Già nel discorso di fine anno del 2012 Napolitano aveva scandito “non c’è nel
nostro ordinamento costituzionale diretta del capo del governo”107 diffidando con ciò all’associare ai nomi apposti sui apposti sui simboli elettorali il riferimento alla premiership e nonostante la legge elettorale permettesse alle coalizioni di nominare un leader
“Non va ritenuto superato o modificato attraverso un meccanismo elettorale quanto stabilito dall’art.92”.
In controluce si deve leggere che non andava considerato un automatismo l’attribuzione dell’incarico al leader della forza politica o della coalizione risultata numericamente prevalente nelle elezioni.
Profezia che si verificò proprio pochi mesi dopo quando le elezioni politiche del febbraio del 2013 determinarono una situazione di sostanziale blocco causato all’impossibilità di trovare una maggioranza. La legge elettorale Calderoli n.270/05108,
alla sua terza applicazione dopo le politiche 2006 e 2008, tradì ancor di più i suoi difetti in maniera plastica.
107 Messaggio del Presidente della Repubblica, Discorso di fine anno 2012 in presidenti.quirinale.it 108 È un sistema proporzionale puro, con un premio di governabilità per la coalizione vincente. Il premio
garantisce un minimo di 340 seggi alla Camera ed è calcolato su base nazionale, mentre al Senato è calcolato su base regionale: in ogni regione (a eccezione del Molise e della circoscrizione Estero) la coalizione o il partito più votato riceve il 55% dei seggi. Non esistono preferenze, i partiti al momento di depositare i simboli elettorali, presentano la graduatoria dei candidati, che vengono eletti proporzionalmente ai voti ricevuti dalla lista di appartenenza. Ogni coalizione può determinare un "capo di coalizione", il modo con cui si è indicato in sostanza il candidato premier, visto che la Costituzione stabilisce che è il Capo dello Stato a nominare il presidente del Consiglio. Sono previsti diversi livelli di soglia di sbarramento, che oltretutto cambiano tra Camera e Senato, e dal raggiungimento di queste dipende il risultato elettorale. Esiste una soglia di sbarramento per coalizioni: alla Camera le coalizioni devono raggiungere il 10%, al Senato il 20%.
In più si prevede lo sbarramento per i singoli partiti: se un partito si presenta da solo deve raggiungere il 4% se vuole entrare in Parlamento. Se un partito si presenta all'interno di una coalizione, la soglia si abbassa al 2%. Al Senato la soglia di sbarramento è dell’8% per i singoli partiti, e del 3% per i partiti che concorrono a una coalizione. Anche in questo caso, lo sbarramento vale su base regionale.
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Nelle urne si verificarono un sostanziale pareggio tra le prime due forze in campo e un risultato straordinario del terzo polo, effetti che generarono un blocco totale della situazione. A causa di un’asimmetria tra Camera e Senato, data dalla diversa distribuzione dei premi di maggioranza, si ottennero due composizioni dei due rami del
Parlamento completamente differenti l’uno dall’altro109.
Risultò così subito evidente che al Senato per superare la soglia di 151 e ottenere la maggioranza assoluta dei seggi fosse necessaria un’alleanza tra almeno due delle prime tre forze del parlamento. Neanche la sola alleanza tra il centrosinistra e Scelta Civica oggetto di grandi discussioni in campagna elettorale110 risultava sufficiente.
