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"Diapason sottile, lacerante, lancinante, della voce che viene prima ancora che ci sia la voce" Termini e figure musicali nell'opera di Antonio Moresco

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DIPARTIMENTO DI


FILOLOGIA, LETTERATURA E

LINGUISITICA

Corso di Laurea in Lingua e Letteratura Italiana

“Diapason sottile, lacerante, lancinante, della

voce che viene prima ancora che ci sia la voce"

Termini e figure retoriche musicali nell’opera di Antonio

Moresco

CANDIDATO A. Vacanti

RELATORE Prof.ssa C. Benedetti

(2)

INDICE

INTRODUZIONE

CAPITOLO 1 MUSICA, RETORICA

1.1 Retorica musicale e retorica letteraria

1.2 La macroforma musicale nel testo letterario

1.3 Densificazione e Rarefazione

1.4 Modularità

1.5 Polidimensionalità

CAPITOLO 2 CANTO: IL TERMINE MUSICALE

PIU’ RICORRENTE IN MORESCO

2.1 La Musa

2.2 La Polifonia

2.3 Canto e Verticalità

2.4 Il Volume dei Canti

2.5 I canti dei personaggi

CONCLUSIONE BIBLIOGRAFIA RINGRAZIAMENTI


(3)

Diapason sottile, lacerante, lancinante, della voce

che viene prima ancora che ci sia la voce"

Termini e figure retoriche musicali nell’opera di

Antonio Moresco

(4)

INTRODUZIONE

Moresco è uno degli autori più discussi degli ultimi anni.

Ciò che mi ha spinto ad analizzare in chiave musicologica la sua opera, e in particolare Canti del Caos e Gli increati, è la particolarità che, ad oggi, non è ben classificabile all’interno di schemi prestabiliti.

In questa tesi proporrò una chiave di lettura che potrebbe render conto di questa struttura narrativa attingendo a un campo che per secoli è stato un tutt’uno con la letteratura, l’ ars musicae, ma che negli ultimi due secoli, distaccandosene, ne ha obliato quasi tutti i concetti.

Pertanto il testo letterario di Moresco sarà analizzato attraverso le figure retoriche della macroforma musicale.

È stata la molta presenza di musica, polifonia, suono a spingermi e ad interpretare in questa chiave i suoi scritti.

Mi propongo pertanto di trattare il testo come se fosse uno spartito musicale, dal momento che diverse sono le voci che all’interno del tessuto narrativo si intrecciano, per individuarne analogie e differenze.

(5)

Per tale progetto mi sono avvalso di strumenti di matrice puramente musicale, riportando spartiti e indicando su di essi quanto proposto affinché il lettore fosse agevolato nell’individuare successivamente nel testo letterario quanto io vedo ed individuo nel testo musicale, o di pure teorie in apparenza esclusive al solo campo della musica ma, come vedremo, facilmente rintracciabili anche nel nostro autore.

La tesi verrà strutturata in due capitoli.

Il primo capitolo sarà dedicato alle figure retoriche della macroforma musicale applicata al testo letterario.

Possiamo pertanto individuare 4 grandi gruppi di macrofigure:

− densificazione per accumulazione o moltiplicazione, la musica prende lo spazio del silenzio;

rarefazione (l'opposto della densificazione), il silenzio prende il posto della musica;

modularità, consiste nel riprodursi di macroelementi riconoscibili come ripetizioni;

polidimensionalità, è l'affacciarsi di “dimensioni” diverse che irrompono nel corso del brano.

Tali figure non si presentano nel testo singolarmente.

(6)

presente nel testo letterario che non nello sviluppo musicale.

Infatti vi saranno frequenti esempi di tipo musicale accostati poi al testo letterario al fine di individuare le similitudini e portare il lettore a comprenderne la natura.

Nel secondo capitolo tratterò invece il termine musicale più utilizzato da Antonio Moresco ossia “Canto”.

Vedremo nello svolgersi del capitolo le varie sfaccettature di questo termine e il motivo per il quale pare essere un vocabolo tanto caro a Moresco.

Nel corso della spiegazione del termine ci imbatteremo anche in altre figure, o parole, che hanno stretta connessione col nostro preso in analisi.

Leggendo Canti del Caos, ho sempre avvertito le frasi scritte da Moresco cambiare “ambientazione”, ora come se provenissero dalla bocca di un aedo dell’antica Grecia, talora da uno degli antichi Padri della Chiesa, a volte da un sacerdote, o da un cantante di melodramma o da una madre che urla contro un figlio. Si viene pertanto ad innescare una sorta di caos testuale e narrativo; eppure in mezzo a tanto caos ho sempre percepito un’armonia, una armonia delle parole, che si erigono come cattedrali in un crescere e diminuire di azioni e di eventi. Il bello è che senza rendercene conto attraverso questo “gioco”

(7)

testuale passiamo dall’essere l’armonia ad essere all’interno dell’intreccio melodico, divenendo noi stessi la melodia.

Moresco quindi sublima il termine Canto e prova a riportarlo al suo antico splendore, nella sua forma primaria.

“Canto” è da intendere sia come atto del cantare libero sia come lirica scritta, altresì anche come forma più sublime della musica - opera lirica.

Proprio da questa riflessione scaturisce il titolo della mia tesi, tratto dalle righe finali di Duetto - nella raccolta Merda e Luce - duetto nel quale la Callas dialoga, quasi ripercorrendo il processo canoro dei suoi spettacoli, con la sua tenia.

In Moresco il canto è vita, è espressione; è un qualcosa che viene prima di qualunque altra cosa, così come la voce.

È difficile sintetizzare e racchiudere in un unico concetto la letteratura, i concetti e i significanti che Moresco ci propone poiché la versatilità e la duttilità di questo autore è così ampia che avere un unico punto di vista , ed escluderne altri, significherebbe cercar di contenere tutta l’acqua dei mari in un unico bicchiere, o escludere a priori l’esistenza di altre galassie nell’universo al di fuori della nostra. Spero che con questo studio io possa far luce su alcune tematiche riguardanti Moresco o creare quesiti per far sorgere studi più

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approfonditi e illuminati affinché questo grande autore abbia sempre più luce e lustro.

(9)

Capitolo 1

MUSICA E RETORICA

Musica e poesia, o più in generale la letteratura, in epoca antica non erano campi distinti. Camminavano l'una accanto all'altra. Queste due arti erano accomunate dalla retorica, decaduta con il decadere del suo utilizzo in campo giuridico e resuscitata dall'umanesimo.

Nei secoli successivi, quando l'influenza dell'antica ars oratoria era ancora forte, i rapporti fra retorica e musica erano moneta corrente e la compenetrazione tra poesia e retorica spesso era, ed è, talmente forte che a tratti diviene impossibile distinguerle in maniera netta. 1

Con il romanticismo e con l'avvento di una estetica profana lo stretto legame fra le due arti si spezzò; nell'estetica romantica la musica divenne un'arte che nasce dalle sfere celesti e da nebbie lontane, indeterminata e inafferrabile, e infine, con Haslick, l'estetica musicale si irrigidì in un arido formalismo.

Cfr. H. Unger, Musica e retorica fra XVI e XVIII secolo, Alinea editrice, Firenze, 2003, p.23.

(10)

Tale formalismo fu quasi naturale poiché gli estetologi romantici erano filosofi e poeti, a differenza dei precedenti che erano musicisti; ciò portò in maniera netta ad immaginare la musica come un campo nel quale regna una sostanziale impenetrabilità e una difficile comprensione quasi di natura metafisica.

Solo successivamente, grazie ai musicologi, la letteratura e la musica hanno ricominciato a dialogare riscoprendo il piano comune della retorica.

Le figure nella nostra arte musicale sono la stessa cosa ed hanno la medesima funzione dei colores, dei tropi e dei vari modi di

dire la retorica.

