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La corporate governance delle aziende idriche: letteratura e normativa

LA COMPOSIZIONE DEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE

Il CdA è la chiave di una buona corporate governance dato che va a definire la

strategia aziendale, ha un ruolo di consulente65 e di intermediario66. Inoltre, dal punto

di vista della teoria dell’agenzia, ha il fondamentale compito di supervisionare l’operato dei manager, nonché quello di motivarli.

Rappresentando l’interesse degli azionisti di cui l’amministratore delegato è responsabile, il consiglio di amministrazione dovrebbe essere definito in modo da mitigare i conflitti d’interesse che si potrebbero creare fra i membri del consiglio stesso.

La teoria dell’agenzia considera il CdA come uno dei tanti principali dell’agente, rappresentato dall’amministratore delegato, e di conseguenza non è il solo a dover decidere che cosa fare e come l’azienda deve agire, creando scontri ideali fra i

molteplici attori67. Secondo questa visione, la soluzione ai problemi di agenzia può

essere trovata nella struttura del consiglio stesso o nella sua composizione, dove è fondamentale distinguere i consiglieri interni da quelli esterni. I primi sono definiti come amministratori facenti parte del management d’impresa; se la loro presenza è consistente potrebbero indebolire o annullare il controllo del board degli altri

amministratori68, incrementando l’eventualità del dominio del consiglio da parte del

CEO69.

                                                                                                               

65  Adams,  2010;  Agrawal  e  Knoeber,  2001.   66  Jensen  e  Meckling,  1976.  

67  Bernheim  e  Whinston,  1986.  

68  Alderfer,  1986;  Beatty  e  Zajac,  1990;  Schellenger,  Wood  e  Tashakori,  1989.   69  Patton  e  Baker,  1987.  

Ne consegue che la proporzione di inside directors abbia una relazione negativa con il controllo del CdA.

Gli outside directors sono, invece, definiti come amministratori che non fanno parte del management d’impresa. Alcuni studiosi hanno sostenuto che gli outside directors, pur di non sopportare costi reputazionali se le prestazioni dell’impresa dovessero essere negative, sono spinti a monitorare il management con più attenzione rispetto ad

altri membri del board70. Coerentemente con quanto appena detto, imprese composte

in prevalenza da consiglieri esterni, sono più propense a partecipare ad eventi

importanti come ristrutturazioni, fusioni, acquisizioni e offerte pubbliche71, a

rimuovere gli amministratori delegati non performanti72 e sono più propense a

nominare amministratori delegati che siano outside directors73. Pertanto, secondo la

letteratura, l’inclusione di questa categoria di amministratori potrebbe essere d’aiuto per prevenire comportamenti volti alla collusione e al danneggiamento degli azionisti

che in questo modo non sarebbero più spinti da comportamenti opportunistici74.

La letteratura75evidenzia il ruolo degli amministratori indipendenti nel prevenire i

conflitti di interesse tra management e azionisti. Tuttavia, non vi sono evidenze univoche sul fatto che gli amministratori indipendenti possano incrementare il valore

dell’impresa76. Infine, Weisbach (1988) ha riscontrato che i CEO di imprese con

performance non soddisfacenti sono più facilmente rimossi dal loro incarico quando nei board vi è una prevalenza di amministratori non esecutivi. Altri studiosi hanno dimostrato che la ricchezza degli azionisti aumenta con l’aggiunta di questi soggetti

nel CdA77; altri hanno fornito prove a sostegno della tesi che gli outside director

tendono a migliorare il vantaggio economico degli azionisti durante le offerte

pubbliche di acquisto78. Sembra quindi esistere, una relazione negativa tra la

                                                                                                               

70  Fama,  1980;  Fama  e  Jensen,  1983   71  Lin,  1996  

72  Weisbach,  1988  

73  Borokhovich,  Parrino  e  Trapani,  1996   74  Fama,  1980  

75  Harris  e  Raviv,  2008  

76  Bhagat  e  Black,  2002;  Hermalin  e  Weisbach,  1991;  John  e  Senbet,  1998   77  Rosenstein  e  Wyatt,  1990  

percentuale del board composta da amministratori esterni e la probabilità di fraudolenti

rendiconti finanziari79.

Infine, Rosenstein e Wyatt (1990) hanno trovato una relazione positiva fra la composizione del consiglio di amministrazione e il valore dell’impresa: in particolare, hanno esaminato il prezzo delle azioni e hanno riscontrato, il giorno della nomina degli outside director, un incremento significativo del loro prezzo. Nel 1997, i due studiosi non hanno trovato delle variazioni sul prezzo delle azioni con l’ingresso di amministratori esecutivi nel board. Tuttavia, in alcuni casi, hanno mostrato un aumento del valore azionario supportando così l’idea che il valore dell’impresa è legato alle modifiche che si possono fare nel CdA piuttosto che in particolari situazioni di equilibrio nella composizione del consiglio.

