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La regola di Bleistein ed il relativismo del giudice Holmes

L’opinione del giudice Oliver Wendell Holmes Jr. che nel 1903 decideva

Bleistein v. Donaldson93 può dirsi senza dubbio la dichiarazione

giurisprudenziale più famosa e doviziosamente articolata sul problema di una definizione giuridica di arte: essa costituisce il precedente più citato da quei giudici che vogliono giustificare la loro scelta di non pronunciarsi di fronte a presunte opere artistiche94, nonché il punto di partenza di numerosi

studi dottrinali95.

Prima di procedere nell’analisi, vale la pena riportare l’intero stralcio

93 Bleistein v. Donaldson Lithographing Co., 188 U. S. 239 (1903).

94 Tra i numerosissimi casi che citano Bleistein, si ricordano, poiché approfonditi o menzionati anche in altre parti del testo, Mattel, Inc. v. Walking Mountain Productions, p. 801 (cfr. infra); Parks v. LaFace Records, pp. 462-463 (cfr. infra, parag. ); Gracen v.

Bedford Exch., cit., p. 304 (cfr. supra, nota 88); Esquire, Inc. v. Ringer, cit., p. 805 (cfr.

supra, nota 67); Haberman v. Hustler Magazine, Inc., 626 F. Supp. 201 (D. Mass. 1986), p. 209 (cfr. infra, parag. ).

95 Bleistein viene citato in molti studi che tentano di trovare delle basi giustificative al

restraint dei giudici in materia artistica e estetica: molti sono d’accordo con la regola di

Holmes, ma alcuni tentano anche di superarla. Denicola, ad esempio, concorda con la regola di Bleistein e propone nuovi test per verificare il requisito della separabilità, “conceptual separability” (il Copyright Act richiede ai giudici di separare gli elementi estetici dagli elementi utilitaristici, cfr. R.M. Polakovic, Should the Bauhaus be in the

Copyright Doghouse? Rethinking Conceptual Separability, in 64 U. Colo. L. Rev. 871,

1993, p. 873), che non coinvolgano la soggettività dell’estetica, R.C. Denicola, Applied Art

and Industrial Design: A Suggested Approach to Copyright in Useful Articles, in 67 Minn. L. Rev. 707, 1983, p. 708 n. 10. Anche G.R. Ruskin (Copyright Protection for Useful Articles Can the Design of an Object Be Conceptually Separated from the Object’s Function?, in 33 Santa Clara L. Rev. 171, 1993, p. 173) propone nuovi test che evitino “the

pitfall of requiring judges to make artistic value judgments”. Tra coloro, invece, che indagano Bleistein per capire le motivazioni del restraint dei giudici, ma non lo condividono, A.C. Yen, Copyright Opinions and Aesthetic Theory, cit.; C.H. Farley,

Judging Art, cit.; C. Douzinas, The Aesthetics of the Common Law, in 17 Studies in Law Politics and Society 3, 1997.

della sentenza che è diventato il principale punto di riferimento per chiunque si accinga a voler sostenere (ma anche da coloro che si apprestano a confutare) la tesi della necessaria moderazione dei giudici alle prese con la materia artistica:

“It would be a dangerous undertaking for persons trained only to the law to constitute themselves final judges of the worth of pictorial illustrations,

outside of the narrowest and most obvious limits. At the one extreme, some

works of genius would be sure to miss appreciation. Their very novelty would make them repulsive until the public had learned the new language in which their author spoke. It may be more than doubted, for instance, whether the etchings of Goya or the paintings of Manet would have been sure of protection when seen for the first time. At the other end, copyright would be denied to pictures which appealed to a public less educated than the judge. Yet if they command the interest of any public, they have a commercial value – it would be bold to say that they have not an aesthetic and educational value – and the taste of any public is not to be treated with

contempt. It is an ultimate fact for the moment, whatever may be our hopes

for a change”96.

