Evidence from the fast fashion industry Imane Allam, University of Torino, [email protected].
15. La certificazione SA8000: standard emergente o fallito?
Cecilia Chirieleison, Università degli Studi di Perugia, [email protected]. Alessandro Montrone, Università degli Studi di Perugia, [email protected]. Luca Scrucca, Università degli Studi di Perugia, [email protected].
Teresa Turzo, Università degli Studi di Perugia, [email protected]. Abstract
La Social Accountability 8000 (SA8000) è lo standard internazionale di riferimento per la certificazione volontaria, da parte delle imprese, del rispetto dei diritti dei lavoratori e della creazione delle migliori condizioni lavorative, anche lungo la catena di fornitura. La presente ricerca prende in considerazione tutte le imprese incluse nel database ufficiale con l’obiettivo di valutare in primo luogo la diffusione attuale della certificazione per Paesi e per settori e in secondo luogo il suo tasso di rinnovo da parte delle imprese. I risultati mostrano una concentrazione delle imprese certificate in poche nazioni e un elevatissimo tasso di non rinnovo, che suggerisce una possibile perdita di fiducia nella capacità della certificazione di offrire significativi vantaggi competitivi alle imprese.
Keywords: Responsabilità Sociale d’impresa, Corporate Social Responsibility, SA8000, Certificazioni, Lavoro Minorile.
1. Introduzione
Negli ultimi anni, tra gli strumenti che consentono alle imprese di implementare la Corporate Social Responsibility (CSR), si sono progressivamente diffusi numerosi standard e certificazioni, finalizzati a rendere trasparente e ad attestare l’impegno dell’azienda nei vari ambiti della responsabilità sociale, dal rispetto dell’ambiente alla tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro (Gilbert & Rasche, 2008; Gilbert, Rasche, & Waddock, 2011a; Waddock, 2011). L’ottenimento di tali certificazioni richiede l’adozione di specifiche politiche aziendali e procedure operative, analiticamente individuate dall’ente che definisce lo standard, che hanno per l’appunto la finalità di spingere la condotta aziendale verso un progressivo innalzamento del proprio livello di CSR (de Colle, Henriques, & Sarasvathy, 2014).
Anche se può implicare il sostenimento di costi significativi, l’ottenimento e il mantenimento di una certificazione può consentire alle imprese di tramutare l’impegno verso la responsabilità sociale in un vero e proprio vantaggio competitivo (Castka, Bamber, Bamber, & Sharp, 2004; Etilé & Teyssier, 2016; Miles & Munilla, 2004). Le certificazioni, infatti, rendono visibile a tutti gli stakeholder il livello di CSR raggiunto; parallelamente l’attestazione da parte di un soggetto terzo indipendente garantisce la credibilità dei risultati raggiunti. Visibilità e credibilità, dunque, permettono di accrescere la reputazione dell’impresa, che è ormai riconosciuta come uno dei più importanti intangible assets (Fombrun & Shanley, 2018; Miles & Covin, 2000). Il coinvolgimento dei dipendenti è uno dei pilastri delle politiche di CSR (Dahlsrud, 2008; Garriga & Melé, 2004): condividendo i propri obiettivi in modo da motivare e stimolare il capitale umano, l’impresa riesce non solo a migliorare il clima interno, ma anche a conquistare una maggiore produttività e, di conseguenza, una migliore competitività (Brammer, Millington, & Rayton, 2007; Jamali, El Dirani, & Harwood, 2015; Shen & Benson, 2016; Voegtlin & Greenwood, 2016).
In molti contesti, tuttavia, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, ai dipendenti vengono spesso negati anche quei fondamentali diritti che dovrebbero essere riconosciuti a tutti i lavoratori. Soprattutto dove la normativa nazionale è particolarmente carente, l’impegno volontario delle imprese diventa dunque un presidio essenziale per la protezione dei dipendenti e uno degli ambiti di maggiore rilevanza dell’impegno verso una gestione responsabile del business (Cooke & He, 2010; Locke, Rissing, & Pal, 2013; Scherer, Palazzo, & Matten, 2014; Shen, 2011).
