3. GLI ARCHIVI DEL GOVERNATORATO E I FONDI UFFICIO CERIMONIALE E
3.1 La gestione documentaria dell’amministrazione capitolina
Parimenti alle altre amministrazioni comunali italiane del tempo, nel periodo precedente la riforma istituzionale voluta dal regime per la capitale, il Comune di Roma avrebbe dovuto basare da tempo la propria gestione documentaria sul sistema diffuso con l’emanazione della circolare del Ministero dell’interno il 1° marzo 18971
. La nota «circolare Astengo» aveva introdotto norme per la registrazione di protocollo dei documenti, e un titolario unico ripartito in categorie e classi che ne guidasse la fascicolazione. Si era voluto così porre le basi a livello nazionale per una pratica amministrativa condivisa, atta a compensare la carente unificazione ideale e fattuale, a partire dalla necessaria omologazione nel «cammino delle carte» degli enti locali2. Il modello di archiviazione utilizzato nell’amministrazione capitolina impiegò però molto tempo a recepire le direttive esposte nella circolare. Ciò non avvenne comunque prima dello scioglimento del Comune, nel marzo 1923, e solo successivamente il commissario straordinario Cremonesi, con una propria delibera, dettò le regole circa la tenuta delle carte negli uffici capitolini basate su un piano di classificazione che ne garantisse la corretta conservazione.
Fino a quel momento, fu consuetudine utilizzare un sistema di doppia protocollazione delle carte: i documenti, inizialmente di rilevanza interna, venivano registrati nei protocolli particolari dalle singole branche dell’amministrazione; in più, qualora fossero carte destinate all’esterno e di carattere ufficiale – considerate tali in base all’estensore o al destinatario, quali quelle a firma del sindaco e degli assessori o indirizzate a enti particolari – veniva apposta la registrazione del protocollo generale, caratterizzandole così con una duplice numerazione. Questo sistema documentario era basato su posizioni d’archivio, opportunamente riviste nel corso del tempo, che facevano riferimento a categorie individuate fin dal 1848 risalenti al modello di gestione del periodo preunitario, migrate direttamente dagli uffici pontifici a quelli della novella capitale del Regno d’Italia. Al protocollo generale era poi annesso un archivio generale, cui venivano versate le pratiche esaurite rimesse dai singoli uffici. Le posizioni, o titoli, prescindevano dall’ordinamento degli uffici; le carte di affari esauriti, al momento del passaggio nell’archivio generale, venivano
1 Ministero dell’interno, circolare n. 17100-2 del 1° marzo 1897, Ordinamento degli archivi dei comuni. 2
Stefano Sepe, Amministrazione e burocrazia tra vecchie e nuove identità, in Roma capitale dal 1870 al 1915. Atti del convegno 10 novembre 1999, a cura di Liliana Di Ruscio – Laura Francescangeli, Roma 2001, p. 21-30, in particolare p. 22.
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inserite in fascicoli annuali relativi alla materia di appartenenza e ordinate progressivamente secondo il numero di protocollo. Il sistema, ridondante e complesso, fu mantenuto fino al 1922 quando una circolare del segretario generale Mancini agli uffici – riconoscendone i limiti per ragioni di opportunità e speditezza – ne decise l’abolizione, lasciando ai protocolli delle singole ripartizioni l’onere probatorio di certificare le carte in entrata e in uscita dell’amministrazione3
. Il periodo di trasformazione che si sarebbe definitivamente compiuto con l’istituzione del Governatorato interessò anche l’organizzazione archivistica capitolina nel suo complesso. In concomitanza con la riorganizzazione degli uffici e dei servizi proposta da Cremonesi, venne effettuato il trasferimento dell’archivio generale dal Campidoglio ai più ampi locali del palazzo dei Filippini alla Chiesa nuova, passaggio da tempo annunciato e attuato infine fra il 1922 e il 1923. Al termine del trasloco delle carte e degli uffici all’attuale sede, venne inoltre formalmente definito il funzionamento dell’Archivio generale del Comune di Roma.
