Fin dall’antichità, il concetto di qualità superiore di un vino è sempre stato legato a un’origine geografica precisa, contribuendo a infondere nel cliente la fiducia nel prodotto che si accingeva a consumare.
In Francia, a partire dal Medioevo, i produttori della Borgogna e di Bordeaux si sono dedicati a difendere i loro vini che, a loro avviso, erano migliori degli altri e, per questo, giustificati anche nel prezzo elevato.
Il mercato ha ben accettato questa loro posizione, ma il successo e la fama di questi prodotti sono le cause principali della nascita di frodi e di contraffazioni, contro le quali i produttori si sono costantemente battuti.
Per quanto riguarda la Francia, nel periodo precedente alla crisi causata dalla filossera, pressoché nessuna attenzione era prestata alla protezione di un prodotto noto.
Regnava quindi un certo liberalismo, in cui si difendevano solo le marche o i nomi commerciali di “prodotti fabbricati”, come espresso dalla legge del 28 luglio 1824 :
Chiunque avrà sia apposto, sia fatto apparire in aggiunta, eliminazione o per un’alterazione qualunque, su degli oggetti fabbricati, il nome di un fabbricante oltre a quello dell’autore, o la ragione commerciale di una fabbrica oltre a quella dove i citati oggetti sarebbero stati fabbricati, o infine il nome di un luogo oltre a quello della fabbricazione, sarà punito come riportato nell’articolo 423 del codice penale, senza pretesa del risarcimento dei danni, se ci sono stati. Tutti i venditori, rappresentanti o la vendita saranno passibili degli effetti dell’incriminazione nel momento in cui gli oggetti marcati dei nomi supposti o alterati saranno volontariamente esposti alla vendita o alla messa in circolazione.”69
Per quanto riguardava il vino, il costume dell’epoca non lo considerava un prodotto fabbricato, bensì un prodotto naturale (in effetti, le tecnologie disponibili nell’Ottocento non permettevano alterazioni rilevanti).
Per questo motivo, la legislazione si basava sul concetto stabilito dall’articolo 1587 del codice civile del 1804:70
“Nei confronti del vino, dell’olio e di altre cose che l’uso vuole di assaggiare prima di farne l’acquisto, (si stabilisce che) non c’è vendita fino a quando il compratore non ne avrà gustato e concordato.” La crisi filosserica alla fine del XIX secolo riportò alla luce l’importanza della difesa dei vini di qualità e della loro origine. Di fronte a vigneti distrutti e a raccolti pressoché inesistenti a causa del temibile insetto, i viticoltori si videro costretti a far fronte a spese onerose per reimpiantare nuove viti nei terreni colpiti. Nello stesso momento, la concorrenza non perse tempo nell’occupare il posto che si era liberato in un mercato che, al contrario, non presentava nessuna crisi. Fu così che comparvero vini “sostitutivi”, spacciati per autentici, che provenivano da regioni vicine e meno conosciute rispetto ai loro simili ben più noti. 69http://www.legifrance.gouv.fr/affichTexteArticle.do;jsessionid=89620CC2B434F44A9501C7D61F2BBE 6F.tpdjo05v_3?idArticle=LEGIARTI000006502915&cidTexte=LEGITEXT000006071109&dateTexte=200 71221 70 Legge del 6 marzo 1804. http://www.legifrance.gouv.fr/affichCodeArticle.do?cidTexte=LEGITEXT000006070721&idArticle=LEGI ARTI000006441322&dateTexte=&categorieLien=cid
Alla fine del secolo, la situazione era carica di tensione: il mercato era letteralmente inondato di vino a causa delle contraffazioni, ma anche a causa del reimpianto effettuato dai viticoltori, che stava cominciando a dare i suoi frutti con tempistiche veloci.
I coltivatori, che si erano fortemente indebitati per cercare di uscire dalla crisi, accusarono produttori e mercanti di vino senza scrupoli di essere i responsabili della loro difficile situazione.
Il governo non restò a guardare e promulgò quella che poi sarebbe diventata celebre come la “legge del 1° agosto 1905”.
LEGGE DEL 1° AGOSTO 190571
Questo testo è considerato il vero punto di partenza per la protezione delle denominazioni di origine viticole.
