DECRETO DEL MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI del 16 dicembre 2010 322
5.2 STORIA LEGISLATIVA DELL’AMARONE DELLA VALPOLICELLA
L’inizio della storia legislativa di questo vino può essere fatta risalire al 1963, dopo l’approvazione del DPR che introdusse la classificazione dei vini.
Inizialmente, il Comitato nazionale per la tutela delle denominazioni di origine accolse la richiesta avanzata dai produttori della Valpolicella riguardante il riconoscimento della denominazione di origine «controllata» per i vini «Valpolicella» e «Recioto della Valpolicella», assieme ai loro disciplinari di produzione.329 La proposta venne avanzata nel 1967 e già l’anno successivo un decreto del Presidente della Repubblica riconobbe la D.O.C. per questi vini. Il decreto del 21 agosto 1968330 venne accompagnato dall’approvazione del disciplinare di produzione, il medesimo per entrambi i prodotti. Esso definiva i vitigni da cui dovevano essere ottenute le uve e la quantità esatta per la produzione, oltre a tracciare in modo molto dettagliato i confini dell’area di produzione (art. 2 e 3). Erano riportate anche le caratteristiche che i vini dovevano avere al momento della loro immissione al consumo (art. 6) e per quanto riguardava la descrizione del Recioto, nel paragrafo a lui dedicato si trovava un riferimento all’Amarone: “Il vino «Recioto della Valpolicella» può essere anche prodotto nel tipo asciutto; in tale caso può portare la qualifica «Amarone».” Si trattava della prima citazione in un testo di legge del “grande amaro” ed è interessante notare che esso era ancora considerato come la versione “asciutta” del Recioto.
Tra gli aspetti regolamentati dal nuovo disciplinare c’era l’utilizzo delle specificazioni geografiche che si potevano aggiungere alle denominazioni di origine, come ad esempio la specifica «Valpantena» per i vini prodotti in questa vallata (che rientra nella più estesa area della Valpolicella)331, e la specificazione «classico» per il la produzione nella zona originaria più antica (art. 10). 329 Gazzetta Ufficiale n. 143 del 10 giugno 1967. 330 Gazzetta Ufficiale n. 268 del 21 ottobre 1968. 331 Articolo 7.
L’Amarone però non era destinato a restare solo una variante di un altro vino.
La seduta del Senato del 26 giugno 1974 vedeva all’ordine del giorno la discussione del disegno di legge riguardante l’approvazione della tutela della denominazione dei vini “Recioto” e “Amarone”.332
Nel resoconto stilato durante la seduta, il relatore Boano affermava che:
“Il disegno di legge intende appunto garantire che le (…) specificazioni Recioto e Amarone, che si innestano sulle denominazioni d’origine Valpolicella e Soave, non possano essere usate per prodotti che non siano derivati da uve prodotte nei comprensori delimitati dal decreto del 21 agosto 1968.”333
La discussione poi si concentrò sull’uso del termine “denominazione”, accusato di creare confusione e di trasmettere l’idea che i vocaboli Recioto e Amarone:
“(…) non sono delle denominazioni complete, autosufficienti, scindibili da quelle dei vini a denominazione d’origine controllata Valpolicella, Soave e Gambellara, ma sono soltanto delle indicazioni aggiuntive e qualificanti.”334
La Commissione concluse la discussione stabilendo che per il Recioto era corretto utilizzare la formula “specificazione”, mentre per l’Amarone si sarebbe adottata la parola “qualifica”. Il disegno di legge passò poi alla Camera, la quale il 19 febbraio 1975 lo approvò dopo una breve discussione.335 Esso divenne la legge n. 46 del 1° marzo 1975336 in cui si stabiliva: 332 Senato della Repubblica, VI Legislatura. 9° Commissione (Agricoltura), 47° resoconto stenografico. http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/254429.pdf 333 Ibidem nota 332. 334 Ibidem nota 332. 335 Camera dei Deputati, Commissioni in sede legislativa. VI Legislatura, Undicesima Commissione. http://legislature.camera.it/_dati/leg06/lavori/stencomm/11/Leg/Serie010/1975/0219/stenografico. pdf 336 Gazzetta Ufficiale n. 72 del 14 marzo 1975.
