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La condotta espressiva o il discorso simbolico

La linea argomentativa usata dalla Corte per giustificare la protezione dell’arte sotto il primo Emendamento richiama quella sviluppata nel contesto della cosiddetta condotta espressiva (expressive conduct), detta anche discorso simbolico (symbolic speech162), a seconda della prospettiva

adottata. Certe condotte vengono protette se contengono un elemento di espressività, vale a dire per la loro somiglianza al discorso politico, proprio come avviene per l’espressione artistica.

Questo modo di procedere della Corte ha alla base la ratio delle words

equivalents, condotte che vengono inequivocabilmente percepite dalla

generalità del pubblico per il loro intrinseco significato razionale: simboli, in altre parole163. Del resto, il potere dei simboli è stato riconosciuto fin dai

tempi antichi da tutte le civiltà; il linguaggio stesso, che permette la convivenza sociale, può essere connotato alla stregua di un simbolo. La forza di un tale segno non poteva non essere riconosciuta anche nei ragionamenti dei giudici.

Il discorso simbolico gode di un livello di protezione inferiore rispetto all’espressione verbale pura164 poiché, trattandosi di azioni, anche nel

162 E. Chemerinsky, Constitutional Law, 2006, p. 1063.

163 Il messaggio è inequivocabile: si veda l’etimologia greca di simbolo: σύν βάλλω, mettere insieme.

164 “Pure speech”, Tinker, pp. 505-506.

“[T]he First and Fourteenth Amendments [do not] afford the same kind of freedom to those who would communicate ideas by conduct … as these amendments afford to those

momento in cui si rinvenga un elemento comunicativo dominante, il loro carattere non verbale rimane insuperabile. A volte, però, certe azioni sono talmente “simili al discorso”165 da poter godere dello stesso livello di

protezione del discorso puro. Ecco un caso dove la distinzione

speech/action continua ad essere rilevante. Più ci si allontana dal discorso

politico e ci si avvicina alla semplice condotta, più la tutela del Primo Emendamento sembra affievolirsi. Tuttavia, rimane la difficoltà di decidere quando un’attività debba ritenersi espressiva; si dovrà aspettare Spence v.

Washington166 perché venga fornita una prima risposta.

Il problema della tutela del discorso simbolico si pone per la prima volta alla Corte nel 1931 con Stromberg v. California167, in cui si riconosce la

costituzionalità dell’atto di esporre una bandiera rossa come simbolo protetto dal Primo Emendamento. In questo primo caso, la Corte non provvede alla formulazione di criteri per stabilire quali tipi di condotta e in quali circostanze certe condotte possano ritenersi espressive, anzi si concentra su tutt’altra questione, basando la sua motivazione sul carattere troppo vago e indefinito della disposizione legislativa che puniva

who communicate ideas by pure speech”, Shuttlesworth v. Birmingham, 394 U.S. 147 (1969), p. 152, citando Cox v. Louisiana, 379 U.S. 536 (1965), p. 555. “[I]t is now clear that the communication of ideas by conduct is not guaranteed the same degree of protection accorded communication by pure speech.”, Joyce v. United States, 454 F.2d 971 (D.C. Cir. 1971), p. 987, cert. denied, 405 U.S. 969 (1972). Qualcuno invece ha sostenuto che “historical framework and general purpose behind the first amendment do not support” la posizione secondo cui il discorso simbolico riceva una protezione minore di quella concessa al discorso puro, Symbolic Conduct, in 68 Columbia Law Review 1091, 1968, p. 1105; ma si veda, L. Levy, Legacy of Suppression 236 (1960).

165 Tinker, cit. Accade nei casi di profanazione della bandiera, ad esempio. 166 Spence v. Washington, cit. Si rimanda infra.

167 Stromberg v. California, 283 U.S. 359 (1931). Questo è uno dei primi casi in cui trova applicazione la vagueness doctrine (diversa dalla overbreadth doctrine).

l’esposizione della bandiera.

Pochi anni dopo, però, l’astensione del saluto alla bandiera americana imposto dalle autorità scolastiche, in West Virginia State Board of Education

v. Barnette, venne esplicitamente tutelata come modo di comunicare un

messaggio: “[s]ymbolism is a primitive but effective way of communicating ideas. […] is a short cut from mind to mind”168. Similmente, molto tempo

dopo, l’atto di indossare una fascia nera al braccio come protesta contro la guerra in Vietnam si considerò “closely akin to pure speech”, perciò meritevole di tutela169.

Tuttavia, l’unico tentativo compiuto di tracciare dei confini tra condotta espressiva e semplice condotta si avrà con il caso United States v. O’Brien170

del 1968, riguardante O’Brien, privato cittadino che durante una manifestazione pacifista aveva dato fuoco alla propria cartolina di precetto sui gradini di un tribunale di Boston. La distinzione che la Corte pretende di delineare è tra elementi comunicativi ed elementi non comunicativi della condotta171, ritenendo che una qualche regolamentazione possa rivolgersi

168 West Virginia State Board of Education v. Barnette, 319 U.S. 624 (1943), p. 632. Si noti come sia un caso riguardante il sistema scolastico ad affermare per la prima volta la tutela di un tipo di condotta espressiva. I casi riguardanti la scuola costituiscono sempre un filone giurisprudenziale a sé, in ragione delle caratteristiche peculiari che si ritiene appartengano all’ambiente scolastico (si pensi ai casi in tema di tutela della libertà religiosa, dove avviene lo stesso).

