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2.1 Prima e dopo l‟espansione territoriale di inizio Quattrocento

LA PENA DEL BANDO, LA COMUNITÀ, I CONFINI

Seppure non c‟è menzione della pena del bando nelle due redazioni della promissio

maleficiorum tra XII e XIII secolo, ci sono comunque sufficienti attestazioni per affermare che

nel Duecento questa specifica condanna fosse ampiamente irrogata da parte dei tribunali lagunari, tanto che è stato individuato almeno un liber forbannitorum, cioè un elenco di banditi, di fine Duecento.201 In particolare, è a metà XIII secolo che avvenne uno primo importante cambio di prospettiva: a fine aprile 1244 fu stabilito in Maggior Consiglio che il Doge, senza aver bisogno dell‟approvazione dei consiglieri, potesse ordinare ai diversi rettori del Dogado, l‟area lagunare compresa tra Grado a Cavarzere, sia per lettera che tramite messaggero, di far catturare e arrestare nei territori a loro sottoposti i banditi da tribunali e magistrature di Rialto e san Marco. In altre parole, si ponevano le prime basi per l‟unità giurisdizionale del contesto lagunare, al cui interno i banditi non avrebbero potuto trovare riparo grazie alla frammentazione delle giurisdizioni locali. L‟unitarietà del Dogado come area politica e giuridica venne ribadita nel 1281, in riferimento all‟impossibilità per i condannati da un comune

forestiero di trovare ricetto a Venezia o nella zona lagunare compresa tra Grado e Cavarzere.202

Oggetto di analisi di questo ultimo capitolo è allora il rapporto tra la pena del bando, il sistema giudiziario veneziano, la dimensione territoriale del dominio, del commune Veneciarum prima, e della Repubblica di san Marco poi, e conflittualità nobiliare. Tale relazione verrà affrontata con un‟ottica di lungo periodo, compresa tra fine XIII e fine XVI secolo. Questi trecento anni circa furono caratterizzati da due principali cesure: l‟espansione nella penisola italiana a inizio Quattrocento, che inserì Venezia all‟interno di uno scenario territoriale esteso e variegato, e il periodo tra fine XV e inizio XVI secolo, quando gli indirizzi politici sull‟uso della

201 M. Roberti, Studi e documenti di storia veneziana. Di un "Liber forbannitorum" della fine del Dugento (Note intorno

alla criminalità del sec. XIII), «Nuovo archivio veneto», n. 19 (1910), pp. 145-158; per un approfondimento su

questa fonte documentaria ed un confronto con le altre realtà comunali si veda P. Torelli, Il bando [nei comuni

medievali italiani], in G. Albini (a cura di), Le scritture del comune. Amministrazione e memoria nelle città dei secoli XII e XIII, Torino 1998, pp. 109-120.

202 ASVe, Compilazione delle Leggi, Prima serie, b. 93, cc. 95 r.-v.; l‟originale dovrebbe essere individuabile in Maggior Consiglio, reg. 1, tra le cc. 12 v.-21 v., che però sono state tagliate e quindi inconsultabili; tuttavia l‟indice a c. 4 r. conferma l‟esistenza della parte del 1244. La parte del 1281 è invece in Maggior Consiglio, reg. 2, c. 50 v.

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pena del bando cambiarono sensibilmente in senso repressivo e con l‟adozione di un nuovo sistema premiale mutuato dalla Terraferma.

Anche al volgere del XVI secolo si verificò un‟ulteriore fondamentale metamorfosi nella concezione della pena del bando e dei banditi, in merito a cui ci si limiterà a sintetizzare la ricerca storiografica esistente. I due momenti di discontinuità indicati verranno però analizzati anche alla luce delle permanenze; né si vuole suggerire qui che l‟espansione del dominio marittimo non abbia posto problemi analoghi al ceto dirigente marciano. Tuttavia, l‟enorme mole normativa prodotta in coincidenza e come conseguenza di tali congiunture non lascia dubbi circa il loro valore come momenti di svolta.