“Articolo unico
La specificazione «Recioto» e la qualifica «Amarone» sono riservate esclusivamente ai vini veronesi regolamentati dai decreti del Presidente della Repubblica 21 agosto 1968 relativi al riconoscimento a d.o.c. (denominazione di origine controllata) dei vini Valpolicella e Soave. Pertanto, l’uso della specificazione «Recioto» e della qualifica «Amarone», da sole o accompagnate da qualsiasi espressione, è vietato per designare qualsiasi altro vino diverso da quelli di cui sopra.”337 Negli anni successivi vennero emanate altre leggi allo scopo di aggiornare e modificare in particolar modo il testo del 1968. Tali modifiche, avvenute durante gli anni Settanta, non apportarono grandi cambiamenti nella produzione dell’Amarone. Fu negli anni Novanta che si sentì la necessità di apportare alcuni cambiamenti. Il nuovo decennio si aprì con il decreto del Presidente della Repubblica del 27 dicembre 1990338, il quale abolì il precedente disciplinare di produzione. Le novità introdotte dalla nuova codifica si evidenziarono fin dal primo articolo, il quale stabiliva che: “La denominazione di origine controllata «Valpolicella» è riservata ai vini Valpolicella, Recioto della Valpolicella e Amarone della Valpolicella che rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti dal presente disciplinare di produzione.”339
Come nel precedente disciplinare, il nuovo testo stabiliva le tipologie di vigneti da cui produrre il vino (art. 2), così come delimitava in modo molto preciso i confini dell’area di produzione (Art. 3).
L’articolo 4 era dedicato alla descrizione delle condizioni di coltivazione:
“Le condizioni ambientali e di coltura dei vigneti destinati alla produzione dei vini della denominazione di origine controllata Valpolicella devono essere quelle tradizionali della zona e comunque atte a conferire alle uve e al vino derivato le specifiche caratteristiche. 337 http://www.gazzettaufficiale.it/do/ricerca/pdf/foglio_ordinario2/2?resetSearch=true 338 Gazzetta Ufficiale n. 111 del 14 maggio 1991. 339 http://www.gazzettaufficiale.it/do/ricerca/pdf/serie_generale/3?resetSearch=true
Pertanto sono da escludere, in ogni caso (…) i vigneti impiantati su terreni freschi, situati in pianura o nei fondovalle, nonché quelli con esposizione inadatta.”340 Successivamente, il nuovo disciplinare regolamentava l’aspetto della vinificazione: “Art. 5. Le operazioni di vinificazione delle uve destinate alla produzione delle denominazioni di origine controllata Valpolicella devono essere effettuate nell’interno della zona delimitata dal precedente art. 3.
Tuttavia, tenuto conto delle situazioni tradizionali di produzione, è consentito che tali operazioni siano effettuate nell’ambito del territorio della provincia di Verona.
(…)
Per la produzione delle tipologie Recioto della Valpolicella e Amarone della Valpolicella le uve debbono essere sottoposte a parziale appassimento fino a raggiungere una concentrazione zuccherina atta ad assicurare un titolo alcolometrico volumico naturale minimo di 12.
Le operazioni di conservazione delle uve destinate alla produzione dei vini Recioto della Valpolicella e Amarone della Valpolicella nonché la vinificazione delle stesse devono aver luogo, unicamente, nell’ambito della delimitazione territoriale della zona di produzione di cui all’art. 3. Nella vinificazione sono ammesse soltanto le pratiche enologiche locali, leali e costanti atte a conferire al vino le sue peculiari caratteristiche.
(…)
Il vino Amarone della Valpolicella prima della immissione al consumo deve essere sottoposto ad un invecchiamento di almeno due anni con decorrenza dal 1° dicembre dell’annata di produzione delle uve.”341
Al momento della sua immissione sul mercato, l’Amarone della Valpolicella doveva presentare alcune caratteristiche, così come stabilito all’art. 6: “colore: rosso granato piuttosto carico; odore: caratteristico, accentuato; sapore: pieno, vellutato, caldo; 340 Ibidem nota 339. 341 Ibidem nota 339.
titolo alcolometrico volumico totale minimo: 14 con residuo massimo in alcooi da svolgere di 0,5; acidità totale minima: 5,5 per mille.”342 Infine, il disciplinare si concludeva con alcune regole atte a proteggere il prodotto: “È tuttavia consentito l’uso di indicazioni che facciano riferimento a nomi, ragioni sociali, marchi privati o di consorzi, purché non abbiano significato laudativo e non siano tali da trarre in inganno l’acquirente.”343
La codifica del 1990 non subì ulteriori modifiche per alcuni anni.
Nel 1997 un decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali forniva nuove regole per quanto riguardava l’attività dei consorzi volontari di tutela e dei consigli interprofessionali delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche tipiche dei vini.
