impact investing
7. Risultati derivabili dal caso studio e conclusion
La finanza inclusiva rappresenta il volano di nuove traiettorie di sviluppo delle imprese sociali. Ideare architetture finanziarie tarate sull’esperienza tecnica ed il fabbisogno finanziario crescente delle imprese sociali può facilitare la presa in carico dell’onere di fornire servizi ̶ fulgidi esempi di attività labour-intensive ̶ e può incrementare la capacità di sopportazione di attività di tipo capital-intensive, quali la riqualificazione di un sito di interesse culturale.
Per ampliare il raggio di azione delle imprese sociali e sostenere la loro presenza in nuovi settori, occorre predisporre una finanza dedicata, paziente ed esclusiva, del tutto o quasi disinteressata ai rendimenti economici e attenta alle ricadute sociali (Borzaga & Fontanari, 2018). Nuove forme di finanza inclusiva potrebbero sostenere la proliferazione di progetti di crescita inclusiva, intendendo con ciò progetti che abbiano come fine ultimo la generazione di impatti a beneficio di una data collettività e che si avvalgano di un architrave di tipo economico-commerciale per sorreggersi e persistere nel tempo.
Date queste premesse, sebbene gran parte della finanza inclusiva risulti appaltata ad istituzioni dedicate di cui l’Italia è già dotata (in primis, le banche) (Borzaga & Fontanari, 2018), a latere c’è spazio per strutturare innovative forme di finanziamento a sostegno degli investimenti strutturali di attori del terzo settore. Quest’ultimi, dato l’incremento della propria dotazione finanziaria, potrebbero farsi carico di attività capital- intensive quali la riqualificazione di beni culturali, in previsione di un utilizzo e di una fruizione del bene ad appannaggio di una data collettività di riferimento.
Alla luce della sistematica rinuncia ad un margine di rendimento rispetto a quello offerto in media del mercato, di un iter procedurale più snello e di una dissociazione fra il momento del conseguimento di un rendimento e la buona riuscita del progetto in nome della priorità riconosciuta alla creazione di impatti sociali, il social impact investing lascia trasparire la volontà di costituire fondi informati a principi di finanza sostenibile, destinati a integrare la base finanziaria costruita in autonomia da soggetti del terzo settore.
Guardando al caso studio, dall’esame congiunto dei punti di vista del soggetto finanziatore e del soggetto beneficiario, si evince che il surplus di trasparenza indotto dalla previa costituzione di una società veicolo, le cui obbligazioni sono esclusivamente riferite alla gestione del complesso monumentale, potrebbe facilitare l’afflusso di investimenti a impatto sociale. È indubbio che sia stato particolarmente vantaggioso per le cooperative impegnate nel progetto di riqualificazione, specie in rapporto all’alternativo ricorso al prestito
12 A titolo esemplificativo, vale la pena citare il caso del community hub Cre. Zi. Plus, istituito presso il padiglione n. 10 dei Cantieri Culturali
alla Zisa di Palermo. Nell'ambito del bando storico-artistico e culturale promosso dalla Fondazione Con il Sud nel 2014, tale padiglione, di proprietà del comune di Palermo, è stato assegnato de facto in comodato d’uso gratuito per 12 anni all’associazione CLAC, in vista della sua successiva riqualificazione. CLAC si è presentata come capofila del progetto Zisa Creativa, in rete con altre 13 aziende. Oggi il padiglione è adibito allo svolgimento di diverse attività. Esso, infatti, funge da spazio di co-working, rivolto naturalmente alle start-up il cui core business sia l'aspetto culturale e creativo. A tale riguardo, Cre. Zi. Plus offre servizi di supporto e di formazione alle imprese, nonché la possibilità di usufruire di un negozio, dove poter esporre i propri prodotti. Inoltre, il padiglione è adibito a spazio per eventi e ospita una cucina sociale. Per saperne di più su Cre. Zi. Plus: https://www.creziplus.it [2019].