Infatti come un retore commuove l'uditore con un ingegnoso

susseguirsi di tropi […], similmente fa la musica con un altrettanto ingegnoso susseguirsi di cadenze ovvero periodi

armonici.2

E ancora:

L'ampio impiego di termini retorici da parte dei compositori e

dei teorici del tempo non comprende soltanto il concetto di

A. Kircher, Kircher 1650, parte I, libro V, pag. 366.

(11)

“affetto” ma un più vasto vocabolario tecnico che fa riferimento anche alle “figure retoriche” e ai cosiddetti “loci topoi” (forme

retoriche). L'insieme di questi elementi diede vita a un sistema musicale capace di razionalizzare le passioni e i sentimenti

umani.

È appena il caso di osservare che la comprensione di una

musica costruita sulla base di questi criteri diventa quasi impossibile se condotta ad di fuori delle regole che stanno alla

base della creazione poetica.3

Nei testi di Moresco non è infrequente imbattersi in terminologie musicali. Che rapporto ha l'autore con la musica? È avvezzo a tale arte? Assolutamente sì. Ma al tempo stesso, come lo stesso Moresco afferma, è una sorte di “croce e delizia”.

“Io in realtà avevo ripreso ad ascoltare la musica da un po'. Comperavo i dischi perlopiù in edicola, erano pieni di gobbe e la

testina ci s'impennava e subito dopo sprofondava a ogni giro, come sulle montagne russe. Tiravo giù un vecchio giradischi da

sopra l'armadio. Beethoven, che tanto mi era piaciuto attorno ai diciott'anni, mi deludeva, mi annoiava. Mi aveva invece

G. Acciai, Far musica è..., Suvini Zerboni, Milano, 1992, p.53.

(12)

conquistato Mozart. Ho ascoltato le sue prime note dal mio minuscolo monolocale sopra l'imbocco dell'autostrada, e subito

mi è parso che dentro di me qualcosa tornasse da lontano. «Ma dove sono stato per tutto questo tempo?», ho pensato

all'improvviso. Sono corso fuori per l'emozione. Ho coperto il giradischi com un cellophane per rendere più faticosa l'operazione

di tirarlo giù dall'alto dell'armadio […] Senza rendermene conto entravo sempre più sotto il dominio della musica. Non me ne

riuscivo più a staccare, per un anno intero e forse più. Mozart e Bach, soprattutto. Mi attanagliavano. E quando sprofondavo

troppo a lungo in uno dei due dovevo poi tornare rapidamente all'altro, cercare di riconnettere le parti. E poi di nuovo a

quell'altro, e all'altro ancora, senza riuscire a impedire che sempre qualcosa di enorme ogni volta mi sfuggisse.

Allora ricorrevo a rapide elisioni con Stravinskij o Chopin, mi incaponivo su Frescobaldi e poi di nuovo tornavo al Requiem di

Mozart, lo intersecavo con Magnificat di Monteverdi, mi perdevo in questa inafferrabile combinazione. Tornavo al Deutsches

Requiem di Brahms, all'impenetrabile trasparenza di Vivaldi.

Mahler invece non riuscivo ad amarlo come avrei pensato. Mi

perdevo nuovamente in Mozart e, quando mi pareva di essermi sintonizzato a fondo con le sue ultime sinfonie, mi accorgevo di

(13)

Flauto. […] Sentivo di nuovo orrore e nostalgia del canto umano,

andavo a cercare Bellini, le arie di Rossini. […] Attraverso

momenti di spaventosa lucidità, mi vedevo intento a un'operazione di bassa macelleria nei confronti di me stesso, e

avrei voluto concentrare tutta la musica del mondo in un unico suono mai udito eppure ritrovato. […] La musica mi provocava

una nausea troppo grande, i suoni mi davano l'urto del vomito. […] Ho smesso finalmente di ascoltare musica, e forse se non

l'avessi fatto non mi sarei salvato, non avrei avuto l'illusione di salvarmi. […] Io devo vivere lontano dalla musica.”

(Lettere a nessuno, pp. 84-87)

La musica per Moresco è dunque anche qualcosa da evitare, perché capace di distruggere, divorare, disorientare. La musica suscita quelle emozioni che deviano dall'idea pura di chi sta ascoltando, perché nel singolo soggetto diviene padrona incontrastata delle emozioni e fa affiorare quelle sensazioni e quel trasporto che non è altro che suggestione del momento e del singolo soggetto. Pertanto la musica va trattata come se fosse un ibrido tra un buco nero e il grande sacco nero dell’universo: disperde, consuma, distrugge. Va allontanata, esiliata, trascurata affinché la mente sia libera di agire e operare secondo il suo pensiero e senza il vincolo delle suggestioni.

(14)

Moresco è un grande conoscitore della musica e, nonostante egli la rifiuti e la allontani per “salvarsi”, le sue pagine e i suoi testi sono ricchi di lessico musicale e di figure retoriche appartenenti anche al campo musicale. Infatti lo spartito, come il testo letterario, sono ricchi di figure retoriche. Ma Moresco non si ispira alla musica per scrivere, infatti egli stesso afferma ne ' La visione ' che la scrittura non è musica. Crea un tessuto letterario non influenzato dalla musica, però, nella struttura che esso assume è possibile individuare delle forme che vengono utilizzate anche in musica.

Scrive Moresco:

“Perché, se tu scrivi ascoltando musica, in un certo senso... Sai,

scrivere è una cosa tremenda, perché tu stai lì, sei solo, non hai nessuna strada già tracciata. Invece, se tu ascolti questa

musichetta, sei già in un atteggiamento più pacificato nei confronti dei mezzo espressivo, che ti viene in qualche modo

sollecitato, mediato. Invece, quando scrivi senza la musica e senza nessun'altra sponda, non hai linee di fuga, non puoi

preventivamente manipolare la cosa che deve uscire. Per tutto questo avevo scritto in quel programma che non dovevo ascoltare

musica, non dovevo cedere alla musica, per nessun motivo. Invece, nella consuetudine italiana, la scrittura ha molto della

(15)

musica, o meglio della musica mediata dalla musica, negli scrittori italiani molto spesso, anche di valore, c'è questo

andamento musicale. Invece la scrittura non è musica, secondo me. Questo non vuol dire che poi non possa averne una.”

(La visione, p. 101)

La musica mediata dalla musica: cosa vuol dire?

Che ci sia una qualche relazione tra la musica e il mondo degli affetti, delle emozioni, dei sentimenti è cosa ripetuta in vario modo fin dalla più remota antichità. Tutt'altro discorso definire in termini più precisi in cosa consista questa relazione, come si configuri, le motivazioni profonde di questo rapporto. Nella storia del pensiero musicale il rapporto musica-sentimento si collega a molti altri problemi e primo fra tutti alla questione della natura linguistica della musica e quindi in definitiva al vecchio problema della semanticità della musica.

A partire dal Settecento si afferma superficialmente che la musica è imitazione o espressione dei sentimenti e delle emozioni. Con ciò si vuole sostenere che la musica ha un rapporto privilegiato con il nostro mondo emotivo molto più che con la ragione e con i concetti: quanto appena detto è base su cui si sarebbe impostata tutta la futura estetica musicale.

(16)

“L'unità dell'opera - afferma Strawinsky - ha la sua risonanza. La sua

eco che la nostra anima percepisce, risuona sempre di più. L'opera finita si propaga dunque come comunicazione e rifluisce verso il suo

principio. Il ciclo allora è chiuso. Ed è così che la musica ci appare come un elemento di comunicazione con il prossimo - e con l'Essere” 4

Pertanto credo che quando Moresco parla di una letteratura in cui si trova musica mediata dalla musica, egli faccia riferimento al fatto che spesso lo scrittore ascolta della musica perché sia essa ad ispirarlo e si fa trasportare nella sua scrittura dalle emozioni di quanto sta ascoltando, bloccando invece la musicalità della parola e del pensiero, che porterebbe all'interno del testo una “musica” totalmente diversa.

La lettura ad alta voce dei testi di Moresco crea una musicalità e un ritmo paragonabili al linguaggio delle note. Moresco non solo scrive, ma al tempo stesso compone.