Nel suo articolo 1 si leggeva:
“Chiunque abbia imbrogliato o tentato di imbrogliare la controparte:
Sia sulla natura, le qualità sostanziali, la composizione e il tenore in principi utili di tutte le merci;
Sia sulla loro specie o la loro origine quando, secondo la convenzione o gli usi, la designazione della specie o dell’origine falsamente attribuita alle merci dovrà essere considerata come la causa principale della vendita; Sia sulla quantità delle cose scaricate o sulla loro identità per la consegna di una merce diversa dalla cosa determinata che è oggetto del contratto, Sarà punito con la prigione, per un periodo minimo di 3 mesi, un anno o più e di una ammenda di 540 Nuovi Franchi, con 27000 Nuovi Franchi o più, o con una di queste due pene solamente.” Come si può già capire dal primo articolo, l’intera legge si applicava a tutte le merci, ma è interessante notare che furono le frodi sui vini e sulle acquaviti le vere leve che portarono alla nascita di questo testo.
Tale legge non si limitava a reprimere la frode: il concetto di cosa s’intendeva all’epoca per frode è ben spiegato, così come sono ben esposte le conseguenze legali, che ricadono su
“1° Coloro che falsificano le derrate che servono all’alimentazione dell’uomo o degli animali, delle medicine, delle bevande e dei prodotti agricoli o naturali destinati a essere venduti;
2° Coloro che espongono, mettono in vendita o vendono delle derrate che servono all’alimentazione dell’uomo o degli animali, delle bevande e dei prodotti agricoli o naturali che sanno essere falsificati o corrotti o tossici;”72 L’intenzione fraudolenta era l’elemento essenziale di queste azioni, che erano sanzionate con pene stabilite dal tribunale. Per multare la frode, però, elemento fondamentale era la determinazione di chi avesse il diritto al riconoscimento e a chi fosse negato. Un’altra novità di questa legge risiedeva proprio in questo: essa cercava di stabilire un sistema con cui fissare il diritto alla denominazione, attraverso il quale riconoscere con certezza i titolari prima ancora di proteggerli. In quest’ottica si deve leggere l’articolo 11:
“Saranno regolati da decreti dell’amministrazione pubblica sulle misure da prendere per assicurare l’esecuzione della presente legge, in particolare su ciò che concerne (…)
2°‐ Le iscrizioni e i marchi indicanti sia la composizione, sia l’origine delle merci, sia le denominazioni regionali, e i crus particolari che i compratori potranno esigere sulle fatture, sugli imballaggi o sui prodotti stessi, a titolo di garanzia della parte del venditore.”73
In tutto il testo però, non emergono due elementi:
− il primo riguarda la qualità, cioè nessuna esigenza qualitativa è richiesta a supporto dell’identificazione dei prodotti oggetti di frode;
− il secondo è legato alla mentalità dell’epoca, che non trovava nessuna differenza tra i concetti di provenienza e quello di origine del prodotto, in quanto essi erano
72 Articolo 3, paragrafi 1 e 2 della legge del 1° agosto 1905. 73 Ibidem nota 72.
considerati sinonimi. È per questo motivo, infatti, che il legislatore si limitò a proteggere solo il fattore “provenienza”.74
Per cercare di rispondere all’esigenza di rendere trasparente il requisito dell’origine, l’amministrazione statale promulgò una nuova legge che voleva essere la soluzione a questo problema.
Essa si basava sull’aspetto territoriale, quindi attraverso quello che secondo gli ideatori era un criterio oggettivo e teoricamente di facile applicazione, definendo chiaramente delle aree a denominazione geografica. LEGGE DEL 5 AGOSTO 190875 Si trattava di una modifica della legge del 1° agosto 1905, che riguardava in particolare l’articolo 11, comma 2°, paragrafo 3 di quest’ultimo testo. Se nella prima versione l’articolo si presentava così redatto:
“La definizione e la denominazione di bevande, derrate e prodotti conformemente agli usi commerciali, i trattamenti leciti di cui essi potranno essere oggetto in vista della loro buona fabbricazione o della loro conservazione, le caratteristiche che li rendono non adatti al consumo; (…)” nella versione del 1908 troviamo aggiunto: “(…) le caratteristiche che li rendono non adatti al consumo, la delimitazione delle regioni che possono aspirare esclusivamente alle denominazioni di provenienza dei prodotti. Questa delimitazione sarà fatta prendendo in considerazione gli usi locali e costanti.”76
74 Nella mentalità d’inizio Novecento, i concetti di “origine” e di “provenienza”avevano lo stesso
significato. In quest’epoca, infatti, l’intera filiera produttiva di un bene era localizzata in un territorio ben ristretto, per cui era certo che tale bene fosse originario e provenisse dallo stesso luogo.
