La giurisprudenza ha in più occasioni riconosciuto la tutela del Primo Emendamento a forme di espressione non verbale, che riescono a trasmettere un messaggio solo per la loro capacità di evocazione. “Per comprendere “Guernica” di Picasso non serve conoscere lo spagnolo”285,
scriveva la Corte di Mastrovincenzo.
Tuttavia, l’artista, soprattutto quello post-moderno, non sempre intende comunicare un’idea razionale, articolabile, precisa. “Valendosi d’un genere di comunicazione che può saltare a piè pari la razionalità, l’arte è in grado di agire in profondità realizzando un genere di informazione che s’esercita in
284 “Too much work principle”, si veda M.V. Tushnet, Art and the First Amendment,
cit.
prevalenza sul nostro sentimento, ma che non per questo è meno vitale e necessaria”286.
Il paradigma del “mercato delle idee”, che permea l’intera giurisprudenza in materia di Primo Emendamento, tende a svilire il valore irrazionale, non comunicativo dell’arte, riconoscendo solo il suo potenziale razionale, discorsivo, politico287.
La propensione a ricondurre la protezione dell’arte entro la teoria tradizionale, obbliga ogni volta la Corte alla ricerca di un contenuto espressivo e la costringe a lottare contro quelle opere la cui essenza comunicativa è invece irrazionale e non discorsiva288.
286 G. Dorfles, Le oscillazioni del gusto, Milano, Skira, p. 101. Cfr. “L’arte non è discorso”, D. Formaggio, citato da F. Rimoli, La libertà dell’arte nell’ordinamento italiano,
cit., p.148.
287 M.A. Hamilton, Art Speech, 49 Vand. L. Rev. 73, 1996, pp. 105-112.
288 I casi in cui le corti hanno avuto difficoltà nell’individuare l’elemento di espressività che giustificasse la tutela del Primo Emendamento, ma nonostante questo hanno lottato per trovarlo e giustificare la tutela sulla base di questo (spesso non riuscendovi), sono molti. Tra questi, e.g., Bery v. City of New York I, cit.; Close v. Lederle, 424 F.2d 988 (1st Cir. 1970) cert. denied, 400 U.S. 903 (1970), rifiutando di riconoscere la
tutela del diritto degli artisti di esporre negli edifici dell’università dei lavori che esibivano genitali, sulla base dell’estensione del diritto degli studenti di ascoltare oratori impopolari, sostenendo che i casi riguardanti i discorsi verbali “involve[d] a medium and subject matter entitled to greater protection than plaintiff’s art”, mentre nel caso in questione “[t]here is no suggestion [...] that plaintiff s art was seeking to express political or social thought”, p. 990. Un filone giurisprudenziale in cui la Corte Suprema ha avuto particolari difficoltà in questo senso è stato quello sulla danza, intesa non come danza classica, moderna o contemporanea (cfr. Bella Lewitzky Dance Co. v. Frohnmayer, 754 F.Supp. 774, 783 (C.D. Cal. 1991), in cui la Corte assume senza alcuna discussione al riguardo che la danza ,“fine art dance”, sia espressione artistica protetta dal Primo Emendamento), ma come danza per adulti (nude
dancing). Sebbene nelle prime decisioni in materia sia stata riconosciuta la protezione di
una forma d’espressione per la quale, di certo, non è facile individuare un messaggio razionale sottostante (California v. LaRue, 409 U.S. 109 (1972), Doran v. Salem Inn, Inc., 422 U.S. 922 (1975) e Schad v. Mount Ephraim, 452 U.S. 61 (1981), che riconoscono alla danza per adulti la protezione del Primo Emendamento), più tardi la tendenza cambia, anche perché la Corte non ha criteri su cui basarsi ed è costretta all’analisi caso per caso del valore dell’espressione che si trova di fronte, cfr. Dallas v. Stanglin, 490 U.S. 19 (1989), che ritiene la recreational dance fuori dall’ambito di tutela del Primo Emendamento. Una pronuncia particolarmente interessante è Barnes v. Glen Theatre, Inc., 501 U.S. 560 (1991),
Tuttavia, la prospettiva cambia con Hurley289, in cui per la prima volta si
riconosce che un messaggio particolare e succintamente articolabile non rappresenta la condizione necessaria per rientrare entro i confini di tutela del Primo Emendamento.
