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DECRETO DEL MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI
del
16
dicembre
2010 322

5.2
 STORIA
LEGISLATIVA
DELL’AMARONE
DELLA
VALPOLICELLA

L’inizio
 della
 storia
 legislativa
 di
 questo
 vino
 può
 essere
 fatta
 risalire
 al
 1963,
 dopo
 l’approvazione
del
DPR
che
introdusse
la
classificazione
dei
vini.


Inizialmente,
il
Comitato
nazionale
per
la
tutela
delle
denominazioni
di
origine
accolse
la
 richiesta
 avanzata
 dai
 produttori
 della
 Valpolicella
 riguardante
 il
 riconoscimento
 della
 denominazione
 di
 origine
 «controllata»
 per
 i
 vini
 «Valpolicella»
 e
 «Recioto
 della
 Valpolicella»,
assieme
ai
loro
disciplinari
di
produzione.329 La
proposta
venne
avanzata
nel
1967
e
già
l’anno
successivo
un
decreto
del
Presidente
 della
Repubblica
riconobbe
la
D.O.C.
per
questi
vini.
 Il
decreto
del
21
agosto
1968330
venne
accompagnato
dall’approvazione
del
disciplinare
 di
produzione,
il
medesimo
per
entrambi
i
prodotti.
 Esso
definiva
i
vitigni
da
cui
dovevano
essere
ottenute
le
uve
e
la
quantità
esatta
per
la
 produzione,
oltre
a
tracciare
in
modo
molto
dettagliato
i
confini
dell’area
di
produzione
 (art.
2
e
3).
 Erano
riportate
anche
le
caratteristiche
che
i
vini
dovevano
avere
al
momento
della
loro
 immissione
al
consumo
(art.
6)
e
per
quanto
riguardava
la
descrizione
del
Recioto,
nel
 paragrafo
a
lui
dedicato
si
trovava
un
riferimento
all’Amarone:
 
 “Il
vino
«Recioto
della
Valpolicella»
può
essere
anche
prodotto
nel
tipo
asciutto;
in
tale
caso
può
 portare
la
qualifica
«Amarone».”
 
 Si
trattava
della
prima
citazione
in
un
testo
di
legge
del
“grande
amaro”
ed
è
interessante
 notare
che
esso
era
ancora
considerato
come
la
versione
“asciutta”
del
Recioto.


Tra
 gli
 aspetti
 regolamentati
 dal
 nuovo
 disciplinare
 c’era
 l’utilizzo
 delle
 specificazioni
 geografiche
che
si
potevano
aggiungere
alle
denominazioni
di
origine,
come
ad
esempio
 la
specifica
«Valpantena»
per
i
vini
prodotti
in
questa
vallata
(che
rientra
nella
più
estesa
 area
della
Valpolicella)331,
e
la
specificazione
«classico»
per
il
la
produzione
nella
zona
 originaria
più
antica
(art.
10).
 





 329
Gazzetta
Ufficiale
n.
143
del
10
giugno
1967.
 330
Gazzetta
Ufficiale
n.
268
del
21
ottobre
1968.
 331
Articolo
7.


L’Amarone
però
non
era
destinato
a
restare
solo
una
variante
di
un
altro
vino.


La
seduta
del
Senato
del
26
giugno
1974
vedeva
all’ordine
del
giorno
la
discussione
del
 disegno
 di
 legge
 riguardante
 l’approvazione
 della
 tutela
 della
 denominazione
 dei
 vini
 “Recioto”
e
“Amarone”.332

Nel
resoconto
stilato
durante
la
seduta,
il
relatore
Boano
affermava
che:
 


“Il
disegno
di
legge
intende
appunto
garantire
che
le
(…)
specificazioni
Recioto
e
Amarone,
che
si
 innestano
 sulle
 denominazioni
 d’origine
 Valpolicella
 e
 Soave,
 non
 possano
 essere
 usate
 per
 prodotti
 che
 non
 siano
 derivati
 da
 uve
 prodotte
 nei
 comprensori
 delimitati
 dal
 decreto
 del
 21
 agosto
1968.”333

La
discussione
poi
si
concentrò
sull’uso
del
termine
“denominazione”,
accusato
di
creare
 confusione
e
di
trasmettere
l’idea
che
i
vocaboli
Recioto
e
Amarone:


