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Come tutto ciò che vive ogni brano mostra nel suo decorso temporale dei “comportamenti”; l'analisi di questi comportamenti sul piano spazio-temporale rientra nella macroforma, ossia parliamo di quei grandi “gesti” che appartengono ai livelli più esterni della forma e che appaiono in massima evidenza già dal primo ascolto. Essi imprimono in un brano direzionalità precise, influendo anche sulla nostra percezione dello scorrere del tempo e del testo.

Possiamo pertanto individuare 4 grandi gruppi di macrofigure: densificazione per accumulazione o moltiplicazione, la musica

prende lo spazio del silenzio;

rarefazione (l'opposto della densificazione), il silenzio prende il posto della musica;

modularità, consiste nel riprodursi di macroelementi riconoscibili come ripetizioni;

polidimensionalità, consiste nell'affacciarsi di “dimensioni” diverse che irrompono nel corso del brano.

Tali figure non si presentano nella struttura singolarmente.

Spesso avviene che esse coesistano e tale fenomeno è più presente nel testo letterario che non nello sviluppo musicale.

Partiamo con l'analizzare il fenomeno della densificazione e del suo opposto.

1.3

DENSIFICAZIONE E RAREFAZIONE

A livello musicale nei processi di densificazione assistiamo ad un incremento, dato tanto dalla dinamica che dall'aggiungersi di nuovi suoni; tale crescita può presentarsi in due tipologie abbastanza diverse tra loro:

per moltiplicazione, ossia in maniera ordinata, realizzata mediante elementi omogenei, come è ad esempio l'esposizione di una fuga, in cui il tempo sembra dilatarsi;

per accumulazione, ossia attraverso l'accumularsi progressivo di elementi eterogenei che portano progressivamente ad un senso di contrazione temporale.

tempo, si assottiglia.

Sono due maniere di orientare il bilanciamento tra suono e silenzio; se nella densificazione è il silenzio a cedere, nella rarefazione cede il suono.

Non dobbiamo però confondere queste due macrofigure con “crescendo” e “diminuendo”, elementi che – pur essendo il germe – sono un'altra cosa: si muovono nel piccolo e sono semplici flessioni dinamiche all'interno di elementi fraseologici abbastanza contenuti. Un esempio significativo di queste due figure potrebbe essere il movimento iniziale di Musica per corde, percussioni e celesta di Béla Bartók ove dalle battute 1-55 si manifesta il fenomeno prima elencato di accumulazione e nelle successive battute, sino alla 88, si verifica il suo inverso, ossia la rarefazione.15

Cfr. F. Bartalucci, Teoria della Musica, simbolo, numero e bellezza, Perugia, Hyperprism

15

16

B. Bartók, Musica per corde, percussioni e celesta, New York, Boosey & Hawkes, 1939. Plate

16

A livello letterario, e nel nostro caso specifico nei testi di Antonio Moresco, è spesso presente il fenomeno dell'accumulazione. Rari sono gli esempi rapportabili alla moltiplicazione. Ma vediamo il fenomeno a livello testuale e come il nostro autore, inconsapevolmente, la utilizzi. Di seguito uno dei pochi esempi di moltiplicazione - ricordo che col termine di moltiplicazione si indica l’accumularsi di elementi omogenei.

Ero di fronte a lui, mi ero appena separato dal suo specchio, io, il

primo uomo, per la prima e ultima volta, di fronte al suo creatore.

«Che cosa ho fatto, che cosa ho fatto?» balbettava.

Balbettava e tremava. O forse ero io che tremavo, perché ci stavamo guardando l'uno nello specchio dell'altro, io nel suo specchio e lui nel

mio specchio che si era appena separato dal suo con il quale era una cosa sola, e quindi anche da se stesso, quando mi aveva creato a sua

immagine e somiglianza e io avevo dovuto lacerarmi di colpo dal suo specchio per potermi duplicare nel mondo, avevo dovuto patire il

trauma di questa separazione nel momento stesso della mia creazione.

Se invece non ero lui che si era appena lacerato dal mio specchio ed

era diventato a immagine e somiglianza mia per continuare a cercarla e a crearla anche nella separazione e nella distruzione.

