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La Trinità nella Filosofia Analitica della Religione

Spostiamoci ora dalle questioni ontologiche riguardanti ‘la relazione’ al caso paradigmatico di utilizzo di questa categoria: la relazionalità intra-trinitaria. In apertura è necessario richiamare alcuni aspetti del dibattito contemporaneo sulla Trinità. Gli autori che hanno partecipato a questo dibattito – che saranno elencati a breve, all’interno di una sorta di ‘tassonomia’ delle posizioni oggi presenti nella filosofia analitica della religione (FaR) – credono generalmente che sia possibile fornire una spiegazione sufficiente della Trinità, la quale è quindi, per questi autori, una dottrina credibile. Questo significa che abbiamo buone ragioni per affermare che esistono tre persone divine, anche se non sappiamo come difendere esattamente la consistenza della dottrina.

A livello generale, il dibattito contemporaneo sulla Trinità nella FaR è stato interpretato dai suoi attori per lo più come un’apologetica, una difesa del dogma dall’accusa di irrazionalità. Come sottolinea Damonte (2009), essi non intendono «stabilire la verità dei dogmi religiosi», quanto «studiarne la forma proposizionale». Questi filosofi hanno dunque analizzato metafisicamente delle «verità in cui già credono» (ib.). Il loro obiettivo resta «di presentare un’argomentazione che renda plausibile il passaggio dalla rivelazione biblica alla formulazione dogmatica attraverso un’inferenza dalla miglior spiegazione» (ib.). È una posizione che ben si accorda con quella tomista, come vedremo. Non c’è dunque un tentativo di fondare i dogmi, né di spiegarli in modo esauriente. Tuttavia, almeno “soddisfacente” sì: ciò significa che il dogma creduto, nella sua forma proposizionale, non deve risultare inconsistente. Qui la nostra interpretazione dell’intero dibattito diverge in parte da quella di Damonte: è vero che, a parole, i filosofi analitici riconoscono un certo spazio al mistero, ma questa «umiltà epistemica e sobrietà argomentativa» (ib.) è più apparente che sostanziale. Leggendo i testi degli autori coinvolti nel dibattito non si può che avere l’impressione che, laddove essi ritengono di aver sciolto il problema di inconsistenza del dogma, «il problema della Trinità scompare» (Brower & Rea,

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2005a, 69)1, per usare le parole di alcuni protagonisti2. A nostro avviso, invece, ‘il problema della Trinità’ resta più vivo che mai, o perché l’inconsistenza non è davvero risolta, o perché l’eventuale incontraddittorietà delle proposizioni è insufficiente per affermare la Trinità per via filosofica. Vedremo a breve il perché.

Gli autori coinvolti nel dibattito danno per scontato – assieme alla quasi totalità dei teologi di ieri e di oggi (cf. Coda, 1993, 7-15)3 – che la Trinità sia un dogma di fede cui l’uomo ha potuto accedere solo grazie alla Rivelazione di Gesù (cf. Sokolowsky, 2003; Marshall, 2000, 281). Welch (1953, 77-85) ricorda alcuni tentativi di sviluppare un trinitarianismo filosofico – tra cui quelli di Richmond (1900), Illingworth (1907), Thornton (1928), Tennant (1930), Hartshorne (1941) e Mascall (1943) – che potesse incorporare la Trinità nel programma di un teismo filosofico4, attraverso soprattutto l’argument from creation, e l’argument from the nature of finite individuality (Welch, 1953, 83), il secondo dei quali è la strategia privilegiata dai social trinitarianists a noi contemporanei. Per Welch, tuttavia, la dottrina può essere solo rivelata, mai derivata da premesse filosofiche (ib., 243)5. Questa ‘convinzione’ non può però essere assunta in modo acritico. Non sembra del tutto certo che la Trinità immanente, ossia la distinzione dei tre in Dio, sia accessibile solo attraverso la Trinità economica (la storia della salvezza). Chi s’interroga su Dio, infatti, potrebbe giungere attraverso la sola ragione a pensare trinitariamente. Certo, nessuno nega che storicamente sia stata la Rivelazione cristiana a ‘ispirare’ la speculazione filosofica, in un rapporto di reciproca influenza. Questo è certamente vero, ma questa “precedenza storica” non è una precedenza logica, o almeno non è detto che lo debba essere; nei parr. 4-6 vedremo perché.

