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LA LEGISLAZIONE VITIVINICOLA FRANCESE PRECEDENTE L’UNIONE
EUROPEA


Fin
 dall’antichità,
 il
 concetto
 di
 qualità
 superiore
 di
 un
 vino
 è
 sempre
 stato
 legato
 a
 un’origine
 geografica
 precisa,
 contribuendo
 a
 infondere
 nel
 cliente
 la
 fiducia
 nel
 prodotto
che
si
accingeva
a
consumare.


In
 Francia,
 a
 partire
 dal
 Medioevo,
 i
 produttori
 della
 Borgogna
 e
 di
 Bordeaux
 si
 sono
 dedicati
a
difendere
i
loro
vini
che,
a
loro
avviso,
erano
migliori

degli
altri
e,
per
questo,
 giustificati
anche
nel
prezzo
elevato.


Il
 mercato
 ha
 ben
 accettato
 questa
 loro
 posizione,
 ma
 il
 successo
 e
 la
 fama
 di
 questi
 prodotti
sono
le
cause
principali
della
nascita
di
frodi
e
di
contraffazioni,
contro
le
quali
i
 produttori
si
sono
costantemente
battuti.


Per
quanto
riguarda
la
Francia,
nel
periodo
precedente
alla
crisi
causata
dalla
filossera,
 pressoché
nessuna
attenzione
era
prestata
alla
protezione
di
un
prodotto
noto.


Regnava
 quindi
 un
 certo
 liberalismo,
 in
 cui
 si
 difendevano
 solo
 le
 marche
 o
 i
 nomi
 commerciali
di
“prodotti
fabbricati”,
come
espresso
dalla
legge
del
28
luglio
1824
:
 


Chiunque
 avrà
 sia
 apposto,
 sia
 fatto
 apparire
 in
 aggiunta,
 eliminazione
 o
 per
 un’alterazione
 qualunque,
 su
 degli
 oggetti
 fabbricati,
 il
 nome
 di
 un
 fabbricante
 oltre
 a
 quello
 dell’autore,
 o
 la
 ragione
commerciale
di
una
fabbrica
oltre
a
quella
dove
i
citati
oggetti
sarebbero
stati
fabbricati,
 o
 infine
 il
 nome
 di
 un
 luogo
 oltre
 a
 quello
 della
 fabbricazione,
 sarà
 punito
 come
 riportato
 nell’articolo
423
del
codice
penale,
senza
pretesa
del
risarcimento
dei
danni,
se
ci
sono
stati.
 Tutti
 i
 venditori,
 rappresentanti
 o
 la
 vendita
 saranno
 passibili
 degli
 effetti
 dell’incriminazione
 nel
 momento
 in
 cui
 gli
 oggetti
 marcati
 dei
 nomi
 supposti
 o
 alterati
 saranno
 volontariamente
 esposti
alla
vendita
o
alla
messa
in
circolazione.”69

Per
 quanto
 riguardava
 il
 vino,
 il
 costume
 dell’epoca
 non
 lo
 considerava
 un
 prodotto
 fabbricato,
bensì
un
prodotto
naturale
(in
effetti,
le
tecnologie
disponibili
nell’Ottocento
 non
permettevano
alterazioni
rilevanti).


Per
questo
motivo,
la
legislazione
si
basava
sul
concetto
stabilito
dall’articolo
1587
del
 codice
civile
del
1804:70

“Nei
 confronti
 del
 vino,
 dell’olio
 e
 di
 altre
 cose
 che
 l’uso
 vuole
 di
 assaggiare
 prima
 di
 farne
 l’acquisto,
(si
stabilisce
che)
non
c’è
vendita
fino
a
quando
il
compratore
non
ne
avrà
gustato
e
 concordato.” 
 La
crisi
filosserica
alla
fine
del
XIX
secolo
riportò
alla
luce
l’importanza
della
difesa
dei
 vini
di
qualità
e
della
loro
origine.
 Di
fronte
a
vigneti
distrutti
e
a
raccolti
pressoché
inesistenti
a
causa
del
temibile
insetto,
 i
viticoltori
si
videro
costretti
a
far
fronte
a
spese
onerose
per
reimpiantare
nuove
viti
 nei
terreni
colpiti.
Nello
stesso
momento,
la
concorrenza
non
perse
tempo
nell’occupare
 il
posto
che
si
era
liberato
in
un
mercato
che,
al
contrario,
non
presentava
nessuna
crisi.
 Fu
 così
 che
 comparvero
 vini
 “sostitutivi”,
 spacciati
 per
 autentici,
 che
 provenivano
 da
 regioni
vicine
e
meno
conosciute
rispetto
ai
loro
simili
ben
più
noti.
 