I fatti del caso riguardavano delle locandine pubblicitarie disegnate da George Bleistein per “The Great Wallace Shows”, un circo itinerante dell’Indiana, raffiguranti ballerine scollate e con le gambe scoperte97. La

domanda su cui veniva richiesta una pronuncia da parte della Corte era se le locandine, fatte ristampare non da Bleistein che le aveva ideate ma dal

96 Bleistein v. Donaldson Lithographing Co., cit., pp. 251-252 (corsivo aggiunto). 97 I poster rappresentavano “décolletés and fat legged ballet girls”, secondo le parole di Holmes riportate in una sua biografia (S.M. Novick, Honorable Justice: the Life of Oliver

convenuto Donaldson, fossero coperte da diritto d’autore. Il giudice Holmes, con una pronuncia che fu il suo vero debutto alla Corte Suprema, decise di schierarsi a favore di una forma d’arte considerata minore (low

art), per diversi aspetti controversa98, la cui tutelabilità si presentava per

altro affatto scontata, concedendo alle locandine la protezione del diritto di

copyright. Secondo Holmes, la copertura di tale diritto non avrebbe dovuto

restare confinata alle forme d’arte classica, come la pittura tradizionale (high art): era necessario, invece, adeguarsi ai tempi e mostrare apertura verso le nuove forme d’arte (come quella che in Bleistein si sceglie di tutelare e che sarà poi definita commercial art) poiché “the taste of any public is not to be treated with contempt”.

Se molti studiosi e studenti di diritto si interessano a Bleistein solo in quanto pronuncia chiave riguardante la soglia di originalità da varcare per accedere alla tutela del diritto d’autore, la sua portata appare ancora più vasta e rivoluzionaria se la si pensa come quella che col tempo è diventata un vero e proprio manifesto giuridico del relativismo estetico.

A questo proposito, però, potrebbe essere interessante fornire delle parole di Holmes un’interpretazione alternativa, volta a insinuare qualche dubbio sull’inequivocabilità del messaggio che egli avrebbe voluto trasmettere e sulla solidità di quel manifesto99. Ciò che stride, e vale la pena notare, è che

in un’opinione che verrà citata in decine di casi successivi da giudici che

98 Si possono ravvisare almeno tre aspetti controversi nei poster: il primo è che si tratta di poster pubblicitari, più spesso coperti dal diritto dei marchi che dal diritto d’autore; il secondo riguarda il mezzo della litografia, che permetteva una riproduzione di massa dei poster in un periodo storico in cui persino il valore artistico della fotografia era ancora messo in discussione; il terzo attiene al possibile carattere volgare e offensivo della semi nudità delle ballerine.

99 Si riprendono delle considerazioni su Bleistein elaborate in C.H. Farley, Judging Art,

vogliono giustificare il loro distacco da qualsiasi tentativo di definire l’arte, due pagine su otto siano piene di riferimenti agli artisti più diversi e persino al critico d’arte Ruskin. Quel rischio – “dangerous undertaking” – a cui Holmes si riferisce, allora, insito nell’impresa di definire la qualità artistica di un’opera, potrebbe forse essere letto più come un caveat per quei colleghi (il giudice Harlan, per esempio, che dissentirà facendo riferimento al mero uso ai fini commerciali dei cartelloni), dal novero dei quali implicitamente si tira fuori100, che, a suo parere, non si intendono di arte e fuori dai

“narrowest and most obvious limits” potrebbero trovarsi in seria difficoltà, piuttosto che una preoccupazione generalizzata per l’inadeguatezza della figura del giudice di fronte a questioni estetiche, che diventa un chiaro ammonimento a non cimentarsi in simili imprese.