1 Brown (1985, 305) conclude che si può dimostrare la coerenza logica della dottrina

trinitaria: tutte le analogie trinitarie «break down at some point», ma quelle usate da chi sottolinea l’unità (come Agostino e i latin trinitarianists, con l’analogia della mente) «break down too soon», allo stadio della giustificazione della distinzione; quelle di chi sottolinea la pluralità (es. Cappadoci e i STs), a suo avviso, sono migliori, perché ‘crollano’ più tardi, cioè al momento di spiegare l’unificazione dei distinti: ma è più semplice trovare delle modalità per questa unificazione (rispetto alla distinzione). Inoltre, la prima esperienza della fede cristiana è quella delle distinte persone divine (ib., 287).

2 L’eccessiva confidenza nella capacità di ‘determinare come Dio sia’ è il peccato originale

dei filosofici analitici della religione anglo-americani (cf. Wainwright, 2009, 80, che richiama Alston, 2005). Razionalisti, ma con esiti opposti, sono Brown (1985, trinitario) e Durrant (1973, anti-trinitario). Per una critica al razionalismo di Brown: Surin, 1986.

3 Secondo Collins (2008, 8), è importante riconoscere che la Trinità è una dottrina

ecclesiastica, di una comunità credente, fondata sulle Scritture.

4 Forse un’altra strategia potrebbe partire dall’idea di Dio-Redentore (cf. Welch, 1953, 221). 5 Quello di Welch si riduce però a un ‘filosofeggiare trinitario’, ben distinto dal

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Non è nostra intenzione, in questa sede, ripercorrere il dibattito contemporaneo sulla Trinità nelle sue articolazioni e nelle opere principali. Sintesi e valutazioni sono già disponibili (Morris, 1991, cap. 9;6 Inwagen, 1998b; McCall & Rea, 2009; McCall, 2010; Tuggy, 2003, 2016; Bertini, 2015b) e la nostra sarebbe un’inutile replica. A titolo del tutto informativo, però, richiamiamo almeno la terminologia suggerita per le varie posizioni7:

Modalism (Ward, 2000, 2002; Bertini, 2009; e già prima Barth e Rahner); Latin Trinitarianism (LT):

- Divine Life Stream Theories (Leftow ,1999, 2004, 2007, 2010, 2012a, 2012b);

- Relative Identity Theories (RIT);

o Pure Relative Identity Theories (Geach, 1972a, 1972b, 1973, 1980;8 Martinich 1978, 1979; Cain, 1989);

o Impure Relative Identity Theories e\o Constitution Trinitarianism (Inwagen, 1995, 2003; Brower & Rea, 2005a; Rea, 2003, 2009; Williams 2013);

Social Trinitarianism9 (ST):

- Functional Monotheism (Swinburne, 1988, 2007a, 2013a, 2018)10; - Modify Social Trinitarianism (Yandell, 1994);

6 Per Morris: Singularity Theory of the Trinity (sottolineano l’unità) e Social Theory

(sottolineano la distinzione).

7 Non tutti gli autori sono inquadrabili. Lo schema proposto segue le indicazioni delle opere

di sintesi. Si aggiungano: Power, 1975; Macnamara, La Palme Reyes, Reyes, 1994; Layman, 1988; Plantinga, 1986, 1988, 1989; Wierenga, 2004; Fisher, 2014; Goetz, 2016; Davidson, 2016; Cross, 2002, 2003a, 2007, 2010; Rea, 2006; Tuggy, 2011b, 2013a, 2013b.

8 Una critica: Jedwab, 2015.

9 È difficile definire chi appoggia un approccio social, perché gli autori lo declinano in

modo differente (cf. Hasker, 2013a, cap. 4). Swinburne si ispira a Riccardo di San Vittore e a Gregorio di Nissa sebbene vi siano molti dubbi che quest’ultimo sia un antesignano del ST. Plantinga (1986) sostiene che Gregorio di Nissa non possa essere definito un ST, perché non parla di ‘centri di coscienza’ né di ‘società’, e tuttavia il Nisseno getta le basi, giacché intende il termine ‘persona’ nel senso pieno che noi oggi utilizziamo. È però discussa la possibilità di attribuire ai Cappadoci una visione social, dove la ‘persona’ è intesa in senso moderno. Hasker (2013a, cap. 4 e 5) è a favore di questa interpretazione9; è contraria

Coakley (1999); per Cross (2012) tutti i medievali sono latin anche se offrono spunti social. Critiche al ST si trovano in: Brower, 2004a; Clark, 1996; Feser, 1997a, 1997b; Leftow, 1999; Tuggy, 2003, 2004, 2014; Rea, 2006.

10 Criticato da Alston (1997; 2005) e Clark (1996); critiche al ST anche in Wainwright

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- Trinity Monotheism (Moreland & Craig, 2003; Craig, 2006, 2009; Bartel, 1988, 1994)11;

- Perichoretic Monotheism (Davis, 1999, 2003, 2006);

- Group Mind Monotheism (Williams, 1994; Leftow, 1999; Hasker, 2009, 2010a, 2010b, 2010c, 2011, 2012, 2013a, 2013b)12;

- Material Monotheism (Hughes, 2009; Brower & Rea, 2005a; Rea, 2003, 2009, 2011)13;

- Concept-relative Monotheism (Bøhn, 2011)14; - Temporal Parts Monotheism (Baber, 2002)15; Simple Trinitarianism (Kleinschmidt, 2016); Mysterianism (MY):

- Negative Mysterianism (Cartwright, 1987; Ayres, 2004; Coakley, 1999; Kilby, 2005, 2010);

- Positive Mysterianism (Anderson, 2005, 2007; Tuggy, 2003, 2004, 2011a).

Tratteremo alcuni punti di queste posizioni laddove sarà necessario nel prosieguo. Surin (1986, 243) ha rilevato che mettere in opposizione ST e LT è discutibile, visto che non se ne trova traccia negli autori antichi. Gli accenti social o latin degli antichi dipendono dal contesto eresiologico cui si inseriscono, cioè l’eresia che in questo o quello scritto essi intendono rifiutare, e raramente sono disgiunti da una forma di MY. Nessun autore antico è del tutto ‘social’ o ‘latin’, soprattutto perché non intendeva il

11 Criticato da Howard-Snyder (2003); nel caso del ‘monoteismo trinitario’ abbiamo che

l’essere di Dio si predica della comunione delle tre persone inscindibili e dipendenti. L’accusa è che si ottenga un quarto Dio: Dio è la Trinità, ma nessuna delle persone è Dio, perché ‘Dio’ è solo la loro comunione.

12 Hasker (2013a) propone una visione in cui Dio, per poter essere ‘persona’ nel senso

comune che attribuiamo a questo termine, è un’unica mente, un’unica sostanza spirituale che sostiene simultaneamente centri di coscienza (tesi che era già di Sherlock e Rahner), una natura (il ‘tropo’ divinità) in condivisione, con accento sulla pericoresi (2013a, cap. 26). Ma è una posizione che cerca di mostrarsi monoteista nonostante gli accenti decisamente triteisti.

13 La proposta di Brower e Rea (2005a) si può collocare sia tra quelle dell’identità relativa

che quelle della costituzione materiale poiché quest’ultima è un caso emblematico discusso proprio tra gli esempi di identità relativa. Nel caso della ‘costituzione materiale’, il problema è che in Dio materia e forma coincidono, Egli è atto d’essere della propria essenza e quindi ogni distinzione personale appartiene all’essenza tutta intera, e l’essenza tutta intera appartiene a tutte le distinzioni personali. Mentre l’esempio della statua prevede che una sostanza abbia identità con comportamenti modali diversi, cosa impossibile per Dio.

14 Criticato da Kleinschmidt (2012). 15 Criticato da Tuggy (2011a).

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linguaggio filosofico come decisivo. Le due posizioni, apparentemente inconciliabili, contenevano aspetti che ne giustificavano l’accettazione, ed entrambe erano mantenute come possibili sfumature di alcune verità ancora da definire (ib., 244). Questa è anche la nostra posizione: ST, LT e MY sono indispensabili per descrivere compiutamente il mistero trinitario, ma insufficienti se presi separatamente.

Recentemente è stata proposta un’interpretazione del dogma sostenuta da un’ontologia dei powers (Page, 2017)16, una Power-ful Trinity. Essa tuttavia rimane prigioniera delle aporie delle altre soluzioni, giacché risulta impossibile la scelta tra la difesa di tre manifestazioni di un power (se non sono distinte, è puro modalismo) o l’esistenza di tre powers (che sarebbe una forma di triteismo). Questa ambiguità nasce dalla problematica di fondo – che emerge bene e in modo ricorrente nell’articolo di Page – da noi già evidenziata nel capitolo precedente, che consiste nel definire in che senso un cambiamento di status nel power non corrisponda a un cambiamento reale del power e del soggetto portatore di esso (facendolo essere qualcosa di diverso). Accanto alla proposta di Page, possiamo ricordare anche quella di Pickup (2016), basata sulla nozione di extended simples.