 69http://www.legifrance.gouv.fr/affichTexteArticle.do;jsessionid=89620CC2B434F44A9501C7D61F2BBE 6F.tpdjo05v_3?idArticle=LEGIARTI000006502915&cidTexte=LEGITEXT000006071109&dateTexte=200 71221
 70
Legge
del
6
marzo
1804.
 http://www.legifrance.gouv.fr/affichCodeArticle.do?cidTexte=LEGITEXT000006070721&idArticle=LEGI ARTI000006441322&dateTexte=&categorieLien=cid


Alla
 fine
 del
 secolo,
 la
 situazione
 era
 carica
 di
 tensione:
 il
 mercato
 era
 letteralmente
 inondato
di
vino
a
causa
delle
contraffazioni,
ma
anche
a
causa
del
reimpianto
effettuato
 dai
viticoltori,
che
stava
cominciando
a
dare
i
suoi
frutti
con
tempistiche
veloci.


I
 coltivatori,
 che
 si
 erano
 fortemente
 indebitati
 per
 cercare
 di
 uscire
 dalla
 crisi,
 accusarono
 produttori
 e
 mercanti
 di
 vino
 senza
 scrupoli
 di
 essere
 i
 responsabili
 della
 loro
difficile
situazione.


Il
 governo
 non
 restò
 a
 guardare
 e
 promulgò
 quella
 che
 poi
 sarebbe
 diventata
 celebre
 come
la
“legge
del
1°
agosto
1905”.



 


LEGGE
DEL
1°
AGOSTO
190571

Questo
 testo
 è
 considerato
 il
 vero
 punto
 di
 partenza
 per
 la
 protezione
 delle
 denominazioni
di
origine
viticole.


Nel
suo
articolo
1
si
leggeva:
 


“Chiunque
abbia
imbrogliato
o
tentato
di
imbrogliare
la
controparte:


Sia
 sulla
 natura,
 le
 qualità
 sostanziali,
 la
 composizione
 e
 il
 tenore
 in
 principi
 utili
 di
 tutte
 le
 merci;


Sia
sulla
loro
specie
o
la
loro
origine
quando,
secondo
la
convenzione
o
gli
usi,
la
designazione
 della
 specie
 o
 dell’origine
 falsamente
 attribuita
 alle
 merci
 dovrà
 essere
 considerata
 come
 la
 causa
principale
della
vendita;
 Sia
sulla
quantità
delle
cose
scaricate
o
sulla
loro
identità
per
la
consegna
di
una
merce
diversa
 dalla
cosa
determinata
che
è
oggetto
del
contratto,
 Sarà
punito
con
la
prigione,
per
un
periodo
minimo
di
3
mesi,
un
anno
o
più
e
di
una
ammenda
di
 540
Nuovi
Franchi,
con
27000
Nuovi
Franchi
o
più,
o
con
una
di
queste
due
pene
solamente.” 
 Come
si
può
già
capire
dal
primo
articolo,
l’intera
legge
si
applicava
a
tutte
le
merci,
ma
è
 interessante
 notare
 che
 furono
 le
 frodi
 sui
 vini
 e
 sulle
 acquaviti
 le
 vere
 leve
 che
 portarono
alla
nascita
di
questo
testo.