Anche se non l'aveva ancora separata, non l'aveva ancora creata. Non l'aveva ancora creata e la stava già creando all'incontrario nella

separazione e nella distruzione, come se la separazione venisse prima, la distruzione venisse prima per poter venire anche dopo.

Oppure l'ha creata una seconda volta, l'ha creata nella distruzione come l'aveva creata nella creazione.

Oppure nello stesso identico istante anche nella distruzione che si è lacerata dalla creazione per potersi guardare come una cosa sola con la

distruzione nel vortice dello stesso specchio.

«Sono solo, sono solo!» sentivo la mia voce come stava gridando,

perché io, a differenza del creatore, sento tutto, vedo tutto, perché non c'è nient'altro da sentire e vedere che non sia il suona e la visione della

distruzione.

Io porto dentro di me , fin dall'inizio, questo terribile dono e questa prefigurazione: di aver patito il trauma della distruzione nel momento stesso della creazione, di aver il trauma della creazione nel momento stessa distruzione.

Ma allora adesso chi sono? Solo il distruttore che è diventato il creatore o sono il creatore che è diventato il distruttore? Sono il primo uomo che è diventato il suo creatore o sono il creatore che è diventato il primo uomo per continuare a cercarla anche nello specchio della distruzione?

Adesso sono il primo uomo, e sono solo, sono solo!

(Gli increati, 1258-9)

Notiamo in questo esempio un procedere omogeneo del testo. Non si ha il sovrapporsi eterogeneo di parti.

L’avanzare del tono, nonostante elementi e figure che si susseguono nel testo, è ordinato e disteso; la respirazione risulta regolare tanto nel tratto di densificazione quanto in quello di rarefazione.

I n f a t t i r i s p e c c h i a p e r f e t t a m e n t e l ' a n d a m e n t o p e r moltiplicazione, come nella musica così nel testo. L'elemento di inizio è l'io del narratore, a questo si associa un altro elemento e così via in un crescendo. Questi esempi all'interno del testo sono difficili da trovare ben più semplice è invece la densificazione per accumulazione.

Sia ben chiaro che la densificazione è strettamente legata alla rarefazione, infatti ad un momento di alta densità ritmica, testuale o musicale, ne succede un altro di silenzio e distensione.

Adesso cominciamo a visionare esempi di densificazione per accumulazione e partiamo da questo brano tratto dagli Increati [pag. 370]

Poi, a poco a poco, da qualche parte della vita e della morte del

mondo, da dietro la parete che c’è vicino al letto, quasi contro il letto, dalla tappezzeria blu scura, quasi nera e qua e là lacerata e

strappata, con gli spigoli staccati dal muro e che penzolano nel vuoto appesantiti da strati d’intonaco staccato, si cominciano a

sentire dei piccoli rumori ritmati, dei colpi lievi, prima lievi, poi sempre più forti, più forti, poi dei respiri sempre più cavernosi,

più rauchi, più forti, nell’inconcepibile silenzio che c’è in questa grande casa buia e nel mondo.

In colore giallo è evidenziata la densificazione, in verde la rarefazione. Si noti sin da subito il termine “sentire”, tale termine fa sì che il lettore presti attenzione al senso acustico del momento. È un momento altamente percettivo: musicale. Ecco che improvvisamente si dà avvio al processo di densificazione per accumulo attraverso elementi eterogenei: i piccoli rumori ritmati, lievi che pian piano si intensificano, poi i respiri cavernosi, rauchi che divengono più forti; a livello orchestrale potremmo pensare ad un crescendo di percussioni e fiati. Ecco che per accumulo, utilizzando la stessa sfera sensoriale – l'udito – Moresco ricrea a livello macroscopico la densificazione. A livello testuale infatti il ritmo si fa incalzante, serrato, per poi

distendersi e rarefarsi.

È interessante portare di seguito altri fenomeni di densificazione:

“Sento un rumorino sempre più ritmato, più forte, che sta

venendo da lontano, dalla parte dello scalone, sentirò, e allora vuol dire che mia madre deve essere andata là a montare la

panna, in mezzo alle biglie, perché laggiù c’è più freddo e la panna si monta meglio, con due forchette tenute in una mano

fracassata e bendata e sbattute forte nella zuppiera.