13 Come detto, la Tonnara è adibita allo svolgimento di diverse attività quali il banqueting e l’organizzazione di spettacoli teatrali ed eventi. 14 A titolo esemplificativo, oltre a mezzi propri e ad un mutuo bancario, la Società della Tonnara ha beneficiato di un finanziamento di
140.000 euro accordato da Banca Etica, un istituto di credito ispirato ai principi della finanza etica. Per saperne di più su Banca Etica: https://www.bancaetica.it/chi-siamo [2019].
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bancario, poter contare sull’elargizione di fondi prescindendo dalla prestazione di garanzie reali. Accanto a tale forma di sostegno, il supporto tecnico dato dal soggetto finanziatore nella stesura del regolamento di emissione dei minibond e nella predisposizione di ogni altro documento legale e contrattualistico accessorio ha permesso di sopperire al deficit di esperienza professionale del soggetto non-profit beneficiario. Proprio tale deficit di esperienza di default impedirebbe al beneficiario di prendere parte a operazioni di finanza di tipo market-based, quale l’emissione di mini-bond.
Ciò detto, vanno comunque segnalate talune criticità riscontrate nel caso in esame, in primis il mancato accordo ad oggi sugli indicatori di impatto da adottare e la necessità di calare tali indicatori nell’ecosistema di riferimento, rifuggendo, di contro, l’applicazione di una griglia di indicatori prestabiliti. Indubbiamente, la messa a punto degli indicatori di impatto è un’attività che richiede tempo e impone il conseguimento di un accordo fra le parti in causa. D’altra parte, se è vero che l’azione congiunta del pluralismo metodologico e dell’anomia giuridica ha impedito il consolidamento delle prassi di misurazione e valutazione degli impatti e il raggiungimento di un elevato rigore metodologico e che la traduzione di taluni aspetti in indicatori di sintesi è un’operazione piuttosto complessa (Impronta Etica & SCS Consulting, 2016; Borzaga & Fontanari, 2018), all’opposto, le difficoltà applicative si acuirebbero nel caso in cui ci si limitasse a trapiantare gli indicatori da una realtà ad un’altra, senza tener conto delle specificità di contesto.
Per quel che concerne l’operato dell’impresa sociale beneficiaria del sostegno finanziario, occorre scongiurare poi il pericolo del cosiddetto “impact washing”, inteso come abuso del lessico d'impatto per raccogliere fondi o migliorare la propria reputazione, senza in realtà prodigarsi nel produrre un impatto reale o, in alcuni casi, spingendosi piuttosto a generare impatti negativi (OECD, 2019). Ne deriva la necessità sia di definire indicatori di impatto concordati fra le parti in causa, sia l’esigenza di accertare il reale grado di consonanza fra i bisogni reali che promanano dalla collettività e le soluzioni proposte dalle imprese sociali.
A margine, va precisato che la seguente ricerca ha assunto i contorni di studio di un singolo caso e che quindi, in ottemperanza al paradigma kuhniano, i risvolti empirici rilevati possono permettere un affinamento dell’impianto teorico, in attesa di nuovi elementi di validazione o falsificazione ottenibili nel tempo e nello spazio (Dooley, 2002). Muovendo dal particolare ad un piano di massima astrazione, si ritiene che le diverse forme di compenetrazione fra finanza inclusiva e crescita inclusiva debbano essere fatte sussumere, in ogni caso, sotto una prospettiva ecosistemica. Essa, infatti, va considerata la cornice ideale di ogni sforzo proficuo di messa a punto di soluzioni organizzative e meccanismi finanziari coerenti con la forma societaria e la struttura finanziaria del soggetto beneficiario (Stein, 2010). Nello specifico, le soluzioni identificate secondo una prospettiva ecosistemica potranno ad un tempo favorire il rispetto delle caratteristiche strutturali del sito di interesse culturale, l’allineamento con le aspettative della collettività in merito alla destinazione d’uso attesa, nonché garantire un bilanciamento, sia nel quomodo che nel quantum, fra il sostegno finanziario e la scala di investimenti richiesti per innescare la creazione degli impatti desiderati. Quest’ultima va in ultima istanza perseguita attraverso la valorizzazione del bene culturale e la sua utilizzazione a beneficio della collettività, assunta la natura del bene quale “motore vivo di comunità” ad elevato valore esperienziale e simbolico (Vecco, 2010; Commissione Europea, 2014; Parlamento Europeo, 2015).
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