Tale
legge
non
si
limitava
a
reprimere
la
frode:
il
concetto
di
cosa
s’intendeva
all’epoca
 per
frode
è
ben
spiegato,
così
come
sono
ben
esposte
le
conseguenze
legali,
che
ricadono
 su


“1°
 Coloro
 che
 falsificano
 le
 derrate
 che
 servono
 all’alimentazione
 dell’uomo
 o
 degli
 animali,
 delle
medicine,
delle
bevande
e
dei
prodotti
agricoli
o
naturali
destinati
a
essere
venduti;


2°
 Coloro
 che
 espongono,
 mettono
 in
 vendita
 o
 vendono
 delle
 derrate
 che
 servono
 all’alimentazione
dell’uomo
o
degli
animali,
delle
bevande
e
dei
prodotti
agricoli
o
naturali
che
 sanno
essere
falsificati
o
corrotti
o
tossici;”72 
 L’intenzione
fraudolenta
era
l’elemento
essenziale
di
queste
azioni,
che
erano
sanzionate
 con
pene
stabilite
dal
tribunale.
 Per
multare
la
frode,
però,
elemento
fondamentale
era
la
determinazione
di
chi
avesse
il
 diritto
al
riconoscimento
e
a
chi
fosse
negato.
 Un’altra
novità
di
questa
legge
risiedeva
proprio
in
questo:
essa
cercava
di
stabilire
un
 sistema
con
cui
fissare
il
diritto
alla
denominazione,
attraverso
il
quale
riconoscere
con
 certezza
i
titolari
prima
ancora
di
proteggerli.
 In
quest’ottica
si
deve
leggere
l’articolo
11:
 


“Saranno
 regolati
 da
 decreti
 dell’amministrazione
 pubblica
 sulle
 misure
 da
 prendere
 per
 assicurare
l’esecuzione
della
presente
legge,
in
particolare
su
ciò
che
concerne
(…)


2°‐
 Le
 iscrizioni
 e
 i
 marchi
 indicanti
 sia
 la
 composizione,
 sia
 l’origine
 delle
 merci,
 sia
 le
 denominazioni
regionali,
e
i
crus
particolari
che
i
compratori
potranno
esigere
sulle
fatture,
sugli
 imballaggi
o
sui
prodotti
stessi,
a
titolo
di
garanzia
della
parte
del
venditore.”73

In
tutto
il
testo
però,
non
emergono
due
elementi:



− il
 primo
 riguarda
 la
 qualità,
 cioè
 nessuna
 esigenza
 qualitativa
 è
 richiesta
 a
 supporto
dell’identificazione
dei
prodotti
oggetti
di
frode;


− il
secondo
è
legato
alla
mentalità
dell’epoca,
che
non
trovava
nessuna
differenza
tra
 i
 concetti
 di
 provenienza
 e
 
 quello
 di
 origine
 del
 prodotto,
 in
 quanto
 essi
 erano










72
Articolo
3,
paragrafi
1
e
2
della
legge
del
1°
agosto
1905.
 73
Ibidem
nota
72.


considerati
 sinonimi.
 È
 per
 questo
 motivo,
 infatti,
 che
 il
 legislatore
 si
 limitò
 a
 proteggere
solo
il
fattore
“provenienza”.74

Per
 cercare
 di
 rispondere
 all’esigenza
 di
 rendere
 trasparente
 il
 requisito
 dell’origine,
 l’amministrazione
 statale
 promulgò
 una
 nuova
 legge
 che
 voleva
 essere
 la
 soluzione
 a
 questo
problema.


Essa
si
basava
sull’aspetto
territoriale,
quindi
attraverso
quello
che
secondo
gli
ideatori
 era
 un
 criterio
 oggettivo
 e
 teoricamente
 di
 facile
 applicazione,
 definendo
 chiaramente
 delle
aree
a
denominazione
geografica.
 
 
 LEGGE
DEL
5
AGOSTO
190875 Si
trattava
di
una
modifica
della
legge
del
1°
agosto
1905,
che
riguardava
in
particolare
 l’articolo
11,
comma
2°,
paragrafo
3
di
quest’ultimo
testo.
 Se
nella
prima
versione
l’articolo
si
presentava
così
redatto:
 


“La
 definizione
 e
 la
 denominazione
 di
 bevande,
 derrate
 e
 prodotti
 conformemente
 agli
 usi
 commerciali,
 i
 trattamenti
 leciti
 di
 cui
 essi
 potranno
 essere
 oggetto
 in
 vista
 della
 loro
 buona
 fabbricazione
o
della
loro
conservazione,
le
caratteristiche
che
li
rendono
non
adatti
al
consumo;
 (…)” 
 nella
versione
del
1908
troviamo
aggiunto:
 
