e uno maggiore, ad esempio una collina e una montagna

20 Questo secondo riepiloga e discute criticamente altri importanti contributi: Ackrill

(1963), Mignucci (1986); Morales (1994).

21 Cavarnos sottolinea che proprio qui sta la difficoltà nell’interpretare Aristotele: egli usa

pros ti sia per le relazioni (‘più grande di’) che per i termini relativi (es. la ‘mano’ in

riferimento al corpo). Per questo alcuni sostengono che Aristotele abbia una teoria dei relativi, ma non delle relazioni. Opinione che è oggi ritenuta più aderente al sistema aristotelico. Marmodoro (2016, 6), ad esempio, sostiene che nella metafisica di Aristotele non ci siano

relazioni (soprattutto non vi siano relazioni causali), ma solo dipendenza ontologica.

22 Alcune relazioni dipendono da altre categorie (qualità, quantità) e pertanto non sorprende

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(Weinberg, 1965, 69). Tuttavia, tale definizione non può essere mantenuta, perché essa potrebbe far intendere come relazioni anche cose che non lo sono, come ad esempio il nesso tra ‘pagina’ e ‘libro’. Dopo una lunga analisi, Aristotele preferisce dunque introdurre una seconda definizione: «Le nozioni relative sono quelle il cui essere si identifica con lo stare in un certo rapporto con qualcosa» (8a34-35). Essa appare più ‘concreta’: indica che vi deve essere una configurazione della realtà in cui i termini siano collegati. La relazione qui è allora quel qualcosa grazie a cui due termini sono legati, mentre i termini sono semplicemente ciò che sta in relazione.

In Aristotele, dunque, le relazioni possono essere linguistiche-concettuali (secundum dici), nelle quali i termini stanno nella relazione, ma la relazione come oggetto non c’è; oppure metafisiche (secundum esse), quando la relazione indica effettivamente una disposizione che lega i due termini. In Metafisica Δ (V.15; 1020 b25-1021b11) l’articolazione è più esplicita: Aristotele suddivide le relazioni in di ragione (aritmetiche), potenziali (causali)23 e reali (intenzionali)24. Le ultime due sono quelle metafisiche. Sono tutte relazioni, come si diceva, in senso analogo, ma il loro grado di realtà è molto diverso. Quelle linguistiche sono oggettive, poiché descrivono effettivi stati di cose, ma non sono reali, perché non hanno un truthmaker corrispondente.

Quel che sembra escluso è che le relazioni siano sostanze prime o sostanze seconde (Categorie, VII, 8b15). Posizione esplicita – esposta quasi in modo indispettito – in Metafisica N (XIV.1; 1088a 21-1088b 5). Qui il tema delle relazioni affiora nel contesto della critica alla teoria delle idee, e precisamente per sostenere che essa condurrebbe alla realtà delle relazioni (intese come proprietà universali). Tuttavia, secondo Hood (2004, 80), in Categorie Aristotele non è molto chiaro su cosa si debba intendere con ‘relativi per la loro stessa natura’. Da cosa è esemplificata una ‘entità genuinamente relativa’? Le proposte di interpretazione, secondo Hood, sono state varie: sono entità incomplete (Ackrill) o indefinite (Morales). Per Mignucci, Aristotele avverte che la sola posizione linguistica- concettuale è insufficiente ma, conclude Hood, Aristotele giunge al massimo a sostenere che un predicato relazionale è istanziato – una minima relazione diadica è istanziata25 – ma senza mai spingersi ad affermare l’esistenza di relational non- substantial entities (ib., 116 e 137-139). Questo rende ragione della ricchezza del

23 Sono quelle che corrispondono a una potenza attiva (colpire) e passiva (essere colpito)

(Abbagnano, 1998, 918); secondo Weinberg sono tutte relazioni di natura causale (Weinberg, 1965, 73).