La certificazione Social Accountability 8000 (SA8000) nasce proprio per assicurare – a livello globale – la tutela dei lavoratori e garantire condizioni decorose di impiego (Sartor, Orzes, Di Mauro, Ebrahimpour, & Nassimbeni, 2016). Lo scopo della presente ricerca è analizzare – partendo dal database ufficiale dello standard – l’evoluzione del numero di imprese certificate negli anni, esaminando anche la loro distribuzione per Paesi e per settori, con particolare riferimento al tasso di abbandono della certificazione.
L’obiettivo è quello di valutare se la SA8000, da più parti considerata il principale standard nell’ambito della gestione responsabile delle risorse umane (Boiral, Heras-Saizarbitoria, & Testa, 2017; Sartor et al., 2016), si stia effettivamente affermando a livello internazionale, oppure sia – al contrario – da considerarsi uno standard fallito.
152 2. Gli standard nell’ambito della CSR
Al fine di soddisfare le richieste degli stakeholder nell’ambito della CSR e con l’intento di dimostrare il loro impegno in tal senso, le imprese hanno implementato una serie di accountability standards; attraverso essi, sono in grado di soddisfare le esigenze informative degli stakeholder e, grazie al flusso di informazioni in uscita, guadagnano un buon livello di trasparenza.
Ogni standard prescrive norme e procedure organizzative che le imprese devono applicare in merito alle questioni sociali ed ambientali (Rasche, 2009, 2010; Rasche & Esser, 2006). Tra gli standard più diffusi si ricordano la Social Accountability 8000 (SA800), il Fair Labor Association’s Code of Conduct, la Global Reporting Initiative (GRI), l’UN Global Compact, etc.
Nonostante tali standard differiscano l’uno dall’altro, presentano un denominatore comune costituito dall’obiettivo di integrare l’attenzione alle questioni sociali ed ambientali all’interno delle diverse attività aziendali; molti di essi si propongono, inoltre, come standard a valenza globale (Behnam & Maclean, 2011; Gilbert & Rasche, 2007a, 2008; Gilbert, Rasche, & Waddock, 2011b; Rasche, 2009, 2010; Rasche & Esser, 2006).
Considerando la tipologia di output generato dai diversi standard, Behnam & Maclean (2011) classificano gli stessi in tre categorie: principle-based standards, reporting-based standards e certification-based standards. I principle-based standards sono volti a valutare l’attenzione che l’impresa, nello svolgimento delle sue attività, dedica agli aspetti sociali ed ambientali. Si tratta, solitamente, di norme di carattere etico che si traducono in principi, più o meno definiti, da applicare al processo di decision making. Esempi ne sono l’UN Global Compact, i Global Sullivan Principles e i Caux Round Table Principles.
I reporting-based standards forniscono un framework utile a favorire lo sviluppo delle comunicazioni di sostenibilità da parte delle imprese, in modo tale che la reportistica risponda ai caratteri della completezza e della trasparenza. Un esempio è costituito dagli standard elaborati dalla Global Reporting Initiative.
I certification-based standards permettono di misurare la performance di responsabilità sociale delle imprese, utilizzando come “metro” la certificazione. La certificazione può essere definita come la conferma, attraverso un audit effettuato da una parte terza indipendente, della conformità di un'organizzazione alle norme contenute nello standard prescelto (Power, 1999; Rasche, 2009). Alcuni di questi standard sono industry-specific (ad es., Worldwide Responsible Apparel Production per il settore tessile), altri si concentrano su temi ben precisi (ad es., Fair Labor Association’s Code of Conduct per la tutela dei diritti del lavoro), altri ancora si focalizzano sui temi ambientali (ad es., ISO 14001).
Secondo alcuni studi, una delle principali criticità nella social accountability risiede nella mancanza di credibilità della comunicazione da parte delle imprese (Gray, 2010; Owen & O’Dwyer, 2005; Springett, 2003). Altri autori evidenziano un divario tra l’attenzione delle imprese alla responsabilità sociale e quanto effettivamente riescono a comunicare all'esterno (Moneva, Archel, & Correa, 2006).
A fronte di tali criticità, le certificazioni possono garantire alcuni significativi vantaggi rispetto alle altre tipologie di standard (Boiral & Gendron, 2011). L'adozione di un certification-based standard consente all'impresa di soddisfare le esigenze informative degli stakeholder con un certo grado di prontezza e di credibilità, in quanto la certificazione si configura come una soglia oggettiva che gli stakeholder riconoscono come affidabile perché il suo raggiungimento viene certificato da terzi.
