• Non ci sono risultati.

Sevizie e crudeltà

4.2 Le aggravanti comuni

4.2.3 Sevizie e crudeltà

Passiamo adesso alla aggravante che prevede, nella esecuzione di un reato, l’aver adoperato sevizie e crudeltà, cioè particolari mo- dalità dell’azione di per sè non necessarie per realizzare la condotta illecita. Questa aggravante è disciplinata nel codice penale vigente all’art. 61 n. 4, dove viene definita nei termini seguenti: “l’avere adoperato sevizie, o l’avere agito con crudeltà verso le persone.” Rispetto a questa circostanza dobbiamo riferire circa il dibattito sussistente in dottrina riguardo la sua classificazione in termini oggettivi o soggettivi. Sostanzialmente, vi sono alcuni autori che definiscono come oggettivo questo elemento circostanziale ed altri che invece ritengono di poterlo definire come soggettivo. I primi, fra cui Manna25, individuano nell’aggravante in esame una parti-

colare tipologia di modalità dell’azione. I secondi26 invece, fanno

25Si può parlare di sevizie quando il reato viene commesso procurando alla

vittima sofferenze , che normalmente sono di natura fisica ma che possono es- sere anche psichiche. Le due proposizioni “l’avere adoperato sevizie” e “l’avere agito con crudeltà” hanno infatti carattere oggettivo, prevalentemente fisico la prima, sostanzialmente morale la seconda. Entrambe comunque mettono in risalto la prava propensione dell’agente ad infliggere sofferenze, sia fisiche, che morali, alla vittima e quindi alla sua crudeltà d’animo che oltrepassa i limiti di normalità causale nella produzione dell’evento. Quanto alla natura di detta circostanza, riteniamo, contrariamente ad autorevole dottrina, trat- tarsi di un’oggettiva, in quanto attiene alle modalità della condotta. Manna

in Enc. Giur., 1998 pag. 11,

26Cfr. per tutti Padovani in Dig. pen. 1988., dove si può leggere che:

per quanto l’aggravante debba estrinsecarsi in dati di rilevanza obittiva, pare tuttavia chiaro che il disvalore in essa considerato riguardi l’atteggiamento

riferimento ad una volontà criminosa particolarmente malvagia; quindi in questo secondo caso le modalità dell’azione assumono, non un valore reale ma un significato sintomatico27.

Questa in breve l’opinione della dottrina maggiormente autore- vole. Vediamo adesso qual è l’impostazione della giurisprudenza. Dal canto loro i giudici ammettono la configurazione dell’aggra- vante in esame ogni qualvolta le modalità della condotta criminosa presentino un quid pluris rispetto agli ordinari mezzi di attuazio- ne del reato28: si richiede cioè che tale condotta criminosa riveli,

nella sua espressione, impulsi malvagi e perversi da parte del sog- getto agente, ed anche una spiccata indifferenza ai dogmi morali ed umanitari, propri della collettività in cui il reo vive ed agisce. L’intensità del dolo, richiesto per l’addebito di questa aggravante, consente alla giurisprudenza di affermarne la soggettività. Analiz- ziamo dunque le massime dalle quali risulterà facile estrapolare i requisiti che i giudici richiedono per la configurazione dell’elemento circostanziale delle sevizie e della crudeltà.

Tali requisiti si sostanziano nella volontà del soggetto agente

personale del reo. Il n. 4 sembra allora riconducibile al novero dei cosiddetti elementi obiettivi della colpevolezza, in cui la legge ricollega un maggior grado di rimproverabilità dell’agente alla presenza di circostanze fattuali determi- nate. In questo senso, l’aggravante proprio perché attinente alla colpevolezza deve reputarsi soggettiva.

27Così Marinucci-Dolcini nel Commentario sistematico al codice penale

anno 2011

di infliggere patimenti ulteriori alla vittima. Tali patimenti sono definiti come ulteriori, perché non necessari alla realizzazione del reato; inoltre, rivelano una particolare malvagità del colpevole. L’aggravante in esame, in base ad una prima impostazione giu- risprudenziale29, viene inserita tra le circostanze aventi carattere

oggettivo, dato il riferimento espresso nella sentenza, alle modalità della condotta. Tuttavia, riteniamo che, stante l’espressa classifi- cazione come oggettiva, il riferimento alla malvagità del colpevole consenta di definire tale circostanza anche come soggettiva: infat- ti, tale malvagità può benissimo costituire una qualità personale del soggetto agente.

In un’altra pronuncia precedente a quella adesso analizzata30, i giudici hanno affrontato il problema della classificazione ex art. 70 c.p. chiarendone con esattezza gli estremi. Infatti, senza alcuna

29Sentenza 31 marzo 2003 numero 15098 in RP 2004 pag. 93: “Perché sia

configurabile l’aggravante di cui all’art. 61 n. 4 c.p. occorre che le modalità della condotta esecutiva di un delitto, ad esempio quello dei maltrattamenti, siano caratterizzate dalla volontà di infliggere un patimento, ulteriore rispetto alle ordinarie modalità esecutive del reato e che rivelino, senza inserirsi nel processo causale del reato, una particolare malvagità al soggetto agente”. Il fatto in questione riguardava proprio quei maltrattamenti, cui la massima si riferisce, che vengono in essere mediante violenze di ogni genere. Il caso riguardava le percosse delle moglie da parte del soggetto agente pur essendo questa in stato interessante.

30Sentenza 20 gennaio 1988 numero 747 in RP 1988 pag.1103: “La cir-

costanza aggravante di aver adoperato sevizie o agito con crudeltà verso le persone, in quanto espressione della intensità del dolo e della mancanza di sentimenti umanitari, ha natura oggettiva. La differenza tra sevizie e crudel- tà non è data dalla prevalente inflizione di patimenti fisici nelle sevizie e di patimenti morale nella crudeltà, ma, data la sostanziale unitarietà dei due concetti, è di carattere sostanzialmente quantitativo, onde si ha crudeltà se si cagionano sofferenze fisiche o morali non necessarie per l’attuazione del reato, ma non tali da assurgere al grado di atrocità delle sevizie.”

ambiguità, la circostanza in esame viene definita oggettiva; i mo- tivi di questa categorizzazione risiedono nel carattere quantitativo delle sevizie e crudeltà, in quanto "si ha crudeltà se si cagiona- no sofferenze fisiche o morali non necessarie per l’attuazione del reato" .

Non giova insistere ancora sul portato delle pronunce ora ana- lizzate. Da quanto esposto, i due concetti di sevizie e crudeltà sono tratti dai giudici come una sorta di unico concetto. Tutta- via, non sono mancate pronunce che hanno inteso diversificare le due entità.

Una prima pronuncia in questo senso risale al 21 febbraio 197931. In quella occasione, i giudici sostennero che i due concetti

di sevizie e crudeltà andavano considerati come due concetti sepa- rati. Questo perché, mentre i primi (sevizie) denotano sofferenze e patimenti inferti alla vittima, i secondi (crudeltà) rivelano la volontà del soggetto agente di “appagare il proprio impulso crimi- nale”, e non sempre costituiscono uno strumento atto a consumare un delitto.

Sevizie e crudeltà vengono tenute distinte anche in un’altra

31RP 1979 pag. 963: “I due concetti di sevizie e crudeltà - entrambi idonei

ad integrare la circostanza aggravante comune prevista dall’art. 61 n. 4 del codice penale - vanno tenuti distinti nel senso che le prime consistono nelle sofferenze e nei patimenti inflitti alla vittima, mentre la crudeltà si sostanzia in quelle manifestazioni che, non sempre attuate come strumento di esecuzione del reato, denotano l’ansia dell’agente di appagare il proprio impulso diret- to ad arrecare dolore e possono estrinsecarsi anche nei confronti di persona diversa dalla vittima.”

pronuncia della Corte di Cassazione32. Oggetto del processo, in

questo caso, era un delitto di omicidio. In questa pronuncia, le sevizie vengono definite come un quid pluris, cioè come sofferenze affatto necessarie e inflitte a causa del perverso scopo di vedere la vittima patire ulteriormente; su questa base vengono definite come oggettive. Le crudeltà rappresenterebbero, invece, secondo i giudici, il modo in cui è stata compiuta l’azione, modo che si caratterizza per il mezzo utilizzato dal colpevole o per le modalità della condotta, le quali rivelerebbero l’indole malvagia del soggetto agente.

Abbiamo visto nelle massime sopra citate come la giurispru- denza si è rapportata nelle sue decisioni a questa aggravante. Pos- siamo evidenziare, a questo punto, una serie di passaggi volti a chiarire in quali termini stiano i due concetti di sevizie e crudeltà e quali rapporti possano a loro volta avere con il tentativo di reato. Questi due concetti sono definiti dai giudici, in alcune pronunce, come unitari; ciò potrebbe indurre a ritenere che siano tra di loro ambivalenti. In realtà, stante l’unitarietà, le sevizie e la crudeltà si

32Sentenza 12 marzo 1976 in GP 1997, II, col. 56: “In tema di omicidio,

le sevizie si distinguono dalla crudeltà: le sevizie consistono in un quid pluris per la concreta esecuzione del reato e si sostanziano in sofferenze no necessarie inflitte alla vittima, con lo specifico malvagio intento di vederla soffrire, ed hanno quindi carattere essenzialmente oggettivo: la crudeltà concerne, invece, il modo dell’azione direttamente rivolta alla realizzazione dell’evento-morte, e si caratterizza per il mezzo usato o per le modalità della condotta che di per sé in quanto volontari - ancorché non animati dal proposito di cagionare alla vittima sofferenze particolarmente dolorose - sono rivelatori di un’indole malvagia, priva del più elementare senso di umana pietà.”

distinguono sul piano quantitativo: cioè le prime rapresentano un incrudelimento di maggior grado e sono rivolte esclusivamente alla vittima del reato; mentre il secondo concetto dato dalla crudeltà si estrinseca qualora siano state poste in essere dal soggetto agente manifestazioni volte ad arrecare dolore che esorbitano totalmente dai fatti costitutivi del reato, cioè rappresentano quel quid pluris cui abbiamo già accennato poco sopra.

Per quanto attiene invece alla qualificazione del carattere di questa aggravante come soggettiva o oggettiva, riteniamo, anche ai sensi dell’art. 70 comma 1 n. 2 c.p. che la soggettività sia da preferire. Infatti, nella parte citata di questa norma si fà riferi- mento, non solo alla intensità del dolo, ma anche alle qualità del colpevole; qualità che, nel caso dell’aggravante in esame, debbo- no manifestare proprio la malvagità e la lontananza dalla comune pietà umana di questo soggetto.

In ordine infine ai rapporti con il tentativo di reato, non re- sta da aggiungere che, anche nel caso in cui la condotta criminosa sia stata interrotta, la configurazione di questa aggravante resta tuttavia possibile. Infatti, si potrà sempre accertare che in un ten- tativo di omicidio, per esempio, le sevizie e la crudeltà si erano già pienamente integrate, nonostante l’evento morte che il soggetto voleva, non sia poi realizzato. L’estensione al tentativo dell’aggra- vante ex art. 61 n. 4 configurerà quindi la fattispecie di tentativo

circostanziato di delitto, se le circostanze si sono perfettamente realizzate. Se invece dette circostanze sono rimaste allo stadio di tentativo, come la fattispecie nella sua integralità, si dovrà allora accertare in base alle risultanze processuali che il soggetto aveva posto in essere atti idonei diretti in modo non equivoco a commet- tere un delitto aggravato dalle sevizie e dalla crudeltà, delitto che poi non si è consumato. A titolo meramente esemplificativo, si può immaginare il caso dell’aguzzino che, immobilizzata la vittima, le mostri gli strumenti di tortura con i quali la sevizierà; strumenti che poi non riuscirà ad utilizzare perché magari i vicini si erano insospettiti per i rumori provenienti dalla casa del reo.