Poi arriva il budino in mezzo alla tavola, la colata di panna

appena montata che scende dalla zuppiera inclinata, le mani e le braccia che si allungano per staccarne dei piccoli e grandi pezzi

e ricoprirli di molta panna, con i cucchiai e le forchettine d’argento dai denti assottigliati per i molti lavaggi. E poi c’è la

Signorina che ne chiede ancora, perché è molto golosa, e poi c’è mia madre che si strappa dalla testa ciò che resta delle bende,

per essere più libera nei movimenti della masticazione, e poi c’è mio padre che ogni tanto si deve alzare di scatto dalla tavola,

quando sente un rumore di spari venire dalla parte della strada, e deve sparare alcuni colpi di risposta dalla finestra della camera

da pranzo, sporgendosi dalle ante socchiuse, senza neppure correre nella sua stanza, deve lanciare una bomba a mano, dopo

ancora sporchi di budino e di panna, e poi ci sono tutti gli altri che trattengono il respiro quando arriva da fuori il boato forte

dell’esplosione.”

[Gli Increati, pp.434-435]

In questo caso specifico il fenomeno dell'accumulazione coinvolge più sensi, parte da quello acustico “sento” e giunge a quello visivo. Inoltre qui vi è anche una accumulazione numerica di personaggi che si aggiungono alla “visione” del banchetto. All'accumularsi di eventi, il ritmo incalza e stringe, ma anche in questo caso giunge, seppur repentinamente, la rarefazione a causa del boato creato dall'esplosione, regna il silenzio; è un grande respiro: a livello acustico si crea una frattura spazio-temporale interiore, pertanto percepiamo il ritmo distendersi e dilatarsi, e a livello immaginario attendiamo che il boato passi per poter poi proseguire.

Q u i di seguito altri esempi tratti da “Gli Increati”, mi limiterò a evidenziare in giallo i punti di accumulazione; tenendo ben presente che ad ogni accumulazione segue una rarefazione.

“È tutto buio. Ci sono dappertutto macchine piene di morti, treni pieni di morti, aerei pieni di morti, nelle città sprofondate nel

sonno, lungo le strade, le ferrovie, negli aeroporti, nel cielo. Tutto il mondo attraverso delle carovane dei morti.

Viene da ogni parte un rumore sordo, un fragore, come se stesse piovendo a dirotto, diluviando, e tutta l'acqua si stesse trasferendo

dal continente capovolto del cielo a quello della terra. Ma forse non sta piovendo, non sta diluviando, è solo un modo di percepire le

cose con le superfici dislocate dei corpi quello spazio dalla consistenza diversa, l'allagamento verticale del tempo.

Metrò che scorrono buie sotto la linea dell'orizzonte, delle vetture tutte piene di morti. Morti che camminano attoniti lungo le strade,

come bendati. Macchine guidate da morti piene di morti che guardano fuori dai finestrini bui con le loro facce morte. Aerei che

si alzano in volo guidati da piloti morti e tutti pieni di morti. Stazioni gremite di morti che aspettano il loro treno, fermi lungo le

banchine e sotto i tabelloni elettronici degli orari delle tessere che ruotano senza mai fermarsi. Treni che corono con i vagoni

illuminati nel buio,tutti pieni di morti... Non vi è mai capitato di vederne, con le luci sfuocate per la velocità, mentre vi oltrepassano

in pochi istanti sulle rotaie a fianco alla vostra auto che corre sull'autostrada, e voi continuate a guidare sbadigliando con gli

occhi socchiusi, velati da quelle lacrime che si formano per il sonno e intanto pensate, fantasticando di avere intercettato nel buio del

Non è così, quei treni sono tutti pieni di morti.” (Gli increati, pp.15-16)

“«Si, si...» ha ripreso a dire la voce di lei, a sussurrare «ma intanto

noi continueremo a ballare, e ci accarezzeremo, e ci baceremo, e tu mi terrai stretta tra le tue braccia, stringerai in un solo abbraccio il

mio corpo morbido e profumato e la nuvola del mio vestito da sposa in fiamme. E tu non saprai più chi sei, perché sarai arrivato al

termine della creazione e della sua distruzione e l'immortalità della creazione e l'immortalità della distruzione non potranno più

guardarsi nel vortice dello stesso specchio creato. E allora tu mi domanderai, come hai continuato a domandarmi per la prima e

l'ultima volta fin dall'inizio, nella vita e nella morte del mondo: “Tu chi sei”. E allora io te lo dirò. E allora tu no saprai chi abbraccerai,

ma mi abbraccerai, e mi accarezzerai, e mi bacerai, e allora non tremerai più, non soffrirai più, rimarrai irradiante e intatto tra le mie

braccia, o forse sarò io a rimanere così tra le tue, e allora anch'io ti accarezzerò, e ti bacerò...»