Strumenti come codici di condotta e disclosure di CSR – quindi principle-based standards e reporting-based standards – possono soltanto contribuire alla social accountability, in quanto privi di un parametro oggettivo (come la certificazione) che consenta di dedurre in modo oggettivo la conquista di un determinato livello di responsabilità sociale. Inoltre, la certificazione di terze parti può essere intesa come un'opportunità, per l'impresa, di gestire e controllare al meglio le proprie pratiche di responsabilità sociale attraverso, ad esempio, l'identificazione di carenze da parte dell’auditor esterno (KPMG, 2008). L'implementazione di un certification- based standard può anche fornire un vantaggio competitivo, in quanto consente di differenziare le aziende certificate da quelle che non lo sono (Jiang & Bansal, 2003).
3. Lo standard SA8000
La SA8000 si inquadra tra i certification-based standards e viene considerata ad oggi la principale certificazione esistente a livello internazionale nell’ambito della tutela dei diritti dei lavoratori. Si tratta di uno standard certificabile privo di limiti settoriali e geografici e, dunque, universalmente applicabile (Göbbels & Jonker, 2003; Jiang & Bansal, 2003; Rasche, 2010; Rasche & Esser, 2006).
L’impulso all’elaborazione della norma nasce a seguito di numerosi scandali esplosi dopo l’accertamento di episodi di maltrattamento e di sfruttamento dei lavoratori da parte di importanti multinazionali tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ‘90 (Merli, 2012).
Il processo che porta alla nascita dello standard parte nel 1994 dalla collaborazione tra l’International Labour Organization (ILO) e il Council on Economic Priorities (CEP) – una organizzazione no-profit nata nel 1969 con l’obiettivo di fornire analisi imparziali sulla performance sociale ed ambientale delle imprese – che avviano uno studio congiunto, volto a individuare soluzioni in grado di porre rimedio, almeno in parte, al problema del lavoro minorile. L’iniziativa attira subito l’interesse del mondo del business, visti gli effetti catastrofici su reputazione,
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immagine e competitività che avevano travolto le imprese coinvolte negli scandali di sfruttamento della manodopera.
A partire da questa ricerca, nasce l’obiettivo di elaborare uno standard internazionale volto a garantire il rispetto, da parte delle imprese, dei diritti dei lavoratori e l’impegno verso il miglioramento continuo delle condizioni lavorative. Nel progetto vengono coinvolti rappresentanti dei diversi stakeholder interessati: manager, imprenditori, sindacati e organizzazioni non governative (ONG).
Il CEP dà dunque l’impulso alla nascita del Council on Economic Priorities Accreditation Agency (CEPAA), una ONG multi-stakeholder creata appositamente per lo sviluppo di uno standard internazionale in ambito di protezione dei diritti e della dignità dei lavoratori. Il 15 ottobre 1997 il CEPAA – che nel 2000 cambierà la denominazione in Social Accountability International (SAI) – emana la prima versione dello standard SA8000. Con l’obiettivo di mantenere la norma costantemente in grado di orientare le politiche sociali delle imprese in un contesto altamente mutevole, lo standard viene periodicamente rivisitato: dopo la versione originaria, infatti, sono intervenute revisioni nel 2001, 2004 e 2008, per poi giungere alla versione attuale del 2014 (SA8000:2014).
La governance del SAI si basa su due principali organi: il Board of Directors e l’Advisory Board. Il Board of Directors – attualmente composto da 10 membri – definisce le strategie dell’organizzazione ed è responsabile per le scelte operative. I suoi componenti hanno un background piuttosto variegato e provengono da imprese multinazionali, ONG, società di consulenza, agenzie governative ed enti di ricerca.
L’Advisory Board ricopre un ruolo prettamente consulenziale a supporto del Board of Directors, senza tuttavia alcuna responsabilità operativa; circa metà dei suoi membri provengono dal mondo del business (tipicamente manager di importanti multinazionali come Walt Disney, HP, Gucci e Tata Steel), mentre l’altra metà è espressione dei principali gruppi di stakeholder come ONG, organizzazioni sindacali, università e istituzioni governative. Entrambi gli organi sono affiancati dal Founders’ Committee, un comitato formato da membri in pensione dell’Advisory Board che, in passato, si sono distinti per il loro operato.