“(…)
 non
 sono
 delle
 denominazioni
 complete,
 autosufficienti,
 scindibili
 da
 quelle
 dei
 vini
 a
 denominazione
 d’origine
 controllata
 Valpolicella,
 Soave
 e
 Gambellara,
 ma
 sono
 soltanto
 delle
 indicazioni
aggiuntive
e
qualificanti.”334

La
 Commissione
 concluse
 la
 discussione
 stabilendo
 che
 per
 il
 Recioto
 era
 corretto
 utilizzare
la
formula
“specificazione”,
mentre
per
l’Amarone
si
sarebbe
adottata
la
parola
 “qualifica”.
 Il
disegno
di
legge
passò
poi
alla
Camera,
la
quale
il
19
febbraio
1975
lo
approvò
dopo
 una
breve
discussione.335 Esso
divenne
la
legge
n.
46
del
1°
marzo
1975336
in
cui
si
stabiliva:
 
 





 332
Senato
della
Repubblica,
VI
Legislatura.
 9°
Commissione
(Agricoltura),
47°
resoconto
stenografico.
 http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/254429.pdf
 333
Ibidem
nota
332.
 334
Ibidem
nota
332.
 335
Camera
dei
Deputati,
Commissioni
in
sede
legislativa.
 VI
Legislatura,
Undicesima
Commissione.
 http://legislature.camera.it/_dati/leg06/lavori/stencomm/11/Leg/Serie010/1975/0219/stenografico.
 pdf
 336
Gazzetta
Ufficiale
n.
72
del
14
marzo
1975.


“Articolo
unico


La
 specificazione
 «Recioto»
 e
 la
 qualifica
 «Amarone»
 sono
 riservate
 esclusivamente
 ai
 vini
 veronesi
 regolamentati
 dai
 decreti
 del
 Presidente
 della
 Repubblica
 21
 agosto
 1968
 relativi
 al
 riconoscimento
a
d.o.c.
(denominazione
di
origine
controllata)
dei
vini
Valpolicella
e
Soave.
 Pertanto,
 l’uso
 della
 specificazione
 «Recioto»
 e
 della
 qualifica
 «Amarone»,
 da
 sole
 o
 accompagnate
da
qualsiasi
espressione,
è
vietato
per
designare
qualsiasi
altro
vino
diverso
da
 quelli
di
cui
sopra.”337 
 Negli
anni
successivi
vennero
emanate
altre
leggi
allo
scopo
di
aggiornare
e
modificare
 in
particolar
modo
il
testo
del
1968.
Tali
modifiche,
avvenute
durante
gli
anni
Settanta,
 non
apportarono
grandi
cambiamenti
nella
produzione
dell’Amarone.
 Fu
negli
anni
Novanta
che
si
sentì
la
necessità
di
apportare
alcuni
cambiamenti.
 Il
nuovo
decennio
si
aprì
con
il
decreto
del
Presidente
della
Repubblica
del
27
dicembre
 1990338,
il
quale
abolì
il
precedente
disciplinare
di
produzione.
 Le
novità
introdotte
dalla
nuova
codifica
si
evidenziarono
fin
dal
primo
articolo,
il
quale
 stabiliva
che:
 
 “La
denominazione
di
origine
controllata
«Valpolicella»
è
riservata
ai
vini
Valpolicella,
Recioto
 della
 Valpolicella
 e
 Amarone
 della
 Valpolicella
 che
 rispondono
 alle
 condizioni
 ed
 ai
 requisiti
 stabiliti
dal
presente
disciplinare
di
produzione.”339

Come
 nel
 precedente
 disciplinare,
 il
 nuovo
 testo
 stabiliva
 le
 tipologie
 di
 vigneti
 da
 cui
 produrre
il
vino
(art.
2),
così
come
delimitava
in
modo
molto
preciso
i
confini
dell’area
di
 produzione
(Art.
3).


L’articolo
4
era
dedicato
alla
descrizione
delle
condizioni
di
coltivazione:
 


“Le
 condizioni
 ambientali
 e
 di
 coltura
 dei
 vigneti
 destinati
 alla
 produzione
 dei
 vini
 della
 denominazione
di
origine
controllata
Valpolicella
devono
essere
quelle
tradizionali
della
zona
e
 comunque
atte
a
conferire
alle
uve
e
al
vino
derivato
le
specifiche
caratteristiche.
 