Nel dicembre del 1923, con deliberazione commissariale furono dettate le Norme per
l’archivio generale del Comune di Roma, emanate per sistematizzare la corretta tenuta delle carte
nell’Archivio generale e presso i vari uffici municipali4. Il primo articolo suddivideva l’Archivio in
tre fondi: il fondo storico, il fondo notarile e il fondo amministrativo. Quest’ultimo era quello preposto a conservare tutti gli atti relativi ad affari esauriti posteriori al 1870. Già dal maggio 1922 era stata data disposizione alle ripartizioni di rintracciare tutte le pratiche esaurite e datate anteriormente al 31 dicembre 1910, per trasferirle all’archivio generale. Questa documentazione, insieme a quella già in possesso dell’archivio, costituì il primo nucleo di carte trasferito nella nuova sede5. Per i documenti rimasti agli uffici, l’articolo 5 della deliberazione del 1923 prevedeva che le ripartizioni formassero presso i propri uffici di protocollo dei piccoli archivi di deposito, all’interno dei quali la documentazione delle pratiche correnti sarebbe dovuta rimanere ben distinta da quella non più occorrente all’attività amministrativa. Le carte dovevano essere ordinate secondo dei titolari predisposti dai singoli uffici, elaborati in modo tale da permettere di scorgere a prima vista l’immagine esteriore della struttura dell’organo. Le modalità di gestione corrente e fascicolazione vennero in buona parte riprese da quelle dettate per la tenuta degli archivi delle amministrazioni centrali dello Stato, in base al regio decreto n. 35 del 25 gennaio 1900.
La deliberazione dettava poi norme relative al versamento (fissandolo in cinque anni dall’esaurimento della relativa pratica), alla pubblicità degli atti e allo scarto, in ottemperanza di quanto disposto dall’articolo 74 del regolamento per gli Archivi di Stato, approvato con il regio decreto n. 1163 del 1911. Veniva quindi recepita la normativa nazionale riferita agli archivi comunali e alcuni punti fermi della disciplina archivistica, positivizzando tra l’altro il divieto di
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Francescangeli, Fonti archivistiche per la storia dell’amministrazione comunale, cit., p. 270.
4 Norme approvate con deliberazione del commissario straordinario n. 2084 del 17 dicembre 1923. 5 Francescangeli, Fonti archivistiche per la storia dell’amministrazione comunale, cit., p. 283.
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qualsiasi tipo di eliminazione arbitraria delle carte che non fosse stata preventivamente autorizzata e l’obbligo della tenuta ordinata della documentazione; al momento del riordinamento poi, doveva essere ricostruito l’ordinamento originario, riproponendolo secondo le classi previste dal titolario qualora queste fossero state alterate (art. 6). Non mancavano indicazioni archiveconomiche circa la spaziatura degli scaffali, la sicurezza, il maneggio delle carte, il divieto di fumare o di accendere lumi. Furono inoltre introdotte istruzioni circa l’organizzazione della sala studio e la ricezione dell’utenza (cui era concessa la consultazione gratuita per motivi di studio), norme che del resto riprendevano quasi letteralmente gli articoli del regolamento statale del 1911. La custodia e la gestione dell’archivio erano affidate a due «impiegati speciali», un archivista sopraintendente e un archivista paleografo (art. 2). I due funzionari avevano anche il compito di supervisionare la tenuta degli archivi delle ripartizioni con ispezioni periodiche – riferendone al segretario generale – e di autorizzare lo scarto degli atti prima del versamento all’archivio generale, di concerto con un funzionario della ripartizione stessa (art. 5). Inoltre, per il riordinamento dell’Archivio generale era prevista la possibilità di convocare una commissione consultiva, appositamente costituita con il supporto di tre «eruditi» in storia, paleografia, diplomatica e archivistica (art. 27).
In breve, si palesò l’esigenza di dettare regole più stringenti per la protocollazione e l’archiviazione dei documenti dei singoli uffici. Una regolamentazione ulteriore era infatti necessaria sia per ottimizzare l’attività di registrazione che per rivedere il numero stesso degli organi autorizzati a protocollare le carte, al fine di evitarne l’eccessiva proliferazione. Superata la fase di assestamento dell’amministrazione governatoriale, chiusa definitivamente con la riforma del 1928, fu istituita una commissione deputata a studiare una nuova disciplina per la formazione degli archivi ripartimentali6. Nel frattempo, era anche stata modificata la denominazione dell’Archivio generale in Archivio capitolino7. La commissione constatò in breve che, con il tipo di gestione documentaria seguita in quel momento, si sarebbe addivenuti in breve all’impossibilità di reperire agevolmente i documenti e alla conseguente paralisi dell’attività amministrativa8
. Fu quindi suggerita una decisa revisione del trattamento della documentazione, tramite uno schema di regolamento finalizzato a snellire la gestione delle pratiche. Con la ratifica delle proposte fatte dalla commissione, integrate alle regole dettate nel 1923 per l’Archivio generale e riviste per l’occasione, prese forma il testo del Regolamento per l’Archivio capitolino e per gli archivi delle ripartizioni,
6 Deliberazione governatoriale n. 1688 del 30 marzo 1929. La commissione – formata da Virgilio Testa per la
Ripartizione IX, Arrigo Facchini per il Segretariato generale e Francesco Tomasetti per l’Archivio capitolino – era presieduta da Eugenio Casanova, allora direttore dell'Archivio di Stato di Roma e dell'Archivio del Regno.
7 Deliberazione governatoriale n. 6122 del 21 agosto 1926. Con la stessa delibera le precedenti Norme per l’Archivio
generale assunsero la denominazione di Regolamento per l’Archivio capitolino; contestualmente vennero modificate le vecchie dizioni liberali: al comune e al sindaco subentrarono il governatorato e il governatore mentre i consiglieri comunali lasciarono il posto a rettori e consultori.
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degli uffici e dei servizi9. Di lì a poco, il regolamento fu completato con l’adozione del titolario di
classificazione unico, approvato alla fine del 1930. Uno degli obiettivi principali era dunque quello di esplicitare chiaramente quali fossero gli organi i quali dovessero dotarsi di un proprio archivio e protocollo: in pratica, oltre al Gabinetto del governatore, al Segretario generale e alle varie ripartizioni, solamente quegli uffici autonomi per i quali il governatore ne avesse ordinato l’istituzione con apposito provvedimento. Questa indicazione – come si vedrà – fu del tutto disattesa dall’Ufficio del cerimoniale e dei servizi della propaganda.
Il regolamento introduceva specifichi obblighi circa la tenuta delle carte e la formazione dei fascicoli, vincoli che hanno avuto un peso fondamentale nel determinare la formazione di parte dei fondi e delle serie conservati oggi nei depositi dell’Archivio storico capitolino. Fissava i modelli secondo i quali uniformare i registri, le rubriche e i fascicoli, conformandone l’aspetto esteriore per ciò che riguardava l’intestazione e la segnatura con appositi fac-simile. Riprendeva il regolamento del 1923 – e quindi la legislazione archivistica – circa le norme relative allo scarto (di cui veniva ampliata la relativa commissione con la presenza di un funzionario dell’Archivio di Stato di Roma) e al divieto di smembramento e di alterazione nell’ordinamento delle carte. Soprattutto, dava particolare importanza alle professionalità adibite alla gestione della documentazione: la responsabilità veniva affidata alla figura degli archivisti capo, che gli uffici dovevano individuare tramite concorso interno; le norme specificavano inoltre le singole materie che sarebbero state oggetto di esame.
In quanto organo di vigilanza sul buon andamento di tutti gli uffici dell’amministrazione, era il segretario generale a dover disporre ispezioni per verificare il funzionamento degli archivi e degli uffici di protocollo; al vertice dell’archivio generale erano invece sempre preposti i due impiegati «speciali», rinominati nel 1929 rispettivamente «direttore» e «archivista» dell’Archivio capitolino.