Non so dove sono, chi sono, ma l'accarezzo, la bacio. Il distruttore non c'è più, non resta che l'increatore.

«Tu chi sei?»

«Sono l'increata» mi risponde guardandomi come se non mi

La musica si ferma.

Rimango immobile, muto, tra le sue braccia.”

(Gli increati, pp. 1987-1989)

In questi ultimi due esempi è facile notare come il contrasto tra densificazione e rarefazione sia molto fitto e presente in Moresco. Tale fenomeno è individuabile anche nell'andamento vocale dello spartito che negli attimi di densificazione si presenta come incalzante e deciso, mentre in quelli di rarefazione diviene più disteso e calmo, e anche la punteggiatura diviene più fitta e i periodi sono più concisi. Tali fenomeni altresì sono presenti anche in altri testi scritti dal nostro autore:

“Le ombre continuano a interrogarsi così, a tormentarsi. Indistinguibili, in quell’oscurità, in quel fulgore. La loro massa

oscura è il bagliore che continuerà a cancellare e a fermentare fino alla fine, qui dentro. Ah, dimenticavo di dirvi... sono ancora io che

vi parlo, Benares 2. Di notte anch’io dentro la corrente, sono un navigatore, ve l’ho già detto, di giorno uno studioso di lingue e dialetti indiani. Vivo nella periferia di questa città, ma viaggio per

lavoro attraverso questo immenso paese, per raggiungere le comunità linguistiche ed etniche più sperdute, gli istituti di ricerca,

le università. Mi sposto attraverso le megalopoli piene di belle facce nere intagliate e di cenci luridi che non emettono odore e di

meravigliose donne variopinte e cariche di braccialetti e di anelli che si sentono arrivare con emozione fin da lontano, dai capelli

lucidi d’olio sotto la ripiegatura del sari. Coi suoi cadaveri che bruciano come nella notte dei tempi sulle cataste di legno o

abbandonati lungo le strade e i neonati gonfi d’acqua che galleggiano sulla corrente, quando scivolo con una barca sul

Gange. Coi suoi mendicanti dai corpi e dai volti spinti fino alle estreme possibilità biologiche nella fornace della vita reincarnata

oltrepassata e immobilizzata, con arti filiformi, gengive scoppiate, busti enormi, protuberanze da insetti, accenni di ali ossee, piedi

ungulati simili a zoccoli di animali ormai estinti, come se venissero ripercorse tutte le fasi biologiche della vita nel momento della sua

massima espansione e immobilizzazione e passaggio. Tutta una massa oscura che viene dall’antica civiltà di Harappa che

commerciava con i sumeri di Mesopotamia, da quella di Jhukar e di Jhungar, la civiltà dell’Indo, seminomadi, pastori divisi in tribù

rette da un consiglio di nobili e da un raja, guerrieri che avevano inventato il carro trainato dai cavalli e si spingevano fino agli

estremi confini con il Bengala. E poi l’impero Maurya, quello dei Gupta. E l’invasione dei centroasiatici, gli unni bianchi respinti

Mahmud di Gazna, che annette i regni indù dalla valle di Kabul e il Punjab, prende possesso della valle del Gange. Poi ancora i

sultanati di Delhi, l’impero Moghul. Tutto il tessuto alluvionale di lingue e le sue correnti in cui mi immetto percorrendo da parte a

parte questo paese vasto come un continente, e che si connettono a loro volta con le altre lingue oltrepassate e immobilizzate che si

stanno espandendo per linee curve qui dentro, dentro questi spazi esplosi e immobilizzati e in tormento. Le lingue hindi e urdu,

l’assamese, il bengali, il punjabi, il sindhi, scritto in caratteri persiani, il gujarati, il marathi, legate al culto di Visnu-Krsna, il

kasmiri, il malayalam, il telugu, mille altre. I grandi arcipelaghi disseminati del Rgveda, le Upanishad, con la loro identificazione

dell’essenza individuale con quella universale e le sue continue reincarnazioni. Con tutte queste orbite e linee curve che si

muovono nello spazio e tempo immobilizzati, in cui tutto il mondo fenomenico è incluso in un’altra realtà infinitamente più grande,

immobile, immobilizzata, ma che forse sta per essere attraversata e dislocata e spostata a sua volta da questa reincarnazione e

trasmigrazione... A proposito di reincarnazioni... non so se ci avete fatto caso, ma ce ne sono state un bel po’ anche qui dentro!