 337
http://www.gazzettaufficiale.it/do/ricerca/pdf/foglio_ordinario2/2?resetSearch=true
 338
Gazzetta
Ufficiale
n.
111
del
14
maggio
1991.
 339
http://www.gazzettaufficiale.it/do/ricerca/pdf/serie_generale/3?resetSearch=true


Pertanto
 sono
 da
 escludere,
 in
 ogni
 caso
 (…)
 i
 vigneti
 impiantati
 su
 terreni
 freschi,
 situati
 in
 pianura
o
nei
fondovalle,
nonché
quelli
con
esposizione
inadatta.”340 
 Successivamente,
il
nuovo
disciplinare
regolamentava
l’aspetto
della
vinificazione:
 
 “Art.
5.
 Le
operazioni
di
vinificazione
delle
uve
destinate
alla
produzione
delle
denominazioni
di
origine
 controllata
 Valpolicella
 devono
 essere
 effettuate
 nell’interno
 della
 zona
 delimitata
 dal
 precedente
art.
3.


Tuttavia,
tenuto
conto
delle
situazioni
tradizionali
di
produzione,
è
consentito
che
tali
operazioni
 siano
effettuate
nell’ambito
del
territorio
della
provincia
di
Verona.


(…)


Per
la
produzione
delle
tipologie
Recioto
della
Valpolicella
e
Amarone
della
Valpolicella
le
uve
 debbono
 essere
 sottoposte
 a
 parziale
 appassimento
 fino
 a
 raggiungere
 una
 concentrazione
 zuccherina
atta
ad
assicurare
un
titolo
alcolometrico
volumico
naturale
minimo
di
12.


Le
 operazioni
 di
 conservazione
 delle
 uve
 destinate
 alla
 produzione
 dei
 vini
 Recioto
 della
 Valpolicella
e
Amarone
della
Valpolicella
nonché
la
vinificazione
delle
stesse
devono
aver
luogo,
 unicamente,
nell’ambito
della
delimitazione
territoriale
della
zona
di
produzione
di
cui
all’art.
3.
 Nella
 vinificazione
 sono
 ammesse
 soltanto
 le
 pratiche
 enologiche
 locali,
 leali
 e
 costanti
 atte
 a
 conferire
al
vino
le
sue
peculiari
caratteristiche.


(…)


Il
vino
Amarone
della
Valpolicella
prima
della
immissione
al
consumo
deve
essere
sottoposto
ad
 un
 invecchiamento
 di
 almeno
 due
 anni
 con
 decorrenza
 dal
 1°
 dicembre
 dell’annata
 di
 produzione
delle
uve.”341

Al
 momento
 della
 sua
 immissione
 sul
 mercato,
 l’Amarone
 della
 Valpolicella
 doveva
 presentare
alcune
caratteristiche,
così
come
stabilito
all’art.
6:
 
 “colore:
rosso
granato
piuttosto
carico;
 odore:
caratteristico,
accentuato;
 sapore:
pieno,
vellutato,
caldo;
 





 340
Ibidem
nota
339.
 341
Ibidem
nota
339.


titolo
 alcolometrico
 volumico
 totale
 minimo:
 14
 con
 residuo
 massimo
 in
 alcooi
 da
 svolgere
 di
 0,5;
 acidità
totale
minima:
5,5
per
mille.”342 
 Infine,
il
disciplinare
si
concludeva
con
alcune
regole
atte
a
proteggere
il
prodotto:
 
 “È
tuttavia
consentito
l’uso
di
indicazioni
che
facciano
riferimento
a
nomi,
ragioni
sociali,
marchi
 privati
 o
 di
 consorzi,
 purché
 non
 abbiano
 significato
 laudativo
 e
 non
 siano
 tali
 da
 trarre
 in
 inganno
l’acquirente.”343

La
codifica
del
1990
non
subì
ulteriori
modifiche
per
alcuni
anni.


Nel
1997
un
decreto
del
Ministro
delle
politiche
agricole
e
forestali
forniva
nuove
regole
 per
 quanto
 riguardava
 l’attività
 dei
 consorzi
 volontari
 di
 tutela
 e
 dei
 consigli
 interprofessionali
delle
denominazioni
di
origine
e
delle
indicazioni
geografiche
tipiche
 dei
vini.