Invero, la Corte aveva contemplato un simile risultato già molto tempo prima. Nel 1948, infatti, Winters v. New York rifiutava l’idea che l’espressione dovesse essere protetta solo se comunicativa: anche ciò che vuole essere puro intrattenimento merita la protezione del Primo Emendamento, esattamente come ciò che ha come scopo primario l’informazione; non è necessario che si tratti del “meglio della letteratura”290.
Con Hurley, finalmente, l’arte non viene considerata come mera sotto- categoria di condotta, inclusa nel Primo Emendamento solo se espressiva, ma viene tutelata in sé, per il suo valore intrinseco e peculiare, risparmiando ai giudici il duro compito di rintracciare l’elemento comunicativo come pre- condizione della sua tutela.
Tuttavia, anche nel trattare l’arte come intrinsecamente espressiva, a prescindere dall’individuazione di un messaggio razionale, esistono delle
in cui la pluralità dei giudici ritiene la danza per adulti marginalmente protetta dal Primo Emendamento “as within the outer perimeters of the First Amendment”, p. 565. L’opinione concorrente di Souter specifica come la nude dancing, diversa da quella d’intrattenimento, ma quella che si trova ad esempio nelle produzioni di “Hair” o “Equus”, sia una questione diversa ai fini della tutela del Primo Emendamento. L’opinione dissenziente di White, invece, non distingue le due categorie di nude dancing e ritiene che entrambe, in quanto generatrici di “pensieri, idee, emozioni che sono l’essenza della comunicazione”, debbano godere del “most exacting scrutiny”, pp. 592-593.
289 Hurley v. Irish-American Gay, Lesbian & Bisexual Group of Boston, cit., p. 569. Anticipata da Piarowski v. Illinois Community College, 759 F.2d 625 (7th Cir. 1985), p. 628: “[T]he freedom of speech and of the press protected by the First Amendment has been interpreted to embrace purely artistic as well as political expression”.
insidie per i giudici. In tali situazioni, infatti, le corti si ritroveranno inevitabilmente costrette di fronte alla temuta questione della definizione giuridica di arte, alla quale fino a quel momento avevano cercato di sfuggire ricorrendo alle rassicuranti dottrine tradizionali. Le corti dovrebbero dare una giustificazione, fornire dei criteri, ma non lo fanno, scegliendo, caso per caso, di dare per assunto o meno il carattere artistico o ritornando, come abbiamo visto, a ragionare sul criterio dell’espressività291.
In un’epoca in cui la teoria costituzionale ha ormai risolto le dispute fondanti intorno alla libertà di espressione, come quella di identificare il nucleo essenziale di tutela, distinguere i valori sottostanti, costruire una architettura ordinante dei vari tipi di espressione e livelli di protezione, la direzione più fruttuosa verso cui indirizzare gli sforzi compilativi viene individuata da alcuni studiosi292 in quella che indaga le frontiere del Primo
Emendamento, catturandone il significato più completo. Innegabilmente, giustificare l’arte come espressione protetta entro il Primo Emendamento rientra in un simile progetto poiché cattura il pieno significato della norma costituzionale, quello che comprende sia la dimensione razionale che quella
291 Un esempio che può servire ad illustrare la difficoltà del problema riguarda i casi che devono decidere se l’attività del tatuatore possa considerarsi espressione artistica. La Corte Suprema del Massachusetts, applicando Hurley, sostenne che la pratica del tatuare fosse equivalente al processo di creazione di un’opera d’arte e dunque meritasse la medesima protezione del Primo Emendamento (Lanphear v. Mass., Sup. Ct., Suffolk County, Case No. 99-1896-B (2000)). Tuttavia, la Corte Suprema del South Carolina, tornando ad appoggiarsi al requisito di Spence secondo cui la condotta deve essere “sufficiently imbued with elements of communication”, non ritenne tatuare abbastanza espressivo e confermò la disposizione che limitava tale attività (State v. White, 560 S.E.2d 420, 423 (S.C. 2002)).