Se infatti ci fossero giudici con una preparazione più ampia, dotati di un’educazione artistica di un certo grado, potrebbero a quel punto essere qualificati per giudicare simili questioni? Si pensi, ad esempio, al giudice Newman della Corte d’Appello del Secondo Circuito che, nel caso

Leibovitz101, dà sfoggio di tutta la sua erudizione artistica collegando la

100 Holmes in Bleistein cita, oltre all’opera The Elements of Drawing del critico d’arte Ruskin, gli artisti Velasquez, Whistler, Rembrandt, Steinla, Degas, Goya e Manet. Sicuramente Holmes ci tiene a dimostrare come lui stesso non possa essere annoverato tra quei giudici filistei, “trained only to the law”, affatto in grado di dare giudizi su arte e estetica. Quando era uno studente all’università di Harvard, Holmes aveva scritto uno dei suoi primi saggi sul Rinascimento tedesco e l’artista Albrecht Dürer, basandosi sugli scritti di Ruskin ed in particolare The Elements, citato, come abbiamo visto, in Bleistein.

101 Annie Leibovitz v. Paramount Pictures Corporation, 137 F.3d 109 (2nd Circ. 1998),

p. 111, nota 1 del giudice Newman: “The pose of a nude female with one arm sometimes fully or partially covering the breasts and the other arm covering the pubic area is known in classical art as “Venus Pudica.” See James Hall, Dictionary of Subjects and Symbols in Art 318-19 (1974). “The first and greatest artistic embodiment of the Venus Pudica was the Aphrodite of Knidos (Cnidus) by Praxiteles. After nearly a thousand years in disuse, the pose reappeared in the late Middle Ages, in classicizing imitation – first in the figure of Eve after the Fall, and later in female allegorical figures and depictions of Venus. Since from the

fotografia di una Demi Moore nuda ed incinta, scattata da Annie Leibovitz per la copertina di Vanity Fair, con il famoso dipinto rinascimentale “La nascita di Venere” di Botticelli. Un giudice come Newman sarebbe, dunque, in grado di esprimere giudizi appropriati riguardo ad un’opera102?

Non è del tutto inverosimile, allora, l’ipotesi secondo cui Holmes con la sua decisione in Bleistein possa non aver voluto fare una considerazione generale sul ruolo del giudice e del diritto in contrapposizione alle dinamiche dell’arte. Più semplicemente, il suo intento potrebbe essere stato quello di avvertire di prudenza quei giudici “trained only to the law” che di fronte a casi difficili, “fuori dai più ristretti e ovvi limiti” in cui chiunque sarebbe in grado di giudicare, avrebbero dovuto prendere delle decisioni delicate sulla natura dell’arte, dal cui esito sarebbe dipesa la risoluzione dell’intera controversia. All’opposto, esistono anche opinioni giudiziali che

12th through the 15th century the pose was understood merely as a gesture of modesty, it was used also for the figure of Adam after the Fall.” Eugenio Battisti, Visualization and Representation of the Figure, in VII Encyclopedia of World Art 665, 669 (1963). An example of the Venus Pudica pose assumed by both a male and a female figure is Van Eyck’s diptych of Adam and Eve in the Ghent Cathedral. See Edwin Mullins, The Painted Witch-Female Body: Male Art 29 (1985). Hall translates “Venus Pudica” as “Venus of Modesty”, Hall, supra, at 319, although the more literal translation of the noun and adjective would be “modest Venus”. Mullins contends that Van Eyck’s figure of Eve feels guilty about being pregnant, see Mullins, supra, at 29, justifying an alternate meaning of “pudica” as “ashamed”. The phrase is sometimes rendered “Venus Pudens” using the present participle to mean either “being modest” or “being ashamed”. In Botticelli’s version, displayed in the Uffizi Gallery, Venus, having just been born, is presumably not pregnant, although her stomach is slightly distended. In Van Eyck’s diptych of Adam and Eve, Eve is said to be pregnant. See id.”.