169 Tinker v. Des Moines Independent Community School District (1969), p. 505. Si vedano altri casi simili: una marcia di protesta è espressione protetta, vedi Gregory v. City

of Chicago, 394 U.S. 111 (1969), p. 112 (“a march, if peaceful and orderly, falls well within

the sphere of conduct protected by the First Amendment”), anche se fatta con una svastica cucita sull’uniforme, Nat’l Socialist Party of Am. v. Village of Skokie, 432 U.S. 43 (1977).

170 United States v. O’ Brien, 391 U.S. 367 (1968).

171 Ma si veda Cohen v. California, 403 U.S. 15 (1971), p. 18, dove la condanna del ricorrente venne ritenuta invalida perché la condotta punita era l’elemento comunicativo; L. Henkin, The Supreme Court – 1967 Term, Foreword: On Drawing Lines, in 82 Harv. L.

all’aspetto non comunicativo.

La prima preoccupazione dei giudici è di evitare che “an apparently limitless variety of conduct can be labeled ‘speech’”172, anche se la persona

coinvolta nell’azione intende esprimere un’idea: la premessa è che, anche qualora una certa condotta contenga un elemento comunicativo, non ne debba necessariamente seguire che quella condotta trovi automatica protezione sotto il Primo Emendamento. Dato per scontato che esistano degli elementi espressivi nel gesto di bruciare la propria cartolina di precetto, e dato per scontato anche che, trattandosi di condotta, a prevalere siano gli elementi non espressivi, si stabilisce che una qualche limitazione incidentale sull’aspetto comunicativo dell’azione possa essere giustificata dalla presenza di un “sufficiently important governmental interest” nel regolare la condotta in sé. Per stabilire quando ci si trovi in presenza di un interesse di questo tipo, i giudici elaborano un test in quattro parti: 1) se l’interesse rientra tra i poteri costituzionali del governo (governmental

interest); 2) se l’interesse è rilevante o comunque sostanziale (important or substantial); 3) se non è direttamente collegato (unrelated) alla repressione

della libertà di espressione; 4) infine, se la restrizione incidentale della libertà di espressione non risulti sproporzionata (greater than is essential to

the furtherance of that interest)173.

Nel confermare la condanna di O’Brien, la Corte si limita ad applicare i quattro punti, non accennando alla questione preliminare di come attribuire carattere espressivo alla condotta. Supponendo che la distruzione della

172 Cfr. Kleinman v. City of San Marcos, 2010, in cui la Corte scrive che “non si deve applicare il Primo Emendamento per ogni caso riguardante forme di espressione visiva non verbale”.

cartolina equivalesse alla volontà di esprimere un’idea, la Corte si concentra sul bilanciamento tra il diritto costituzionale alla libera espressione di quell’idea e l’interesse statale al corretto funzionamento del Selective

Service System, mantenendo così l’incertezza sulla fase di individuazione

del carattere comunicativo della condotta, che presuntivamente dovrebbe precedere l’applicazione del test.

Che non siano stati ancora elaborati dei criteri per stabilire quando la condotta è espressiva, lo fa notare il giudice Harlan nella sua opinione concorrente in Cowgill v. California174 (1970): la Corte in O’Brien ha, sì,

predisposto un test che soppesa l’interesse statale nel vietare una condotta e l’interesse costituzionale alla libertà di espressione, ma non ha ancora formulato il test preliminare che serve per determinare a che punto la condotta diventa così intessuta con l’espressione da rendere necessaria l’applicazione del test di O’Brien.

Si dovrà arrivare a Spence v. Washington175 (1974) perché la Corte tenti di

sviluppare una definizione funzionale a decidere quando la condotta è espressiva quindi protetta. I fatti del caso riguardavano Spence, studente universitario che aveva apposto il simbolo della pace fatto di nastro adesivo nero sulla bandiera americana, poi esposta al contrario dalla finestra del suo appartamento, e la sua violazione della legge che vietava l’uso improprio della bandiera nazionale, in specie, l’apposizione su di essa di qualsiasi simbolo. La Corte per la prima volta si concentra sui criteri legati al carattere espressivo di una condotta, ed in particolare ne individua due:

174 Cowgill v. California, 396 U.S. 371 (1970). 175 Spence v. Washington, 418 U.S. 405 (1974).

l’intento comunicativo del convenuto e la comprensione del messaggio da parte di coloro che si trovavano ad essere spettatori176.

In questo modo, Spence completa il quadro normativo di riferimento per l’analisi, ai fini della tutela entro il Primo Emendamento, di quell’espressione che è comunicativa ma non verbale, carattere che la avvicina di molto alla natura dell’espressione artistica.

Da questo momento in poi, in questi casi, la Corte si troverà spesso a suddividere la sua analisi in due parti: nella prima, si chiederà se la condotta è espressiva, utilizzando il test di Spence; se la condotta è espressiva, nella seconda verificherà se le limitazioni imposte dal governo sono legittime, utilizzando il test di O’Brien.

Allora, facilmente l’incedere argomentativo dei giudici alle prese con la questione di decidere sulla libertà dell’arte percorrerà le due fasi sopra descritte: ci si chiederà se l’oggetto in causa possieda elementi comunicativi, applicando il test di Spence, successivamente, una volta appurato il carattere espressivo, si valuterà se le limitazioni imposte dall’intervento statale possano ritenersi valide, applicando generalmente il test di O’Brien, ma ricorrendo spesso anche ad altri test, come quello sul luogo, tempo e modalità di espressione.

Si vedrà, tuttavia, come il quadro normativo di riferimento per la libertà artistica non possa arrestarsi a questo, essendo l’arte molto più che condotta mista ad espressione.

176 “An intent to convey a particularized message was present, and in the surrounding circumstances the likelihood was great that the message would be understood by those who viewed it”, Spence v. Washington, cit., pp. 410-411.

9. Tra condotta espressiva ed espressione artistica. Un caso di studio: