4. L’ITALIA E LE MIGRAZIONI
4.2. La grande crescita dell’emigrazione di massa
Si tratta del perido che ebbe inizio con l’Unità dell’Italia (1861) e fu terminato con la seconda guerra mondiale (1939-1945). La nascita dello Stato italiano implicò la demarcazione di nuovi confini territoriali, e come conseguenza la mobilità che fino a quel momento era definita come internazionale, tra gli antichi stati, con l’unità diventò interna.
4.2.1. Il periodo post unitario
A partire della seconda metá dell’Ottocento le migrazioni già presenti subirono una crescita esponenziale in termini di partenze verso l’estero. I motivi principali che richiamarono gli italiani in direzione che puntava fuori i confini del paese, erano legati all’ambito dell’occupazione. Si formarono nuovi mercati di lavoro grazie all’industrializzazione dell’Europa e del Nord America, aumentò la richiesta di popolamento da parte degli stati postcolonali,
sopratutto in America Latina, maggiormente in Argentina e in Brasile per lo “sbiancamento” della popolazione, e con l’abolizione della schiavitù nelle Americhe moltissime opportunità furono svelate offrendo lavoro sulle terre (Corti & Sanfilippo, 2012).
Le motivazioni e caratteristiche degli espatri si mutavano in base alla destinazione, ma nella maggior parte dei casi si tratta di mandopera non specializzata. In questi anni le mete dei flussi migratori erano la Francia e il Belgio, partendo principalmente dalla Pianura Padana, e Nord America, tra quelli provenienti dall’Italia Meridionale (Calabria, Sicilia, Campania). Al complesso si poteva osservare un numero assoluto più alto per le partenze dalle regioni settentrionali. Lo scopo era quello di realizzare sufficente capitale al più breve possibile, per poi poter ritornare ed acquistare terra nelle zone di origine. Invece, quelli che partirono per l’America Latina, con numeri molto significativi, non prevedevano di rientrare, bensì di cercare e trovare un pezzo di terra ed insediarsi nel continente nuovo. Loro avevano radici sopratutto in Nord Italia (Veneto, Trentino, Piemonte, Lombardia, Friuli), ma a volte anche nel Sud (Calabria, Campania). L’emigrazione nella seconda metà del XIX secolo conservò principalmente l’abitudine di ritorno, magari per un’eventuale ripartenza e il seguito rientro.
4.2.2. L’inizio del Novecento
Nei primi decenni del Novecento, finché il primo conflitto mondiale non abbia posto uno stop temporaneo alle partenze, esse erano in continuo aumento, in confronto all’altresì alto tasso numerico dei rimpatri. I flussi migratori erano determinati dai movimenti e concentrazione di capitali ed investimenti a livello internazionale. Erano migrazioni tra paesi in eccesso di forza lavoro, che al contempo dimostravano anche un significativo surplus demografico, come ad esempio l’Italia, e paesi che invece necessitavano di manodopera e forza lavoro ed erano caratterizzati dai trend di crescita demografica locale insufficiente in confronto alle loro capacità di sviluppo.
Pertanto, nel corso del primo esodo di emigrazione di massa il maggior numero di partenze era diretto verso i paesi extraeuropei, principalmente gli Stati Uniti e l’Argentina, ma anche la Francia e la Svizzera erano mete molto popolari (ISTAT, 1968). L’Italia era divisa in questo senso: per le parti settentrionali le destinazioni preferite erano senz’ altro quelle europee (Francia, Svizzera), mentre dal sud (Sicilia, Campania, Calabria) miravano piuttosto le Americhe (Argentina, Brasile). In questo periodo il numero assoluto di partenze dall’Italia Meridionale ha sopravanzato quelle dal nord. L’anno in cui è stato registrato il picco nelle partenze fu nel 1913 (Corti & Sanfilippo, 2012).
La guerra mondiale non solo diminuì radicalmente i numeri di partenza, anche se non le ha interrotte del tutto, ma velocizzò il rientro di tanti, guidati dalla paura di non poter ritornare più. Solo dalle Americhe tornarono 150 mila immigranti tra il 1915 e il 1918 (Corti & Sanfilippo, 2012).
4.2.3. Il periodo tra le due guerre
L’avvento della pace fu accompagnato dalla immediata ripresa dei flussi migratori, i quali, dopo l’esplosione dei numeri, dovettero affrontare la chiusura degli sbocchi migratori. Il primo conflitto mondiale impostò una svolta radicale alle politiche migratorie nazionali ed internazionali, tramite le limitazioni all’entrata di nuovi immigranti, le quote di accesso e gli accordi bilaterali tra singoli paesi di partenza e di arrivo. Inoltre, gli effetti della grande crisi del 1929 espulsero per primi gli stranieri dai mercati del lavoro. Durante il periodo fascista le forme migratorie si manifestavano sopratutto in tentativi di emigrazione coloniale, come forma di espansione imperiale, e in fuoruscitismo politico.
I flussi erano mirati verso la Francia e la Germania dal nord Italia ed alcune regioni meridionali (Piemonte, Lombardia, Veneto, Venezia Giulia, Sicilia e Campania) o verso le zone centro-settentrionali dal sud del paese. Nel caso delle prime sei regioni di partenza i numeri degli espatri negli anni tra le due
guerre ammontavano dai 300 mila ai 530 mila. Si trattava ancora sopratutto di forza lavoro non specializzato.
Nonostante il numero continuamente alto dei ritorni in Italia, in questo periodo si apparsero le prime diaspore, che poi nel corso del tempo diventarono quelle più antiche. Si tratta delle comutià in Argentina, in Brasile e negli Stati Uniti, formate sin dalla fine dell’Ottocento. Invece, per quanto riguarda l’Europa a partire dal XX secolo, con l’eccezione della Francia che era abbastanza popolare già nel secolo scorso, le comunità italiane numerose si trovavano in Svizzera e in Germania.
4.2.4. Associazionismo
Il mondo delle associazioni ebbe origini nell’Italia della seconda metà del XIX secolo. Inizialmente nacquero le società di mutuo soccorso, che erano finalizzate all’unione, fratellanza ed istruzione dei loro iscritti e familiari, dietro un profilo assistenziale. Col passare del tempo, le società di mutuo soccorso sono apparse anche nei paesi di accoglienza dove gli italiani emigrati dovettero affrontare una serie di diffcoltà. Queste società, seguendo una linea di unione e solidarietà, come era stata sviluppata in Italia negli anni precedenti, si occupavano di rispondere ai bisogni di socialità e di superamento dell’isolamento derivanti dalla lontananza dai familiari e dall’inserimento in paesi spesso sconosciuti e, a volte, discriminanti (Tottola, 2017). All’inizio del Novecento, le società di mutuo soccorso si trasformarono in associazioni in base alla provenienza geografica dei soci. Operavano innanzitutto nel settore culturale e economico, e promuovevano gli scambi politici e commerciali tra zone di partenza e zone di arrivo e i gemellaggi.
Da un lato le associazioni si avviassero per la promozione e la tutela dei diritti civili, sociali, culturali e politici dei lavoratori emigrati. Dall’altro lato, invece, servirono lo scopo di mantenere ed incoraggiare l’italianità, coltivando i rapporti con le comunità degli emigrati e il paese di origine. La loro importanza sta nel fatto, che “queste realtà hanno rappresentato, per oltre un secolo, dei
punti di aggregazione e partecipazione dove era possibile promuovere la cultura e la lingua italiana, conservando i valori e le tradizioni dei singoli soci” (Tottola, 2017). Inoltre, hanno contribuito positivamente all’affermazione dell’immagine dell’Italia nel mondo.