• Non ci sono risultati.

La legge: governo sub lege e governo per leges

La giustizia come legalità

4. La legge: governo sub lege e governo per leges

Le due forme del «governo della legge» sono indicate dalle due formule «governo sub lege» e «governo per leges». La prima impone di esercitare il potere in conformità a norme superiori; la seconda impone al potere di esprimersi attraverso norme generali e astratte.

L’ideale del «governo sub lege» è proprio del pensiero giusnaturalista (e giusrazionalista) antico e moderno. Allo stesso tempo esso è alla base delle

teorie giuspositiviste dello «stato di diritto» come quella forma di stato80 che



79 Si vedano, ad esempio, R. A. Newman (eds.), Equity in the World’s Legal System, Edinburgh

University Press, Edinburg 1974; AA. VV., Equità, Giuffrè, Milano 1975; P. Pinna Parpaglia, Aequitas romana ed Epieikeia aristotelica nella dottrina romanistica, Gallizzi, Sassari 1969; Id., Aequitas in libera republica, Giuffrè, Milano 1973; F. D’Agostino, Epieikeia: il tema dell’equità nell’antichità greca, Giuffrè, Milano 1973; Id., Dimensioni dell’equità, Giappichelli, Torino 1977; F. W. Maitland, Equity: A Course of Lectures (1909), tr. it. L’equità, Giuffrè, Milano 1979; V. Lundstedt, Law and Justice, Almqvist & Wiksell, Stockolm 1952; C. K. Allen, Aspects of justice, cit., pp. 56 e ss.; G. Ciulei, L’équité chez Ciceron, Hakkert, Amsterdam, 1972; G. M. Chiodi, Equità: la categoria regolativa del diritto, Guida, Napoli 1989; Id., Equità: la regola costitutiva del diritto, Giappichelli, Torino 2000; L. d’Avack, F. Riccobono, Equità e ragionevolezza nell’attuazione dei diritti, Guida, Napoli 2004; D. Carpi, The concept of equity. An interdisciplinary assessment, Winter, Heidelberg 2007; M. Barberis, Equità, in «il Mulino», 2, 1986, pp. 304-312; Id., Tutta un’altra storia. Equity, diritto e letteratura, in «Etica & Politica / Ethics & Politics», X, 2008, 1, pp. 143-150.

80 Con l’espressione «forme di stato» vengono indicate molte classificazioni differenti, che

variano a seconda che il criterio scelto sia di tipo storico (es. stato feudale, di ceti, assoluto, rappresentativo), sociologico (stato liberale, socialista), politologico (stato centralizzato, federale). Quella di «stato di diritto» è una categoria che associa criteri di distinzione storica e sociologica, dove per sociologico si intende il rapporto (e i confini) dei poteri statali con la società.

impone la conformità degli atti del potere alla legge, sia nella forma (stato legislativo di diritto), sia anche nel contenuto (stato costituzionale di diritto).

Diversamente, l’espressione «governo per leges» richiama il problema del carattere universale delle norme. Se si analizzano le due componenti, il soggetto e il predicato, delle proposizioni prescrittive, si può dire che l’universalità, contrapposta alla singolarità, può dunque essere caratteristica propria sia del soggetto che compie l’azione regolata sia dell’azione compiuta. Una norma universale rispetto al soggetto si dice «generale», una norma universale rispetto all’azione si dice «astratta». Il contrario di «generalità» è «individualità», mentre il contrario di «astrattezza» è «concretezza».

Secondo una delle ricostruzioni proposte da Bobbio, una norma individuale, che si rivolge cioè ad una sola persona, è detta comando; una norma concreta, relativa quindi ad un’azione singola, è detta ordine. Se si pensa, ad esempio all’Antigone di Sofocle, la sentenza di morte emessa da Creonte nei confronti di Antigone è un «comando» (per il boia), l’editto che vieta la sepoltura del cadavere di Polinice è un «ordine».

Combinando i due criteri di universalità/singolarità con la coppia logica soggetto/predicato si ottengono quattro classi di norme, tutte presenti in qualsivoglia ordinamento positivo:

a) norme «generali ed astratte»: si tratta della maggior parte delle norme (ad esempio quelle penali), dette in senso stretto «leggi»; b) norme «generali e concrete» [comandi generali]: si tratta di norme

che si rivolgono a un’intera classe di cittadini prescrivendo un’azione singola (come per esempio l’evacuazione di una zona a rischio); esse rispondono a esigenze concrete (spesso d’emergenza) e hanno una durata ristretta nel tempo;

c) norme «individuali ed astratte» [ordini astratti]: sono norme indirizzate a un singolo, e che prescrivono una molteplicità di

azioni (ad esempio tutte le prerogative di una determinata carica), come nel caso della nomina di un commissario straordinario; d) norme «individuali e concrete»: l’esempio della prescrizione di

un’azione singola a un individuo è la sentenza di un giudice, che richiama il momento dell’applicazione di una norma e non quello

della sua produzione.81

La preferenza accordata agli ordinamenti composti prevalentemente da regole di condotta generali e astratte si basa sui due valori cardine dell’ideale del «governo della legge»: eguaglianza e certezza. L’«eguaglianza di fronte alla

legge»82, il carattere formale dell’eguaglianza giuridica, sarebbe garantita dalla

generalità delle norme in quanto la costruzione di una fattispecie giuridica (es: tutti i ladri) garantisce che nessun individuo singolo possa essere privilegiato o discriminato dalla legge. La «certezza» del diritto invece sarebbe garantita dall’astrattezza delle leggi, nel senso che la caratterizzazione tipica dell’azione comandata (o vietata) permette conoscere preventivamente le conseguenze (giuridiche) dei propri comportamenti.