Il SAI, dunque, si occupa di elaborare, aggiornare e promuovere la diffusione dello standard SA8000 ma non accorda direttamente la certificazione, che può essere rilasciata solo da enti certificatori accreditati.
L’unico ente abilitato ad accreditare i soggetti che possono rilasciare la certificazione SA8000 è il Social Accountability Accreditation Services (SAAS). Nato nel 1997 come una divisione interna del SAI, dal 2007 il SAAS è diventata una agenzia di accreditamento indipendente.
Attualmente, a livello mondiale, gli enti di certificazione accreditati ed autorizzati dal SAAS al rilascio della certificazione sono solo 29.
La SA8000, infatti, è uno standard auditabile soggetto alla verifica di una terza parte indipendente, sostanzialmente modellato sul sistema degli standard ISO (Llach, Marimon, & Alonso-Almeida, 2015). Quindi, ai fini dell’ottenimento e del mantenimento della certificazione, l’organizzazione deve rispettare i requisiti dello standard, ma anche dimostrare di adottare un sistema di management rivolto al miglioramento continuo nella gestione responsabile delle risorse umane. È da precisare che la certificazione si applica soltanto ad uno specifico sito produttivo: nel caso in cui l’impresa disponga di più stabilimenti, ognuno di essi deve essere sottoposto a verifica.
Come si può vedere dalla Figura 1, il processo di certificazione si articola in più fasi. La prima fase consiste nell’autovalutazione del sistema di gestione dell’impresa, attraverso uno specifico tool online elaborato dal SAI, chiamato Social Fingerprint, che misura la maturità del sistema di gestione responsabile delle risorse umane analizzando dieci aree considerate rilevanti dal punto di vista della performance sociale (tra cui identificazione e valutazione dei rischi, monitoraggio, verifica esterna e coinvolgimento degli stakeholder). Il risultato è l’assegnazione di un punteggio da 1 a 5 per ognuna delle aree e l’indicazione degli ambiti da migliorare. Se l’organizzazione si ritiene abbastanza matura, può proseguire con la richiesta della certificazione rivolgendosi a uno degli enti accreditati.
Tale ente, dopo aver visitato lo stabilimento, rilascia una relazione preliminare (pre-audit) indicante le azioni correttive da effettuare. Dopo aver apportato i cambiamenti richiesti, l’impresa è soggetta all’audit vero e proprio che, a seguito di esito positivo, conduce all’ottenimento della certificazione SA8000.
L’impresa resta soggetta a controlli periodici, con cadenza semestrale, volti a verificare il mantenimento dei requisiti richiesti. In caso di verifica di una non conformità, la certificazione può essere ritirata. Il certificato è valido per 3 anni, trascorsi i quali è necessario sottoporsi nuovamente all’intero processo di audit per riconfermare la certificazione.
154 Figura 1. Il processo di certificazione SA8000.
Fonte: nostra elaborazione.
I requisiti di contenuto previsti dallo standard sono prevalentemente derivati dai principi espressi da convenzioni internazionali come quelle dell’ILO, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti del Bambino. Affinché la condotta dell’impresa possa essere considerata conforme allo standard, la norma impone che siano rispettati requisiti ben precisi in otto diversi ambiti, ossia: 1. lavoro minorile;
2. lavoro forzato e obbligatorio;
3. salute e sicurezza sul luogo di lavoro;
4. libertà di associazione e diritto alla contrattazione collettiva; 5. non discriminazione;
6. procedure disciplinari; 7. orari di lavoro;
8. retribuzione,
a cui si aggiunge l’impegno verso l’adozione di un sistema manageriale volto al miglioramento continuo. Per ognuno di questi ambiti, lo standard definisce principi generali di gestione responsabile delle risorse umane e requisiti minimi da rispettare. Ogni impresa, ovviamente, è tenuta ad ottemperare anche gli obblighi imposti dalla legislazione nazionale. In caso di situazione conflittuale tra il dettato della norma SA8000 e la previsione dell’ordinamento nazionale, prevale la disposizione più favorevole al lavoratore.
Infine, va sottolineato come la SA8000 coinvolga tutta la supply chain, dal momento che l’organizzazione – al fine dell’ottenimento della certificazione – deve garantire il rispetto dei requisiti dello standard da parte di tutti i suoi fornitori e subfornitori.