In questo decreto del 4 giugno 1997344 si stabiliva che:
“c) in collaborazione con la competente camera di commercio il Consorzio o il consiglio interprofessionale può contribuire all’espletamento della attività connesse alla distribuzione dei contrassegni di Stato dei vini DOCG (…).”345
Tale norma sembrerebbe non interessare l’Amarone della Valpolicella, dato che negli anni Novanta esso era ancora una D.O.C. e non una D.O.C.G.
La situazione era però destinata a cambiare presto.
Il decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali del 29 maggio 2001346
apportava alcune novità per i V.Q.P.R.D., di cui le D.O.C. costituivano una categoria. In particolare, il testo affermava la: 342 Ibidem nota 339. 343 Articolo 8. 344 Decreto n. 256 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.181 del 5 agosto 1997. 345 Articolo 6, paragrafo 5, comma c). 346 Gazzetta Ufficiale n. 141 del 20 giugno 2001.
“(…) necessità di prevedere una sistematicità ed un rafforzamento del sistema di controllo e di tracciabilità in tutte le fasi del processo produttivo per i V.Q.P.R.D., a garanzia della loro qualità ed a tutela del consumatore;”347
Nonostante l’Amarone continuasse ad essere una D.O.C., all’inizio del 2007 il Consorzio per la tutela presentò domanda di apposizione dei contrassegni dello Stato anche per questo tipo di vino.
La richiesta venne accettata e fu l’oggetto del decreto del 15 marzo 2007348, nel quale si
stabilì che:
“le ditte imbottigliatrici devono apporre (…), per le sole tipologie DOC «Amarone della Valpolicella» e «Recioto della Valpolicella», le fascette stampate dall’Istituto Poligrafico dello Stato attestanti l’avvenuto controllo e recanti la numerazione progressiva, secondo il modello approvato dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali.”349
Le “fascette” qui sopra citate erano state introdotte con il decreto del 21 gennaio 2004350, ma erano previste solo per i vini D.O.C.G.
L’approvazione del decreto del 2007 apportò quindi un notevole cambiamento: una misura di protezione di riguardo per un vino che era ancora solo una D.O.C.
La permanenza dell’Amarone in questa categoria però non doveva durare a lungo.
Nel 2009 il Consorzio di tutela del vino Valpolicella presentò domanda di riconoscimento della denominazione di origine controllata e garantita per il “grande amaro”.351 Nel novembre dello stesso anno il Comitato nazionale per la tutela e la
valorizzazione delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche tipiche dei vini espresse il suo parere favorevole352. 347http://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicaz ioneGazzetta=2001‐06‐20&atto.codiceRedazionale=001A6619 348 Gazzetta Ufficiale n. 72 del 27 marzo 2007. 349 Articolo unico, paragrafo 2. 350 Gazzetta Ufficiale n. 23 del 29 gennaio 2004. 351 La domanda venne avanzata il 24 giugno 2009. 352 Gazzetta Ufficiale n. 23 del 29 gennaio 2010 supplemento ordinario 20.
Il riconoscimento vero e proprio arrivò il 24 marzo 2010 con il decreto del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, con il quale si approvò anche il nuovo disciplinare di produzione353.
Quest’ultimo rimaneva pressoché invariato dal precedente del 1990, ad eccezione di alcuni elementi aggiuntivi che andavano a creare un testo ancora più dettagliato.
Nel nuovo disciplinare si regolamentarono alcuni aspetti della coltivazione, come ad esempio: “Le viti devono essere allevate esclusivamente a spalliera, o a pergola veronese inclinata mono o bilaterale.”354 oltre che dettare regole riguardanti la resa massima di uva per ettaro e i quantitativi da destinare alla produzione355. Un’altra novità introdotta dal testo riguardava la vinificazione e stabiliva che: “Le uve messe ad appassire per ottenere i vini “Amarone della Valpolicella” non possono essere vinificate prima del 1° dicembre.”356 Per quanto riguardava l’immissione al consumo, si stabilì che per
“I vini “Amarone della Valpolicella” designato con la specificazione “riserva” deve essere sottoposto ad un periodo minimo di invecchiamento di almeno 4 anni a partire dal 1° novembre dell’anno della vendemmia.”357
Infine, il nuovo disciplinare definiva ulteriori menzioni che potevano essere aggiunte, come il caso descritto all’art. 7 par. 3: 353 Gazzetta Ufficiale n. 84 del 12 aprile 2010. 354 Articolo 4 paragrafo 4. 355 Articolo 4 paragrafo 10 e 11. 356 Articolo 10 paragrafo 8. 357 Articolo 5 paragrafo 11.