Leggere Moresco è come leggere uno spartito musicale; il suo testo letterario non è infatti così diverso da un organismo musicale, a sua volta paragonabile a un essere vivente: ha un respiro, connesso al

I.F. Strawinsky, Poétique musicale, Le bon Plaisir, Paris, 1952, p. 97

(17)

battito cardiaco; un “polso”; un'andatura, e via dicendo. Potremmo cosi definirlo:

L’organismo musicale è analogo ad un essere vivente: ha un respiro,

connesso alla pulsazione cardiaca; un “polso”; un’andatura, e via dicendo.

Potremmo definire, nell’uomo, l’insieme degli apparati respiratorio, cardio-circolatorio e locomotorio come sistema ritmico. C’è analogia

tra l’azione delle gambe, che poggia sul terreno tramite i piedi, e quella dei polmoni, che appoggia sul diaframma; il tutto dipende da

quella cardiaca. L’uomo cammina coi piedi e “col canto”; moti che sono espressione del suo respiro vitale (che, quasi, genera tutta la sua

forma). Il ritmo, elemento che struttura e forma nel tempo, assolve quei compiti che nel corpo umano competono: a livello

statico-spaziale, allo scheletro; a livello cinetico-temporale, al sangue e al respiro .5

Il testo di Moresco al pari del testo musicale è un essere vivente: ha un suo battito, una sua vita, una sua struttura.

F. Bartalucci, Teoria della musica, simbolo, numero e bellezza, Perugia,

5

(18)

1.1

RETORICA MUSICALE E RETORICA

LETTERARIA

Cerchiamo di analizzare a quali termini musicali Moresco attinge, come li usa e che connessione possa esserci con le figure retoriche musicali.

Innanzitutto bisogna distinguere tali figure nella microforma e nella macroforma. Ma prima ancora dobbiamo definire i campi tra retorica musicale e retorica letteraria.

Potrà sembrare assurdo ma la retorica musicale e quella letteraria coincidono:

Storicamente , il nesso tra retorica e letteratura è stato più organico che quello tra retorica e filosofia. Il rapporto con la poetica, ad

esempio, è stato sentito come una semplice distribuzione di competenze che come un rapporto di opposizione forte. Rispetto alla

poetica, che comprendeva i precetti per la produzione del testo scritto, la retorica fu originariamente pensata come una tecnica del discorso

orale, con le conseguenze implicite che potevano derivarne. La retorica codificava le tecniche del “parlare in pubblico”, della

(19)

l'eccezione del genere epidittico, al consumo immediato, laddove un testo letterario presta, per la sua stessa natura, a essere riletto o

riascoltato per puro piacere estetico.6

Purtroppo la retorica letteraria non fa mai riferimento alla retorica musicale; il punto è che queste due retoriche possono apparire distanti, quando così non è.

La retorica musicale fa sempre riferimento a quella letteraria. È grazie agli studi musicologici che ci è possibile comprendere come campo letterario e musicale condividano lo stesso piano retorico.

L'ampio impiego di termini retorici da parte dei compositori e dei teorici del tempo non comprende soltanto il concetto di

“affetto” ma un più vasto vocabolario tecnico che fa riferimento anche alle “figure retoriche” e ai cosiddetti “loci topoi” (forme

retoriche). L'insieme di questi elementi diede vita a un sistema musicale capace di razionalizzare le passioni e i sentimenti

umani.

È appena il caso di osservare che la comprensione di una musica

costruita sulla base di questi criteri diventa quasi impossibile se condotta ad di fuori delle regole che stanno alla base della

M.P.Ellero, Retorica, Carocci Editore, Roma, 2017, p.23.

(20)

creazione poetica.7

Con il ritrovamento nel 1416 della Institutio oratoria di Aristotele, Quintiliano consolidò la visione del discorso musicale iniziato nell'antichità come corrispettivo di quello letterario e oratorio per tutto il Rinascimento ed il Barocco.

La polemica dell'umanesimo contro l'astrattezza della logica scolastica fu condotta proponendo come alternativa la Retorica, intesa come logica del concreto, come scienza del discorso, aderente alle varie e multiformi dimensioni del reale.

Il concetto di Retorica proposto da Aristotele resterà in voga per molti secoli, pertanto qualunque sia l’argomento considerato si avrà facoltà di utilizzare i mezzi disponibili per persuadere, cioè gli artifici oratori.

Questo concetto è ben espresso dal librettista e musicista Caccini (1551-1618) il quale afferma che con la musica bisogna penetrare nell'intelletto degli altri e creare quei magici effetti creati dagli scrittori, e che non possono farsi per il contrappunto nelle moderne musiche . 8

Solo con la monodia e la voce sola, musica oratrice, si possono

G. Acciai, Far musica è..., Suvini Zerboni, Milano, 1992, p.53.

7

Cfr. G. Caccini, Le nuove musiche, Firenze, 1601.

(21)

ottenere tutti quegli effetti che la retorica antica prevedeva per l'arte oratoria, realizzandosi così in entrambe parità di intenti e identità di effetti . 9

In tale ottica “retorica” le fasi del processo creativo, organizzato in figure retoriche, divennero:

inventio: ideazione degli elementi melodico-ritmici;

dispositio: articolazione formale della composizione;

decoratio: o eloqutio, elaborazione, con l'uso delle figure

retoriche;

− pronuntiatio: o actio, esecuzione.

Tra la decoratio e la pronuntiatio in retorica si aveva la memoria. La dispositio prevedeva poi : 10

exordium o introduzione;

narratio o analisi dei precedenti;

propositio o esposizione della tesi;

confirmatio ossia la convalida della tesi esposta attraverso

Cfr. F. Civra, Musica poetica, Utet, Torino, 1991, pp. 40-41.

9

Cfr. M.F.Quintiliano, Institutio oratoria VII, a cura di R. Faranda, P. Pecchiura, 2 voll., Utet,

10

(22)

argomenti vari;

confutatio ossia la confutazione delle tesi contrarie;

peroratio o conclusione.

Quando parliamo di microforma facciamo riferimento a quel campo inerente alla decoratio ossia il campo dedicato all'interno dell'arte retorica alle figure retorico-musicali, che i teorici indicavano con nomi latini o greci latinizzati. È il campo della sillaba musicale, la parte più piccola del discorso musicale estendibile al massimo ad una frase - facendo un esempio con la letteratura: sarebbe tutto ciò che è relativo all’analisi grammaticale e logica, cioè non è estendibile all’analisi del periodo, o alla divisione del testo narrativo in sequenze, altrimenti si parlerebbe di macrostruttura.

La unidad estructural más pequeña del discurso musical es el pié o palabra musical, así como el vocablo o palabra es la unidad más

pequeña del discurso verbal o lógico. Sobre él convergen dos posibles miradas analíticas para su escansión: una desde el punto de vista de la

morfología, en cuanto, precisamente, esa condición de componente estructural menor; y otra, desde el ángulo de la cohesión

ritmomelódica de ese pié o vocablo musical mediante la función de relaciones mutuas entre los sonidos que lo integran o figuración

(23)

melódica. Por ello, conviene formular una teoría unificada sobre esa

pequeña unidad estructural, palabra musical o pié (que llamaremos

motivo cuando sea temático) que haga converger microforma y

figuración. 11

Alcune figure come – l'imitazione = fuga, o il pittorico “madrigalismo” = hypotyposis, evidentia – erano generiche, con molti sottotipi; altre erano più particolari.