75 Pubblicata sul Journal Officiel dell’11 agosto 1908.
Quest’aggiunta, che nell’idea del legislatore doveva servire a fornire una sorta di protezione per il prodotto, in realtà si rivelò la causa scatenante di una situazione di tensione che terminò solo nel 1919.
Dato che la delimitazione amministrativa doveva essere fatta secondo “usi locali e costanti”, l’Amministrazione pubblica chiese l’opinione delle commissioni locali delle regioni interessate. Il lavoro di quest’ultime, però, venne bloccato da dibattiti infiniti tra i comuni più o meno implicati nella determinazione delle zone di denominazione.
Il compito fu così assegnato a tecnici ed esperti, meno coinvolti nella disputa, e si riuscì a promulgare i decreti con cui si ponevano i confini per le zone interessate.
Se nella regione del Cognac e dell’Armagnac le delimitazioni vennero accolte relativamente bene, nella Champagne non fu altrettanto.
La regione è storicamente composta dalla regione dell’Aube e dalla Marne, le quali hanno condizioni naturali e cépages diversi l’una dall’altra; inoltre sono caratterizzate da un’antica ostilità, che vede un certo senso di superiorità della Marne rispetto all’Aube. La prima delimitazione non accontentò nessuna delle due parti: l’Aube era esclusa dalla denominazione Champagne, mentre la Marne non era pienamente soddisfatta.
L’annata 1910 fu un vero disastro, che mise in ginocchio i produttori, i quali accusarono i mercanti di essere i responsabili della stagnazione dei prezzi e di vendere come Champagne il vino prodotto in Aube, area esclusa dalla denominazione secondo il decreto.
Oltre a ciò, nel gennaio 1911 alcune cantine vennero saccheggiate e fu necessario l’intervento di diversi reggimenti per riportare la calma.
La situazione ritornò a essere tesa nel giugno dello stesso anno, quando venne promulgato un decreto che doveva soddisfare i coltivatori della Marne, e che invece provocò una nuova ondata di protesta, richiedendo l’intervento dei militari.
Il 30 giugno 1911 il Ministro dell’Agricoltura Pams depose alla Camera un progetto di legge, nel quale si proponeva un nuovo approccio al problema: istituire, cioè, le delimitazioni per via giudiziaria e non più attraverso l’amministrazione pubblica.
Nella stessa proposta veniva introdotta un’altra novità.
Nell’articolo primo del testo si evidenziava che per definire i prodotti riportanti certi nomi d’origine, i magistrati dovevano considerare, oltre che all’origine stessa, anche la natura, la composizione e le qualità sostanziali del prodotto.
In questo modo, si ripose sul tavolo il problema del riconoscimento dell’origine e, allo stesso tempo, della provenienza dei prodotti sottoposti a denominazione.
Questo nuovo approccio non fu ben accolto da tutti: il deputato della Gironda, il duca La Trémoille (che era anche proprietario di un vasto terreno coltivato a vino), per qualche tempo tenne in scacco la situazione. Egli propose di legare la denominazione alla proprietà individuale del produttore, che poteva così fare ciò che voleva, bastava che rispettasse la provenienza geografica.
Dopo essere stato aspramente dibattuto in Camera, la proposta passò in Senato, il quale creò una commissione che facesse luce su tale progetto. Il comitato, nella persona del signor Jénouvrier, espose le sue conclusioni il 22 luglio 1914, riaffermando l’importanza del concetto di proprietà collettiva delle denominazioni, come “risultato degli sforzi prolungati delle generazioni precedenti”77.
Purtroppo, i lavori per la tutela delle denominazioni dovettero bruscamente fermarsi. L’Assemblea Nazionale pose tale questione in secondo piano, poiché altri problemi necessitavano una maggiore attenzione. Infatti, il 3 agosto 1914 la Germania dichiarò guerra alla Francia, che entrò così nella Prima Guerra Mondiale.
La questione delle denominazioni ritornò ben presto: subito dopo l’Armistizio dell’11 novembre 1918 e ancora prima del Trattato di pace di Versailles del 28 giugno 1919, il rapporto Jénouvrier, vecchio di cinque anni, venne approvato dal Senato senza nessuna modifica e adottato il 24 aprile 1919. LEGGE DEL 6 MAGGIO 191978 “ARTICOLO PRIMO.