 “(…)
le
caratteristiche
che
li
rendono
non
adatti
al
consumo,
la
delimitazione
delle
regioni
che
 possono
 aspirare
 esclusivamente
 alle
 denominazioni
 di
 provenienza
 dei
 prodotti.
 Questa
 delimitazione
sarà
fatta
prendendo
in
considerazione
gli
usi
locali
e
costanti.”76









74
 Nella
 mentalità
 d’inizio
 Novecento,
 i
 concetti
 di
 “origine”
 e
 di
 “provenienza”avevano
 lo
 stesso


significato.
 In
 quest’epoca,
 infatti,
 l’intera
 filiera
 produttiva
 di
 un
 bene
 era
 localizzata
 in
 un
 territorio
 ben
ristretto,
per
cui
era
certo
che
tale
bene
fosse
originario
e
provenisse
dallo
stesso
luogo.


75
Pubblicata
sul
Journal
Officiel
dell’11
agosto
1908.


Quest’aggiunta,
 che
 nell’idea
 del
 legislatore
 doveva
 servire
 a
 fornire
 una
 sorta
 di
 protezione
 per
 il
 prodotto,
 in
 realtà
 si
 rivelò
 la
 causa
 scatenante
 di
 una
 situazione
 di
 tensione
che
terminò
solo
nel
1919.


Dato
 che
 la
 delimitazione
 amministrativa
 doveva
 essere
 fatta
 secondo
 “usi
 locali
 e
 costanti”,
 l’Amministrazione
 pubblica
 chiese
 l’opinione
 delle
 commissioni
 locali
 delle
 regioni
interessate.
Il
lavoro
di
quest’ultime,
però,
venne
bloccato
da
dibattiti
infiniti
tra
 i
comuni
più
o
meno
implicati
nella
determinazione
delle
zone
di
denominazione.


Il
compito
fu
così
assegnato
a
tecnici
ed
esperti,
meno
coinvolti
nella
disputa,
e
si
riuscì
a
 promulgare
i
decreti
con
cui
si
ponevano
i
confini
per
le
zone
interessate.


Se
 nella
 regione
 del
 Cognac
 e
 dell’Armagnac
 le
 delimitazioni
 vennero
 accolte
 relativamente
bene,
nella
Champagne
non
fu
altrettanto.


La
 regione
 è
 storicamente
 composta
 dalla
 regione
 dell’Aube
 e
 dalla
 Marne,
 le
 quali
 hanno
condizioni
naturali
e
cépages
diversi
l’una
dall’altra;
inoltre
sono
caratterizzate
da
 un’antica
ostilità,
che
vede
un
certo
senso
di
superiorità
della
Marne
rispetto
all’Aube.
 La
prima
delimitazione
non
accontentò
nessuna
delle
due
parti:
l’Aube
era
esclusa
dalla
 denominazione
Champagne,
mentre
la
Marne
non
era
pienamente
soddisfatta.


L’annata
1910
fu
un
vero
disastro,
che
mise
in
ginocchio
i
produttori,
i
quali
accusarono
i
 mercanti
 di
 essere
 i
 responsabili
 della
 stagnazione
 dei
 prezzi
 e
 di
 vendere
 come
 Champagne
 il
 vino
 prodotto
 in
 Aube,
 area
 esclusa
 dalla
 denominazione
 secondo
 il
 decreto.


Oltre
 a
 ciò,
 nel
 gennaio
 1911
 alcune
 cantine
 vennero
 saccheggiate
 e
 fu
 necessario
 l’intervento
di
diversi
reggimenti
per
riportare
la
calma.


La
 situazione
 ritornò
 a
 essere
 tesa
 nel
 giugno
 dello
 stesso
 anno,
 quando
 venne
 promulgato
 un
 decreto
 che
 doveva
 soddisfare
 i
 coltivatori
 della
 Marne,
 e
 che
 invece
 provocò
una
nuova
ondata
di
protesta,
richiedendo
l’intervento
dei
militari.