L‟uso di questa punizione all‟interno degli apparati giudiziari è in genere connessa alla sfera della sovranità, in quanto inflitta per il mancato rispetto dei suoi precetti, e si traduceva nell‟allontanamento dall‟alveo comunitario e nella privazione dei diritti civili e politici. Anche se aveva molta attinenza con la gestione di vendette e inimicizie, l‟uso del bando non fu limitato all‟ambito della giustizia criminale: ad esempio, in un‟epoca in cui la moderna distinzione tra civile e penale non esisteva, il bando per debiti insoluti era una realtà quotidiana. Bandire avversari politici e oppositori fu inoltre una pratica della lotta tra fazioni ampiamente usata in età comunale, nella misura in cui il conflitto politico si appropriò dei canali della giustizia pubblica, dopo un iniziale inquadramento dello strumento dell‟esilio nel quadro del sistema delle eccezioni, per perseguire pratiche mirate di esclusione dalla cittadinanza. Far rispettare le sentenze di bando fu anche uno dei primi banchi di prova delle autorità comunali nella gestione del territorio soggetto alla città.

Il bandito, che secondo Thomas Gallant trae la propria identità e fisionomia dalla stessa pena a lui inflitta, era spinto in una condizione liminare di emarginazione dal corpo comunitario di provenienza e, in quanto homo sacer, cioè affidato alla volontà ultraterrena, poteva essere impunemente offeso e ucciso. Questo era vero però nei casi d‟individui che avevano commesso gravi maleficia, per i quali erano stati banditi in perpetuo, e per i fuoriusciti a causa dello scontro politico tra fazioni. Ferire un bandito ad tempus o per debiti non era generalmente lecito. Le norme statutarie potevano prevedere dei percorsi appositi per il rientro dei banditi, che passavano invariabilmente attraverso l‟ottenimento della carta della pace da parte degli offesi, nel caso di un bando criminale, e un‟eventuale composizione pecuniaria con le autorità cittadine, una pratica chiamata rebannimentum.

In alcuni casi, gli esiliati politici poterono rientrare giurando fedeltà alla parte che ne aveva decretato l‟allontanamento oppure cercarono di rovesciare con la forza il regime vigente. In alternativa, era possibile ricorrere al sistema della grazia o comunque quest‟ultima era

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incardinata nel rebannimentum. Una forma spuria di pena del bando era rappresentata dal confino o relegazione, che imponeva la residenza in un specifico luogo all‟interno del dominio territoriale e in caso di mancata osservanza di quest‟ultima scattava la sentenza di pieno esilio.203

In questo capitolo l‟attenzione è rivolta alle interrelazioni tra bando e giustizia criminale, un rapporto che prescinde dal fenomeno del banditismo nel periodo tra età medievale e prima modernità, per poi congiungersi indissolubilmente dal volgere del XVII secolo in poi. Una trasformazione le cui cause sono riconducibili al mutamento della concezione della pena del bando e dei soggetti che ne erano colpiti, che vennero assimilati a oppositori interni, a nemici delle entità statali, che in quel periodo avviavano un processo di ridefinizione del proprio ruolo in relazione alla società, anche alla luce dell‟adozione di una nuova giustizia marcatamente punitiva.

Il complesso passaggio dall‟ordine della pace e della quiete sociale a quello dell‟ordine pubblico, promosso e garantito attraverso una netta repressione delle devianze, generò una nuova figura di bandito, politicamente connotata, a cui vennero ridotte le possibilità di uscire dall‟illegalità, spingendolo nella criminalità organizzata. Col ridursi della componente nobiliare nel banditismo, figure sociali più umili emersero tra età moderna e contemporanea come banditi famosi, a volte acclamati nell‟immaginario collettivo come difensori dei più deboli e protetti da quest‟ultimi. Ciò non equivale a dire che tra periodo medievale e nella prima modernità non sia esistito il fenomeno del banditismo. In quei secoli, al netto delle ambiguità semantiche, «chi è stato colpito da un bando […] non sempre si comporta da “bandito”, così

come non sempre chi pratica il banditismo è effettivamente colpito dal bando».204

203 Per le caratteristiche finora delineate cfr. P.R. Pazzaglini, The Criminal Ban of the Sienese Commune.

1225-1310, Milano 1979; G. Agamben, Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Torino 1995, pp. 79-82; V. Knoll, M.