In una situazione così frammenta in cui le forze politiche di peso elettorale sostanzialmente pari si riaprì per Napolitano un ampio spazio di influenza sul
conferimento dell’incarico
Lo stesso Presidente si sentì in dovere di ricordare come la disciplina costituzionale relativa alla nomina del Presidente del Consiglio fosse vincolata solo dal fine di formare un governo in grado di ottenere la fiducia delle Camere e pertanto, “specie in assenza di risolutivi risultati elettorali”, fosse consentito al capo dello Stato “la necessaria discrezionalità anche attraverso la creazione di diverse figure di incarico”
109 A decidere il premio di maggioranza alla Camera dei deputati sono stati poco meno di 150mila voti: è
solo dello 0,4%, infatti, il vantaggio della coalizione di centrosinistra. “Italia Bene Comune” conquista dunque 344 deputati con il 29,5% dei voti (Pd 25,4, Sel 3,2), seguito dal centrodestra con il 29,1% (Pdl 21,5%, Lega 4,1%, Fratelli d'Italia 1,9%) segnando 124 deputati. Il Movimento 5 stelle alla prima esperienza di elezioni nazionali si afferma come terzo polo con il 25,5% ma come lista più votata riesce a portare una pattuglia di 108 deputati. Ultimo a esser rappresentata è la coalizione intorno a Scelta Civica che, arrivando al 10,6% (Udc ferma all'1,7%, Fli 0,5%), ottiene 45 seggi. Evidente la maggioranza del centrosinistra con un margine di più di venti deputati rispetto alla maggioranza di 316. Scenario completamente diverso si verifica al Senato dove, a causa del meccanismo dei premi di maggioranza calibrati su base regionale, registriamo il primato del centrosinistra che ottiene il 31,6% dei consensi (Pd 27,4%, Sel 2,98%, Cd 0,5%). Il centrodestra recupera fino al 30,7%, con il Pdl al 22,3%, Lega 4,3%, Fratelli d'Italia 1,9, La Destra 0,7%. Il Movimento 5 Stelle ottiene il 23,8%, Scelta Civica con Monti si ferma al 9,1%. A fronte di questi risultati la distribuzione dei seggi mostra una sostanziale parità: 113 senatori al centro sinistra e 116 al centrodestra. Di seguito registriamo le pattuglie del Movimento 5 Stelle con 54 parlamentari e dell’alleanza di Scelta Civica con 18.
110 “Elezioni 2013. Bersani-Monti: battibecchi e riavvicinamenti dall'inizio della campagna elettorale. Le
tappe dell'altalena tra due leader destinati (forse) ad andare d'accordo” di A. Mauro su Huffington Post, 4 Febbraio 2013.
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quali ad esempio il mandato esplorativo, il pre-incarico o l’incarico vincolato a un governo di scopo.
Con questa premessa conferì al leader della coalizione di centro-sinistra Bersani l’incarico di verificare l’esistenza di un sostegno parlamentare certo, invitandolo a riferire appena possibile sull’esito della verifica compiuta. Risulta evidente come il Presidente non lo avesse invitato a compiere l’attività consistente nella formulazione del programma di governo e della lista dei ministri (atti propri dell’incarico pieno) ma piuttosto a svolgere un’attività istruttoria integrativa di quella infruttuosa di Napolitano stesso.
Il segretario del Partito Democratico il giorno successivo delle elezioni aveva affermato: “siamo arrivati primi ma non abbiamo vinto”111. Era un modo per auto-
investirsi come primo legittimato a provare a formare un governo. La proposta di Bersani era quella di cercare di ottenere un accordo, anche dai contorni
atipici, con i 5stelle per poter insediare un proprio governo.
La possibilità, che emergeva in quei giorni attraverso le indiscrezioni giornalistiche, era quella di vedere i senatori 5stelle uscire dall’aula al momento del voto di fiducia. In quel modo si sarebbe abbassato il quorum per il raggiungimento della fiducia stessa e quindi il comportamento dei 5 stelle avrebbe permesso indirettamente l’insediarsi un governo di centro sinistra senza però in concreto una maggioranza assoluta. Il progetto ambizioso di Bersani era quello di presentare in veste presidente del consiglio un programma di governo tale da ottenere l’approvazione su ogni singolo provvedimento andando ad attingere ai temi cari alle istanze del Movimento112.
Durante le consultazioni l’incontro tra gli esponenti del Movimento 5 Stelle e
111 Conferenza stampa di Pierluigi Bersani del 26 febbraio 2013.
112 Bersani dirà il 24 ottobre 2019 nella trasmissione Piazza Pulita- La7 “Nel 2013 avevo detto ai 5 Stelle:
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Bersani, per la prima volta nella storia dei riti repubblicani, venne trasmesso integralmente su internet e sulle televisioni nazionali. Il segretario del Partito Democratico accennò al suo precedente incontro con il Presidente: “(…) Ha fatto la sua
parte in maniera correttissima dal punto di vista costituzionale. Ha chiamato il rappresentante della forza politica della coalizione più rappresentata in parlamento e gli ha detto «Prova a fare un governo»”113.