Ad esempio prendiamo in considerazione la fuga. Essa fu una delle prime forme musicali ad essere associate con la forma retorica. Ampiamente di questo rapporto parla il testo fugue and Rhetoric, di G. Butler, e per la prima volta il termine fuga viene messo accanto al nome di mimesis, una figura retorica di ripetizione, nel 1536 , infatti 12

senza considerare le diverse sottospecie, la fuga può essere ottenuta o per imitazione o per canone, quindi attraverso due metodi di ripetizione (Mimesis) della cellula musicale. Di seguito riporterò due

La più piccola unità strutturale del discorso musicale è il piede o la parola musicale, proprio

11

come la sillaba o la parola è la più piccola unità di discorso verbale o logico. Su di esso convergono due possibili viste analitiche per la sua scansione: una dal punto di vista della morfologia, come, appunto, quella condizione di componente strutturale minore; e un altro, dall'angolo della coesione retorica di quel piede o parola musicale per mezzo della funzione delle relazioni reciproche tra i suoni che la integrano o la figurazione melodica. Per questo motivo, è conveniente formulare una teoria unificata su quella piccola unità strutturale, parola o piede musicale (che chiameremo motivo quando è tematica) che appartiene alla microforma e alla figurazione. G. A. Yepes Londoňo, Cuadernos de investigación, Cuatro teoremas sobre la

Música Tonal, Universidad EAFIT, Medellin, 2011, p.14.

Cfr. D. Barthel, Musica Peotica: musical-rhetorical figures in german baroque music,

12

(24)
(25)

Tema I

Tema I

Tema I Tema II

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13

J. Pachebel, Canone e Giga in Re, Leipzig: Kistner & Siegel, n.d.[1929]. Plate 28367.


13

(30)

Nella fuga a canone è possibile notare come le cellule musicali si spostino da rigo a rigo seguendo la stessa altezza e senza variare di note. La cellula o tema del rigo I, passa al rigo II, per poi passare al rigo III, ma a tal punto il rigo I proporrà una nuova cellula o tema che secondo tempi e cadenze armoniche, ripasserà al rigo II e poi al rigo III.

Unica cosa invariata per tutta la composizione sarà il basso, detto, continuo poiché per tutto il tempo della composizione non varierà, a differenza delle voci che si passano il tema di volta in volta presentando, seppur con le stesse altezze e figurazioni, un andamento ritmico più serrato e veloce, tale che a questo componimento venga dato il termine di fuga, poiché si ha come l'impressione che le note nel loro susseguirsi si rincorrano, dando un'idea di corsa veloce, ossia di fuga.

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Tema I

Controtema I

(34)
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(38)
(39)

14

J. S. Bach, Tocatta and Fugue in D minor, BWV. 565, Breitkopf unt Hartel,

14

1867. Plate B. W. XV.

(40)

Nella fuga per imitazione si ha l'esposizione di un tema che viene ripetuto variato o modulato o trasposto al rigo superiore divenendo controtema; al partire dal controtema il rigo inferiore che prima deteneva il tema dà origine a un secondo tema. Nella fuga per imitazione le due voci si rincorrono. E si ha un continuo passaggio tra le voci di temi e controtemi variati e modulati.

A differenza della fuga a canone, in essa possono essere presenti contemporaneamente più temi. In questa fuga il basso non è più continuo, ma modula al variare dei temi e anch'esso può essere tema o controtema concorrendo alla fuga come le altre voci.

Nella parte finale si ha una condensazione dei temi, i quali una volta uniti danno origine alla coda conclusiva. Questa coda generalmente è una serie accordale che si sussegue modulando fino ad approdare nella tonalità originale della composizione, la composizione è così conclusa.

Purtroppo non è possibile paragonare le figure retoriche della microforma musicale con quelle della microforma letteraria poiché esse, seppur condividano a livello nozionistico lo stesso nome, sono applicate a due testi di natura e scrittura totalmente differenti.

Ad esempio il climax ascendente è, nella retorica letteraria , una figura retorica che consiste nel disporre più elementi del discorso secondo un

(41)

ordine basato sulla crescente intensità del loro significato, nella retorica musicale è invece un susseguirsi di note in maniera progressiva ascendente la cui distanza è quella di un intervallo di seconda maggiore.

Pertanto cercare di applicare tali figure della microforma al testo letterario risulterebbe un esercizio sterile e complesso che non porterebbe ad alcun risultato.

Condizione diversa invece vi è per le figure retoriche appartenenti alla macroforma.

(42)

1.2

LA MACROFORMA MUSICALE NEL

TESTO LETTERARIO

Come tutto ciò che vive ogni brano mostra nel suo decorso temporale dei “comportamenti”; l'analisi di questi comportamenti sul piano spazio-temporale rientra nella macroforma, ossia parliamo di quei grandi “gesti” che appartengono ai livelli più esterni della forma e che appaiono in massima evidenza già dal primo ascolto. Essi imprimono in un brano direzionalità precise, influendo anche sulla nostra percezione dello scorrere del tempo e del testo.

Possiamo pertanto individuare 4 grandi gruppi di macrofigure: densificazione per accumulazione o moltiplicazione, la musica

prende lo spazio del silenzio;

rarefazione (l'opposto della densificazione), il silenzio prende il posto della musica;

modularità, consiste nel riprodursi di macroelementi riconoscibili come ripetizioni;

polidimensionalità, consiste nell'affacciarsi di “dimensioni” diverse che irrompono nel corso del brano.

(43)

Tali figure non si presentano nella struttura singolarmente.

Spesso avviene che esse coesistano e tale fenomeno è più presente nel testo letterario che non nello sviluppo musicale.

Partiamo con l'analizzare il fenomeno della densificazione e del suo opposto.

1.3

DENSIFICAZIONE E RAREFAZIONE

A livello musicale nei processi di densificazione assistiamo ad un incremento, dato tanto dalla dinamica che dall'aggiungersi di nuovi suoni; tale crescita può presentarsi in due tipologie abbastanza diverse tra loro:

per moltiplicazione, ossia in maniera ordinata, realizzata mediante elementi omogenei, come è ad esempio l'esposizione di una fuga, in cui il tempo sembra dilatarsi;

per accumulazione, ossia attraverso l'accumularsi progressivo di elementi eterogenei che portano progressivamente ad un senso di contrazione temporale.

(44)

tempo, si assottiglia.

Sono due maniere di orientare il bilanciamento tra suono e silenzio; se nella densificazione è il silenzio a cedere, nella rarefazione cede il suono.

Non dobbiamo però confondere queste due macrofigure con “crescendo” e “diminuendo”, elementi che – pur essendo il germe – sono un'altra cosa: si muovono nel piccolo e sono semplici flessioni dinamiche all'interno di elementi fraseologici abbastanza contenuti. Un esempio significativo di queste due figure potrebbe essere il movimento iniziale di Musica per corde, percussioni e celesta di Béla Bartók ove dalle battute 1-55 si manifesta il fenomeno prima elencato di accumulazione e nelle successive battute, sino alla 88, si verifica il suo inverso, ossia la rarefazione.15

Cfr. F. Bartalucci, Teoria della Musica, simbolo, numero e bellezza, Perugia, Hyperprism

15

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(53)
(54)

16

B. Bartók, Musica per corde, percussioni e celesta, New York, Boosey & Hawkes, 1939. Plate

16

(55)

A livello letterario, e nel nostro caso specifico nei testi di Antonio Moresco, è spesso presente il fenomeno dell'accumulazione. Rari sono gli esempi rapportabili alla moltiplicazione. Ma vediamo il fenomeno a livello testuale e come il nostro autore, inconsapevolmente, la utilizzi. Di seguito uno dei pochi esempi di moltiplicazione - ricordo che col termine di moltiplicazione si indica l’accumularsi di elementi omogenei.

Ero di fronte a lui, mi ero appena separato dal suo specchio, io, il

primo uomo, per la prima e ultima volta, di fronte al suo creatore.

«Che cosa ho fatto, che cosa ho fatto?» balbettava.

Balbettava e tremava. O forse ero io che tremavo, perché ci stavamo guardando l'uno nello specchio dell'altro, io nel suo specchio e lui nel

mio specchio che si era appena separato dal suo con il quale era una cosa sola, e quindi anche da se stesso, quando mi aveva creato a sua

immagine e somiglianza e io avevo dovuto lacerarmi di colpo dal suo specchio per potermi duplicare nel mondo, avevo dovuto patire il

trauma di questa separazione nel momento stesso della mia creazione.

