• Non ci sono risultati.

La direttiva 96/71/CE e la relativa giurisprudenza

Capitolo III. I possibili sviluppi in Unione Europea: una nuova era?

1. La competenza UE in materia di retribuzioni

1.2. La direttiva 96/71/CE e la relativa giurisprudenza

compe-tenze dell’Unione Europea in tema di retribuzione siffatta materia assume in verità un rilevante ruolo nella struttura di una fonda-mentale direttiva europea, ossia la direttiva 96/71/CE sul distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione transnazionale di ser-vizi: proprio le disposizioni in materia retributiva contenute in tale atto di diritto derivato sono state peraltro il centro di alcune delle più note e discusse sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, come il caso Laval32 e il caso Rüffert.33

28 Consultation Document 14 Gennaio 2020, p.10.

29 Direttiva 2000/78/CE, 2000/43/CE, Direttiva 2006/54/CE.

30 Consultation Document 14 gennaio 2020, p. 7.

31 E. MENEGATTI, op. cit., p. 29.

32 Corte di giustizia dell’Unione europea, sent. 18 dicembre 2007, Laval un Partneri Ltd c. Svenska Byggnadsarbetareförbundet, Svenska Byggnadsarbe-tareförbundets avdelning 1, Byggettan, Svenska Elektrikerförbundet, causa C 341/05.

33 Corte di giustizia dell’Unione europea, sent. 3 aprile 2008, Dirk Rüffert, in qualità di curatore fallimentare della Objekt und Bauregie GmbH & Co. KG c. Land Niedersachsen, causa C 346/06.

La direttiva 96/71/CE infatti prevede che ai lavoratori distaccati in un altro Paese dell’Unione Europea debbano essere garantite le medesime condizioni di lavoro e di occupazione previste per i la-voratori del Paese ospitante, in relazione a specifiche materie elen-cate dall’articolo 3.1: tra di esse, oltre alla parità di trattamento tra uomo e donna, alla sicurezza sul lavoro e molte altre, rientrano anche le “tariffe minime salariali”.34

La ratio di tale norma sembra essere quella di garantire il principio della parità di trattamento retributivo tra i lavoratori dei diversi Paesi, evitando così che si crei un’indebita concorrenza tra i lavo-ratori del Paese ospitante e quelli distaccati, derivante da un even-tuale differente costo del lavoro degli stessi.

Tuttavia, la direttiva 96/71/CE prevede che ai lavoratori distaccati debbano essere applicati i medesimi minimi salariali garantiti ai la-voratori del Paese ospitante unicamente qualora essi siano stabiliti da “disposizioni legislative, regolamentari o amministrative e/o da contratti collettivi o arbitrati dichiarati di applicazione generale”:35 proprio tale previsione fece scaturire contrasti interpretativi nei casi sopraccitati, caratterizzati dalla circostanza per cui gli Stati Membri ospitanti al momento del giudizio non disponevano né di un sistema di fissazione dei minimi salariali a livello legale, né di un meccanismo di estensione erga omnes dei contratti collettivi.36 Il caso Laval aveva infatti ad oggetto il distacco di lavoratori di un’impresa edilizia lettone, la Laval un Partneri, la quale aveva

34 Articolo 3.1(c), Direttiva 96/71/CE.

35 Articolo 3.1, Direttiva 96/71/CE.

36 Corte di giustizia dell’Unione europea, sent. 18 dicembre 2007, Laval un Partneri Ltd c. Svenska Byggnadsarbetareförbundet, Svenska Byggnadsarbe-tareförbundets avdelning 1, Byggettan, Svenska Elektrikerförbundet, causa C 341/05, Corte di giustizia dell’Unione europea, sent. 3 aprile 2008, Dirk Rüffert, in qualità di curatore fallimentare della Objekt und Bauregie GmbH

& Co. KG c. Land Niedersachsen, causa C 346/06.

vinto una gara d’appalto pubblica per la costruzione di una scuola in Svezia, Paese in cui i minimi salariali sono tuttora stabiliti inte-ramente attraverso la contrattazione collettiva: la causa ebbe ori-gine dal fallimento delle trattative tra la Laval e alcuni sindacati svedesi, i quali pretendevano che la società firmasse il contratto collettivo dell’edilizia svedese, recante minimi salariali di gran lunga superiori allo standard retributivo lettone.