Aggiungendo al suo discorso poi la centralità della necessità del cambiamento provò poi a spiegare il suo progetto “Avviamola questa legislatura su alcuni punti essenziali di
cambiamento sull’acuto fronte sociale e sul fronte della democrazia e della moralizzazione della vita politica. Ecco dieci punti”114. Dopo l’elencazione dei punti si spinse sulle modalità per ottenere l’appoggio del Movimento 5 stelle “Ci vuole il voto di fiducia per partire? Sto
chiedendo alle forze che si sentono più prossime a questa impostazione di non impedire questa partenza. Ci sono enne modi”. “La fiducia si dà e si toglie nel meccanismo parlamentare. Modo di non darla consentendo l’avvio si trova”115.
Però, preso atto che il gioco dei reciproci veti fra i partiti gli impediva di formare al governo, salì al Colle per fare conto della verifica. Al termine del colloquio con il Capo dello Stato, il Segretario generale del Quirinale annunciò116 che l’esito delle
consultazioni non era stato risolutivo e aggiunse che Napolitano si sarebbe riservato di prendere senza indugio iniziative per accertare personalmente gli sviluppi possibili del quadro politico-istituzionale. Dal tenore del comunicato sembrava desumersi che Bersani avesse rinunciato all’incarico. Ma poco dopo il Partito Democratico smentì con un lancio di agenzia questa possibile lettura precisando che il segretario del partito non aveva formalmente rimesso il mandato. Si lasciava trapelare un contrasto tra il leader del
113 In onda sul canale tv e in streaming della Camera dei Deputati. 114 Ibidem
115 Ibidem
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centro-sinistra, che avrebbe voluto gestire un governo di “minoranza”, e Napolitano che chiedeva una maggioranza ampia e certa.
Il progetto di Bersani evidentemente sembrava efficace al Colle i cui comportamenti tradivano fin da subito la volontà di indirizzare la crisi verso la creazione di una coalizione di larghissime intese con numeri molto ampi tra centro- sinistra e centro-destra relegando il Movimento 5 stelle all’opposizione.
Ma, non volendo avere una condotta così incisiva a fine mandato, cercò di mantenere un profilo basso dato anche le poche frecce in quel momento a suo favore. Napolitano, dopo le critiche subite per la paternità con un alto grado di interventismo nella formazione del governo Monti, non poteva spingere per un Governo del Presidente che avrebbe potuto esser al massimo un governo finalizzato a gestire nuove elezioni. Per di più trovandosi nell’ultimo semestre del mandato non poteva neppure usare lo scioglimento delle Camere come strumento di trattativa e di coazione dell’accordo.
La richiesta di maggioranza certa
Vorrei fermarmi ad analizzare la richiesta di Napolitano di “maggioranza certa” come risposta a Bersani che insieme con la sua coalizione sperava ancora nella possibilità del conferimento di un incarico pieno per formare un governo che, avendo un sicuro consenso alla Camera, tentasse di ottenere la maggioranza al Senato ove i numeri sulla carta ancora non c’erano.
Il presidente era invece fermo sulla necessità che il sostegno parlamentare al governo fosse certo già in quella fase della crisi e prima di fare altri passi finalizzati alla sua soluzione. Un orientamento che sarebbe stato ribadito in un passaggio del messaggio al parlamento in seduta comune dopo la sua rielezione: “Al presidente della
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prescrizione se non quella voluta dall’art. 94 Cost.: un governo che abbia la fiducia delle due camere”117 Mi sono chiesto se fosse stato corretto che il presidente richiedesse la preventiva verifica di un sostegno parlamentare certo per la formazione del governo, prima del conferimento di un incarico pieno. Qualcuno parlava118 di un ampliamento
del suo ruolo che sarebbe limitato all’individuazione della personalità che abbia le maggiori possibilità di ottenere la fiducia.
Avrebbe potuto, o addirittura dovuto, pur in assenza del positivo riscontro al termine delle consultazioni di Bersani, conferire l’incarico pieno a quest’ultimo in quanto leader del partito di maggioranza relativa e poi, eventualmente, consentirgli di formare un governo che cercasse di ottenere la fiducia parlamentare? Possiamo iniziare a trarre qualche indicazione dai precedenti di governi battuti al primo voto di fiducia. I governi De Gasperi VIII e Fanfani I, nominati dal presidente Einaudi, non ottennero il voto positivo iniziale. Questo ci fa pensare che già durante le consultazioni la situazione era colorata di incertezza119.