Nelle pubblicazioni di questa famiglia culturale manca, solitamente, la considerazione del process trinitarianism, di cui diremo qualcosa nel prossimo capitolo. Coloro i quali credono che la Trinità superi le capacità razionali umane, abbracciano una posizione definita Mysterianism (ad es. Cartwright, Ayres, Coakley, Kilby, Anderson, Tuggy), una meta-teoria del Trinità, spesso legata alla divina ineffabilità e all’apofatismo. Nella sua versione negativa, MY sostiene che la teoria trinitaria è inintelligibile e non sappiamo come possiamo accettare le analogie trinitarie. Non abbiamo né una formulazione linguistica né un’immagine utile per spiegare completamente la Trinità. Nella versione positiva, invece, MY sostiene che la dottrina è composta da singole affermazioni comprensibili, ma che sono contraddittorie prese insieme. Questo fatto non impedisce alla mente umana di comprendere molto Dio, ma obbliga a riconoscere che la nostra ragione fallisce ad un certo punto. Questo fallimento può tuttavia essere un merito: è proprio quando vogliamo dissolvere tutte le contraddizioni che inevitabilmente usciamo dall’ortodossia. L’esistenza di alcune contraddizioni non è un dramma: i misteri e le contraddizioni, i positive mysterianists ci ricordano, sono presenti anche nella fisica (ma nessuno dubita che le sue teorie siano valide). Chi crede invece che le contraddizioni della Trinità conducano a un rifiuto della dottrina di solito arriva a posizioni unitariste.

In questo capitolo avremo modo di valutare il Mysterianism, comparandolo con la posizione di Tommaso d’Aquino, Leibniz e Hegel. Nel dibattito

16 La Powerful Trinity era in parte già stata ipotizzata da Enrico di Gand (Paasch, 2012,

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contemporaneo, infatti, sembra che i tentativi di chiarire la nozione di “mistero” siano parziali: la discussione odierna su tale nozione, nel contesto analitico, rimane piuttosto sulla superficie dei problemi, sottovalutando il modo in cui la tradizione del pensiero occidentale aveva già affrontato il problema. Questo è il motivo per cui si analizzeranno tre posizioni “classiche”, al fine di capire come gli autori di questa tradizione potrebbero definirsi mysterianists, e se queste posizioni possano dirci qualcosa sul dibattito attuale.

La nozione di mistero è collegata al tema – centrale in tutta la discussione antica e medievale – del rapporto tra fede e ragione. Nel tentativo di arricchire il dibattito di oggi, quindi, si richiameranno le posizioni di tre autori classici, cercando di apprezzare la profondità del loro pensiero sulla Trinità e come esso possa ancora dirci molto sul rapporto tra fede e ragione, e quindi tra razionalità e mistero, per definire quale possa essere il ruolo della filosofia nella speculazione trinitaria.

Rispetto alla Trinità, quel che avevamo già sottolineato come esito della speculazione sull’onniscienza (Migliorini, 2014) si ripresenta tal quale anche nella presente discussione trinitaria: essa ha richiamato ipotesi già lungamente dibattute nei rivoli della scolastica medievale e moderna, con un aggiornamento linguistico e di sofisticazione, ma che sostanzialmente non amplia il range di “soluzioni” possibili, né la loro efficacia. Solo per fare degli esempi, l’ipotesi ‘costituente’ (e l’immagine del marmo-statua-pilastro) era stata introdotta da Abelardo (Thom, 2012, 62-77; Brower, 2004b)17, contestata e rifiutata già dai suoi contemporanei; l’ipotesi dell’identità relativa era già presente in Leibniz (cf. Antognazza, 2007); il plurisostanzialismo era già di Roscellino18 (Erismann, 2008). A ogni “soluzione”,

17 Abelardo introduce l’analogia del pezzo di cera e della statua, proponendo un ‘material

account’ basato sulla numerical sameness without identity ma, come sottolinea lo stesso Brower (2004), è un approccio sostanzialmente modalista. Secondo Abelardo, il teologo può indagare solo gli enunciati su Dio, ma non il contenuto (Cerroni, 2009). Per questo la conoscenza di Dio è solo verosimile, al di là della comprensione umana.