In questo caso il problema della «giustizia come legalità» assume un significato ulteriore (ma pur sempre formale) rispetto alla sola osservanza di leggi superiori da parte del potere:

noi pensiamo che generalità e astrattezza siano requisiti non già della norma giuridica quale è, ma quale dovrebbe essere per corrispondere all’ideale di giustizia, per



81 In un altro luogo Bobbio propone una classificazione ancora più rigorosa, ricorrendo al

termine «precetto» per indicare un genus che comprende quattro species normative differenti: «“precetto” per il genus; “legge” per i precetti generali; “norma” per precetti astratti (nei quali soltanto ricorre il carattere della normalità); “comando” per i precetti individuali; “ordine” per quelli concreti. Onde i quattro tipi sopra elencati sarebbero così denominati: 1° leggi-norme; 2° leggi-ordini; 3° comandi-norme; 4° comandi-ordini». (N. Bobbio, Norma giuridica (1964), in Id., Contributi ad un dizionario giuridico, Giappichelli, Torino 1994, p. 223)

82 Per una ricostruzione dei diversi significati giuridici del principio di eguaglianza cfr. infra, pp.

cui tutti gli uomini sono eguali, tutte le azioni sono certe; cioè siano requisiti, non tanto

della norma giuridica (cioè della norma valida in un certo sistema), ma della norma giusta.83

Le teorie dello stato di diritto nascono proprio sulla base dell’eliminazione di discriminazioni nella forma del diritto, sia attraverso l’abolizione di diritti speciali (diversificati per ceti) sia attraverso la sempre più dettagliata codificazione, di cui il code civil napoleonico costituisce il primo grande modello moderno. A proposito delle garanzie derivanti dal governo per leges, Calamandrei parlava dello «sconsolato ossequio delle leggi perché tali», così commentato da Zagrabelsky:

non perché egli creda in un legislatore-giusto, che è tale perché e in quanto da lui promanino leggi giuste, come possono ritenere i giusnaturalismi di ogni specie; e nemmeno perché creda in un giusto-legislatore, dal quale, per qualche qualità sua propria, provengono leggi giuste per definizione, come ritengono i giuspositivisti ideologici; ma perché crede che la legge in se stessa, in quanto cosa diversa dall’ordine particolare o dalla decisione caso per caso, contenga un elemento morale di importanza tale da sopravanzare addirittura l’ingiustizia eventuale del suo contenuto.84

Ricapitolando, la legalità si esercita su tre diversi livelli, ciascuno dei quali influisce su un aspetto specifico del problema. Se si analizza il rapporto fra la legge e il sovrano, esso dovrà sempre sottostare a delle norme superiori (governo sub lege); se si analizza il rapporto tra il governante e i governati, il primo dovrà esprimersi mediante norme generali e astratte (governo per leges). C’è poi un terzo livello, che non riguarda la produzione ma l’applicazione delle norme: si tratta del rapporto fra leggi e casi singoli.85 Qui il principio di legalità

si riassume nella massima nullum crimen, nulla poena sine lege, e rimanda al vincolo



83 N. Bobbio, Teoria generale del diritto, Giappichelli, Torino 1993, p. 149.

84 G. Zagrebelsky, Una travagliata apologia della legge, in P. Calamandrei, Fede nel diritto, Laterza,

Bari-Roma 2008, p. 6.

per i giudici di non ricorrere a decisioni «caso per caso» ma far riferimento a

una norma generale da applicare al caso singolo.86 Per altro verso, nel modello

dello «stato di diritto», il principio di legalità applicato agli atti del potere giudiziario conduce all’adozione della massima veritas, non autoritas facit iudicium,

secondo la quale il ruolo del giudice è puramente quello di applicare la legge87.

Se condizione di legittimità del potere di produrre norme risiede nell’osservanza di una legge superiore (la lex che, nell’atto stesso in cui facit

regem, limita l’esercizio del suo potere), la condizione di legittimità degli atti del

potere giudiziario sta nella subordinazione dei giudici alle norme prodotte dal potere legislativo.

Parlando delle leggi consuetudinarie, del giudizio equitativo e delle prerogative dei giudici Hobbes afferma:

Quando un antico uso acquista l’autorità di legge, non è l’antichità a conferirgli tale autorità, ma la volontà del sovrano, espressa dal suo silenzio (perché a volte il silenzio è segno di consenso); e resta legge solo fin quando il sovrano non si pronuncia riguardo ad essa. Perciò se il sovrano si fonda, in una questione di diritto, non sulla volontà presente, ma sulle leggi fatte in precedenza, l’antichità di esse non pregiudica il suo diritto; e la questione deve essere giudicata secondo equità. Infatti molte azioni e sentenze ingiuste restano senza controllo per un tempo più lungo di ogni ricordo umano; e i nostri giuristi pensano che siano leggi solo i costumi ragionevoli, e che i cattivi costumi vadano aboliti. Ma il giudizio su ciò che è ragionevole e su ciò che va abolito spetta a chi fa la legge, cioè all’assemblea sovrana o al monarca.88



86 R. Guastini, Il giudice della legge, cit., soprattutto pp. 9 e ss. e pp. 49 e ss. 87 Si veda L. Ferrajoli, Principia iuris, cit., vol. I, p. 876.

Capitolo 4