Il
30
giugno
1911
il
Ministro
dell’Agricoltura
Pams
depose
alla
Camera
un
progetto
di
 legge,
 nel
 quale
 si
 proponeva
 un
 nuovo
 approccio
 al
 problema:
 istituire,
 cioè,
 le
 delimitazioni
per
via
giudiziaria
e
non
più
attraverso
l’amministrazione
pubblica.


Nella
stessa
proposta
veniva
introdotta
un’altra
novità.


Nell’articolo
 primo
 del
 testo
 si
 evidenziava
 che
 per
 definire
 i
 prodotti
 riportanti
 certi
 nomi
d’origine,
i
magistrati
dovevano
considerare,
oltre
che
all’origine
stessa,
anche
la
 natura,
la
composizione
e
le
qualità
sostanziali
del
prodotto.


In
questo
modo,
si
ripose
sul
tavolo
il
problema
del
riconoscimento
dell’origine
e,
allo
 stesso
tempo,
della
provenienza
dei
prodotti
sottoposti
a
denominazione.


Questo
nuovo
approccio
non
fu
ben
accolto
da
tutti:
il
deputato
della
Gironda,
il
duca
La
 Trémoille
(che
era
anche
proprietario
di
un
vasto
terreno
coltivato
a
vino),
per
qualche
 tempo
 tenne
 in
 scacco
 la
 situazione.
 Egli
 propose
 di
 legare
 la
 denominazione
 alla
 proprietà
 individuale
 del
 produttore,
 che
 poteva
 così
 fare
 ciò
 che
 voleva,
 bastava
 che
 rispettasse
la
provenienza
geografica.


Dopo
essere
stato
aspramente
dibattuto
in
Camera,
la
proposta
passò
in
Senato,
il
quale
 creò
 una
 commissione
 che
 facesse
 luce
 su
 tale
 progetto.
 Il
 comitato,
 nella
 persona
 del
 signor
Jénouvrier,
espose
le
sue
conclusioni
il
22
luglio
1914,
riaffermando
l’importanza
 del
 concetto
 di
 proprietà
 collettiva
 delle
 denominazioni,
 come
 “risultato
 degli
 sforzi
 prolungati
delle
generazioni
precedenti”77.



Purtroppo,
 i
 lavori
 per
 la
 tutela
 delle
 denominazioni
 dovettero
 bruscamente
 fermarsi.
 L’Assemblea
 Nazionale
 pose
 tale
 questione
 in
 secondo
 piano,
 poiché
 altri
 problemi
 necessitavano
 una
 maggiore
 attenzione.
 Infatti,
 il
 3
 agosto
 1914
 la
 Germania
 dichiarò
 guerra
alla
Francia,
che
entrò
così
nella
Prima
Guerra
Mondiale.


La
 questione
 delle
 denominazioni
 ritornò
 ben
 presto:
 subito
 dopo
 l’Armistizio
 dell’11
 novembre
1918
e
ancora
prima
del
Trattato
di
pace
di
Versailles
del
28
giugno
1919,
il
 rapporto
Jénouvrier,
vecchio
di
cinque
anni,
venne
approvato
dal
Senato
senza
nessuna
 modifica
e
adottato
il
24
aprile
1919.
 
 
 LEGGE
DEL
6
MAGGIO
191978
 
 “ARTICOLO
PRIMO.


Tutti
 coloro
 che
 pretenderanno
 che
 una
 denominazione
 di
 origine
 sia
 applicata
 a
 loro
 danno
 diretto
o
indiretto
e
contro
il
loro
diritto
a
un
prodotto
naturale
o
fabbricato
e
contrariamente
 all’origine
di
questo
prodotto,
o
a
degli
usi
locali,
leali
e
costanti,
saranno
soggetti
ad
un’azione
 legale
per
far
vietare
l’uso
di
questa
denominazione.
 





 77
Hachette/INAO,
“Le
goût
de
l’origine”,
2005.
 78
Il
testo
è
noto
come
“legge
del
6
maggio
1919”,
ma
è
stato
adottato
il
24
aprile
1919.


La
 stessa
 azione
 sarà
 di
 competenza
 di
 Sindacati
 e
 Associazioni
 regolarmente
 costituiti
 da
 almeno
10
mesi
quanto
ai
diritti
che
essi
hanno
per
scopo
di
difendere.



 ART.
2.