“Nella designazione dei vini “Amarone della Valpolicella” può essere utilizzata la menzione “vigna” a condizione che sia seguita dal corrispondente toponimo, che la relativa superficie sia distintamente specificata nell’albo dei vigneti e che l’appassimento, la vinificazione e l’invecchiamento del vino avvengano in recipienti separati e che tale menzione, seguita dal toponimo, venga riportata nella denuncia dell’uva, nella dichiarazione della produzione, nei registri e nei documenti di accompagnamento.” L’ultimo articolo è dedicato ai recipienti: devono essere bottiglie di vetro con capacità massima di cinque litri, sebbene in via del tutto eccezionale e previa autorizzazione del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, sia concesso l’uso di recipienti di capacità di nove e dodici litri.
I testi legislativi dedicati all’Amarone della Valpolicella dal 2010 non hanno subito modifiche rilevanti, ad eccezione dell’adeguamento ai regolamenti europei, i quali comunque non apportano cambiamenti nell’attività di coltivazione e di produzione. Rilevanti modifiche sono invece in atto in questo momento.
Nel maggio 2013 il Consorzio di tutela dei vini della Valpolicella ha avanzato la proposta di allargare l’area di coltivazione del suo famoso amaro, permettendo ai vigneti di pianura di poter apporre il titolo D.O.C.G. alle uve qui prodotte, nonostante tradizionalmente e storicamente l’Amarone venga prodotto da sempre sulle colline vicine.
Ne è nato un acceso dibattito, in cui dodici produttori riuniti nell’associazione “Famiglie dell’Amarone d’Arte”, hanno minacciato la loro uscita dal Consorzio nel caso in cui la proposta fosse stata approvata.
Durante la riunione del 10 maggio 20013 i soci hanno votato favorevolmente, facendo nascere così una situazione di tensione tra i due gruppi di produttori.
Il 2014 si è aperto con la richiesta della Regione Veneto di una consultazione tra l’associazione ed il Consorzio, ma le parti, al momento, sembrano non voler desistere dalle proprie posizioni.
CONCLUSIONI
La storia del vino rappresenta una chiave di lettura insolita per ripercorrere le vicende di un Paese, ma permette di unire elementi diversi che vanno a formare il quadro d’insieme.
Il punto di partenza di questa tesi è stato la descrizione di due vini che esprimono la ricchezza dei territori che li producono: la lunga tradizione, antichi metodi di coltivazione, di produzione e di vinificazione, unicità delle piante, del terreno e del clima. Si è visto che in entrambi i casi le origini sono comuni: durante l’epoca classica quest’attività è stata introdotta e si è estesa e successivamente si è sviluppata, influenzata anche da elementi che esistevano esclusivamente nelle aree interessate.
La crisi dell’impero romano può essere considerata come il primo punto di svolta: fino a questo momento le testimonianze sui due vini riportano, infatti, le medesime informazioni.
In Francia, a causa della debolezza di Roma, altri attori diventano i nuovi punti di riferimento della regione, innescando così nuove dinamiche.
Mentre nell’antica Gallia si sviluppa lo studio della vite, del terreno e della vinificazione, in Italia la produzione di vino non subisce altrettante innovazioni.
Per molti secoli la coltivazione rimane un’attività che risponde ai bisogni del mercato dello Stivale, ignorando quindi l’aspetto qualitativo. È solo alla fine del Settecento che si assiste ad un cambiamento: i gusti dei consumatori sono ora più inclini a vini secchi, come lo Champagne, e la produzione deve adeguarsi. A metà Ottocento si può collocare il secondo punto di svolta per la viticoltura dei due Paesi: lo oidio, la peronospora ed infine la filossera distruggono i vigneti, mettendo in ginocchio il settore per più di cinquant’anni. Da questa situazione di crisi si sviluppa la convinzione tra i vignaioli francesi del bisogno di istituire un metodo di controllo e di protezione, soprattutto in risposta al dilagante fenomeno di contraffazione che si verifica all’inizio del Novecento.
Il nuovo secolo può essere considerato come il terzo punto di svolta nella storia della viticoltura francese e italiana: i coltivatori d’oltralpe cominciano a fare pressioni sul Governo, affinché si prendano le necessarie misure di aiuto al settore.
