5. L’ITALIA E IL TURISMO
5.3. La pianificazione del turismo
6.4.6. Pianificazione del turismo
Per quanto riguarda la progettazione del turismo diasporico, tutti i tre intervistati erano d’accordo che il turismo genealogico della diaspora italiana andrebbe rappresentato meglio. Tra i ragionamenti è stato menzionato anche l’aspetto economico, in quanto il turismo, facendo parte integrale dell’economia, potrebbe essere sollecitato, anche dalla prospettiva del turismo delle radici, attraverso il rinforzo dei legami tra l’Italia e le diaspore. Il rinnovamento dei contatti ed una presenza più intensa dalla parte dello stato italiano con gli espatriati e i loro discendenti, oltre che sarebbe desiderevole, potrebbe comportare dei benefici sia economici che culturali. Bisogna non dimenticare quanto gli italiani all’estero hanno contribuito, e stanno contribuendo tutto oggi, allo sviluppo del paese inviando regolarmente rimesse ai membri della famiglia che sono rimasti, e quanto lo stato poteva contare su queste.
“Dal punto di vista economico, si sa da 200 anni che sarebbe utile seguire i filoni aperti dagli emigranti, però poi non si riesce mai a organizzarli in maniera sostanziale. […] Quindi, anche il turismo rientra un po' in questo.” (Tirabassi)
Naturalmente, al di là degli aspetti economici, anche dal punto di vista culturale converrebbe di creare un rapporto più stretto con gli italiani all’estero e cercare di riaccendere i loro interessi verso il paese.
Dall’altra parte, le opinioni non sono state consonanti, purché si è verificata una determinata incertezza verso il livello di organizzazione che potrebbe o dovrebbe occuparsi della promozione e gestione del segmento. L’osservazione e l’esperienza della signora Tirabassi esprime il ruolo importante delle regioni, le quali sono le parti realmente attive cercando di (ri)collegarsi ai discendenti, mentre a suo avviso manca l’organizzazione statale. La cura dell’imagine dell’Italia, che alla fine è parte integrante della strategia turistica, ma non solo, avviene principalmente attraverso i privati: la moda, il design e la cultura, cioè gli attori del mercato e non è un frutto della pianificazione dello stato. Hanno un ruolo chiave i discendenti e gli italiani espatriati, in quanto sono stati “i primi di ricettori del mercato italiano […] che
hanno cominciato a cercare i prodotti italiani, importare prodotti italiani, a giocare sui prodotti italiani, o anche sulla moda, sul cinema. […] Molto è passato attraverso di loro, ecco. Direi più attraverso di loro che attraverso lo stato italiano. E lo stato italiano non è stato capace, ecco, di gestire, di approfittare.” (Tirabassi)
Il controesempio riportato è la Gran Bretagna, che invece è riuscita a
”vendere una città come Londra, che non è particolarmente bella. […] Hanno venduto attraverso la lingua tutto il paese.” (Tirabassi) Nell’opinione della
signora Tirabassi ci sarebbe da imparare dagli inglesi, innanzitutto la loro capacità di farsi valere. Perché nel mondo ci sono tantissime persone che si appassionano per l’Italia, per la sua cucina, per i paesaggi, per la cultura e per la letteratura, che sono i cosidetti “italofili” del concetto chiamato “italicità” da Piero Bassetti. Tutti quelli “che vedono nell'Italia un punto forte” (Tirabassi)
diventano in realtà da una parte, portatori dell’immagine italiana, e dall’altra parte potenziali attori del segmento turistico, anche di quello diasporico.
Similmente, non è riuscito a dare una risposta evidente neanche il signor Cartusciello per quanto riguarda il livello di governance desiderevole per la pianificazione del turismo delle radici.
“Quindi non Le so dire se a che livelli si potrebbe fare qualcosa. Ma ben venga se si fa” (Cartusciello)
Dal suo punto di vista, un’eventuale struttura che potrebbe occuparsi del turismo genealogico è quella dei consolati essendo presenti ogni paese di rilevanza turistica, in questo senso. Tuttavia i consolati hanno molteplici compiti da svolgere e non hanno necessariamente le capacità, in ogni senso, di affrontare questo ruolo in più. È stato fornito l’esempio del consolato di San Paolo, dove il prossimo appuntamento disponibile per presentare la domanda di doppia cittadinanza è fra 10-15 anni. Da un lato, questo può essere visto come opportunità di viaggi effettuati dai brasiliani verso l’Italia, generando movimento e turismo in generale. Dall’altro lato però attesta che i consolati magari non sarebbero in grado di esplicare ulteriori compiti.
Infine, ci entra il paradigma del carattere di nicchia del turismo ancestrale. Essendo molto personalizzato ogni tour, regalando emozioni ed esperienze uniche da persona a persona, sarebbe contradizzionale di portare la sua promozione sui livelli più elevati e commercializzarlo completamente per le masse. Come tutti i segmenti di nicchia, anche questo è difficile a standardizzare, perché anche se i vistatori hanno tantissimi elementi del viaggio in comune, i propri percorsi di vita rimangono imparagonabili. Hanno esigenze e pretese diverse a soddisfare.
“Perché è comunque un segmento di nicchia, nel senso che la persona ha soddisfazione se gli fai fare il tour della sua famiglia. Posso pure accontare un pullman granturismo di 20-50 persone che hanno tutte origini della Puglia, per esempio, ma ci sarà sempre il giorno specifico in cui quella persona va a vedere la sua casa natale […] del suo antenato, non dell’antenato dell’altro.
[…] Non si può più parlare di turismo genealogico, si parla di turismo generale.” (Bovino)
È inevitabile, comunque, qualche tipo sviluppo dato che è un mercato in continua crescita, con richieste che incrementano. Basti pensare agli emigrati degli anni Settanta, i quali discendenti a breve termine avranno le terze generazioni, potenziali ricercatori delle radici familiari.
“[…] le potenzialità ci sono, anche perché questo mercato aumenta, non è che è in diminuzione, cioè non è che diminuiscono i discendenti, anzi, aumentano. E penso che fra un paio di generazioni inizierà anche dall’Europa una richiesta del genere […]” (Cartusciello)
Non solo dall’Europa, ma anche dall’Australia. Il “big wave of emigration”, avvenuta ormai da quasi 50 anni, sta per fornire una domanda nuova. Se consideriamo che le generazioni di solito si cambiano ogni 25-30 anni, nel futuro non tanto lontano si presenterà l’interesse nel turismo ancestrale anche da quelle parti.
“Quindi, siamo già a due generazioni in Australia, forse anche la terza […]Ma la terza magari è appena nata. Quindi, fra una ventina d'anni […] sicuramente avrò più richieste dall’Australia.” (Bovino)