Šejvl, Living Dead – Outlaw, Homo Sacer and Werewolf: Legal Consequences of Imposition of Ban, in A. Gulczynski (a cura di), Leben nach dem Tod. Rechtliche Probleme im Dualismus: Mensch - Rechtssubjekt, Graz 2010, pp. 139-153; T.W. Gallant, Brigandage, piracy, capitalism and state-formation: transnational crime from historical world-systems perspective, in J.M. Heyman (a cura di), States and illegal practices, Oxford 1999, pp. 25-61; A. Zorzi, La trasformazione di un

quadro politico. Ricerche su politica e giustizia a Firenze dal comune allo Stato territoriale, Firenze 2008, pp. 167-169; L.

Tanzini, Costruire e controllare il territorio. Banditi e repressione penale nello stato Fiorentino del Trecento, in L. Antonelli, S. Levati (a cura di), Controllare il territorio. Norme, corpi e conflitti tra medioevo e prima guerra mondiale, Soveria Mannelli 2013, pp. 11-29; G. Milani, Prime note su disciplina e pratica del bando a Bologna attorno alla metà del XIII

secolo, «Mélanges de l'Ecole française de Rome. Moyen-Age», n. 109, II (1997), p. 513; idem, L‟esclusione dal Comune. Conflitti e bandi politici a Bologna e in altre città italiane tra XII e XIV secolo, Roma 2003; idem, Legge ed eccezione nei Comuni di Popolo del XIII secolo, «Quaderni storici», n. 131, II (2009), pp. 377-398; idem, Esili difficili: i bandi politici dell‟età di Dante, in J. Bartuschat (a cura di), Dante e l'esilio, «Letture Classensi», n. 44 (2015), pp.

31-46; A.M. Onori, Pace privata e regolamentazione della vendetta in Valdinievole, in A. Zorzi (a cura di), Conflitti, paci e

vendette nell‟Italia comunale, Firenze 2009, pp. 228-229; F. Ricciardelli, Confini e bandi. Azione politica a Firenze in età comunale, in E. Brilli, L. Fenelli, G. Wolf (a cura di), Images and Words in Exile. Avignon and Italy during the first half of the 14th century, Firenze 2015, pp. 9-21.

204 C. Baja Guarienti, Il bandito e il governatore. Domenico d‟Amorotto e Francesco Guicciardini nell‟età delle guerre

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Focalizzando l‟attenzione sulle relazioni tra la sfera giudiziaria degli stati d‟antico regime e la figura del bandito si possono cogliere pienamente le interrelazioni tra faida e pena del bando. Nell‟agevolare la gestione e la risoluzione dei conflitti, quest‟ultima rientra a pieno titolo in quei riti processuali adottati dalle istituzioni legali e che si ponevano il compito di ricondurre la conflittualità entro binari socialmente accettabili, di cui si è precedentemente discusso. Soprattutto, il bando interagiva intensamente con la dimensione costituzionale dell‟Europa medioevale e della prima modernità, espressa attraverso il paradigma della iurisdictio: l‟allontanamento dai confini del contesto comunitario svolgeva un importante ruolo all‟interno delle dinamiche conflittuali, favorendo la riconciliazione tra i gruppi in contrapposizione.205