Se invece non ero lui che si era appena lacerato dal mio specchio ed

era diventato a immagine e somiglianza mia per continuare a cercarla e a crearla anche nella separazione e nella distruzione.

(56)

Anche se non l'aveva ancora separata, non l'aveva ancora creata. Non l'aveva ancora creata e la stava già creando all'incontrario nella

separazione e nella distruzione, come se la separazione venisse prima, la distruzione venisse prima per poter venire anche dopo.

Oppure l'ha creata una seconda volta, l'ha creata nella distruzione come l'aveva creata nella creazione.

Oppure nello stesso identico istante anche nella distruzione che si è lacerata dalla creazione per potersi guardare come una cosa sola con la

distruzione nel vortice dello stesso specchio.

«Sono solo, sono solo!» sentivo la mia voce come stava gridando,

perché io, a differenza del creatore, sento tutto, vedo tutto, perché non c'è nient'altro da sentire e vedere che non sia il suona e la visione della

distruzione.

Io porto dentro di me , fin dall'inizio, questo terribile dono e questa prefigurazione: di aver patito il trauma della distruzione nel momento stesso della creazione, di aver il trauma della creazione nel momento stessa distruzione.

Ma allora adesso chi sono? Solo il distruttore che è diventato il creatore o sono il creatore che è diventato il distruttore? Sono il primo uomo che è diventato il suo creatore o sono il creatore che è diventato il primo uomo per continuare a cercarla anche nello specchio della distruzione?

(57)

Adesso sono il primo uomo, e sono solo, sono solo!

(Gli increati, 1258-9)

Notiamo in questo esempio un procedere omogeneo del testo. Non si ha il sovrapporsi eterogeneo di parti.

L’avanzare del tono, nonostante elementi e figure che si susseguono nel testo, è ordinato e disteso; la respirazione risulta regolare tanto nel tratto di densificazione quanto in quello di rarefazione.

I n f a t t i r i s p e c c h i a p e r f e t t a m e n t e l ' a n d a m e n t o p e r moltiplicazione, come nella musica così nel testo. L'elemento di inizio è l'io del narratore, a questo si associa un altro elemento e così via in un crescendo. Questi esempi all'interno del testo sono difficili da trovare ben più semplice è invece la densificazione per accumulazione.

Sia ben chiaro che la densificazione è strettamente legata alla rarefazione, infatti ad un momento di alta densità ritmica, testuale o musicale, ne succede un altro di silenzio e distensione.

Adesso cominciamo a visionare esempi di densificazione per accumulazione e partiamo da questo brano tratto dagli Increati [pag. 370]

(58)

Poi, a poco a poco, da qualche parte della vita e della morte del

mondo, da dietro la parete che c’è vicino al letto, quasi contro il letto, dalla tappezzeria blu scura, quasi nera e qua e là lacerata e

strappata, con gli spigoli staccati dal muro e che penzolano nel vuoto appesantiti da strati d’intonaco staccato, si cominciano a

sentire dei piccoli rumori ritmati, dei colpi lievi, prima lievi, poi sempre più forti, più forti, poi dei respiri sempre più cavernosi,

più rauchi, più forti, nell’inconcepibile silenzio che c’è in questa grande casa buia e nel mondo.

In colore giallo è evidenziata la densificazione, in verde la rarefazione. Si noti sin da subito il termine “sentire”, tale termine fa sì che il lettore presti attenzione al senso acustico del momento. È un momento altamente percettivo: musicale. Ecco che improvvisamente si dà avvio al processo di densificazione per accumulo attraverso elementi eterogenei: i piccoli rumori ritmati, lievi che pian piano si intensificano, poi i respiri cavernosi, rauchi che divengono più forti; a livello orchestrale potremmo pensare ad un crescendo di percussioni e fiati. Ecco che per accumulo, utilizzando la stessa sfera sensoriale – l'udito – Moresco ricrea a livello macroscopico la densificazione. A livello testuale infatti il ritmo si fa incalzante, serrato, per poi

(59)

distendersi e rarefarsi.

È interessante portare di seguito altri fenomeni di densificazione:

“Sento un rumorino sempre più ritmato, più forte, che sta

venendo da lontano, dalla parte dello scalone, sentirò, e allora vuol dire che mia madre deve essere andata là a montare la

panna, in mezzo alle biglie, perché laggiù c’è più freddo e la panna si monta meglio, con due forchette tenute in una mano

fracassata e bendata e sbattute forte nella zuppiera.

Poi arriva il budino in mezzo alla tavola, la colata di panna

appena montata che scende dalla zuppiera inclinata, le mani e le braccia che si allungano per staccarne dei piccoli e grandi pezzi

e ricoprirli di molta panna, con i cucchiai e le forchettine d’argento dai denti assottigliati per i molti lavaggi. E poi c’è la

Signorina che ne chiede ancora, perché è molto golosa, e poi c’è mia madre che si strappa dalla testa ciò che resta delle bende,

per essere più libera nei movimenti della masticazione, e poi c’è mio padre che ogni tanto si deve alzare di scatto dalla tavola,

quando sente un rumore di spari venire dalla parte della strada, e deve sparare alcuni colpi di risposta dalla finestra della camera

da pranzo, sporgendosi dalle ante socchiuse, senza neppure correre nella sua stanza, deve lanciare una bomba a mano, dopo

(60)

ancora sporchi di budino e di panna, e poi ci sono tutti gli altri che trattengono il respiro quando arriva da fuori il boato forte

dell’esplosione.”

[Gli Increati, pp.434-435]

In questo caso specifico il fenomeno dell'accumulazione coinvolge più sensi, parte da quello acustico “sento” e giunge a quello visivo. Inoltre qui vi è anche una accumulazione numerica di personaggi che si aggiungono alla “visione” del banchetto. All'accumularsi di eventi, il ritmo incalza e stringe, ma anche in questo caso giunge, seppur repentinamente, la rarefazione a causa del boato creato dall'esplosione, regna il silenzio; è un grande respiro: a livello acustico si crea una frattura spazio-temporale interiore, pertanto percepiamo il ritmo distendersi e dilatarsi, e a livello immaginario attendiamo che il boato passi per poter poi proseguire.

Q u i di seguito altri esempi tratti da “Gli Increati”, mi limiterò a evidenziare in giallo i punti di accumulazione; tenendo ben presente che ad ogni accumulazione segue una rarefazione.

“È tutto buio. Ci sono dappertutto macchine piene di morti, treni pieni di morti, aerei pieni di morti, nelle città sprofondate nel

(61)

sonno, lungo le strade, le ferrovie, negli aeroporti, nel cielo. Tutto il mondo attraverso delle carovane dei morti.

Viene da ogni parte un rumore sordo, un fragore, come se stesse piovendo a dirotto, diluviando, e tutta l'acqua si stesse trasferendo

dal continente capovolto del cielo a quello della terra. Ma forse non sta piovendo, non sta diluviando, è solo un modo di percepire le

cose con le superfici dislocate dei corpi quello spazio dalla consistenza diversa, l'allagamento verticale del tempo.