L’azione
 sarà
 portata
 davanti
 al
 tribunale
 civile
 del
 luogo
 di
 origine
 del
 prodotto
 la
 cui
 denominazione
 è
 contestata.
 La
 domanda
 sarà
 esonerata
 dal
 preliminare
 di
 conciliazione
 e
 istruita
e
giudicata
come
una
causa
trattata
con
procedimento
sommario.


ART.
3.


Entro
 8
 giorni
 dalla
 citazione,
 il
 richiedente
 dovrà
 far
 inserire
 in
 un
 giornale
 di
 annunci
 legali
 dell’area
 del
 suo
 domicilio,
 e
 anche
 in
 un
 giornale
 di
 annunci
 legali
 dell’area
 del
 tribunale
 prescelto,
una
nota
succinta
indicante
il
suo
cognome,
nome,
professione
e
domicilio,
i
cognomi,
i
 nomi
e
il
domicilio
del
suo
procuratore
legale,
quelli
del
difensore
e
del
suo
procuratore
legale,
 se
è
stato
nominato,
e
lo
scopo
della
domanda.


I
 dibattiti
 non
 potranno
 cominciare
 che
 15
 giorni
 dopo
 la
 pubblicazione
 della
 nota
 prevista
 al
 paragrafo
precedente.


ART.
4.


Tutti
 coloro,
 tutti
 i
 sindacati
 e
 associazioni
 aventi
 le
 condizioni
 della
 durata
 e
 dell’interesse,
 prevista
all’articolo
primo,
potranno
intervenire
all’istanza.



 ART.
5.


Entro
 un
 periodo
 di
 8
 giorni
 della
 notifica
 dell’atto
 di
 appello,
 l’appellante
 o
 gli
 appellanti
 dovranno
fare
le
inserzioni
previste
dall’articolo
3
della
presente
legge.
 I
dibattiti
non
potranno
cominciare
davanti
alla
Corte
che
15
giorni
dopo
le
inserzioni.
 
 ART.
6.
 I
fermi
della
Corte
d’appello
potranno
essere
deferiti
alla
Corte
di
Cassazione.
 La
Corte
di
Cassazione
(…)
sarà
competente
per
stimare
se
gli
usi
invocati
per
l’impiego
di
una
 denominazione
 di
 origine
 posseggono
 tutte
 le
 caratteristiche
 legali
 richieste
 dalla
 presente
 legge.
 Il
ricorso
sarà
sospeso.
 
 ART.
7.
 Le
sentenze
o
i
decreti
definitivi
decideranno
nei
confronti
di
tutti
gli
abitanti
e
proprietari
della
 stessa
regione,
dello
stesso
comune,
o,
eventualmente,
di
una
parte
dello
stesso
comune.”

Come
 si
 può
 capire
 leggendo
 i
 primi
 articoli,
 questa
 legge
 cancellò
 le
 disposizioni
 che
 avevano
generato
le
delimitazioni
amministrative
regionali
e
passò
tale
compito,
sotto
 forma
di
potere
esclusivo,
ai
tribunali
civili.


Altre
importanti
novità
furono
introdotte:



− 
l’estensione
del
diritto
di
intervento
giudiziario
ai
sindacati
professionali;


− 
la
 rivendicazione
 della
 denominazione
 doveva
 essere
 richiesta
 dal
 produttore
 nella
sua
dichiarazione
di
raccolta
(introdotta
con
la
legge
del
29
giugno
1907);
 − 
l’Autorità
 Amministrativa
 non
 aveva
 nessuna
 competenza
 nella
 delimitazione
 di


una
denominazione
di
origine;


− 
l’autorità
 giudiziaria
 non
 poteva
 essere
 interpellata
 che
 dagli
 individui
 o
 dai
 gruppi
direttamente
interessati;


− 
il
carattere
della
delimitazione
era
essenzialmente
storico
e
regionale;