In
questo
decreto
del
4
giugno
1997344
si
stabiliva
che:


“c)
 in
 collaborazione
 con
 la
 competente
 camera
 di
 commercio
 il
 Consorzio
 o
 il
 consiglio
 interprofessionale
può
contribuire
all’espletamento
della
attività
connesse
alla
distribuzione
dei
 contrassegni
di
Stato
dei
vini
DOCG
(…).”345

Tale
 norma
 sembrerebbe
 non
 interessare
 l’Amarone
 della
 Valpolicella,
 dato
 che
 negli
 anni
Novanta
esso
era
ancora
una
D.O.C.
e
non
una
D.O.C.G.


La
situazione
era
però
destinata
a
cambiare
presto.


Il
 decreto
 del
 Ministro
 delle
 politiche
 agricole
 e
 forestali
 del
 29
 maggio
 2001346

apportava
alcune
novità
per
i
V.Q.P.R.D.,
di
cui
le
D.O.C.
costituivano
una
categoria.
 In
particolare,
il
testo
affermava
la:
 





 342
Ibidem
nota
339.
 343
Articolo
8.
 344
Decreto
n.
256
pubblicato
nella
Gazzetta
Ufficiale
n.181
del
5
agosto
1997.
 345
Articolo
6,
paragrafo
5,
comma
c).
 346
Gazzetta
Ufficiale
n.
141
del
20
giugno
2001.


“(…)
necessità
di
prevedere
una
sistematicità
ed
un
rafforzamento
del
sistema
di
controllo
e
di
 tracciabilità
in
tutte
le
fasi
del
processo
produttivo
per
i
V.Q.P.R.D.,
a
garanzia
della
loro
qualità
 ed
a
tutela
del
consumatore;”347

Nonostante
l’Amarone
continuasse
ad
essere
una
D.O.C.,
all’inizio
del
2007
il
Consorzio
 per
 la
 tutela
 presentò
 domanda
 di
 apposizione
 dei
 contrassegni
 dello
 Stato
 anche
 per
 questo
tipo
di
vino.


La
richiesta
venne
accettata
e
fu
l’oggetto
del
decreto
del
15
marzo
2007348,
nel
quale
si


stabilì
che:
 


“le
 ditte
 imbottigliatrici
 devono
 apporre
 (…),
 per
 le
 sole
 tipologie
 DOC
 «Amarone
 della
 Valpolicella»
 e
 «Recioto
 della
 Valpolicella»,
 le
 fascette
 stampate
 dall’Istituto
 Poligrafico
 dello
 Stato
 attestanti
 l’avvenuto
 controllo
 e
 recanti
 la
 numerazione
 progressiva,
 secondo
 il
 modello
 approvato
dal
Ministero
delle
politiche
agricole
alimentari
e
forestali.”349

Le
 “fascette”
 qui
 sopra
 citate
 erano
 state
 introdotte
 con
 il
 decreto
 del
 21
 gennaio
 2004350,
ma
erano
previste
solo
per
i
vini
D.O.C.G.



L’approvazione
 del
 decreto
 del
 2007
 apportò
 quindi
 un
 notevole
 cambiamento:
 una
 misura
di
protezione
di
riguardo
per
un
vino
che
era
ancora
solo
una
D.O.C.


La
permanenza
dell’Amarone
in
questa
categoria
però
non
doveva
durare
a
lungo.


Nel
 2009
 il
 Consorzio
 di
 tutela
 del
 vino
 Valpolicella
 presentò
 domanda
 di
 riconoscimento
 della
 denominazione
 di
 origine
 controllata
 e
 garantita
 per
 il
 “grande
 amaro”.351
 Nel
 novembre
 dello
 stesso
 anno
 il
 Comitato
 nazionale
 per
 la
 tutela
 e
 la


valorizzazione
delle
denominazioni
di
origine
e
delle
indicazioni
geografiche
tipiche
dei
 vini
espresse
il
suo
parere
favorevole352.
 