24 Abbagnano (1998, 918).

25 Weinberg sostiene invece che sebbene Aristotele non dica mai esplicitamente che la

relazione è una proprietà condivisa da più oggetti (e quindi sarebbe incauto attribuirgli questa dottrina), quando parla di relazione sembra farlo credendo che tale proprietà ci sia (Weinberg, 1965, 71).

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pensiero aristotelico – spesso semplificato, possiamo concordare con Hood – e tuttavia può anche dare l’impressione di una certa confusione. È chiaro comunque che un’entità puramente relazionale contraddirebbe la sua ontologia, dove si hanno sostanze prime separate tra loro (cf. Marmodoro, 2016, 4) che cambiano interagendo con altre, ma che sussistono autonomamente. Per istanziare una proprietà relazionale, infatti, due individui separati dovrebbero in qualche modo ‘essere un individuo’; oltre al fatto che un’ipotetica proprietà relazionale asimmetrica dovrebbe istanziarsi come ‘padrone’ in A, e come ‘servo’ in B (ib.).

È vero d’altra parte che Categorie VII si apre con un dubbio e si chiude ribadendolo. Aristotele esprime una predilezione verso una determinata posizione, ma riconosce la precarietà delle dichiarazioni in proposito. La posizione aristotelica in effetti sembra oscillare tra una concezione delle relazioni come esse-in e esse-ad (‘essere verso’)26. Secondo Brower (2015), Aristotele ci fornisce un modello d’analisi delle situazioni relazionali, attraverso proprietà monadiche (accidenti) che ineriscono nelle sostanze (relata). La relazione tra due oggetti, es. ‘similarità’, si spiega dunque con le caratteristiche accidentali dei due termini simili, non attraverso una ‘proprietà a due posti’ (‘essere-simile-a’). Tuttavia, abbiamo visto che ci sono delle complicazioni, le quali ci costringono, per il momento, a restare sul vago: la categoria di relazione indica quello stato di cose per cui gli oggetti del mondo (individui) sono in ‘qualche modo interconnessi’ (poniamo per ora: accidentalmente).

Alcune note aggiuntive su Aristotele: Cavarnos (1975, 51ss) mostra che grande importanza nella discussione hanno le relazioni di desiderio (da intendere in senso ampio, come tendenza di ogni cosa verso uno scopo) e la relazione forma- materia (sono due correlativi, e la relazione è essenziale: non può darsi l’una senza l’altra, come nel caso di corpo-anima). Le prime sono quelle che oggi definiremmo disposizioni (cf. cap. 3), mentre la seconda rimanda al problema dell’esistenza di relazioni trascendentali (cf. cap. 2, par. 1.1.). A questo si aggiunga che Aristotele analizza la relazione tra il mondo e il Motore Immobile in questi termini: la relazione è una caratteristica degli oggetti del mondo (che desiderano, sono mossi verso il Motore) ma non è nel Motore (Weinberg, 1965, 71). Esattamente come una sedia è presente nell’intelletto, e questo dà l’illusione che vi sia una relazione tra sedia e intelletto. Questa ‘ricchezza di relazioni’ lascia a intendere che quando Aristotele discute di relazioni non sia concentrato solo su dei predicati: ci sono degli enti la cui vera natura contiene un riferimento a qualcos’altro (Cavarnos, 1975, 56).

Aristotele sembra identificare anche una relazione di causalità come l’acquisizione o la perdita di proprietà accidentali (attualizzazione di una potenzialità) da parte degli individui sostanziali (Weinberg, 1965, 69-70); il

26 Per categorical realities si intendono le realtà che hanno la ratio o modo di esistenza di

un essere partecipato, cioè che sussistono in se stesse. Per relative realities si intendono invece le realtà che hanno il loro modo di esistere in alio.