− 
la
 legge
 non
 prendeva
 in
 considerazione
 nessun
 altro
 fattore
 se
 non
 quello
 dell’origine
geografica
regionale,
tralasciando
così
l’importante
ruolo
giocato
dalla
 composizione
 dei
 suoli,
 dalla
 natura
 dei
 cépages,
 dai
 processi
 di
 coltura,
 dalla
 vinificazione
e
dalla
distillazione,
dalle
caratteristiche
del
vino
o
dell’acquavite.
 Com’era
 già
 successo
 per
 le
 leggi
 precedenti,
 anche
 in
 questo
 caso
 nessun
 criterio
 qualitativo
veniva
imposto
nella
definizione
della
denominazione.
In
questo
modo,
ogni
 tribunale
attribuiva
il
riconoscimento
secondo
logiche
proprie
(a
volte
a
vantaggio
delle
 personalità
 influenti
 della
 zona),
 creando
 un
 quadro
 nazionale
 alquanto
 disomogeneo
 per
quanto
riguarda
gli
elementi
presi
in
considerazione
per
la
nomina.


La
legge
così
com’era,
quindi,
aiutò
prodotti
ordinari
a
ottenere
la
denominazione,
dato
 che
 la
 sola
 condizione
 richiesta
 era
 quella
 di
 provenire
 dallo
 stesso
 luogo
 di
 cui
 portavano
il
nome.



Accadde
così
che,
ad
esempio,
si
cominciò
a
piantare
vigneti
in
zone
acquitrinose
e
i
vini
 così
 prodotti
 furono
 posti
 legislativamente
 sullo
 stesso
 piano
 dei
 grandi
 vini,
 che
 potevano
invece
vantare
secoli
di
storia
alle
loro
spalle.


I
 viticoltori
 richiesero
 subito
 la
 modifica
 della
 legge
 del
 1919,
 che
 era
 percepita
 eticamente
ingiusta
nei
loro
riguardi.


In
loro
aiuto
arrivò
una
legge
che
non
aveva
nulla
a
che
fare
con
il
mondo
vinicolo,
ma
 che
poteva
essere
applicata
a
questo
settore.


Si
tratta
della
legge
del
26
luglio
1925
che
riguardava
il
formaggio
Roquefort:
in
questo
 testo
 si
 attribuiva
 il
 giusto
 valore
 all’origine
 territoriale,
 alla
 qualità
 e
 ai
 processi
 di
 preparazione.


Oltre
ai
viticoltori,
un’altra
personalità
si
batteva
in
quel
periodo
per
la
modifica
della
 legge
 del
 1919.
 Si
 trattava
 di
 Joseph
 Capus,
 che
 nel
 marzo
 1924
 (anche
 se
 per
 un
 brevissimo
periodo
di
tempo)
divenne
Ministro
dell’Agricoltura.


Egli
 aveva
 una
 formazione
 strettamente
 legata
 all’agricoltura
 e
 si
 batté
 in
 Parlamento
 affinché
“la
legge
genera
frodi”
(così
lui
chiamava
il
testo
del
1919)
venisse
cambiata.
 
 
 LEGGE
DEL
22
LUGLIO
192779 
 Capus
riuscì
nell’impresa
e
la
legge
fu
promulgata
nell’estate
del
1927.
 Il
nuovo
testo
modificò
la
nozione
giurisprudenziale
di
origine,
che
venne
adattata
a
un
 nuovo
contesto
in
cui
risultavano
fondamentali
fattori
come
l’origine
geografica
e
gli
usi
 locali,
leali
e
costanti
di
produzione.
Tutto
ciò
era
applicabile
esclusivamente
al
settore
 enoico.
 Alcuni
articoli
della
legge
del
1919
furono
modificati,
come
ad
esempio
 
 “ART.
3
(del
testo
del
1927)
 L’articolo
10
(testo
del
1919)
è
completato
dalle
disposizioni
seguenti:



indipendentemente
 dalle
 indicazioni
 relative
 all’origine,
 contenute
 all’articolo
 primo
 della
 presente
legge
(1919),
nessun
vino
ha
diritto
ad
una
denominazione
di
origine
regionale
o
locale
 se
non
proviene
da
cépages
e
da
un’area
di
produzione
consacrata
da
usi
locali,
leali
e
costanti.
 L’area
di
produzione
è
la
superficie
che
comprende
i
comuni
o
le
parti
del
comune
interessati
a
 produrre
vino
di
denominazione.
(…)”


Per
 la
 prima
 volta,
 si
 sancì
 un
 vero
 legame
 tra
 l’origine
 e
 la
 qualità,
 spiegando
 che
 quest’ultima
 si
 doveva
 basare
 necessariamente
 sull’esistenza
 di
 località
 di
 produzione
 ben
 definite
 e
 sulle
 diverse
 varietà
 di
 uva,
 come
 evidenziato
 dalla
 formula
 “usi
 locali,
 leali
e
costanti”.