Tutti coloro che pretenderanno che una denominazione di origine sia applicata a loro danno diretto o indiretto e contro il loro diritto a un prodotto naturale o fabbricato e contrariamente all’origine di questo prodotto, o a degli usi locali, leali e costanti, saranno soggetti ad un’azione legale per far vietare l’uso di questa denominazione. 77 Hachette/INAO, “Le goût de l’origine”, 2005. 78 Il testo è noto come “legge del 6 maggio 1919”, ma è stato adottato il 24 aprile 1919.
La stessa azione sarà di competenza di Sindacati e Associazioni regolarmente costituiti da almeno 10 mesi quanto ai diritti che essi hanno per scopo di difendere.
ART. 2.
L’azione sarà portata davanti al tribunale civile del luogo di origine del prodotto la cui denominazione è contestata. La domanda sarà esonerata dal preliminare di conciliazione e istruita e giudicata come una causa trattata con procedimento sommario.
ART. 3.
Entro 8 giorni dalla citazione, il richiedente dovrà far inserire in un giornale di annunci legali dell’area del suo domicilio, e anche in un giornale di annunci legali dell’area del tribunale prescelto, una nota succinta indicante il suo cognome, nome, professione e domicilio, i cognomi, i nomi e il domicilio del suo procuratore legale, quelli del difensore e del suo procuratore legale, se è stato nominato, e lo scopo della domanda.
I dibattiti non potranno cominciare che 15 giorni dopo la pubblicazione della nota prevista al paragrafo precedente.
ART. 4.
Tutti coloro, tutti i sindacati e associazioni aventi le condizioni della durata e dell’interesse, prevista all’articolo primo, potranno intervenire all’istanza.
ART. 5.
Entro un periodo di 8 giorni della notifica dell’atto di appello, l’appellante o gli appellanti dovranno fare le inserzioni previste dall’articolo 3 della presente legge. I dibattiti non potranno cominciare davanti alla Corte che 15 giorni dopo le inserzioni. ART. 6. I fermi della Corte d’appello potranno essere deferiti alla Corte di Cassazione. La Corte di Cassazione (…) sarà competente per stimare se gli usi invocati per l’impiego di una denominazione di origine posseggono tutte le caratteristiche legali richieste dalla presente legge. Il ricorso sarà sospeso. ART. 7. Le sentenze o i decreti definitivi decideranno nei confronti di tutti gli abitanti e proprietari della stessa regione, dello stesso comune, o, eventualmente, di una parte dello stesso comune.”
Come si può capire leggendo i primi articoli, questa legge cancellò le disposizioni che avevano generato le delimitazioni amministrative regionali e passò tale compito, sotto forma di potere esclusivo, ai tribunali civili.
Altre importanti novità furono introdotte:
− l’estensione del diritto di intervento giudiziario ai sindacati professionali;
− la rivendicazione della denominazione doveva essere richiesta dal produttore nella sua dichiarazione di raccolta (introdotta con la legge del 29 giugno 1907); − l’Autorità Amministrativa non aveva nessuna competenza nella delimitazione di
una denominazione di origine;
− l’autorità giudiziaria non poteva essere interpellata che dagli individui o dai gruppi direttamente interessati;
− il carattere della delimitazione era essenzialmente storico e regionale;
− la legge non prendeva in considerazione nessun altro fattore se non quello dell’origine geografica regionale, tralasciando così l’importante ruolo giocato dalla composizione dei suoli, dalla natura dei cépages, dai processi di coltura, dalla vinificazione e dalla distillazione, dalle caratteristiche del vino o dell’acquavite. Com’era già successo per le leggi precedenti, anche in questo caso nessun criterio qualitativo veniva imposto nella definizione della denominazione. In questo modo, ogni tribunale attribuiva il riconoscimento secondo logiche proprie (a volte a vantaggio delle personalità influenti della zona), creando un quadro nazionale alquanto disomogeneo per quanto riguarda gli elementi presi in considerazione per la nomina.
La legge così com’era, quindi, aiutò prodotti ordinari a ottenere la denominazione, dato che la sola condizione richiesta era quella di provenire dallo stesso luogo di cui portavano il nome.
Accadde così che, ad esempio, si cominciò a piantare vigneti in zone acquitrinose e i vini così prodotti furono posti legislativamente sullo stesso piano dei grandi vini, che potevano invece vantare secoli di storia alle loro spalle.
I viticoltori richiesero subito la modifica della legge del 1919, che era percepita eticamente ingiusta nei loro riguardi.
In loro aiuto arrivò una legge che non aveva nulla a che fare con il mondo vinicolo, ma che poteva essere applicata a questo settore.