Nei casi di Andreotti I, Andreotti V, Fanfani VI il governo era stato nominato non con la finalità di conseguire la fiducia, ma solo per controfirmare il decreto di scioglimento anticipato e gestire la successiva transizione elettorale. La natura intenzionalmente minoritaria di questi governi era chiara fin da subito dato che sia Andreotti nel 1979 che Fanfani nel 1987 nelle dichiarazioni programmatiche non chiesero neanche un voto di fiducia.
Da aggiungere però che le successive decisioni di scioglimento anticipato non erano il frutto dell’imposizione del presidente, che viceversa prendeva atto della volontà
117 Discorso di insediamento del Presidente Napolitano davanti alle Camere, 22 aprile 2013.
118 M. Olivetti, Il tormentato avvio della XVII legislatura: le elezioni politiche, la rielezione del Presidente Napolitano e
la formazione del governo Letta, in Scritti in onore di Antonio D’Atena, Milano, Giuffrè.
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largamente maggioritaria tra le forze politiche presenti in parlamento120. Tant’è che in
dottrina si è poi diffusamente parlato di autoscioglimento121 delle camere. Si tenga
conto che l’operatività dei governi in attesa di fiducia costituisce una specificità dell’esperienza italiana che la contraddistingue rispetto alla generalità delle forme di governo parlamentari razionalizzate.
Se guardiamo rapidamente i modelli europei l’avvicendamento fra l’esecutivo uscente e quello entrante è preceduto di regola da un preventivo e positivo passaggio parlamentare di investitura. Nella quarta repubblica francese, dal 1946 al 1958, il presidente del Consiglio veniva nominato successivamente al voto di fiducia dell’Assemblea nazionale; nell’ordinamento costituzionale tedesco (che contiene l’istituto della sfiducia costruttiva122) osserviamo che la nomina e il giuramento del
cancelliere sono preceduti dalla sua elezione da parte del Bundestag; nella Costituzione spagnola del 1978 il governo entrante deve attendere la conclusione del procedimento di investitura per assumere le proprie funzioni.
Al contrario, il governo, di regola, entra in carica immediatamente dopo la nomina del capo dello Stato nelle forme di governo semipresidenziali nonché in quei sistemi parlamentari che accolgono il principio della fiducia presunta.
Il procedimento di formazione del governo previsto dalla Costituzione italiana si caratterizza quindi per la combinazione tra nomina presidenziale e successiva fiducia iniziale votata dalle camere. Quest’ultima fa sì che in Italia governi di minoranza, quelli
120 Filippetta, G. Modelli e vicende dello scioglimento anticipato delle camere nell’esperienza
repubblicana: saggio sull’appropriazione partitica dello scioglimento, 1990, Roma.
121 R.Cherchi, Lo scioglimento delle camere nella costituzione italiana, in costituzionalismo.it, Fascicolo 2/12. 122L'istituto della sfiducia costruttiva è uno dei mezzi usati da alcune costituzioni approvate nel secondo
dopoguerra per razionalizzare la forma di governo parlamentare, rafforzando la stabilità dell'esecutivo. Consiste nell'impossibilità da parte del parlamento di votare la sfiducia al governo in carica se, contestualmente, non concede la fiducia ad un nuovo esecutivo. In questo modo un governo, nonostante abbia perso la maggioranza parlamentare, può continuare a rimanere in carica nel caso in cui le forze politiche in parlamento non riescano ad accordarsi per formare un nuovo governo.
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cioè che non possono contare su una precostituita maggioranza, dovendo comunque sottoporsi entro 10 giorni al voto di fiducia, o devono fare affidamento sull’astensione in tale voto di forze politiche che non fanno parte dell’esecutivo oppure entrano immediatamente in crisi.