Il caso Rüffert invece riguardava la compatibilità con la libertà della prestazione dei servizi ex articolo 56 TFUE di una legge di un Land tedesco, la quale prevedeva che gli appalti pubblici nel suo territorio potessero essere unicamente affidati alle imprese di-sposte a pagare i salari previsti dal relativo contratto collettivo di settore: si noti che il giudizio si tenne circa 10 anni prima dell’in-troduzione della Mindestlohngesetz,37 ossia in un periodo in cui i sindacati tedeschi svolgevano ancora il ruolo di uniche autorità sa-lariali del Paese.

Nell’ambito di entrambi tali giudizi fu proposta l’argomentazione secondo la quale la peculiarità rappresentata dal sistema di fissa-zione dei minimi salariali svedese e tedesco potesse essere superata (e quindi potessero essere applicati ai lavoratori distaccati i minimi salariali previsti dai contratti collettivi di settore del Paese ospi-tante) considerando un’altra particolare disposizione della direttiva 96/71/CE, contenuta all’articolo 3.7: esso infatti prevede che “i paragrafi da 1 a 6 non ostano all’applicazione di condizioni di la-voro e di occupazione che siano più favorevoli ai lavoratori”.

Tuttavia, la Corte di Giustizia, nonostante il parere contrario degli Avvocati Generali coinvolti nei casi in questione,38 statuì che una tale interpretazione avrebbe finito per “privare di effetto utile la

37 Vedi capitolo 2.

38 Come riportato da J.KOKOTT, The ECJ’s Interpretation of the Posting Directive in the Laval and Rüffert Judgements, Baden-Baden, 2009, pp. 165-172.

direttiva in esame”,39 avendo la stessa già “esplicitamente previsto il livello di protezione di cui lo Stato membro ospitante ha il diritto di pretendere il rispetto da parte delle imprese stabilite in altri Stati membri a favore dei loro lavoratori distaccati sul suo territorio”.40 Il bilanciamento tra la libertà di prestazione di servizi e la prote-zione dei lavoratori risulta quindi secondo la Corte sostanzial-mente già risolto dal legislatore europeo,41 il quale ha sì previsto un “nucleo di norme imperative di protezione minima”42 in mate-ria salamate-riale che circoscrive la citata libertà fondamentale, ma che, attraverso tale operazione, ha allo stesso tempo imposto un limite particolarmente stringente a ogni possibile richiesta di maggiore tutela a favore dei lavoratori distaccati, nonché alla possibilità dei lavoratori del Paese ospitante di non subirne la concorrenza.

In particolare, emblematico della posizione della Corte è a parere di chi scrive il rifiuto dell’argomentazione, proposta dall’Avvocato Generale Bot nella sua opinione relativa al caso Rüffert, secondo la quale l’ulteriore limitazione della libertà di prestazione dei ser-vizi, individuabile nel riconoscimento ai lavoratori distaccati dei minimi salariali contenuti nei contratti collettivi di categoria del Paese ospitante, potesse essere giustificata nell’ottica di prevenire il fenomeno del dumping sociale.43

Entrambi i giudizi da cui sono tratte queste conclusioni si sono infatti verificati nel periodo 2004-2007, anni durante i quali si è verificata un’ampia espansione dell’Unione Europea ad Est, e coinvolgono proprio imprese stabilite in due paesi dell’ex blocco sovietico (Lettonia e Polonia) di recente entrati a far parte del

39 Corte di giustizia dell’Unione europea, C-341/05, punto 80 e Corte di giu-stizia dell’Unione europea, C-346/06, punto 33.

40 Corte di giustizia dell’Unione europea, C-346/06, punto 33.

41 J. KOKOTT, op. cit., p. 170.

42 Corte di giustizia dell’Unione europea, C-341/05, punto 73.

43 Come riportato da J.KOKOTT, op. cit., p. 168.

mercato unico: l’impiego di imprese provenienti da tali paesi in entrambi i casi era evidentemente finalizzata a obiettivi di conte-nimento dei costi, raggiungibili altresì grazie all’inferiore retribu-zione da corrispondere ai loro dipendenti in confronto al salario che sarebbe dovuto essere conferito ai lavoratori del Paese ospi-tante.