18 Erismann (2008) evidenzia che l’utilizzo di Aristotele in teologia può portare a esiti diversi,

in base a come lo si interpreta, e Roscellino ne è un esempio; egli ritiene che la Trinità sia una sostanza seconda, mentre le Persone siano sostanze prime (come tre angeli). Questo perché ogni vera sostanza è particolare, mentre le sostanze universali sono solo concetti nella mente. È una posizione nominalista, nella quale gli universali sono immanenti nei particolari, mentre le sostanze comuni sono astrazioni (concetti). La sua posizione non mette necessariamente in crisi la consustanzialità: le sostanze delle tre persone possono essere talmente simili da essere la stessa sostanza (come due uomini sono molto simili, tanto da ipotizzare una natura comune). Tuttavia, l’unità della sostanza viene compromessa: una posizione ortodossa non sostiene che ci sia una sostanza comune oltre quelle individuali, ma che ci sia un’unica sostanza individuale (Dio) che, tra le sue caratteristiche intrinseche, ha delle relazioni, che quindi creano in essa delle distinzioni senza creare delle sostanze. Per Roscellino, invece, se Dio (e la Trinità) sono sostanze, la teoria generale delle sostanze si

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come era presumibile, visti i precedenti storici, sono state avanzate critiche e controcritiche: un’impasse che ci riporta alla consapevolezza già maturata da filosofi e teologi del passato (Agostino e Tommaso inclusi) circa l’impossibilità di fornire un account della Trinità privo di aporie o difetti (rispetto all’ortodossia nicena). È tornato cioè evidente che, quando si voglia mantenere il proprio della Rivelazione (che spinge inevitabilmente verso un social account) non si possa che avvicinarsi pericolosamente al triteismo, mentre quando si voglia prestar fede alla ragione, l’unica posizione accettabile sia il modalismo (Bertini, 2009).

Dal dibattito contemporaneo sulla Trinità, dunque, in modo analogo a quello sull’onniscienza, è emerso che, usando gli strumenti sofisticati della filosofia analitica, dell’ontologia contemporanea e della logica, non abbiamo ancora una visione della Trinità coerente e priva di obiezioni (Tuggy, 2003; Bertini, 2015a): la Trinità sfugge ancora alle nostre pretese di razionalizzazione. Al massimo, dunque, l’elenco di nuove “soluzioni” su riportato può fornire qualche nuovo strumento linguistico, o qualche nuova analogia, ma nessuna vera “soluzione”. Ciclicamente, nella storia del pensiero cristiano, ci si dimentica di questa fondamentale verità. Invece, di qui in avanti, la assumeremo come punto di partenza inevitabile e stabile: contrariamente a Tuggy, riteniamo che non ci sarà nessuna speculazione futura che possa metterla in discussione; ci saranno nuove ondate di razionalizzazione, che daranno ancora l’illusione di aver fatto dei passi avanti, ma che poi si infrangeranno nuovamente nei limiti della speculazione umana (giustificheremo questa posizione nei prossimi paragrafi).

Questo ‘ritorno di consapevolezza’ non significa abbracciare senza riserve il misterianismo, ma sicuramente ci indica che il punto centrale della discussione è proprio la definizione del ruolo della ‘spiegazione’ nella speculazione trinitaria, e quindi del mistero come categoria a essa complementare. Ed è appunto su questi due aspetti che ora vorremmo focalizzare l’attenzione. Del resto, il richiamo a un ‘mistero’, se non adeguatamente circoscritto e chiarito, rischia di farci cadere nello scetticismo epistemico, da un lato, o in un latente fideismo, dall’altro. Forse, trovare una ‘soluzione’ a un’aporia dogmatica, qui, implica di ripensare il ruolo di una teologia iperfatica all’interno del teismo. Un teismo purificato, infatti, rischia l’irrilevanza o l’ateismo, come ci ricorda la critica humiana ripresa da Findlay: un apofatismo pronunciato rischia di essere un ‘ateismo equivalente’ (Findlay 1949; Paganini 2014, 18-19). Bisogna allora essere accorti a non trasformare l’incomprensibilità di Dio in una sorta di agnosticismo (Lash, 1986). Nei parr. 2 e 3 vedremo perché la razionalizzazione è impossibile – perché dunque la dottrina

deve applicare anche a Lui. Ciò che unisce le tre Persone è solo il termine “Dio” che si applica a tutte, ma che non è una sostanza comune (= “una essenza, tre sostanze”). E nega vi sia una differenza, in Dio, tra sostanze, essenze e persone. Differenza che è invece difesa da Agostino, il quale accetta solo l’equiparazione tra sostanze ed essenze.

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trinitaria resti contraddittoria19 – ma come sia possibile, allo stesso tempo, evitare un ateismo implicito. Prima però chiariamo cosa possiamo intendere per ‘mistero’ nella speculazione trinitaria.

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