Metrò che scorrono buie sotto la linea dell'orizzonte, delle vetture tutte piene di morti. Morti che camminano attoniti lungo le strade,

come bendati. Macchine guidate da morti piene di morti che guardano fuori dai finestrini bui con le loro facce morte. Aerei che

si alzano in volo guidati da piloti morti e tutti pieni di morti. Stazioni gremite di morti che aspettano il loro treno, fermi lungo le

banchine e sotto i tabelloni elettronici degli orari delle tessere che ruotano senza mai fermarsi. Treni che corono con i vagoni

illuminati nel buio,tutti pieni di morti... Non vi è mai capitato di vederne, con le luci sfuocate per la velocità, mentre vi oltrepassano

in pochi istanti sulle rotaie a fianco alla vostra auto che corre sull'autostrada, e voi continuate a guidare sbadigliando con gli

occhi socchiusi, velati da quelle lacrime che si formano per il sonno e intanto pensate, fantasticando di avere intercettato nel buio del

(62)

Non è così, quei treni sono tutti pieni di morti.” (Gli increati, pp.15-16)

“«Si, si...» ha ripreso a dire la voce di lei, a sussurrare «ma intanto

noi continueremo a ballare, e ci accarezzeremo, e ci baceremo, e tu mi terrai stretta tra le tue braccia, stringerai in un solo abbraccio il

mio corpo morbido e profumato e la nuvola del mio vestito da sposa in fiamme. E tu non saprai più chi sei, perché sarai arrivato al

termine della creazione e della sua distruzione e l'immortalità della creazione e l'immortalità della distruzione non potranno più

guardarsi nel vortice dello stesso specchio creato. E allora tu mi domanderai, come hai continuato a domandarmi per la prima e

l'ultima volta fin dall'inizio, nella vita e nella morte del mondo: “Tu chi sei”. E allora io te lo dirò. E allora tu no saprai chi abbraccerai,

ma mi abbraccerai, e mi accarezzerai, e mi bacerai, e allora non tremerai più, non soffrirai più, rimarrai irradiante e intatto tra le mie

braccia, o forse sarò io a rimanere così tra le tue, e allora anch'io ti accarezzerò, e ti bacerò...»

Non so dove sono, chi sono, ma l'accarezzo, la bacio. Il distruttore non c'è più, non resta che l'increatore.

«Tu chi sei?»

«Sono l'increata» mi risponde guardandomi come se non mi

(63)

La musica si ferma.

Rimango immobile, muto, tra le sue braccia.”

(Gli increati, pp. 1987-1989)

In questi ultimi due esempi è facile notare come il contrasto tra densificazione e rarefazione sia molto fitto e presente in Moresco. Tale fenomeno è individuabile anche nell'andamento vocale dello spartito che negli attimi di densificazione si presenta come incalzante e deciso, mentre in quelli di rarefazione diviene più disteso e calmo, e anche la punteggiatura diviene più fitta e i periodi sono più concisi. Tali fenomeni altresì sono presenti anche in altri testi scritti dal nostro autore:

“Le ombre continuano a interrogarsi così, a tormentarsi. Indistinguibili, in quell’oscurità, in quel fulgore. La loro massa

oscura è il bagliore che continuerà a cancellare e a fermentare fino alla fine, qui dentro. Ah, dimenticavo di dirvi... sono ancora io che

vi parlo, Benares 2. Di notte anch’io dentro la corrente, sono un navigatore, ve l’ho già detto, di giorno uno studioso di lingue e dialetti indiani. Vivo nella periferia di questa città, ma viaggio per

lavoro attraverso questo immenso paese, per raggiungere le comunità linguistiche ed etniche più sperdute, gli istituti di ricerca,

(64)

le università. Mi sposto attraverso le megalopoli piene di belle facce nere intagliate e di cenci luridi che non emettono odore e di

meravigliose donne variopinte e cariche di braccialetti e di anelli che si sentono arrivare con emozione fin da lontano, dai capelli

lucidi d’olio sotto la ripiegatura del sari. Coi suoi cadaveri che bruciano come nella notte dei tempi sulle cataste di legno o

abbandonati lungo le strade e i neonati gonfi d’acqua che galleggiano sulla corrente, quando scivolo con una barca sul

Gange. Coi suoi mendicanti dai corpi e dai volti spinti fino alle estreme possibilità biologiche nella fornace della vita reincarnata

oltrepassata e immobilizzata, con arti filiformi, gengive scoppiate, busti enormi, protuberanze da insetti, accenni di ali ossee, piedi

ungulati simili a zoccoli di animali ormai estinti, come se venissero ripercorse tutte le fasi biologiche della vita nel momento della sua

massima espansione e immobilizzazione e passaggio. Tutta una massa oscura che viene dall’antica civiltà di Harappa che

commerciava con i sumeri di Mesopotamia, da quella di Jhukar e di Jhungar, la civiltà dell’Indo, seminomadi, pastori divisi in tribù

rette da un consiglio di nobili e da un raja, guerrieri che avevano inventato il carro trainato dai cavalli e si spingevano fino agli

estremi confini con il Bengala. E poi l’impero Maurya, quello dei Gupta. E l’invasione dei centroasiatici, gli unni bianchi respinti

(65)

Mahmud di Gazna, che annette i regni indù dalla valle di Kabul e il Punjab, prende possesso della valle del Gange. Poi ancora i

sultanati di Delhi, l’impero Moghul. Tutto il tessuto alluvionale di lingue e le sue correnti in cui mi immetto percorrendo da parte a

parte questo paese vasto come un continente, e che si connettono a loro volta con le altre lingue oltrepassate e immobilizzate che si

stanno espandendo per linee curve qui dentro, dentro questi spazi esplosi e immobilizzati e in tormento. Le lingue hindi e urdu,

l’assamese, il bengali, il punjabi, il sindhi, scritto in caratteri persiani, il gujarati, il marathi, legate al culto di Visnu-Krsna, il

kasmiri, il malayalam, il telugu, mille altre. I grandi arcipelaghi disseminati del Rgveda, le Upanishad, con la loro identificazione

dell’essenza individuale con quella universale e le sue continue reincarnazioni. Con tutte queste orbite e linee curve che si

muovono nello spazio e tempo immobilizzati, in cui tutto il mondo fenomenico è incluso in un’altra realtà infinitamente più grande,

immobile, immobilizzata, ma che forse sta per essere attraversata e dislocata e spostata a sua volta da questa reincarnazione e

trasmigrazione... A proposito di reincarnazioni... non so se ci avete fatto caso, ma ce ne sono state un bel po’ anche qui dentro!

A quel tempo c’era ancora il brief...

(66)

Nel seguente brano come nei precedenti possiamo notare delle zone nelle quali si alternano processi di densificazione e di rarefazione. Anche in questo specifico caso come nei precedenti notiamo l'alternarsi di periodi con punteggiatura fitta e incalzante e altri più distesi, ma cosa più importante è la struttura sintattica: è molto presente la paratassi; frasi brevi, coordinate e tutte principali. Il tono vocale di lettura aiuterebbe di più a rendere l'idea. Ma credo che ogni bravo lettore, immedesimandosi nel testo, riesca da sé a ricreare perfettamente l'andamento.

Continuiamo con gli esempi:

Ci ha svegliati un rimbombo di tappeti sbattuti che faceva tremare tutto il caseggiato. Lei ha guardato la sveglia con stupore: erano già

le sette di mattina. Ci siamo contorti per un po' sotto le lenzuola. Fuori, il rumore dei tappeti sbattuti era aumentato ancora.

Nell'angolo opposto del caseggiato una radio stava trasmettendo le musiche del mattino, un'impastatrice di cemento aveva cominciato

a girare nel cortile, un neonato piangeva a uno dei piani più alti e la saracinesca di una piccola officina a pianoterra si era levata con

(67)

fragore.

Siamo rimasti abbracciati ancora un po'.

«Devo alzarmi!» mi ha detto.

Ma un istante dopo, inginocchiato dietro le sue natiche, la

sollevavo leggermente verso l'alto a ogni colpo. Facevo attenzione che non sbattesse la testa contro le piastrelle, e nello stesso tempo

cercavo di trovare un ritmo, diverso da quello della battitura dei tappeti nel cortile.

(Il combattimento – la cipolla, pp.282-283)

Il seguente brano è l'esempio particolare nel quale l'elemento di rarefazione è quasi inesistente, minimo, una piccola parentesi rispetto all'intero brano riportato.

Infine portiamo un esempio tratto da 'l'addio':

Sono uscito dal mio buco, ho richiuso la porta alle mie spalle, ho cominciato a camminare lungo i grandi corridoi deserti e con le

mezze luci. Si sentivano solo i rumori lontani delle donne delle pulizie che si stavano spostando da un ufficio all'altro con i secchi

di detersivo e gli spazzoloni.