 347http://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicaz ioneGazzetta=2001‐06‐20&atto.codiceRedazionale=001A6619
 348
Gazzetta
Ufficiale
n.
72
del
27
marzo
2007.
 349
Articolo
unico,
paragrafo
2.
 350
Gazzetta
Ufficiale
n.
23
del
29
gennaio
2004.
 351
La
domanda
venne
avanzata
il
24
giugno
2009.
 352
Gazzetta
Ufficiale
n.
23
del
29
gennaio
2010
supplemento
ordinario
20.


Il
 riconoscimento
 vero
 e
 proprio
 arrivò
 il
 24
 marzo
 2010
 con
 il
 decreto
 del
 Ministero
 delle
 politiche
 agricole
 alimentari
 e
 forestali,
 con
 il
 quale
 si
 approvò
 anche
 il
 nuovo
 disciplinare
di
produzione353.


Quest’ultimo
 rimaneva
 pressoché
 invariato
 dal
 precedente
 del
 1990,
 ad
 eccezione
 di
 alcuni
elementi
aggiuntivi
che
andavano
a
creare
un
testo
ancora
più
dettagliato.


Nel
 nuovo
 disciplinare
 si
 regolamentarono
 alcuni
 aspetti
 della
 coltivazione,
 come
 ad
 esempio:
 
 “Le
viti
devono
essere
allevate
esclusivamente
a
spalliera,
o
a
pergola
veronese
inclinata
mono
o
 bilaterale.”354 
 oltre
che
dettare
regole
riguardanti
la
resa
massima
di
uva
per
ettaro
e
i
quantitativi
da
 destinare
alla
produzione355.
 Un’altra
novità
introdotta
dal
testo
riguardava
la
vinificazione
e
stabiliva
che:
 
 “Le
uve
messe
ad
appassire
per
ottenere
i
vini
“Amarone
della
Valpolicella”
non
possono
essere
 vinificate
prima
del
1°
dicembre.”356 
 Per
quanto
riguardava
l’immissione
al
consumo,
si
stabilì
che
per
 


“I
 vini
 “Amarone
 della
 Valpolicella”
 designato
 con
 la
 specificazione
 “riserva”
 deve
 essere
 sottoposto
ad
un
periodo
minimo
di
invecchiamento
di
almeno
4
anni
a
partire
dal
1°
novembre
 dell’anno
della
vendemmia.”357

Infine,
 il
 nuovo
 disciplinare
 definiva
 ulteriori
 menzioni
 che
 potevano
 essere
 aggiunte,
 come
il
caso
descritto
all’art.
7
par.
3:
 
 





 353
Gazzetta
Ufficiale
n.
84
del
12
aprile
2010.
 354
Articolo
4
paragrafo
4.
 355
Articolo
4
paragrafo
10
e
11.
 356
Articolo
10
paragrafo
8.
 357
Articolo
5
paragrafo
11.


“Nella
 designazione
 dei
 vini
 “Amarone
 della
 Valpolicella”
 può
 essere
 utilizzata
 la
 menzione
 “vigna”
a
condizione
che
sia
seguita
dal
corrispondente
toponimo,
che
la
relativa
superficie
sia
 distintamente
 specificata
 nell’albo
 dei
 vigneti
 e
 che
 l’appassimento,
 la
 vinificazione
 e
 l’invecchiamento
 del
 vino
 avvengano
 in
 recipienti
 separati
 e
 che
 tale
 menzione,
 seguita
 dal
 toponimo,
 venga
 riportata
 nella
 denuncia
 dell’uva,
 nella
 dichiarazione
 della
 produzione,
 nei
 registri
e
nei
documenti
di
accompagnamento.”
 
 L’ultimo
articolo
è
dedicato
ai
recipienti:
devono
essere
bottiglie
di
vetro
con
capacità
 massima
di
cinque
litri,
sebbene
in
via
del
tutto
eccezionale
e
previa
autorizzazione
del
 Ministero
delle
politiche
agricole
alimentari
e
forestali,
sia
concesso
l’uso
di
recipienti
di
 capacità
di
nove
e
dodici
litri.


I
 testi
 legislativi
 dedicati
 all’Amarone
 della
 Valpolicella
 dal
 2010
 non
 hanno
 subito
 modifiche
 rilevanti,
 ad
 eccezione
 dell’adeguamento
 ai
 regolamenti
 europei,
 i
 quali
 comunque
non
apportano
cambiamenti
nell’attività
di
coltivazione
e
di
produzione.
 Rilevanti
modifiche
sono
invece
in
atto
in
questo
momento.