Allo stesso tempo, la frammentazione dei poteri territoriali e delle giurisdizioni, che rispecchiavano i confini del contado assoggettato dai centri cittadini, favoriva l‟impunità di chi effettivamente praticava banditismo, contrabbando e altri azioni criminali riconducibili al

latrocinium. In particolare, è lungo il confine fra stati che i banditi prosperarono nel corso della

prima età moderna.206

Il rapporto tra pena del bando e contumacia era lineare ma non esclusivo, come si cercherà di dimostrare in seguito con degli esempi. Ciò nonostante, non si può non riconoscere come nella quasi totalità dei casi l‟assenza del reo fosse seguita dalla puntuale inflizione dell‟esilio, una pena che, nell‟Italia del tardo Medioevo, colpiva circa un reo su due. In alcuni casi, il tasso di incidenza del bando raggiunse i due terzi delle condanne o anche percentuali superiori. Anche se il codice giustinianeo proibiva espressamente di condannare una persona non presentatasi a

Età moderna, in V. Lagioia (a cura di), Storie di invisibili, marginali ed esclusi, Bologna 2012, pp. 169-178, rilegge

l‟opera fondamentale dal punto di vista storiografico di E.J. Hobsbawm, I banditi. Il banditismo sociale nell‟età

moderna, Torino 2002. Per le dinamiche delineate cfr. Povolo, L‟intrigo dell‟onore cit., pp. 103-190; idem, Dall‟ordine della pace cit.; la ridefinizione della figura del bandito investì all‟interno della Repubblica di Venezia,

ad esempio, i personaggi investigati da idem, Zanzanù. Il bandito del lago (1576–1617), Tignale 2011, e S. Lavarda, Banditry and Social Identity in the Republic of Venice. Ludovico da Porto, his Family and his Property

(1567-1640), «Crime, Histoire & Sociétés/Crime, History & Societies», n. 11, I (2007), pp. 55-82. Un ulteriore

esempio di figura ambigua di bandito in G. Civale, L‟eroe bandito. Ribellione, infamia e religione nelle alpi valdesi del

„600, «Mediterranea. Ricerche storiche», n. 44 (2018), pp. 477-514. Per un confronto su banditi e banditismo

in età moderna nel meridione d‟Italia, dove il potere centrale era più debole rispetto al caso veneziano, si veda F. Gaudioso, Il potere di punire e perdonare. Banditismo e politiche criminali nel Regno di Napoli in età moderna, Galatina 2006, da cui si ricava il lungo ricorso a misure non solo repressive, ma ampiamente incentrate su clemenza e aspetti infra-giudiziari, a indicare il grande valore ancora rivestito in tale contesto dagli aspetti consuetudinari della risoluzione del conflitto.

205 Il concetto di giurisdizione è stato analizzato, tra gli altri, da A.M. Hespanha, La cultura giuridica europea, Bologna 2013. Sull‟uso della pena del bando per favorire la riconciliazione tra basso Medioevo e Rinascimento, oltre ai lavori già citati di Andrea Zorzi, si veda D.L. Smail, Common Violence: Vengeance and

Inquisition in Fourteenth-Century Marseille, «Past & Present», n. 151 (1996), pp. 40-41; idem, The Consumption of Justice: Emotions, Publicity, and Legal Culture in Marseille, 1264-1423, Ithaca 2003, pp. 172-173.

206 Due esempi relativi al contesto della Repubblica di Venezia in C. Gioia, Aristocratic Bandits and Outlaws:

Stories of Violence and Blood Vendetta on the Border of the Venetian Republic (16th-17th Century), in S. Ellis, L.

Klusakova (a cura di), Imagining Frontiers, Contesting Identities, Pisa 2007, pp. 93-107; N. Makuc, Noble violence and

banditry along the border between the Venetian Republic and the Austrian Habsburgs, «Mediterranea. Ricerche storiche»,

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giudizio, gli statuti, in aperta opposizione, equiparavano l‟assenza a una confessione e, alla luce di tale finzione giuridica, permisero l‟inflizione della pena capitale ai contumaci. Esistevano comunque diverse categorie di bando: le principali distinzioni erano quelle tra i banditi per un periodo limitato di tempo o in perpetuo e tra chi era stato esiliato per debiti o per piccole offese e chi aveva commesso dei gravi maleficia.

