• Non ci sono risultati.

2.1 ANTONIO PIGLIARU

2.1.3 LA PAROLA: “CORPO NON VESTE DEL PENSIERO”

In Pigliaru hanno un ruolo rilevante le affermazioni sul linguaggio e la parola presenti nel suo Esercizio primo sulle varianti de “I fondamenti della

filosofia del diritto”117. Tali affermazioni si segnalano per l’interesse che assumono all’interno del dibattito inerente i rapporti tra diritto e letteratura da un punto di vista teoretico ma senz’altro con risvolti pratici.

Le sue riflessioni prendono le mosse dalle critiche rivolte all’opera di Gentile I fondamenti della filosofia del diritto118, criticandole a sua volta in quanto si tratta di giudizi malevoli e grossolani che non tengono conto della particolarità del lessico gentiliano e di alcune sue sfumature119. Ma più di ogni altro, il diretto interessato è quello più votato a testimoniarci il suo reale pensiero, perché, come afferma lo stesso Pigliaru la condizione primaria per intendere le parole di un autore è quella di prendere in considerazione l’opinione che lo stesso ha avuto delle sue parole e della parola in assoluto120, leggiamo «La fatica compiuta su una parola ora scritta ora annullata, ora riscritta ora sostituita con altra più pertinente, è la fatica del pensiero che pensa e si definisce per chiarirsi, e farsi trasparente a se medesimo; ed ha radice in quella segreta forza che spinge il poeta e quasi lo costringe a giuocare su una variante tutto il destino del testo poetico e il suo stesso destino di poeta. Onde è che una variante, comparsa che sia, ha sempre un'importanza enorme per la comprensione del testo di cui, per

117

PIGLIARU A., Esercizio primo sulle varianti de “I fondamenti de la filosofia del diritto”, in AA.VV., Giovanni Gentile, La Fenice, Firenze, 1954, pp. 115-143.

118 GENTILEG., I fondamenti della filosofia del diritto, Sansoni, Firenze, 1937. 119

PIGLIARU A., Esercizio primo sulle varianti de “I fondamenti de la filosofia del diritto”, in AA.VV., Giovanni Gentile, cit., pp. 115-116; p. 143.

così dire, svela il segreto e traccia la storia del pensiero nel suo nascere, cioè colto nel vivo processo dell'ulteriore ed intimo adeguamento. Onde anche è che le varianti, a tutta prima le più insignificanti, hanno o possono avere il loro peso, se significano e per quanto significano una tensione più accentuata, una ulteriore precisazione del testo, un'azione, come si dice, di paziente rifinitura artigiana sulla singola pagina, e su ogni parola»121, in opposizione ad ogni verbalismo ed ogni calligrafismo puro122.

Queste considerazioni sono mutuate dalla critica letteraria in particolare dal De Robertis123. Pigliaru ci proietta all’interno del rapporto scrittore-lettore, parlante-interlocutore, intendendolo in maniera dialettica e interattiva124.

Degna di nota è anche la riflessione sul rapporto pensiero-parola: «Il pensiero vive nella parola perché la parola è pensiero, perché esso nel dramma di ogni parola in quanto sua, vive il suo stesso dramma in quanto la parola, anche perché “mezzo di comunicazione”, è bensì corpo e non veste del pensiero. Parlare è pensare perché pensare, anche nella chiusa intimità di sé a sé, è parlare seco stesso, interloquire, istituire quel dialogo interiore e vitale in cui anzitutto si realizza l'intima e verace tensione spirituale che è la tensione stessa del pensiero che mai non viene meno e definisce così il continuo ripiegarsi di ogni uomo che parla o che scrive, in quanto pensa, sulle proprie parole; che è non però un ripiegarsi su parole-segni (ombre vane fuorché nell'aspetto) per adeguare e determinare

121 Ibidem, pp. 119-120. 122 Ibidem, p. 120. 123 Ibidem, pp. 118-119 nota 4. 124 Ibidem, pp. 121-123.

nell'uso quei segni ad un diverso pensiero di cui si voglia dare rappresentazione verbale; anzi, un ripiegarsi del pensiero su se medesimo, un adeguarsi e farsi più docile alla propria essenzialità, al suo significato effettivo, alla sua struttura intima e reale, alla sua determinazione concreta»125.

La fatica della parola scritta è la fatica del pensiero che cerca di chiarirsi e farsi trasparente a se medesimo, poiché come precisa Pigliaru la parola è corpo e non veste del pensiero126. In queste parole, Pigliaru lascia sullo sfondo il tema gentiliano, nonostante la struttura attualista, le sue riflessioni maturano di vita autonoma127.