Da questa lunga genesi scaturì inoltre il quadro di classificazione unitario per tutti i rami dell’amministrazione, suddiviso in titoli, classi e sottoclassi. L’obbligo del suo utilizzo entrò in vigore il 1° gennaio del 1931, in ottemperanza di quanto indicato nel regolamento: l’articolo 35 aveva infatti rinviato a un successivo provvedimento del governatore la definizione di un titolario degli atti complessivo10. Precedentemente alla predisposizione del titolario unico, i direttori di ripartizione e i capi servizio erano stati invitati, con una circolare diramata dal segretario generale, a condividere i titolari utilizzati fino ad allora, in modo da rendere manifeste tutte le tipologie di affari trattati11. Venne meno così la discrezionalità degli uffici circa l’ordinamento della propria produzione documentaria, precedentemente stabilito secondo canoni che derivavano dalla
9 Regolamento per l’Archivio capitolino e per gli archivi delle ripartizioni, degli uffici e dei servizi, approvato con le
deliberazioni governatoriali n. 7442 del 26 ottobre 1929 e n. 8138 del 16 novembre 1929.
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Titolario degli atti d’archivio delle ripartizioni e dei servizi, approvato con deliberazione governatoriale n. 9706 del 31 dicembre 1930.
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contingente attività amministrativa. La commissione incaricata di redigere il titolario intervenne invece nell’attività compiuta dai singoli uffici, suddividendola fra le diverse funzioni svolte a livello generale all’interno dell’amministrazione. Ad esse fu poi espressamente associato l’organo competente per quella determinata materia.
A ciascuna sottoclasse, coincidente con uno specifico settore di intervento, corrispondevano dunque uno o più uffici di riferimento. Quest’ultima specificazione ha avuto conseguenze notevoli sulla formazione dei fondi attuali, creando o spezzando dei legami con un determinato soggetto produttore. Ciò ha talvolta provocato la composizione di serie diverse, partizionando complessi di documentazione che rappresentavano un’attività complessa ma svolta di fatto in maniera univoca. Questo norma andò in parte a contraddire il principio di funzionalità da cui prendeva le mosse la riforma. In diversi casi, seguendo le funzioni effettivamente svolte piuttosto che le attribuzioni conferite dalle delibere, si sarebbe potuto infatti garantire la formazione di serie documentarie maggiormente omogenee, trasversali rispetto all’organigramma istituzionale.
Per evitare una lavorazione eccessivamente gravosa delle carte da parte del Gabinetto del governatore e del Segretariato generale, che evidentemente trattavano una ingente mole di documenti anche solo per notizia, le due strutture di vertice in fase di protocollazione scioglievano le voci del titolario in classi e sottoclassi solo per le competenze specifiche proprie. Altrimenti, per la documentazione acquisita ‘per conoscenza’, relativa a materie di spettanza altrui, il partizionamento si fermava ai titoli. Diversamente, alle ripartizioni era imposto l’utilizzo della segnatura completa di classificazione, anche qualora dovessero eccezionalmente conservare atti diversi dalle proprie attribuzioni.
Il Gabinetto, ad esempio, cui competeva la cura dei rapporti politici e pubblici del governatore, ripartiva ulteriormente la corrispondenza solo nelle sottopartizioni riservategli dal titolo I del titolario, secondo il seguente schema. A titolo esemplificativo, sono specificate solo alcune sottoclassi, in particolare quelle utilizzate per le attività legate al servizio del cerimoniale:
Titolo Classe Sottoclasse
I. Governatorato 1. Territorio
2. Leggi e regolamenti relativi alla costituzione del
Governatorato 3. Governatore 4. Vicegovernatore 5. Consulta 1. Nomina, giuramento 2. Attribuzioni, prerogative 3. Deleghe e procure 4. Spese di rappresentanza
98 6. Personale del Gabinetto 7. Affari di Gabinetto 8. Ufficio stampa
9. Funzioni di rappresentanza 1. Cerimoniale
2. Onoranze in vita e in morte
3. Ricevimenti, conferenze, congressi 4. Feste pubbliche, riviste, cortei 5. Scadenzario offerte storiche, doni, medaglie