Gli statuti generalmente prevedevano diversi percorsi per il rientro nell‟alveo comunitario del bandito, a seconda però della gravità delle sue azioni e non solo per mezzo del raggiungimento della pace. Come si è visto, la via supplicationis era un‟alternativa ampiamente sfruttata. In sintesi, la pena del bando giocava un importante ruolo all‟interno della giustizia pubblica e aveva ampie ricadute sia per il gruppo familiare del bandito che per l‟intera comunità, la quale generalmente era costretta a cooperare con le autorità nella cattura dei contumaci. Contumacia e conseguente bando si prestavano senza difficoltà alle strategie della conflittualità e della sua risoluzione nell‟Italia del tardo Medioevo e della prima Età Moderna.207

Per quanto riguarda la realtà veneziana prima dell‟espansione nella Terraferma, ci sono due punti principali concernenti la pena del bando da evidenziare, oltre a quelli presentati in apertura di questo capitolo. Il primo interessa un aspetto abbastanza diffuso nella penisola italiana e che poneva l‟accento sul carattere interlocutorio del bando come momento rilevante nella risoluzione dei conflitti: la possibilità di uccidere impunemente i banditi entrati nel territorio a loro interdetto e, inoltre, di poter guadagnare la propria assoluzione, se l‟offensore era a sua volta stato esiliato. Come fra breve si vedrà, questa norma era prevista negli statuti di Vicenza e Verona, tra le maggiori città del dominium veneziano in Italia, e la sua applicazione in loco venne negoziata lungo tutto il XV secolo con la dominante. Nel dogato questo automatismo non era invece contemplato. Era bensì legalmente possibile uccidere i banditi nella cui condanna era prevista questa facoltà.208

Inoltre, tutti i condannati dai Cinque Anziani alla Pace che non avessero pagato la pena pecuniaria loro inflitta potevano essere tranquillamente uccisi. Diverse terminazioni del Collegio ribadirono questo meccanismo sancito dalla consuetudine nel corso del XIV e anche nella prima metà del XV. Ciò implicava che il processo formato per l‟uccisione del bandito venisse cassato e il suo uccisore assolto da qualunque pena inflitta per tale omicidio. Questa prassi aveva luogo perché i Cinque Anziani alla Pace intervenivano nei consigli preposti e dinnanzi alla Signoria a processo concluso per dimostrare come l‟ucciso fosse un loro bandito e

207 Una sintesi in J. Carraway, Contumacy, Defense Strategy, and Criminal Law in Late Medieval Italy, «Law and History Review», n. 29, I (2011), pp. 99-132.

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l‟omicida quindi sotto la loro protezione.209 Come si è visto, le tempistiche di questa procedura furono oggetto di controllo e restrizione tra XV e XVI secolo, ma in ogni caso uccidere un bandito a Venezia non comportava la formale liberazione di un altro esiliato.210 Questa situazione cambiò tra XV e XVI secolo.

Il secondo aspetto che qui ci interessa riguarda una questione giurisdizionale. Il caso affrontato dal Maggior Consiglio nel maggio 1353 - di cui ora ci occuperemo - si ripresenterà,

mutatis mutandis, incessantemente dopo l‟acquisizione di una vasta sovranità nella Terraferma;

per il momento il problema era limitato, ma non per questo meno grave. Il Comune marciano si stava da poco proiettando oltre i confini dell‟area lagunare e aveva assoggettato per la prima volta Treviso e il trevisano e, più a nord, Ceneda.211 Missive dei rettori e ambasciate di nunzi di quei luoghi denunciavano allarmate che molti banditi, esiliati da tali territori, trovavano rifugio nel Dogado. Da qui i condannati ripassavano i confini giurisdizionali del territorio trevisano e cenedese per commettere nuovi delitti, sapendo di poter essere incolumi nella laguna compresa tra Grado e Cavarzere. Si decretò che qualunque bandito da Treviso e Ceneda che avesse osato fare ritorno nel luogo interdetto per commettere delitti gravi, come ferimenti, omicidi, furti, incendi, ruberie o altre violenze, potesse essere catturato anche nella laguna e mandato al rettore competente affinché la pena fosse eseguita.212