Questo saggio prende in esame il linguaggio gentiliano e si presta ad una riflessione generale sulla parola e il linguaggio128.

Pigliaru ricorda le diverse varianti che si sono succedute dalla prima edizione del 1916 fino all’ultima del 1937 de I fondamenti della filosofia del

diritto129 di Giovanni Gentile, corredando il testo da un confronto parallelo e

diretto dei passi più importanti delle varianti130 apportate da Gentile,

125

Ibidem, p. 119.

126 Ibidem, pp. 119-120.

127 PULIGAM., Antonio Pigliaru: cosa vuol dire essere uomini, cit., p. 89. 128

La parola ha una sua singolarità, non può essere tolta dalla «bocca dell’uomo che parla», ma allo stesso tempo è il medium che serve ai parlanti per comunicare e comprendersi, dacché l’intensa fatica per rendere il proprio linguaggio, la propria parola più trasparente possibile, meno singolare e soggettiva, anche se frutto della propria intimità è volta ad essere meno intimistica possibile. Più comprensibile non solo per gli altri ma anche per sé, per chiarire a se medesimo i propri pensieri, in un processo che va dal soggettivo all’oggettivo per ritornare al soggettivo.

129 PIGLIARUA., Esercizio primo sulle varianti de “I fondamenti de la filosofia del diritto”, cit.,

pp. 126-131.

130

avvertendo la necessità di un’analisi più dettagliata e sistematica senz’altro utile a chiarire le ragioni dell’attualismo gentiliano131.

Il filosofo mette in particolare evidenza la particolarità e la singolarità del linguaggio gentiliano132, allo stesso tempo l’importanza di Rosmini nella riflessione di Gentile133.

Di particolare importanza sono le modifiche apportate alle pagine rosminiane all’interno del testo gentiliano134, da semplice appendice

passeranno a parte introduttiva del testo stesso135.

Il passaggio dall’appendice all’introduzione sta a significare il riscontro da parte di Gentile di colmare le lacune del suo volume, affidando ad un altro testo il compito di fissare la prospettiva e il fondamento di tutto il libro136; a maggior ragione il cambiamento del titolo137 sottolinea la pretesa o l’intenzione di Gentile a «far valere le osservazioni rosminiane, non tanto nei confronti della bibliografia storico-critica di Rosmini; sì nei confronti del proprio sistema»138, ed in particolare come studio introduttivo alla sua filosofia morale139.

Vi è, in questo, la conferma che la posteriore trattazione dei fondamenti della filosofia del diritto è la «ripresa» delle idee fondamentali di

131 Ibidem, p. 125. 132 Ibidem, p. 116. 133 Ibidem, pp. 130-131; 136-137. 134 Ibidem, p. 129. 135 Ibidem. 136 Ibidem, p. 130.

137 Ibidem, il titolo del testo in questione nell’edizione del ’23 de I fondamenti come

appendice si presentava così: Il principio morale e A. Rosmini; nel ’37 diventa: Introduzione allo studio della filosofia pratica.

138

Ibidem.

quelle osservazioni, pensate di fronte a Rosmini però dentro la linea generale della filosofia pratica140.

Pigliaru afferma che la lettura di Gentile su Rosmini è utile al fine di comprendere lo svolgimento dello stesso pensiero gentiliano141.

Pigliaru continua nella sua analisi del testo gentiliano: «Rosmini […] compare per la prima volta […] come critico indotto in errore circa la valutazione dell’autonomia morale in Kant»142; spesso, afferma il nostro

filosofo che si possono equivocare le parole perché utilizzate da diversi filosofi con significati opposti143; il discorso gentiliano continua alla ricerca delle «coincidenze riscontrabili nella relazione Kant-Rosmini, attraverso un processo di chiarificazione che è più per Kant in relazione a Rosmini quanto se non più per Rosmini in relazione a Kant»144.

140 Ibidem, p. 131. 141

Ibidem, pp. 136-137; «Siamo di fronte ad uno di quei casi in cui l'interrogativo viene formulando sul carattere soggettivo appunto della presenza di A nel discorso di B, per l'intelligenza dei discorso di B in quanto di B: anche quando formulato e calcolato in presenza o sulla presenza, reale o presunta di A; e poiché, nel caso, A è posto come termine di relazione a C (Rosmini in relazione a Kant) la questione allora sarà o dovrà essere circa il senso che si deve o si può attribuire alla presenza di A a B dentro l'atteggiamento stesso di B nei confronti di C.