Come in parte evidenziato all’inizio di questo capitolo, il divario salariale tra i paesi dell’Est Europa e i restanti Stati membri è, 15 anni dopo, ancora molto ampio: da ciò si può evincere perciò il motivo per il quale i livelli retributivi siano ancora oggi considerati

“fattori di competitività irrinunciabile” da parte di tali paesi.44 In dottrina viene tuttavia altresì rilevato come in verità le politiche salariali siano da sempre “gelosamente custodite” da tutti i paesi dell’Unione Europea, compresi i suoi membri “storici”:45 emble-matico in tal senso è il famoso caso Commissione delle Comunità europee v Granducato di Lussemburgo.46

Tale caso infatti concerneva, tra le altre questioni, il fatto che una legge dello Stato membro parte del giudizio classificasse le dispo-sizioni nazionali relative al salario sociale minimo e all’adegua-mento automatico della retribuzione al costo della vita come “di-sposizioni imperative di ordine pubblico nazionale”, le quali sareb-bero dovute di conseguenza essere applicate a tutti i lavoratori che svolgessero la propria attività in territorio lussemburghese.

La previsione legislativa oggetto del giudizio era evidentemente mirata ad aggirare le limitazioni della direttiva 96/71/CE in merito alle tutele retributive minime da fornire ai lavoratori distaccati (le quali non comprendono l’indicizzazione dei salari), utilizzando a

44 E. MENEGATTI, op. ult. cit., p.25.

45 E. MENEGATTI, op. ult. cit., p.24, ma vedi anche il § 1.

46 Corte di giustizia dell’Unione europea, sent. 19 giugno 2008, Commissione delle Comunità europee c. Granducato del Lussemburgo, causa C-319/06, ECLI:EU:C:2008:350.

tal fine l’eccezione contenuta dal suo articolo 3.10.: tale disposi-zione infatti permette agli Stati membri ospitanti di imporre “con-dizioni di lavoro e di occupazione riguardanti materie diverse da quelle contemplate” ai lavoratori distaccati “laddove si tratti di di-sposizioni di ordine pubblico”.

Il caso giurisprudenziale appena riportato a parere di chi scrive contribuisce a chiarificare la portata delle resistenze che gli Stati membri hanno tradizionalmente opposto alla limitazione della propria competenza in materia salariale, nonché, di conseguenza, a evidenziare come la proposta della Commissione Europea recen-temente insediatasi, avente ad oggetto la fissazione di uno standard minimo retributivo comune a livello europeo, non potrà che in-contrare enormi difficoltà lungo il suo percorso.

In conclusione, si segnala come la direttiva del 1996 sul distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione transnazionale di ser-vizi sia stata parzialmente modificata nel 2018, in particolare, per quanto qui interessa, nella parte relativa alla retribuzione da corri-spondere ai lavoratori distaccati: quest’ultima infatti non risulta equivalere più unicamente alle “tariffe minime salariali” garantite ai lavoratori del Paese ospitante, ma a “tutti gli elementi costitutivi della retribuzione resi obbligatori da disposizioni legislative, rego-lamentari o amministrative nazionali, da contratti collettivi o da arbitrati che sono stati dichiarati di applicazione generale nello Stato membro in questione”.47

Alcuni studiosi hanno rilevato come tale recente modifica, la quale si innesterebbe nel quadro di un “rinnovato attivismo in ambito sociale della Commissione Juncker” possa effettivamente garantire agli Stati membri un “potere più ampio nel contrastare il dumping

47 Direttiva 2018/957/UE, articolo 1, par. 2, lett. a).

operato da imprese straniere sul loro territorio”,48 dato che il van-taggio economico derivato dall’impiego di lavoratori provenienti da paesi con un inferiore costo del lavoro risulta grazie ad essa notevolmente ridotto: viene tuttavia allo stesso tempo notato che la posizione dei (pochi) paesi dell’Unione il cui ordinamento non presenti un sistema di fissazione dei salari a livello legale o i cui contratti collettivi non abbiano efficacia erga omnes sia in realtà rimasta invariata.49