Nel
maggio
2013
il
Consorzio
di
tutela
dei
vini
della
Valpolicella
ha
avanzato
la
proposta
 di
 allargare
 l’area
 di
 coltivazione
 del
 suo
 famoso
 amaro,
 permettendo
 ai
 vigneti
 di
 pianura
 di
 poter
 apporre
 il
 titolo
 D.O.C.G.
 alle
 uve
 qui
 prodotte,
 nonostante
 tradizionalmente
 e
 storicamente
 l’Amarone
 venga
 prodotto
 da
 sempre
 sulle
 colline
 vicine.


Ne
è
nato
un
acceso
dibattito,
in
cui
dodici
produttori
riuniti
nell’associazione
“Famiglie
 dell’Amarone
 d’Arte”,
 hanno
 minacciato
 la
 loro
 uscita
 dal
 Consorzio
 nel
 caso
 in
 cui
 la
 proposta
fosse
stata
approvata.


Durante
la
riunione
del
10
maggio
20013
i
soci
hanno
votato
favorevolmente,
facendo
 nascere
così
una
situazione
di
tensione
tra
i
due
gruppi
di
produttori.


Il
 2014
 si
 è
 aperto
 con
 la
 richiesta
 della
 Regione
 Veneto
 di
 una
 consultazione
 tra
 l’associazione
 ed
 il
 Consorzio,
 ma
 le
 parti,
 al
 momento,
 sembrano
 non
 voler
 desistere
 dalle
proprie
posizioni.
 
 
 
 
 


CONCLUSIONI


La
storia
del
vino
rappresenta
una
chiave
di
lettura
insolita
per
ripercorrere
le
vicende
 di
 un
 Paese,
 ma
 permette
 di
 unire
 elementi
 diversi
 che
 vanno
 a
 formare
 il
 quadro
 d’insieme.


Il
 punto
 di
 partenza
 di
 questa
 tesi
 è
 stato
 la
 descrizione
 di
 due
 vini
 che
 esprimono
 la
 ricchezza
 dei
 territori
 che
 li
 producono:
 la
 lunga
 tradizione,
 antichi
 metodi
 di
 coltivazione,
di
produzione
e
di
vinificazione,
unicità
delle
piante,
del
terreno
e
del
clima.
 Si
 è
 visto
 che
 in
 entrambi
 i
 casi
 le
 origini
 sono
 comuni:
 durante
 l’epoca
 classica
 quest’attività
 è
 stata
 introdotta
 e
 si
 è
 estesa
 e
 successivamente
 si
 è
 sviluppata,
 influenzata
anche
da
elementi
che
esistevano
esclusivamente
nelle
aree
interessate.
 


La
crisi
dell’impero
romano
può
essere
considerata
come
il
primo
punto
di
svolta:
fino
a
 questo
 momento
 le
 testimonianze
 sui
 due
 vini
 riportano,
 infatti,
 le
 medesime
 informazioni.


In
 Francia,
 a
 causa
 della
 debolezza
 di
 Roma,
 altri
 attori
 diventano
 i
 nuovi
 punti
 di
 riferimento
della
regione,
innescando
così
nuove
dinamiche.


Mentre
nell’antica
Gallia
si
sviluppa
lo
studio
della
vite,
del
terreno
e
della
vinificazione,
 in
Italia
la
produzione
di
vino
non
subisce
altrettante
innovazioni.


Per
 molti
 secoli
 la
 coltivazione
 rimane
 un’attività
 che
 risponde
 ai
 bisogni
 del
 mercato
 dello
Stivale,
ignorando
quindi
l’aspetto
qualitativo.
 È
solo
alla
fine
del
Settecento
che
si
assiste
ad
un
cambiamento:
i
gusti
dei
consumatori
 sono
ora
più
inclini
a
vini
secchi,
come
lo
Champagne,
e
la
produzione
deve
adeguarsi.
 
 A
metà
Ottocento
si
può
collocare
il
secondo
punto
di
svolta
per
la
viticoltura
dei
due
 Paesi:
lo
oidio,
la
peronospora
ed
infine
la
filossera
distruggono
i
vigneti,
mettendo
in
 ginocchio
il
settore
per
più
di
cinquant’anni.
 Da
questa
situazione
di
crisi
si
sviluppa
la
convinzione
tra
i
vignaioli
francesi
del
bisogno
 di
 istituire
 un
 metodo
 di
 controllo
 e
 di
 protezione,
 soprattutto
 in
 risposta
 al
 dilagante
 fenomeno
di
contraffazione
che
si
verifica
all’inizio
del
Novecento.