A quel tempo c’era ancora il brief...

Nel seguente brano come nei precedenti possiamo notare delle zone nelle quali si alternano processi di densificazione e di rarefazione. Anche in questo specifico caso come nei precedenti notiamo l'alternarsi di periodi con punteggiatura fitta e incalzante e altri più distesi, ma cosa più importante è la struttura sintattica: è molto presente la paratassi; frasi brevi, coordinate e tutte principali. Il tono vocale di lettura aiuterebbe di più a rendere l'idea. Ma credo che ogni bravo lettore, immedesimandosi nel testo, riesca da sé a ricreare perfettamente l'andamento.

Continuiamo con gli esempi:

Ci ha svegliati un rimbombo di tappeti sbattuti che faceva tremare tutto il caseggiato. Lei ha guardato la sveglia con stupore: erano già

le sette di mattina. Ci siamo contorti per un po' sotto le lenzuola. Fuori, il rumore dei tappeti sbattuti era aumentato ancora.

Nell'angolo opposto del caseggiato una radio stava trasmettendo le musiche del mattino, un'impastatrice di cemento aveva cominciato

a girare nel cortile, un neonato piangeva a uno dei piani più alti e la saracinesca di una piccola officina a pianoterra si era levata con

fragore.

Siamo rimasti abbracciati ancora un po'.

«Devo alzarmi!» mi ha detto.

Ma un istante dopo, inginocchiato dietro le sue natiche, la

sollevavo leggermente verso l'alto a ogni colpo. Facevo attenzione che non sbattesse la testa contro le piastrelle, e nello stesso tempo

cercavo di trovare un ritmo, diverso da quello della battitura dei tappeti nel cortile.

(Il combattimento – la cipolla, pp.282-283)

Il seguente brano è l'esempio particolare nel quale l'elemento di rarefazione è quasi inesistente, minimo, una piccola parentesi rispetto all'intero brano riportato.

Infine portiamo un esempio tratto da 'l'addio':

Sono uscito dal mio buco, ho richiuso la porta alle mie spalle, ho cominciato a camminare lungo i grandi corridoi deserti e con le

mezze luci. Si sentivano solo i rumori lontani delle donne delle pulizie che si stavano spostando da un ufficio all'altro con i secchi

di detersivo e gli spazzoloni.

Ho imboccato le scale. Non avevo voglia di prendere uno degli

ascensori e di scendere in quella luce morta che c'è là dentro, e di guardare dentro lo specchio la mia immagine riflessa, con i miei

occhi bianchi.

Ah, si... mi ero dimenticato di dirvi: ho gli occhi bianchi. L'iride e

la pupilla non si distinguono quasi dalla cornea. Non lo so perché, forse ci hanno gettato contro dell'acido quando ero nella città dei

vivi. Forse per qualche altra ragione che non conosco o che non ricordo.

Ho cominciato a scendere lungo le scale, larghe, deserte, in penombra. Sentivo il rumore dei miei passi nella grande estensione

della Centrale di polizia dei morti.

Sono arrivato in fondo alla voragine delle scale.

Ho imboccato il corridoio a pianterreno. Ho camminato ancora per un po', passando davanti alle porte aperte delle sale delle riunioni e

della centrale di pronto intervento. Ho visto un paio di teste girarsi in silenzio verso di me, rischiarate dalla luce di una fila di video.

Sono arrivato fino al portone. Sono passato davanti alla gabbiola dell'agente che resta di guardia durante la notte. Mi ha salutato con

un cenno della testa, continuando a masticare delle patatine fritte che pescava con una mano da un sacchetto, senza staccare gli occhi

da un videogioco sul cellulare.

Sono uscito. Mi sono guardato attorno.

(L'addio, p.27-28)

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