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problema che sorge, in questo caso, è come sia possibile che una sostanza agisca sull’altra (con quale relazione) se il passaggio della potenza all’atto avviene nella sostanza. Sembra ci debba essere un qualche ‘nesso’, una qualche ‘influenza’ tra l’attualità di una sostanza, e la potenzialità dell’altra sostanza che viene portata in atto (Weinberg, 1965, 77). Ma attraverso cosa avverrebbe tale influenza se non, appunto, attraverso una terza entità che viene chiamata ‘relazione’? E come si legherebbero le due sostanze a questa terza sostanza? Il regresso che qui si produce sembra indurre Aristotele a concepire una forma capace di tenere in qualche modo legati i componenti (le altre due forme): questa forma, lo abbiamo già visto, è una necessità speculativa per bloccare il regresso – e quindi, per Aristotele, un principio indispensabile e ben fondato – ma la sua postulazione ha lasciato molti insoddisfatti. Lo vedremo nel cap. 3, dove il tema della ‘relazione causale’ (se di relazione possiamo parlare) sarà esaminata nel dettaglio, anche nella versione dei ‘powers’ (riduzionista rispetto appunto a tale relazione). Non c’è consenso tra gli interpreti, infatti, sul fatto che la causazione sia una relazione per Aristotele. Nell’ontologia dei powers (basata su una possibile interpretazione dello Stagirita), per esempio, tale relazione viene ridotta ai powers, che peraltro si configurano come entità con una loro tendenza.

Questo discorso ci impone di tornare a quanto detto nel precedente paragrafo. In che senso il discorso aristotelico sulle categorie è funzionale a preservare il pensiero dalla deriva monista? Fino a qui una risposta possibile è la seguente: nel mondo osserviamo che alcune sostanze prime agiscono le une sulle altre in modo accidentale, provocando dei cambiamenti le une sulle altre (facendo passare delle potenzialità in attualità), e osserviamo sostanze prime che ‘evolvono’ da uno stadio incompleto (il fanciullo) a uno stadio evoluto (uomo), da capacità limitate (il bambino) a capacità molto complesse (la razionalità dell’adulto). Ebbene: come agiscono queste sostanze tra loro e su se stesse? Se tale ‘connessione’ fosse una sostanza, tutte le sostanze sarebbero “disciolte” in tale unica sostanza, la quale sarebbe anche eterna e quindi immobile: torneremmo al monismo o all’attualismo; se tale ‘connessione’ fosse solo concettuale, avremmo difficoltà a spiegare i cambiamenti reali; quindi non ci resta che ipotizzare: (a) che tale ‘connessione’ sia un’entità ‘a metà strada’ tra la sostanza prima e la sua corrispondente: una soluzione con non pochi problemi, in particolare quello del regresso; (b) che ci sia un’intrinseca disposizionalità delle sostanze che le orienta verso la loro realizzazione in atto, in determinate circostanze: questa ipotesi la affronteremo più diffusamente nel cap. 3. Che si scelga (a) o (b) ciò che conta è che esistano relata separati, che entrano in determinate relazioni, ma non coincidono con esse.

Le relazioni, in quanto categoria, si prestano dunque ad essere intese secondo le ramificazioni metafisiche che le stesse categorie consentono: si può essere realisti, idealisti, scettici, infallibilisti circa i rapporti tra categorie e mondo.

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Il modello ontologico e categoriale aristotelico, tuttavia, impone delle restrizioni (prendiamo a riferimento, qui, l’interpretazione tradizionale di Aristotele, riservandoci di approfondire il modello ‘disposizionale’ nel cap. 3) circa la realtà delle relazioni: mentre in un sistema platonico si possono – almeno in linea di principio – accettare delle proprietà relazionali (corrispondenti a delle idee delle relazioni), in quello aristotelico ciò risulta più complicato. L’universale, infatti, esiste solo in quanto istanziato dal particolare, e ciascun particolare individuo (sostanza prima) non può essere ‘smembrato’, quanto alla sua essenza, in altri individui. Le sostanze prime sono separate e sussistenti, e questo implica che le relazioni tra gli individui – in qualsiasi modo si instaurino tra essi – non possano mai del tutto dissolvere l’unità separata di tali sostanze individuali.

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