Il
 nuovo
 secolo
 può
 essere
 considerato
 come
 il
 terzo
 punto
 di
 svolta
 nella
 storia
 della
 viticoltura
 francese
 e
 italiana:
 i
 coltivatori
 d’oltralpe
 cominciano
 a
 fare
 pressioni
 sul
 Governo,
affinché
si
prendano
le
necessarie
misure
di
aiuto
al
settore.


Il
 contesto
 socio‐politico‐economico
 in
 cui
 nasce
 il
 sistema
 legislativo
 vitivinicolo
 francese
non
è
dei
più
rosei:
il
comparto
è
in
crisi,
le
iniziali
proposte
di
legge
vengono
 rifiutate
dagli
agricoltori,
i
sistemi
adottati
creano
situazioni
di
tensione.
 Nonostante
tutto
ciò,
in
un
periodo
di
cinquant’anni
(in
cui
si
devono
considerare
due
 guerre
mondiali)
la
Francia
è
riuscita
a
creare
e
a
consolidare
un
“sistema
vino”.
 Negli
stessi
anni,
l’Italia
vive
la
medesima
situazione
di
crisi
economica
e
agricola
e
le
 leggi
a
difesa
del
settore
non
mancano.

 Nei
primi
trent’anni
del
nuovo
secolo,
Roma
approva
alcuni
testi
con
cui
si
introducono
 novità
 importantissime
 per
 la
 viticoltura,
 come
 i
 consorzi
 di
 tutela
 e
 il
 concetto
 di
 “denominazione”.
Purtroppo,
la
fine
degli
anni
Trenta
è
segnata
da
una
legge
che
riporta
 la
situazione
legislativa
vitivinicola
italiana
indietro
di
un
decennio.
 
 Con
i
Trattati
di
Roma
firmati
nel
1957
si
apre
una
nuova
stagione
per
la
legislazione
 vitivinicola
francese
ed
italiana:
oltre
alla
creazione
della
Comunità
Economica
Europea,
 si
gettano
le
basi
per
la
nascita
di
un
mercato
comune
dei
prodotti
agricoli.
 Per
quanto
riguarda
il
mondo
vitivinicolo,
i
primi
testi
non
tardano
ad
arrivare.
 Il
lavoro
del
legislatore
europeo
è
stato
molto
difficile,
poiché
doveva
mettere
d’accordo
 i
 due
 maggiori
 produttori,
 Francia
 e
 Italia,
 che
 non
 volevano
 essere
 danneggiati
 dal
 nuovo
sistema
che
si
stava
creando.


Se
per
l’Esagono
l’introduzione
di
questi
regolamenti
non
apporta
sostanziali
modifiche
 nel
 suo
 sistema
 interno,
 per
 lo
 Stivale,
 invece,
 significa
 la
 creazione
 di
 quel
 “sistema
 vino”
di
cui
necessita
da
oltre
trent’anni.


•


•


•


Sebbene
 le
 viticolture
 francese
 e
 italiana
 abbiano
 le
 stesse
 origini,
 è
 stato
 molto
 interessante
seguire
la
nascita
e
gli
sviluppi
dei
due
sistemi
legislativi
vitivinicoli.


Analizzando
 i
 testi
 normativi
 prodotti
 da
 entrambi
 i
 Paesi,
 ho
 notato
 una
 profonda
 differenza
 di
 approccio
 al
 problema,
 originata
 da
 secoli
 di
 vicende
 storiche
 e
 politiche
 che
hanno
plasmato
il
passato
e
la
mentalità
di
questi
due
popoli.


Inizialmente,
 gli
 aspetti
 della
 tempistica
 e
 dei
 temi
 dei
 primi
 testi
 normativi
 hanno
 catturato
 la
 mia
 attenzione:
 se
 il
 primo
 all’incirca
 coincide
 per
 entrambe
 le
 parti,
 il
 secondo
invece
riporta
elementi
di
diversità.


