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La pena nel delitto circostanziato tentato

tentato

Autorevole dottrina12, nel trattare la materia del tentativo di

delitto circostanziato, inizia dall’art. 56 comma 2, che disciplina

10Cass. Pen.,1980, pag. 671 11Cass. Pen., 1973, pag. 1215

12Boscarelli, Tentativo circostanziato e tentativo di delitto circostanziato,

la pena nella fattispecie tentata. Il punto di vista che ci propone prende spunto dalla considerazione di come sia “troppo ovvio e intuitivo” che la gravità di una fattispecie tentata si possa consi- derare più o meno grave in base al proposito criminoso che l’agente aveva di mira. Questo, riflettendoci per qualche istante, balza su- bito agli occhi: infatti, un conto è tentare, ad esempio, un furto di una cosa di valore poco elevato, diverso è invece tentare la sottra- zione di una cosa di particolare valore. Oltre a rilevare il proposito criminoso dell’agente, a qualificare un tentativo di delitto, aggra- vato od attenuato che sia, contribuiscono anche le circostanze di reato. Boscarelli, definisce le circostanze come coefficienti positi- vi o negativi che vanno a qualificare, oltre al reato tipico, anche un tentativo di delitto. Quindi sostanzialmente le circostanze ci forniscono la misura della gravità della pena da applicare a fronte di un reato. Questo, sostiene l’autore, è principio di logica e di giustizia del nostro sistema penale; negarlo equivarrebbe a punire con lo stesso metro un tentativo semplice e un tentativo di delitto aggravato da circostanze che non si sono verificate.

Il passaggio successivo compiuto nel saggio è quello di analizzare il criterio che permette di graduare la pena in presenza di un tentati- vo. Tale criterio, nonché procedimento a norma di legge, è fissato nell’art. 56 comma 2. Come si desume dal codice penale, e come riporta anche Boscarelli, tale procedimento “si articola in due fasi

sucessive”. Nella prima di queste fasi il giudice è chiamato a deter- minare quella che è definita come “pena base”, cioè la pena che si dovrebbe applicare a fronte di un reato consumato; nel caso di un tentativo di delitto circostanziato, quindi, il giudice determinerà la pena base considerando il proposito criminoso che il soggetto agente aveva di mira. In relazione a questa prima fase l’A. com- pie una precisazione: se la pena base da applicare in concreto è “costituita dall’ergastolo ovvero da una diversa pena, detentiva o pecuniaria, prevista dalla legge in misura tassativa, posto che in questo caso non trova luogo la distinzione tra pena edittale e pe- na applicabile in concreto nulla quaestio; ma se viceversa siamo di fronte alle ipotesi residue delle pene fisse o proporzionali allo- ra tale precisazione diventa rilevantissima. L’A. infatti specifica che, se come pena base dovessimo assumere una pena edittale, ri- sulterebbe impossibile stabilire i limiti massimi e minimi richiesti dall’art. 56 comma 2. Proseguendo nel ragionamento dell’autore, supponendo una pena pena edittale compresa tra un massimo e un minimo, ci troveremmo ad applicare la riduzione prevista per il tentativo arbitrariamente su uno o l’altro limite della cornice edittale, con conseguenze inique per il reo. Quindi l’unica opzione possibile per l’interprete è partire da una pena “puntualmente” prevista come quella che il giudice abbia ragione di identificare per il delitto che il soggetto agente aveva di mira’.

Relativamente all’ipotesi sostenuta da Boscarelli, e per dimo- strare come nello stabilire la pena per il tentativo di reato non si possa partire da una pena edittale, ma viceversa dalla pena che il giudice avrebbe avuto modo di determinare per il reato base, ri- portiamo un tesi contraria13. L’A. (in questo caso il Vannini) inizia

con una considerazione molto simile a quella fatta da Boscarelli. Si dice infatti che il codice penale stabilisce una pena molto più lieve per il delitto tentato rispetto a quella comminata per il rea- to tipico. In questa decisione possono ravvisarsi, dice il Vannini, scelte ispirate a ragioni di giustizia ed opportunità. Quanto alla giustizia, non sarebbe equo punire un’offesa di minore intensità al bene giuridico protetto con la stessa pena mediante la quale si punisce l’offesa arrecata con il reato tipico. Quanto alle ragioni di opportunità, si sostiene che “minore è [...] nel tentativo di de- litto il pericolo della riproducibilità del delitto, minore l’allarme sociale, minore la reazione morale della pubblica opinione”. Dopo aver considerato l’art. 56, in un modo per il quale può certamente valere quanto affermato da Boscarelli, il Vannini passa ad asserire come il tentativo di delitto “non è una circostanza diminuente,ma un titolo a sé di reato”. Per dimostrare tale affermazione, l’A. cita l’art. 157 c.p. nella parte in cui dispone che in tema di prescrizione

“per determinare il tempo necessario a prescrivere, si ha riguardo al massimo della pena stabilita dalla legge per il reato tentato e consumato[...]”. La soluzione dirimente secondo il Vannini è che il giudice debba anteriormente stabilire la pena applicabile per il reato circostanziato e successivamente graduare su quest’ultima la pena per il tentativo.

Fatte queste considerazioni di carattere introduttivo, il Vannini passa ad esaminare l’eventualità che nel tentativo ricorrano cir- costanze aggravanti o attenuanti e degli effetti che ciò comporta nella determinazione della pena. Se nel tentativo di delitto ricor- rono circostanze per le quali la legge stabilisce una specie di pena diversa o comunque circostanze che prevedono una “pena deter- minata in modo indipendente da quella ordinaria del reato”, que- ste dovrebbero essere “calcolate prima di applicare la diminuzione dipendente dal tentativo”. Ne consegue che il giudice dovrebbe prima considerare la pena che avrebbe ragione di applicare per il delitto consumato, e solo in un secondo momento determinare sulla base di questa pena la diminuente per il tentativo di reato.

Torniamo a Boscarelli. L’autore ha sviluppato il discorso sulla pena, prendendo in considerazione le circostanze che “avrebbero potuto qualificare il reato che il soggetto aveva di mira”. Tra gli elementi circostanziali disponibili prende in esame le circostanze ad effetto speciale e non. Si sostiene di guisa che, nel caso non

figurino circostanze ad effetto speciale che qualificano il reato cui il soggetto mirava, questo “influirà sulla determinazione della mi- sura della pena della pena base, che risulterà diversa da quella che sarebbe risultata se si fosse trattato del tentativo di un delitto semplice”. L’A prosegue con un esempio volto a far comprende- re l’ipotesi esplicitata. Dobbiamo immaginare che un soggetto agente compia il tentativo di un reato per il quale la pena base sarebbe stata di quindici anni di reclusione, inclusa la circostanza che avrebbe qualificato il delitto. In tal caso la pena per il tentati- vo di reato sarebbe stata compresa nella cornice edittale di cinque e dieci anni.

Se invece figurano circostanze a pena autonoma, cioè quelle cir- costanze che apportano un un mutamento della specie di pena da applicare, questo “influirà sulla determinazione della specie della pena base”.

Sempre in ordine alla pena dobbiamo analizzare il saggio di Arianna Calabria. Considerazione iniziale che viene fatta è quella secondo la quale, nel computare la pena per il delitto circostan- ziato tentato, dobbiamo tener conto del fatto che anche le circo- stanze non si sono compiutamente realizzate; equivalgono quindi agli elementi del reato che il soggetto agente aveva come proposito criminoso ma che sono rimasti allo stadio di tentativo.

per un tentativo di delitto circostanziato consiste, come prima fase, nel determinare la pena per il delitto semplice perfetto; conseguen- temente, sulla pena per il reato base debbono essere effettuati gli aumenti o le diminuzioni inerenti alle circostanze a norma dell’art. 63 comma 114; infine, sulla pena così individuata, va operata la

diminuzione per il tentativo.

Ulteriore considerazione che deve essere fatta è che nel delitto cir- costanziato tentato, a differenza di quello che abbiamo visto nel delitto tentato circostanziato, non ha rilevanza la distinzione fra circostanze frazionarie e non frazionarie, “potendo tutte le sud- dette circostanze venire in considerazione prima di effettuare la riduzione di pena per il tentativo”. Infatti, in presenza di circo- stanze non frazionare variabili bisogna determinare direttamente la pena per il delitto perfetto circostanziato entro i limiti edittali previsti per questa forma di delitto; sulla pena così individuata deve essere poi calcolata la diminuzione di pena per il tentativo. Mentre qualora fossimo in presenza di circostanze non frazionarie fisse va direttamente calcolata la pena per il delitto circostanzia- to tentato e la riduzione per il tentativo deve essere operata sulla pena stabilita dalla legge per la circostanza fissa.

14“Quando la legge dispone che la pena sia aumentata o diminuita entro

limiti determinati, l’aumento o la diminuzione si opera sulla quantità di essa, che il giudice applicherebbe al colpevole, qualora non concorresse la circostanza che la fa aumentare o diminuire”

3.5

Esclusione del “tentativo di circo-