Il contesto socio‐politico‐economico in cui nasce il sistema legislativo vitivinicolo francese non è dei più rosei: il comparto è in crisi, le iniziali proposte di legge vengono rifiutate dagli agricoltori, i sistemi adottati creano situazioni di tensione. Nonostante tutto ciò, in un periodo di cinquant’anni (in cui si devono considerare due guerre mondiali) la Francia è riuscita a creare e a consolidare un “sistema vino”. Negli stessi anni, l’Italia vive la medesima situazione di crisi economica e agricola e le leggi a difesa del settore non mancano. Nei primi trent’anni del nuovo secolo, Roma approva alcuni testi con cui si introducono novità importantissime per la viticoltura, come i consorzi di tutela e il concetto di “denominazione”. Purtroppo, la fine degli anni Trenta è segnata da una legge che riporta la situazione legislativa vitivinicola italiana indietro di un decennio. Con i Trattati di Roma firmati nel 1957 si apre una nuova stagione per la legislazione vitivinicola francese ed italiana: oltre alla creazione della Comunità Economica Europea, si gettano le basi per la nascita di un mercato comune dei prodotti agricoli. Per quanto riguarda il mondo vitivinicolo, i primi testi non tardano ad arrivare. Il lavoro del legislatore europeo è stato molto difficile, poiché doveva mettere d’accordo i due maggiori produttori, Francia e Italia, che non volevano essere danneggiati dal nuovo sistema che si stava creando.
Se per l’Esagono l’introduzione di questi regolamenti non apporta sostanziali modifiche nel suo sistema interno, per lo Stivale, invece, significa la creazione di quel “sistema vino” di cui necessita da oltre trent’anni.
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Sebbene le viticolture francese e italiana abbiano le stesse origini, è stato molto interessante seguire la nascita e gli sviluppi dei due sistemi legislativi vitivinicoli.
Analizzando i testi normativi prodotti da entrambi i Paesi, ho notato una profonda differenza di approccio al problema, originata da secoli di vicende storiche e politiche che hanno plasmato il passato e la mentalità di questi due popoli.
Inizialmente, gli aspetti della tempistica e dei temi dei primi testi normativi hanno catturato la mia attenzione: se il primo all’incirca coincide per entrambe le parti, il secondo invece riporta elementi di diversità.
Sia in Francia che in Italia, le prime leggi in materia risalgono a inizio Novecento, ma gli argomenti di cui trattano esprimono due realtà ben diverse: Parigi definisce il concetto di frode e cerca di fissare un sistema di protezione basato sull’elemento della denominazione, poiché il problema che doveva affrontare era legato alle contraffazioni. Roma, al contrario, fornisce un testo dedicato alla spiegazione di vino non genuino: i motivi che spinsero il legislatore ad agire in questo modo non sono chiari, soprattutto perché non rispondono a nessun criterio pratico, poiché permane l’incertezza nello stabilire il debole confine tra un vino genuino e uno che non lo è.
Un aspetto che mi ha sorpresa durante la ricerca è stato scoprire che, in entrambi i Paesi, i testi di legge che per primi definirono la struttura dei rispettivi comparti vitivinicoli vennero proposti, sostenuti e difesi da due personalità con un’ampia conoscenza del settore.
Se questo è particolarmente vero per la Francia, che può vantare secoli di studi alle spalle, per l’Italia è stata una vera e propria sorpresa, poiché non esisteva una simile tradizione di ricerche. A sostegno di ciò, bisogna ricordare che i due Paesi provengono da un passato molto diverso: se negli anni Venti del Novecento la Francia era già geograficamente unita da secoli, l’Italia soffriva ancora di frontiere “in movimento” e la sua unità (ancora incompleta) era alquanto recente.
Altri aspetti molto interessanti che ho notato durante le ricerche per la parte francese della tesi riguardano l’importanza data all’elemento storico come uno dei valori principali per la designazione del titolo di denominazione di origine e la flessibilità del pensiero dell’epoca.
Per quanto concerne il primo, nonostante l’Italia abbia una storia enoica di uguale grandezza, il legislatore non ha mai espresso l’opinione di porre tale criterio come uno dei requisiti da soddisfare per l’ottenimento del titolo di denominazione. Probabilmente egli pensava che la formula “tutelare le caratteristiche costanti” nei testi normativi includesse anche l’elemento storico, ma a mio parere tale formula non è esaustiva e, al contrario, lascia spazio a molteplici interpretazioni.
Dall’altra parte delle Alpi, invece, questo aspetto ha un valore molto importante, tant’è che nei decreti di nomina a origine controllata di un prodotto enoico questo criterio
viene esaustivamente espresso nella formula di apertura, riportando le testimonianze storiche e letterarie che citano il vino in questione.
Il risvolto della flessibilità di pensiero riguarda, invece, l’episodio legato al formaggio Roquefort: l’idea dei viticoltori di “prendere in prestito” il concetto base di una legge destinata ad un altro settore agricolo allo scopo di applicarla al proprio comparto è stata