102 Altri giudici, seppur in modo più contenuto di Newman, si trovano occasionalmente a fare riferimenti artistici nelle loro decisioni: il giudice Frank in Roth v. United States, 237 F. 2d 796 (2nd Cir. 1956) cita Coleridge; Posner in Piarowski v. Illinois Community College,

759 F. 2d 625 (7th Cir. 1985) richiama Aristofane e dimostra una discreta conoscenza della

storia dell’arte; il giudice Hand in United States v. One Book Called “Ulysses” cita Boccaccio; il giudice distrettuale Ploscowe, in People v. Gonzales, 107 N.Y.S. 2D 968 (Mag. Ct. N.Y. County 1951) fa dei paragoni con Goya e Rubens.

hanno sostenuto come i giudici sarebbero da considerarsi i soggetti più adatti per valutare la natura artistica di un oggetto, persino più degli esperti, in quanto più vicini al sentire comune103.

Ma osserviamo adesso come la dichiarazione di Holmes influenza in concreto il suo operato. Con un approccio liberale, che lo contraddistinguerà poi in tutta la sua attività di giudice, Holmes ha teso ad ampliare la copertura del diritto d’autore, riducendo il quantum di originalità necessario per la qualifica di opera d’arte. Così facendo, si discosta da alcuni precedenti, che invece avevano previsto dei test molto rigidi per soddisfare il requisito dell’originalità. La stessa Corte, infatti, circa due decenni prima di Bleistein, aveva negato che i diritti di copyright potessero proteggere simboli usati per identificare beni commerciali, non ritenuti frutto di alcun lavoro intelletuale e creativo (“founded in the creative powers of the mind”

104) se comparati ad altri oggetti dotati, invece, del carattere dell’originalità

(“original designs for engravings, prints, etc.”105). Pochi anni più tardi, in

Burrow-Giles Lithographic Company v. Sarony106, l’opinione di

maggioranza ritenne che un ritratto fotografico di Oscar Wilde non potesse essere definito alla stregua di una semplice riproduzione meccanica, dovendo piuttosto qualificarsi come opera d’arte originale, ma questo sulla base di considerazioni legate a criteri specifici, chiaramente indicati (prova

103 Nel caso Regina v. Penguin Books Ltd., [1961] Crim LR 176, sul romanzo Lady

Chatterley’s Lover di D.H. Lawrence del 1960, il giudice Byrne pone la domanda retorica:

“who will best read the book and be affected by it in the way the unspecialised in English Literature will read and be affected by it – an expert, a judge or a juryman?”.

104 Trademark Cases, 100 U.S. 82 (1879), p. 94. 105 Id.

dell’originalità; prova della produzione intellettuale; prova del pensiero e concepimento dell’opera da parte dell’autore)107. Se prima di Bleistein,

dunque, la presenza di certi requisiti così stringenti, che sembrava ponessero la domanda “è arte valida?” piuttosto che “è arte?”, poteva lasciar supporre che i giudici avrebbero finito per dover ricorrere a criteri estetici, con

Bleistein non si lascia alcun margine per potersi spingere fino ad una

valutazione di questo tipo sul merito di un oggetto artistico. Il livello della soglia di creatività minima richiesto è decisamente basso108: l’autore deve

solo aver apportato qualcosa di più di una banale variazione, aggiungendo qualcosa di suo. In tal senso, originalità a partire da Bleistein significa poco più del divieto di copiatura pedissequa109, mentre non influisce in alcun

modo il giudizio estetico o artistico sull’opera; la domanda che si pongono i

107 Id., p. 53, “Whether a photograph is a mere mechanical reproduction or an original work of art is a question to be determined by proof of the facts of originality, of intellectual production, and of thought and conception on the part of the author”. La Corte esamina lo sforzo creativo dell’autore della fotografia, che include posizionare il soggetto in un certo modo, scegliere costumi e accessori appropriati e applicare diverse luci e ombre. Ma le foto scattate da Henry Cartier-Bresson, ad esempio, che colgono momenti della vita quotidiana parigina e non sono affatto inscenate, non sarebbero da considerarsi opere d’arte meritevoli della protezione del diritto d’autore? Certamente sì, anche se con i criteri stringenti di

Burrow-Gilles si troverebbe una certa difficoltà a poter sostenere tale affermazione.