Ho imboccato le scale. Non avevo voglia di prendere uno degli

ascensori e di scendere in quella luce morta che c'è là dentro, e di guardare dentro lo specchio la mia immagine riflessa, con i miei

(68)

occhi bianchi.

Ah, si... mi ero dimenticato di dirvi: ho gli occhi bianchi. L'iride e

la pupilla non si distinguono quasi dalla cornea. Non lo so perché, forse ci hanno gettato contro dell'acido quando ero nella città dei

vivi. Forse per qualche altra ragione che non conosco o che non ricordo.

Ho cominciato a scendere lungo le scale, larghe, deserte, in penombra. Sentivo il rumore dei miei passi nella grande estensione

della Centrale di polizia dei morti.

Sono arrivato in fondo alla voragine delle scale.

Ho imboccato il corridoio a pianterreno. Ho camminato ancora per un po', passando davanti alle porte aperte delle sale delle riunioni e

della centrale di pronto intervento. Ho visto un paio di teste girarsi in silenzio verso di me, rischiarate dalla luce di una fila di video.

Sono arrivato fino al portone. Sono passato davanti alla gabbiola dell'agente che resta di guardia durante la notte. Mi ha salutato con

un cenno della testa, continuando a masticare delle patatine fritte che pescava con una mano da un sacchetto, senza staccare gli occhi

da un videogioco sul cellulare.

Sono uscito. Mi sono guardato attorno.

(L'addio, p.27-28)

(69)

tornano ad essere molto equilibrate, l'una e l'altra crescono e decrescono in maniera graduale.

Le due parti possono sembrare simili, ma se si osserva bene la sintassi notiamo che cambia così come il periodo. Nella

accumulazione abbiamo periodi più lunghi e articolati, nella rarefazione più brevi e concisi.

1.4

MODULARITÀ

La modularità, in musica, consiste nel riprodursi di macro-elementi riconoscibili come ripetizioni. Spesso tali ripetizioni, invece di essere identiche, subiscono metamorfosi: è la forma delle variazioni. Prendiamo come esempio Variazioni su un tema di Joseph Haydn di J. Brahms.17

Cfr. F. Bartalucci, Teoria della musica, …, p. 295.

(70)
(71)
(72)
(73)
(74)

18

J. Brahms, Variazioni su un tema di Joseph Haydn, Op. 56a, Berlin: N. Simrock, 1873. Plate

18

(75)

Adesso vediamo come questa macrofigura si possa riscontrare nel tessuto narrativo dei romanzi di Moresco.

A livello testuale potremmo dire che per poter affermare che vi sia modularità, il termine deve essere ripetuto di frequente in più di un periodo, e i testi di Moresco abbondano di ripetizioni; caratteristica questa che rende unici e ancora più intriganti e interessanti i suoi romanzi.

Riportiamo qui di seguito degli esempi tratti dalle sue opere.

“È tutto buio. Ci sono dappertutto macchine piene di morti, treni pieni di morti, aerei pieni di morti, nelle città sprofondate nel

sonno, lungo le strade, le ferrovie, negli aeroporti, nel cielo. Tutto il mondo attraverso delle carovane dei morti.

Viene da ogni parte un rumore sordo, un fragore, come se stesse piovendo a dirotto, diluviando, e tutta l'acqua si stesse trasferendo

dal continente capovolto del cielo a quello della terra. Ma forse non sta piovendo, non sta diluviando, è solo un modo di percepire le

con le superfici dislocate dei corpi quello spazia dalla consistenza diversa, l'allagamento verticale del tempo.

Metrò che scorrono buie sotto la linea dell'orizzonte, delle vetture

tutte piene di morti. Morti che camminano attoniti lungo le strade, come bendati. Macchine guidate da morti piene di morti che

(76)

guardano fuori dai finestrini bui con le loro facce morte. Aerei che si alzano in volo guidati da piloti morti e tutti pieni di morti.

Stazioni gremite di morti che aspettano il loro treno, fermi lungo le banchine e sotto i tabelloni elettronici degli orari delle tessere che

ruotano senza mai fermarsi. Treni che corono con i vagoni illuminati nel buio,tutti pieni di morti... Non vi è mai capitato di

vederne, con le luci sfuocate per la velocità, mentre vi oltrepassano in pochi istanti sulle rotaie a fianco alla vostra auto che corre

sull'autostrada, e voi continuate a guidare sbadigliando con gli occhi socchiusi, velati da quelle lacrime che si formano per il sonno

e intanto pensate, fantasticando di avere intercettato nel buio del mondo un fascio di vite che corrono come voi nella notte?

Non è così, quei treni sono tutti pieni di morti.” (Gli increati, pp.15-16)

Per rendere tutto più semplice ho evidenziato in violetto i periodi interessati e in celeste le ripetizioni all'interno dei vari periodi. Per dimostrare che non è un caso isolato riporterò altri esempi tratti da Gli

increati e da altri testi che man mano specificherò.

Inoltre per quanto riguarda le ripetizioni con variazione nel nostro caso potremmo individuare tali “variazioni” nel ritornare dello

(77)

stesso verbo, ma in una persona verbale differente o in una forma negativa.

Sicuramente questo ultimo caso sarà più semplice da individuare ed esprimere attraverso degli esempi.

Tutta la sala è ferma, increata. Io, che vedevo tutto, adesso non

vedo niente. Sono tra le braccia della mia sposa che mi sta a guardando con i suoi meravigliosi occhi e che mi sorride, non so da

dove. Stringo tra le mie braccia il suo giovane corpo e la nuvola del suo vestito in fiamme.

La guardo, la guardo, anche se non la vedo, la vedo così tanto che non la vedo.

«Chi è l'increatore?» la mia voce le sta chiedendo all'improvviso,

così vicino al suo volto che non la sento.

«Chi può essere? Chi increa quello che l'altro crea? Oppure chi

crea quello che l'altro increa? Ma allora io che cosa ho fatto, dove sono, chi sono? Se l'increazione ha dovuto attraversare

telluricamente anche l'opera attraverso cui ha trovato per la prima e l'ultima volta il modo di manifestarsi, allora io che cosa ho fatto,

che opera ho fatto? E chi sono? Esiste, deve per forza esistere un mondo dove ci sia chi crea perché possa essercene un altro dove ci

sia chi increa oppure le due cose avvengono contemporaneamente? È per questo che, a un certo punto, ogni cosa sembrava spaccata in

(78)

due anche non era spaccata in due? E allora che ci sia anche in me uno che crea e un altro che increa, che non è creare quello che

l'altro distrugge, che non è distruggere quello che l'altro crea? E perché tutte le figure e le forme che sono balenate sin dagli Esordi

hanno cominciato a mettere in atto una forza di increazione che non c'entra nulla con quella della creazione e della distruzione?»

Anche lei mi guarda, mi guarda, mentre io continuo a parlare o a sussurrare con bocca vicinissima al bagliore profumato del suo

meraviglioso vestito in fiamme. (Gli increati,pp. 1991-93)

E allora io l'avvolgo ancora di più tra le braccia, mentre

continuiamo ancora e ancora a precipitare, prima di arrivare al termine di questa tracimazione e di questo volo, e allora sento che

anche lei mi sta avvolgendo ancora di più con il suo corpo di giovane sposa morta che sta tracimando con il suo sposo dentro la

vita che viene prima e che viene dopo, e che la mia bocca sta entrando dentro la sua bocca e il suo corpo che si aprono di fronte a

me come una reggia seminale piena di successioni di porte e di sale e di luci, e che anche le nsotre gambe sis tanno incernierando e

abbraccindo, e che tutto il suo corpo si sta spalancando per la prima volta di fronte a me, per la prima volta che viene che viene prima

(79)

corpo in tracimazione e con tutta la mia morte e con tutta la mia vita dentro di lei che mi sta abbracciando anche con l'interno

segreto del suo corpo e della sua vita della sua morte, mentre continuiamo a precipitare e a tracimare capovolti in questo infinito

volo tra morte e vita e tra vita e morte. (Gli increati, pp. 577-78)

Sento che mi sta avvolgendo tra le sue braccia, e che anch'io sto

avvolgendo tra le mie braccia la nuvola del suo vestito e il suo corpo di giovane sposa increata, e che la sua bocca si sta aprendo di

fronte alla mia bocca, e che io sto entrando con tutto me stesso dentro lo scrigno del suo giovane corpo increato mentre

continuiamo a precipitare e a increare. (Gli increati, p. 1832)

Questo ultimo brano rivela una particolarità: la ripetizione viene effettuata con variazione nel finale di un altro capitolo, infatti la situazione è pressoché identica a quella riscontrata nell'esempio precedente, cioè a circa 1300 pagine prima.