Se il discorso si è posto in termini quasi formali, egli è per dire la serie dei quesiti necessari onde dare alla cifra rosminiana dentro il pensiero di Gentile un contenuto specifico che la renda, cioè, più pronta a dar ragione dell'atteggiamento del filosofo nuovo, Gentile, rispetto alla storia della filosofia sua ipsamet actio; e quindi a dar ragione del significato che dovrà essere assunto, per la migliore intelligenza storica dell'idealismo attuale, dall'incontro Kant-Rosmini nei termini proposti da Gentile dentro l'istanza fondamentale della riforma dialettica posthegeliana».

142 Ibidem, p. 138.

143 GENTILEG., I fondamenti della filosofia del diritto, Avvertenza, Opere IV, Firenze, 1961,

p. 17.

144

Secondo Pigliaru si ha «l’impressione che la fatica di Gentile sia più atta a giustificare Kant in termini rosminiani, che non a giustificare o interpretare Rosmini in termini kantiani. […] le pagine successive (sono) intese a dimostrare, oltre l’equivoco apparente delle parole, le intime rispondenze dei principi fondamentali della morale kantiana (in quanto etica profondamente cristiana) con i principi fondamentali della morale rosminiana (morale cristiana, anch’essa tuttavia “formale e autonoma”)»145.

Mediante i passaggi del passaggio da un soggetto all’altro: Pigliaru, Gentile, Rosmini e Kant, è possibile carpire l’aspetto suggestivo del saggio pigli ariano.

Da ciò Pigliaru trae alcune conclusioni. La sistematica gentiliana del diritto, come sistematica del «voluto» e della risoluzione di questa in quella del volere, è stata oggetto di una serie di obiezioni da parte del pensiero giuridico italiano, che possono essere racchiuse in due gruppi146: quello che

gli rimprovera «la risoluzione del diritto (voluto) nella morale (volere in atto) come negazione sistematica e assoluta del diritto medesimo»147; l’altro gli rimprovera «la svalutazione del diritto in quanto diritto, per la riduzione di questo al libito di una volontà indeterminata perché priva di legge, e quindi continuamente tentata di libito far licito in sua legge»148. Alla prima obiezione, risponde Pigliaru, non può farne oggetto di discorso perché estraneo all’intento del suo esercizio di lettura149. Alla seconda obiezione si

145 Ibidem. 146 Ibidem, p. 140. 147 Ibidem. 148 Ibidem. 149 Ibidem, p. 141.

domanda se le pagine dell’introduzione rosminiana alla morale non siano di valida obiezione alle obiezioni mosse alla sua filosofia del diritto150.

A prima vista l’intenzione primaria è quella di rivendicare il valore dell’autonomia kantiana nei confronti della critica rosminiana, ma a veder bene l’autonomia kantiana avrebbe potuto essere difesa fuori o anche contro le ragioni critiche di Rosmini151; quel che «conta è l’uso che Gentile fa dei nomi e delle ragioni sostanziali dell’uno e dell’altro filosofo; se il discorso di Gentile ora su Rosmini ora su Kant dovesse esser ritenuto filologicamente errato, l’eventuale errore storiografico e valutativo nulla potrebbe togliere alle ragioni morali dello sforzo compiuto da Gentile per definire la propria filosofia morale»152.

Da un lato, secondo Pigliaru, si potrebbe, alla fine del discorso, trarre le somme, dall’altro no153, poiché per tale operazione è necessaria un’analisi sistematica di tutto il pensiero gentiliano154. Si, perché in base al suo lavoro

di riscontro e raffronto critico delle diverse varianti se ne può affermare l’incidenza su tutto il libro, che a causa di alcune difficoltà presenti nel linguaggio gentiliano hanno rischiato e rischiano ogni deformazione possibile anche dentro letture moralmente di buone intenzioni155. «Le questioni di parole hanno e possono avere il loro peso!»156.

150 Ibidem. 151 Ibidem. 152 Ibidem, p. 142. 153 Ibidem. 154 Ibidem, pp. 142-143. 155 Ibidem, p. 143.

L’autore in oggetto chiude il suo saggio anticipando temi di cui solo attualmente si ha piena consapevolezza157, leggiamo: «la storia della filosofia, nel suo sviluppo è anche crisi […] dei significati già determinati nel linguaggio comune e comunemente acquisito: ed è peraltro processo continuo di riqualificazione sostanziale di vocaboli in uso [...], alla luce di una considerazione più profonda dei problemi che talune questioni di parole presentano alla coscienza del filosofo, per la determinazione del lessico alle intenzioni effettive della propria filosofia»158.

Da quanto esposto si evince che l’autore in questione ha mostrato grande interesse per il diritto nella letteratura e per la letteratura del diritto, per tale motivo tali concetti saranno approfonditi nel paragrafo che segue.

2.1.4 NOTE SUI RAPPORTI SCIENZA, FILOSOFIA E FILOSOFIA DEL DIRITTO