108 Il requisito del “modicum of creativity” è stato applicato in modo esplicito dalla Corte nel 1991 in Feist v. Rural Telephone Service: “Original, as the term is used in copyright, means only that the work was independently created by the author (as opposed to copied from other works), and that it possesses at least some minimal degree of creativity. [...] To be sure, the requisite level of creativity is extremely low; even a slight amount will suffice. The vast majority of works make the grade quite easily, as they possess some creative spark, “no matter how crude, humble or obvious” it might be.”, Feist

Publications, Inc. v. Rural Telephone Service Co., 499 U.S. 340 (1991), p. 363.

Un secondo requisito necessario per stabilire la tutela del diritto d’autore si basa sulla cosiddetta idea-expression dichotomy, codificata dal Copyright Act del 1976, per cui il diritto di copyright proteggerà l’espressione di un’idea, ma mai l’idea stessa. La difficoltà di distinguere tra idea ed espressione viene affermata più volte a livello giurisprudenziale, per esempio in Steinberg v. Columbia Pictures Industries, Inc., 663 F. Supp. 706 (F.D.N.Y. 1987). Si rimanda infra, parag. 7.1.

giudici di fronte ad un oggetto torna ad essere esclusivamente “è arte?”. Insomma, le interpretazioni che possono darsi – e che sono state date – alle parole di Holmes sono molteplici ed alcune addirittura fantasiose. Alcuni giuristi hanno evidenziato come la decisione abbia dato una svolta alla disciplina del diritto d’autore, fornendo le basi per la moderna concezione di originalità. Altri hanno preferito leggere quanto dichiarato da Holmes in chiave storica, intravedendovi una presa di posizione contro una visione conservatrice del diritto di copyright come privilegio delle élites, uniche capaci di una “original mental conception”, visione che diventa un ulteriore meccanismo di stratificazione classista favorendo la divisione tra una classe di lavoratori intellettualemente inferiori ai loro superiori sulla base di capacità intellettuali110. Altri ancora hanno interpretato la

dichiarazione del giudice Holmes come una mossa lungimirante, capace di offrire una via di fuga al problema di definire l’arte in un momento storico in cui le classiche nozioni che avrebbero potuto aiutare nell’impresa stavano per essere ribaltate da artisti come Paul Cezanne e da tutta la corrente Post- Impressionista (vale a dire, quel Modernismo in cui erano già presenti in

nuce le forze distruttive del Post-Modernismo).

Ciò che, tuttavia, rileva ai fini del presente lavoro, è come la manovra di Holmes contro ogni tentativo giurisprudenziale di decidere secondo la propria sensibilità estetica sul valore artistico di un oggetto, abbia reso

110 É il punto di vista di certi storici della proprietà intellettuale, come Kurt Newman. Cfr. V.D.L. Zimmerman, The Story of Bleistein v. Donaldson Lithographing Co., in J. Ginsburg, R. Dreyfuss (a cura di), Intellectual Property Stories, New York, Foundation Press, p. 77, 2005, pp. 91-92. La giurisprudenza, attraverso le parole di Holmes, riconosceva per la prima volta il principio secondo cui il datore di lavoro, attore nella controversia, ha il diritto di rivendicare la violazione del copyright rispetto all’opera creata dal dipendente, nell’ambito dell’attività per cui era stato retribuito, utilizzando le strutture messe a disposizione dal datore di lavoro.

Bleistein opinione di riferimento, rifugio per tutti quei giudici che scelgono

di evitare, più o meno esplicitamente, di affrontare la domanda “cosa è arte”

111.