Ovviamente la modularità non è presente solamente ne Gli

increati, non è infatti un caso unico; anche altre opere presentano tale

(80)

“[...]Allora anche tu non c’è, che dice che c’è!” “No, io c’è! Io

c’è!” si disperava dalla sua carrozzella. “Come fai a esserci tu, se lui non c’è!” “Ma io lo nascerà, se sarà!” “Tu nascerà se lui

nascerà!” “E invece io c’è! Sto costruendo una città che sarà, che costruirò, in un posto segreto che ancora nessuno sa. Io sono

l’architetto di quella città, io sarò. Invece lui non c’è, tu non c’è, se sarà, sono venuto a dirti che voi due ancora non c’è!” mi gridava,

mi griderà. Io non ce la facevo più a sentire che io non c’era, che tu non c’era, anche se io non c’era, se tu non c’era. Allora gli ho

ficcato in gola tutta la mia manina dipinta, gli ho afferrato alla radice la lingua che si muoveva, spaventava, pulsava. L’ho stretta

forte, là in fondo, anche se era tutta bagnata, sgusciava. Per non sentire più che gridava, che io non c’è, che tu non c’è. Ma tutto

questo Chongquing 3 non lo sa, se saprà, se immaginerà, se sarà. Proprio mentre lui teneva in mano la lingua della mia madrefiglia

io tenevo in mano la lingua del suo padrefiglio, nella mia manina bianca, smaltata, la stessa che terrà in mano il suo cazzo, il suo

precazzo, e lo scappellerà, bacerà, se sarà, con le unghie dipinte, che dipingerà. Io tirava, tirava, ma la lingua non si strappava. Però

almeno così non gridava, sembrava che vomitava. Con una premano stringevo, con l’altra tastavo nel cassetto della cucina,

(81)

per tagliare la carne, che mangerà, se sarà. Ma quelli lunghi non andava bene, non si riusciva a infilare. Allora ne ho preso uno

corto, seghettato, tagliente. Gliel’ho conficcato in gola. Ho tagliato, ho strappato. Un getto di sangue è partito, partirà, se sarà. Ma

quando tu sei arrivato nella mia casa il sangue non c’era, non ci sarà, perché il tuo padrefiglio non era ancora là, se sarà. E anch’io

non era, e anche tu non era, per questo tu non mi trovava. Io fuggiva fuggirà, perché ancora non era. Tu inseguiva, perché

ancora non era. La tua testolina fissata sul tuo filugello correva, si faceva largo, cercava, mi cercava. Il mio ovulo che ancora non c’è,

che sarà, se tu mi troverà, se entrerà. Se quelli e quelle non entrerà, con le loro testine dentro di te, dentro di me, se ci troverà, prima

che noi sarà, che vivrà. Io fuggiva con la mia madrefiglia, da te, incontro a te, prima che te, che amare te, che scopare te. Tu correrà

da me, ma io allora non c’è, non è ancora c’è, se sarà. Il tuo padrefiglio paralizzato sulla carrozzella vedrà. Ma il sangue non ci

sarà, perché ancora lui non sarà, non sanguinerà. Tu non ti accorgerà che sanguinerà, che la sua lingua non c’è, se sarà. Solo la

sua caverna nuda vedrà. E ti sembrerà che griderà senza griderà. Tu non saprai che il tuo padrefiglio sarà, se sarà. Ma il suono non ci

sarà, non si sentirà. Ti sembrerà che lui griderà, che lui griderà. E allora tu in bocca gli piscerà, perché non saprà, perché non sarà, gli

(82)

inseguirà, prima che sarà. E adesso invece siamo tutti e due qui, però non ci vedrà, non ci riconoscerà, perché ancora noi non sarà.

Mentre andrà, chi lo sa dove andrà. E poi noi nella notte volerà. Col padrefiglio e la madrefiglia e gli entranti e le entranti noi

volerà. Volerà dove è già, se sarà». (Canti del caos, pp.1779-81)

“La sua testa schizza qua e là dietro il vetro, mentre guarda fuori, in

pigiama, verso le strade giù in basso, prima che sarà. E poi a poco a poco le prime figure si vedrà, camminerà, increerà, verso il punto

dove l’annuncio sarà stato sarà. Le guarda camminare al buio, che camminerà. Sempre più numerose, più fitte, da tutti i punti di

quidentrolà. Cominciano ad apparire anche i primi trampolieri, i primi roller, tutti piegati su se stessi, in avanscoperta, nel buio.

«Sta per comincerà» si dice dirà” (Canti del Caos, p. 1890)

Ma per quale motivo Moresco spesso utilizza la ripetizione, ossia il ripetersi di parole a ritmi così stretti e serrati?

Da una parte per andare contro ad una tendenza della nostra epoca, ma credo, cosa più importante, per dare dinamismo al testo. In tal modo, attraverso la ripetizione con variazione, il testo prende una

(83)

vita differente e si rompe lo schema classico e monotono della semplice ripetizione fine a se stessa. Attraverso la modularità il testo viene ravvivato e risulta più frizzante ed energico, mantiene l'attenzione del lettore e crea un flusso vorticoso che porta il lettore ad immergersi quasi in apnea per giungere alla fine del periodo.

Sempre più mi pareva paralizzante questa letargia nostalgica della

totalità perduta […] questo uso terroristico e totalizzante, questa formula ripetitiva usata come il complesso di Edipo nella

psicoanalisi freudiana […] (lettere a nessuno, p. 84)

Di seguito un altro esempio riguardante la modularità, anche in questo caso assistiamo alla ripetizione con variazione di una parte di testo esposta precedentemente.

«È tutto buio. Perché sono qui? Dove sto andando?» stava dicendo

una di quelle vocine.

«Dove stiamo andando tutti noi, stivati qui dentro al buio?» si è levata a dire un'altra di quelle vocine.

«Nella città dei morti...» rispondeva un'altra vocina, da un'altra parte.

(84)

«Perché c'è tutto questo buio?»

«Perché sono nata? Perché sono stata viva?»

[…]

«È tutto buio, non si vede niente. Perché c'è tutto questo buio? Che

viaggio è questo? Dove siamo diretti?»

«Te l'ho detto... stiamo andando nella città dei morti.»

«Perché sono qui? Perché sono stata viva, se è stato solo per vivere e per morire così?»

(L'addio, pp. 300-4)

1.5 POLIDIMENSIONALITÀ

Col termine polimensionalità in musica si fa riferimento a delle “dimensioni” diverse che si affacciano nel corso del brano. Sono, cioè, delle “zone” estremamente dissimili da ciò che le precede e da ciò che le segue.

Potremmo definirle come delle “finestre” che agiscono o come un colpo di cesoia, tagliando il continuum, oppure come una vera e propria finestra, una sezione che si apre in un ambiente diverso. Possono essere degli esempi il II movimento e l'inizio del IV

(85)

Quartetto per archi op.131 dello stesso autore. 19

Di seguito uno dei due esempi musicali sopracitati: la Sinfonia n.

9.

Saranno riportati tutti e quattro i movimenti affinché sia ben evidente la polidimensionalità nei movimenti II e IV della sinfonia cosicché il confronto avvenga in modo più semplice ed evidente.

Cfr. F. Bartalucci, Teoria della Musica, …, p.295.

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