Un’ulteriore variabile che incide sulla composizione del consiglio di amministrazione è quella sulle “quote rosa”. La relazione fra la diversità di genere e la performance di un’azienda è stata materiale di studio fin dal passato: Zahara e Stanton (1988) arrivarono alla conclusione che non esisteva una connessione statistica fra queste due variabili, così come Farrell e Hersch trovarono un anomalo rendimento nel giorno dell’annuncio dell’ingresso di una donna nel consiglio.

Al contrario, Carter nel 2003 riportava una correlazione statisticamente positiva tra il valore aziendale e la presenza di una percentuale femminile nel CdA; allo stesso risultato arrivò Heinfeldt nel 2005. Garcia-Sanchez (2010) mostrarono poi una relazione positiva fra il numero di amministratrici e l’efficienza tecnica. Al contrario, Shrader (1997) e Adams e Ferreira (2009) evidenziarono una connessione negativa fra la presenza percentuale di donne e la performance aziendale.

Oggi la situazione è molto più chiara grazie ad un’innovazione legislativa senza

precedenti: il 12 Agosto 2011, con l’entrata in vigore della legge 120/201180 è stata

stabilita una importante novità nell’ambito del diritto societario italiano: gli organi sociali delle società quotate in scadenza dal 12 Agosto 2012 dovranno essere rinnovati riservando una quota pari ad almeno un quinto dei propri membri al genere meno rappresentato: le donne. La legge ha una validità temporale di soli dieci anni, entro i

                                                                                                                79  Beasley,  1996  

quali si auspica di raggiungere l’accesso delle donne a ruoli di comando, favorendo un processo di rinnovamento culturale a supporto di una maggiore meritocrazia e di

opportunità di crescita81. La legge non ha soltanto mobilitato il mondo delle società

quotate, ma anche e soprattutto quelle a partecipazione pubblica; si tratta di una svolta importante, ma censita con difficoltà. La stima è che debbano confluire nelle società

pubbliche, nei prossimi dieci anni, circa diecimila donne, tra consiglieri e sindaci82.

Il settore pubblico quindi viene equiparato al privato e in caso di inadempienza le società vengono diffidate a ripristinare l’equilibrio entro sessanta giorni e, in caso di inottemperanza, viene fissato un nuovo termine di sessanta giorni; inoltre, se le società dovessero risultare ancora inadempienti, l’organo di vigilanza (il presidente del Consiglio o il ministro delegato per le pari opportunità) provvede facendo ricostituire il consiglio di amministrazione o l’organo di controllo nei modi e nei termini previsti

dalla legge e dallo statuto83.

Concretizzando la situazione con alcuni dati, si nota come la presenza delle donne negli organi decisionali abbia implicato dei risultati migliori: una conferma ci arriva dalle imprese familiari in cui il ROE è superiore del 5% rispetto alla media quando il

CdA è misto e i risultati migliori si ottengono là dove le donne siano tre o più84.

La grande scommessa rimangono comunque le società pubbliche: colossi come Eni, Enel, Finmeccanica, finora amministrati e gestiti da soli uomini, dovranno necessariamente riservare il 20% dei consigli di amministrazione e dei collegi sindacali al genere meno rappresentato (a partire dal secondo rinnovo la quota salirà al 33%)85.

Meno studiati sono, invece, l’età media86 del consiglio di amministrazione e la

formazione dei membri87; mentre un numero esiguo di studi empirici che analizzano il

primo aspetto non trovano effetti significativi sulle performance aziendali, alcuni

                                                                                                               

81  Guglielmetti,  “La  legge  120/2011:  effetti  e  conseguenze”,  Il  sole  24ore,  2012   82  Professional  Women  Association  

83  “Via  libera  alle  quote  rosa  nei  CdA  delle  società  pubbliche”,  Marco  Biagi,  30  Gennaio   2013  

84  American  University  of  Beirut,  2013   85  Sacchi,  Corriere  della  sera,  8  Marzo  2014   86  Carter,  2003;  McIntyre,  2007  

autori suggeriscono che le variabili demografiche possono aiutare a capire i valori dei membri del consiglio e, conseguentemente, il comportamento dell’impresa che

rappresentano88. Secondo Forbes e Milliken, il CdA deve essere composto da persone

che possiedono competenze e conoscenze tali da coprire la maggior parte delle materie quali la finanza, la giurisprudenza, il marketing: amministratori, quindi, in grado di gestire in toto le operazioni dell’impresa e tutte le attività che la riguardano. Inoltre, la capacità di mantenere un rapporto col governo nei processi giurisprudenziali o amministrativi (si veda la professione di avvocato), può contribuire a migliorare i risultati aziendali. Con riguardo a quest’ultimo punto, Agrawal e Knoeber nel 2001 considerano la licenza di avvocato come una caratteristica politicamente utile per un amministratore.

Rose (2007) mostra, invece, che la formazione di un amministratore non incide sulle performance dell’impresa, anche se i membri che hanno un diploma di laurea o simili, portano un maggior contributo all’azienda.

Un consiglio di amministrazione può essere formato da soggetti che possono essere classificati in base a diverse criteri: indipendenti e non, interni ed esterni, soggetti che non hanno mai avuto alcun rapporto con il mondo politico ed altri che invece vi partecipano attivamente. In misura diversa, secondo alcuni studi empirici realizzati nel corso degli anni a livello internazionale, tutte queste caratteristiche degli amministratori potrebbero incidere sui risultati di un’impresa.

Per quanto riguarda, infine, l’appartenenza alla classe politica, sono stati condotti

diversi studi89che hanno portato a conclusioni differenti.

Agrawal e Knoeber dimostrano che quando la classe politica rappresenta una determinante fondamentale della redditività di un’azienda, l’ esperienza degli amministratori che ne fanno parte incide profondamente sugli obiettivi dell’azienda stessa e spesso può anche influire sul governo e sulla gestione. Nel loro ultimo lavoro condotto nel 2001, i due studiosi mostrano che l’esperienza politica dei membri di un

consiglio è più comune nelle grandi imprese, dove la politica è fondamentale90, nelle

                                                                                                               

88  Hambrick  e  Mason,  1984;  Erhardt,  2003  

89  Agrawal  e  Knoeber,  1996;  Faccio,  2005;  Kramarz  e  Thesmar,  2006   90  Watts  e  Zimmerman,  1978  

compagnie influenzate dal meccanismo politico attraverso la politica commerciale, la normativa ambientale e dove è normale fare lobbying.

Ci sono degli studi che si concentrano sugli effetti positivi della politica sul valore e

sulle performance di un’impresa91. Faccio, dimostra che il valore dell’azienda aumenta

quando l’amministratore delegato o la maggioranza degli azionisti entra in politica. Questa condizione va ad incidere anche sulla situazione finanziaria dell’impresa: una leva finanziaria maggiore, una tassazione marginalmente più bassa e un maggior

potere di mercato, detenendo anche un ROA92; inoltre, non viene rilevato alcun effetto

sul prezzo nel momento della nomina di politici nel consiglio di amministrazione. Questo risultato è coerente con l’ipotesi che i politici godono delle rendite derivanti dalle imprese che gestiscono e che, in una situazione di equilibrio, i costi di questo

rapporto possono compensare i loro interessi93.

Kramarz e Thesmar nel 2006 affermano che le imprese gestite da un amministratore delegato politicamente coinvolto sono meno redditizie rispetto a quelle amministrate da un CEO con un background distaccato dalla sfera politica.

Concludendo, i risultati di Faccio e Agrawal e Knoeber mostrano che la presenza di “amministratori politici” all’interno di un consiglio di amministrazione può essere dannosa o, al contrario, può portare dei benefici dal punto di vista della performance aziendale: per questo è necessario approfondire questa tematica al fine di provare a contribuire a chiarire se e quale effetto l’appartenenza politica degli amministratori può esercitare sui risultati economico-finanziarie di efficienza delle aziende.

In linea con queste tematiche, la recente ricerca condotta da Romano e Guerrini nel 2014 è stata condotta su 72 water utilities ed ha evidenziato che la maggior parte dei consigli di amministrazione delle imprese-censite è formato mediamente da cinque membri, di cui il 65% è classificabile come politico; inoltre, l’età media si aggira intorno ai 55 anni, con un minimo di 43 e un massimo di 65. Romano e Guerrini hanno poi evidenziato che il 57% dei consiglieri è dotato di un titolo di laurea: a questo

                                                                                                               

91  Faccio,  2006;  Goldman,  2009;  Niessen  e  Ruenzi,  2010  

92  Il  ROA  è  un  indice  di  bilancio  che  misura  la  redditività  relativa  al  capitale  investito  o   all’attività  svolta;  si  calcola  come  rapporto  tra  l’EBIT  (utile  ante  imposte)  e  il  totale   dell’attivo  

proposito, hanno mostrato come in molti casi questo titolo non sia coerente con le competenze specifiche richieste dalle aziende in cui operano gli amministratori, tant’è che si trova un 20% di membri con una laurea in medicina, odontoiatria, letteratura e anche un 16% che si limita a possedere un titolo di scuola media superiore.

Per quanto riguarda la presenza di donne all’interno dei board, è evidente che rappresentano un’esigua minoranza: in media il 10% dei consigli è composto da amministratori di sesso femminile. Infine, la maggior parte delle aziende-censite è a proprietà interamente pubblica, mentre le società private e miste sono soltanto il 27%94.

 

 

 

CAPITOLO  3  

Regole  sui  consigli  di  amministrazione  e  la  raccolta  

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