Si tratta della legge del 26 luglio 1925 che riguardava il formaggio Roquefort: in questo testo si attribuiva il giusto valore all’origine territoriale, alla qualità e ai processi di preparazione.
Oltre ai viticoltori, un’altra personalità si batteva in quel periodo per la modifica della legge del 1919. Si trattava di Joseph Capus, che nel marzo 1924 (anche se per un brevissimo periodo di tempo) divenne Ministro dell’Agricoltura.
Egli aveva una formazione strettamente legata all’agricoltura e si batté in Parlamento affinché “la legge genera frodi” (così lui chiamava il testo del 1919) venisse cambiata. LEGGE DEL 22 LUGLIO 192779 Capus riuscì nell’impresa e la legge fu promulgata nell’estate del 1927. Il nuovo testo modificò la nozione giurisprudenziale di origine, che venne adattata a un nuovo contesto in cui risultavano fondamentali fattori come l’origine geografica e gli usi locali, leali e costanti di produzione. Tutto ciò era applicabile esclusivamente al settore enoico. Alcuni articoli della legge del 1919 furono modificati, come ad esempio “ART. 3 (del testo del 1927) L’articolo 10 (testo del 1919) è completato dalle disposizioni seguenti:
indipendentemente dalle indicazioni relative all’origine, contenute all’articolo primo della presente legge (1919), nessun vino ha diritto ad una denominazione di origine regionale o locale se non proviene da cépages e da un’area di produzione consacrata da usi locali, leali e costanti. L’area di produzione è la superficie che comprende i comuni o le parti del comune interessati a produrre vino di denominazione. (…)”
Per la prima volta, si sancì un vero legame tra l’origine e la qualità, spiegando che quest’ultima si doveva basare necessariamente sull’esistenza di località di produzione ben definite e sulle diverse varietà di uva, come evidenziato dalla formula “usi locali, leali e costanti”.
Sebbene un traguardo importante fosse stato raggiunto, tale legge non seppe dare soluzioni adeguate ad altri problemi che aveva sollevato.
Molti tribunali non erano preparati a giudicare cause che richiedevano una conoscenza tecnica del problema.
Inoltre, molti giudici consideravano il concetto di area geografica e quello di varietà uvali come unici elementi della definizione di denominazione, ma non erano a conoscenza di altri criteri che concorrevano a formare tale definizione, come ad esempio il fattore della maturità minima, del massimo raccolto, l’applicazione di alcuni metodi di coltivazione o vinificazione.
Questa confusione non passò inosservata a Capus, che nel frattempo si rese conto di altri fenomeni, come ad esempio l’uso delle parole “cru” e “château” per attirare la clientela, sebbene il prodotto imbottigliato non avesse nulla a che fare con i vini borgognoni e bordolesi che potevano vantare tali nomi sulla propria etichetta. Questo fenomeno risultò ancora più frequente con la crisi economica del ’29. Capus capì che serviva una soluzione, così nel 1935 sottopose al Senato un nuovo testo in cui: 1. si definivano le caratteristiche secondo le quali si poteva (o meno) delimitare le aree; 2. si diede una definizione restrittiva del concetto di denominazione; 3. si cercò di limitare il campo d’azione del Governo, percepito in modo negativo dai coltivatori durante gli ultimi trent’anni. Quest’iniziativa era forte del sostegno dei sindacati viticoli e in particolare della sezione dei grandi vini, presieduta all’epoca dal barone Le Roy, avvocato e produttore a Châteauneuf‐du‐Pape. Il decreto legge fu promulgato il 30 luglio 1935. DECRETO LEGGE DEL 30 LUGLIO 193580 Se la legge del 1919 non era stata abrogata, questo testo istituiva un nuovo sistema, che apportava le soluzioni per le mancanze dei dispositivi precedenti. 80 Pubblicata sul Journal Officiel del 31 luglio 1935.
In particolare, le novità riguardavano:
a. “Articolo 20.
Si costituisce un Comitato nazionale delle denominazioni di origine di vini e acquaviti che è dotato di personalità civile. La composizione di questo comitato e le sue regole di funzionamento saranno fissate da un decreto, reso su proposta dei ministri dell’Agricoltura, della Giustizia e delle Finanze.”
Quest’organismo nazionale era composto da membri della professione (produttori e negozianti), da personalità qualificate e rappresentanti delle amministrazioni. Al momento della sua creazione possedeva un unico potere, cioè quello di decidere