Sia
in
Francia
che
in
Italia,
le
prime
leggi
in
materia
risalgono
a
inizio
Novecento,
ma
gli
 argomenti
di
cui
trattano
esprimono
due
realtà
ben
diverse:
Parigi
definisce
il
concetto
 di
 frode
 e
 cerca
 di
 fissare
 un
 sistema
 di
 protezione
 basato
 sull’elemento
 della
 denominazione,
poiché
il
problema
che
doveva
affrontare
era
legato
alle
contraffazioni.
 Roma,
 al
 contrario,
 fornisce
 un
 testo
 dedicato
 alla
 spiegazione
 di
 vino
 non
 genuino:
 i
 motivi
che
spinsero
il
legislatore
ad
agire
in
questo
modo
non
sono
chiari,
soprattutto
 perché
 non
 rispondono
 a
 nessun
 criterio
 pratico,
 poiché
 permane
 l’incertezza
 nello
 stabilire
il
debole
confine
tra
un
vino
genuino
e
uno
che
non
lo
è.


Un
aspetto
che
mi
ha
sorpresa
durante
la
ricerca
è
stato
scoprire
che,
in
entrambi
i
Paesi,
 i
 testi
 di
 legge
 che
 per
 primi
 definirono
 la
 struttura
 dei
 rispettivi
 comparti
 vitivinicoli
 vennero
 proposti,
 sostenuti
 e
 difesi
 da
 due
 personalità
 con
 un’ampia
 conoscenza
 del
 settore.


Se
 questo
 è
 particolarmente
 vero
 per
 la
 Francia,
 che
 può
 vantare
 secoli
 di
 studi
 alle
 spalle,
 per
 l’Italia
 è
 stata
 una
 vera
 e
 propria
 sorpresa,
 poiché
 non
 esisteva
 una
 simile
 tradizione
di
ricerche.
A
sostegno
di
ciò,
bisogna
ricordare
che
i
due
Paesi
provengono
 da
 un
 passato
 molto
 diverso:
 se
 negli
 anni
 Venti
 del
 Novecento
 la
 Francia
 era
 già
 geograficamente
unita
da
secoli,
l’Italia
soffriva
ancora
di
frontiere
“in
movimento”
e
la
 sua
unità
(ancora
incompleta)
era
alquanto
recente.


Altri
aspetti
molto
interessanti
che
ho
notato
durante
le
ricerche
per
la
parte
francese
 della
 tesi
 riguardano
 l’importanza
 data
 all’elemento
 storico
 come
 uno
 dei
 valori
 principali
per
la
designazione
del
titolo
di
denominazione
di
origine
e
la
flessibilità
del
 pensiero
dell’epoca.


Per
 quanto
 concerne
 il
 primo,
 nonostante
 l’Italia
 abbia
 una
 storia
 enoica
 di
 uguale
 grandezza,
il
legislatore
non
ha
mai
espresso
l’opinione
di
porre
tale
criterio
come
uno
 dei
requisiti
da
soddisfare
per
l’ottenimento
del
titolo
di
denominazione.
Probabilmente
 egli
 pensava
 che
 la
 formula
 “tutelare
 le
 caratteristiche
 costanti”
 nei
 testi
 normativi
 includesse
anche
l’elemento
storico,
ma
a
mio
parere
tale
formula
non
è
esaustiva
e,
al
 contrario,
lascia
spazio
a
molteplici
interpretazioni.


Dall’altra
parte
delle
Alpi,
invece,
questo
aspetto
ha
un
valore
molto
importante,
tant’è
 che
 nei
 decreti
 di
 nomina
 a
 origine
 controllata
 di
 un
 prodotto
 enoico
 questo
 criterio


viene
 esaustivamente
 espresso
 nella
 formula
 di
 apertura,
 riportando
 le
 testimonianze
 storiche
e
letterarie
che
citano
il
vino
in
questione.


Il
 risvolto
 della
 flessibilità
 di
 pensiero
 riguarda,
 invece,
 l’episodio
 legato
 al
 formaggio
 Roquefort:
 l’idea
 dei
 viticoltori
 di
 “prendere
 in
 prestito”
 il
 concetto
 base
 di
 una
 legge
 destinata
ad
un
altro
settore
agricolo
allo
scopo
di
applicarla
al
proprio
comparto
è
stata


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