Già a metà Trecento il ceto dirigente veneziano si dovette dunque confrontare con la questione delle frontiere interne al dominio, che delimitavano il raggio d‟azione dei rettori locali e garantivano la sicurezza dei malviventi. La risposta puntò a scavalcare il confine giuridico per creare un‟unica area in cui i banditi potessero essere catturati. Il problema si ripropose ben presto, ma con dimensioni amplificate. Con la grande espansione del dominio marciano nella pianura padana, avvenuta nella prima metà del Quattrocento, si creò una fitta rete di frontiere interne tra i principali centri urbani assoggettati, complicata dalla presenza di centri minori dotati di propria giurisdizione e anche da isole feudali e ecclesiastiche disseminate con maggiore

209 Se nel novembre 1304, il Maggior Consiglio stabiliva che i banditi dai Cinque Anziani non potevano essere uccisi se condannati per una cifra pari o inferiore a cento solidum, le terminazioni posteriori del Collegio ratificarono gli omicidi di banditi debitori dell‟ufficio dei Cinque Anziani alla Pace per, rispettivamente, le somme di 16 lire di piccoli, 17 lire di piccoli, 8 lire di piccoli; cfr. Maggior Consiglio, reg. 8 c. 101 v.; ASVe, Collegio, Notatorio, (d‟ora in poi Notatorio), reg. 1-1, cc. 44 v., 46 v., 74 v.; non è invece indicata, in Notatorio, reg. 8-16, c. 11 v., la somma del debito verso l‟ufficio del bandito ucciso da Giobbe di Domenico nel 1444, grazie al quale quest‟ultimo era stato preso in protezione dai Cinque Anziani.

210 § 1.3.

211 Su questa prima dominazione, poi persa e in seguito ripresa, si veda F. Pigozzo, Treviso e Venezia nel

Trecento. La prima dominazione veneziana sulle podesterie minori (1339-1381), Venezia 2007.

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o minore frequenza in tutta la Terraferma.213 Questa fu un diretto risultato del carattere composito dello stato veneziano.214

GLI ESITI DELL’ESPANSIONE IN TERRAFERMA

Estendere fin da subito lo stesso provvedimento adottato a metà Trecento per il territorio trevisano a tutto il neo-formato dominio fu una questione che venne presto presa in considerazione, ma le cui conseguenze avrebbero influenzato i rapporti giurisdizionali dei sudditi. Una simile azione avrebbe infatti cozzato con l‟impianto costituzionale delle società d‟antico regime, improntato al pluralismo giuridico e alla salvaguardia delle prerogative dei molteplici corpi sociali. Nel momento delle dedizioni di città e comunità della penisola italiana, Venezia aveva infatti sostanzialmente avallato, con pochi ritocchi, le situazioni giurisdizionali, giuridiche e politiche preesistenti, cristallizzandole. Il ceto dirigente promise pure che avrebbe fatto rispettare i patti in prima dedizione, rivestendoli di un deciso valore ideologico.215

Tuttavia, le difficoltà insorte nel mantenere l‟ordine pubblico preservando le differenze esistenti tra i sistemi giuridici di Venezia e delle realtà cittadine assoggettate portarono a mettere in crisi tale principio, specie in riferimento alle norme che regolavano la pena del bando.

A inizio luglio 1414, i consigli veneziani cercarono di affrontare organicamente la conflittualità che imperversava nelle province assoggettate e così facendo vennero pure messi a nudo i sostanziali punti di divergenza tra la prassi bannitoria veneziana e quella della Terraferma. Delitti e rapimenti, che si verificavano in particolare a Vicenza e nel vicentino,

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