Sebbene
 un
 traguardo
 importante
 fosse
 stato
 raggiunto,
 tale
 legge
 non
 seppe
 dare
 soluzioni
adeguate
ad
altri
problemi
che
aveva
sollevato.


Molti
tribunali
non
erano
preparati
a
giudicare
cause
che
richiedevano
una
conoscenza
 tecnica
del
problema.



Inoltre,
 molti
 giudici
 consideravano
 il
 concetto
 di
 area
 geografica
 e
 quello
 di
 varietà
 uvali
 come
 unici
 elementi
 della
 definizione
 di
 denominazione,
 ma
 non
 erano
 a
 conoscenza
di
altri
criteri
che
concorrevano
a
formare
tale
definizione,
come
ad
esempio
 il
fattore
della
maturità
minima,
del
massimo
raccolto,
l’applicazione
di
alcuni
metodi
di
 coltivazione
o
vinificazione.


Questa
confusione
non
passò
inosservata
a
Capus,
che
nel
frattempo
si
rese
conto
di
altri
 fenomeni,
come
ad
esempio
l’uso
delle
parole
“cru”
e
“château”
per
attirare
la
clientela,
 sebbene
 il
 prodotto
 imbottigliato
 non
 avesse
 nulla
 a
 che
 fare
 con
 i
 vini
 borgognoni
 e
 bordolesi
che
potevano
vantare
tali
nomi
sulla
propria
etichetta.
 Questo
fenomeno
risultò
ancora
più
frequente
con
la
crisi
economica
del
’29.
 Capus
capì
che
serviva
una
soluzione,
così
nel
1935
sottopose
al
Senato
un
nuovo
testo
 in
cui:
 1. 
si
definivano
le
caratteristiche
secondo
le
quali
si
poteva
(o
meno)
delimitare
le
 aree;
 2. 
si
diede
una
definizione
restrittiva
del
concetto
di
denominazione;
 3. 
si
cercò
di
limitare
il
campo
d’azione
del
Governo,
percepito
in
modo
negativo
dai
 coltivatori
durante
gli
ultimi
trent’anni.
 Quest’iniziativa
era
forte
del
sostegno
dei
sindacati
viticoli
e
in
particolare
della
sezione
 dei
 grandi
 vini,
 presieduta
 all’epoca
 dal
 barone
 Le
 Roy,
 avvocato
 e
 produttore
 a
 Châteauneuf‐du‐Pape.
 Il
decreto
legge
fu
promulgato
il
30
luglio
1935.
 
 
 DECRETO
LEGGE
DEL
30
LUGLIO
193580 
 Se
la
legge
del
1919
non
era
stata
abrogata,
questo
testo
istituiva
un
nuovo
sistema,
che
 apportava
le
soluzioni
per
le
mancanze
dei
dispositivi
precedenti.
 





 80
Pubblicata
sul
Journal
Officiel
del
31
luglio
1935.


In
particolare,
le
novità
riguardavano:
 


a. 
“Articolo
20.

Si
 costituisce
 un
 Comitato
 nazionale
 delle
 denominazioni
 di
 origine
 di
 vini
 e
 acquaviti
 che
 è
 dotato
di
personalità
civile.
La
composizione
di
questo
comitato
e
le
sue
regole
di
funzionamento
 saranno
 fissate
 da
 un
 decreto,
 reso
 su
 proposta
 dei
 ministri
 dell’Agricoltura,
 della
 Giustizia
 e
 delle
Finanze.”

Quest’organismo
 nazionale
 era
 composto
 da
 membri
 della
 professione
 (produttori
 e
 negozianti),
 da
 personalità
 qualificate
 e
 rappresentanti
 delle
 amministrazioni.
 Al
 momento
 della
 sua
 creazione
 possedeva
 un
 unico
 potere,
 cioè
 quello
 di
 decidere


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