Tutto ciò rende, da un lato, più incisivo il ruolo del capo dello Stato perché è direttamente lui a nominare l’esecutivo, ma, dall’altro, lo responsabilizza maggiormente rispetto ai casi di fiducia presunta, perché la verifica della giustezza della sua scelta è immediata e un’eventuale mancata fiducia iniziale lo espone sotto il profilo di una responsabilità politica diffusa, cioè lo espone a fondate critiche circa la rispondenza della nomina rispetto alla finalità essenziale del suo compito, quella di dare un governo stabile al Paese. Però se torniamo al quesito originario: può il Presidente pretendere la matematica certezza del voto di fiducia fin dal momento dell’incarico? No, in senso assoluto, dato che la concessione della fiducia spetta alle Camere e una tale pretesa svuoterebbe di significato il procedimento previsto nell’art. 94 Cost., che affida alle Camere la definitiva decisione circa l’esistenza del rapporto fiduciario. Del resto, è soltanto con la presentazione del governo alle Camere che queste sono poste nelle condizioni di esprimere il loro giudizio sulla composizione dell’esecutivo e di conoscere e valutarne il programma. Tra l’altro nulla esclude che, tra il momento della nomina del governo e quello della votazione della mozione di fiducia, possano intervenire mutamenti del quadro politico tali da modificare l’esito del voto. Potrebbero esservi forze politiche che vogliono attendere le dichiarazioni programmatiche per decidere il loro atteggiamento.
Un precedente interessante è quello della primavera del 1993 quando Carlo Azeglio Ciampi venne chiamato dal Presidente della Repubblica Scalfaro per guidare un Paese in grave difficoltà, percorso dallo scandalo di Tangentopoli e colpito dalla crisi
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economica. Nella mattina del 29 aprile il Presidente Ciampi e i ministri giurarono al Quirinale.
All’interno della compagine governativa comparivano anche quattro ministri del Partito democratico della Sinistra: Visco, Barbera, Berlinguer e Rutelli. Nel pomeriggio, quando la Camera dei deputati negò l’autorizzazione a procedere richieste dal pool di Mani pulite contro l’oramai ex segretario del Psi Craxi, il Pds, sostenitore del governo, ritirò la sua delegazione al governo in segno di protesta e passò dalla promessa di un voto favorevole al governo all’astensione. Qualche giorno dopo Ciampi sostituì i dimissionari e ottenne la fiducia alla Camera con 309 (sotto la maggioranza assoluta) voti a favore, 185 astenuti e 60 contrari. L’esempio fa risultare come nel giro di pochissime ore tra addirittura il giuramento e il voto di fiducia le forze politiche siano libere di prendere legittime decisioni. Sicuramente durante le consultazioni Scalfaro aveva ricevuta la promessa di una maggioranza assoluta e certissima che invece si è ridotta nel giro di un solo giorno a una maggioranza traballante e relativa dando comunque vita a un governo.
Si deve quindi riconoscere che rientra nella discrezionalità del capo dello Stato la nomina di un governo che abbia chance di superare indenne il passaggio parlamentare pur senza averne la matematica certezza.
Una discrezionalità circoscritta e orientata dalla finalità indicata dall’art. 94 Cost. Quello che il capo dello Stato ha il diritto di richiedere al presidente del Consiglio incaricato e di verificare egli stesso è che vi sia una ragionevole possibilità, una qualche probabilità, non una mera e casuale eventualità, di un esito positivo del procedimento fiduciario. Anzi, si dovrebbe ritenere che si tratti di un dovere perché appare in contrasto con il senso complessivo del procedimento costituzionale di formazione del
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governo l’invio alle camere di un esecutivo privo di qualunque prospettiva di ottenere la fiducia, contro la volontà delle forze politiche.
Quello che il presidente non può fare è cercare di forzare la volontà dei gruppi parlamentari accertata nelle consultazioni sue e dell’incaricato. In definitiva, l’attività del presidente si muove tra due vincoli, uno positivo e l’altro negativo. Il vincolo positivo consiste nell’obbligo, in presenza di una chiara maggioranza parlamentare, di nominare il governo espressione di quello schieramento.
Il vincolo negativo va individuato invece nel divieto di nominare un governo privo di alcuna ragionevole possibilità di conseguire la fiducia. Nel caso di Bersani, l’esito delle consultazioni da lui condotte non era stato, secondo il comunicato del Quirinale, risolutivo in senso positivo. Era stato cioè certificato al Presidente che al Senato non si profilava un sostegno sufficiente al tentativo. Non vi erano posizioni incerte dei gruppi parlamentari e non appariva realistico che questi, o frazioni al loro interno, modificassero la loro posizione.
La ricerca del voto di senatori sparsi, in particolare di dissidenti del M5s, o il tentativo di avere l’appoggio sui singoli provvedimenti non aveva dato risultati convincenti.
Questo quadro veniva confermato nella seconda tornata di consultazioni del 29 marzo. Possiamo concludere che la decisione di Napolitano di non insistere nel