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Capitolo 2. La produzione novellistica

2.9 La pietra bianca

L’ultima opera che tratteremo in questo capitolo è La pietra bianca, una piccola raccolta pubblicata postuma nel 2003, che comprende quattro racconti inediti.

Il primo racconto – quello che dà il titolo al volumetto – ha come protagonista una

donna, Claudia Fiori, la quale fa ritorno all’albergo Serena, alloggiando nella stessa stanza in cui era stata anni prima con un suo giovane fidanzato.

È lei stessa che confessa le sue intime intenzioni:

Lasciamo stare le malinconie, Lorenzo: stasera voglio essere allegra, serena, felice, e questi pensieri contribuiscono ad allontanare il tuo volto, il tuo bel volto che si fingeva apposta corrucciato per apparire più maschio e maturo… ah, è un’ossessione, non faccio che ritornare al punto di prima, i miei pensieri sono come una girandola, se li metto in moto velocemente si confondono fra di loro ma appena li allento ritornano precisi e netti al punto di partenza e io non voglio pensare a quello, io voglio vivere solo, stasera, voglio rivivere il ricordo perfetto di quella nostra stagione all’albergo Sirena. Aiutami, Lorenzo, vienimi incontro sorridendo, aprimi per l’ultima volta le braccia, fammi poggiare contro il tuo petto il mio volto sciupato. Senti come scotta? Sì, forse ho un poco di febbre, sono leggermente esaltata e mi esprimo come un personaggio da giornale a fumetti: il fatto è che ho bisogno di ritrovarmi, perché… sì, lo confesso umilmente: mi sento delusa 270

Claudia ritorna dove è stata felice per tentare di recuperare e perpetuare quella spensieratezza e quel benessere di un tempo, per cercare di rivivere quel sentimento intenso, sincero, puro e velatamente triste che la univa a Lorenzo:

Come aveva detto Lorenzo, approdando, in tanta solitudine si erano sentiti un’anima di naufraghi, meglio: di esploratori. Da allora vi s’erano recati ogni mattina. La donna chiuse di nuovo gli occhi: arginava la furia dei ricordi, o vi si abbandonava?271

Il titolo del racconto allude alla percezione che la donna aveva di sé all’interno della relazione:

270 Prisco 2003, 20-21. 271 Ivi, 23.

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I tuoi capelli sanno d’alga, mi dicevi abbracciandomi, e poi dicevi che c’era anche un altro profumo sulla mia pelle: c’era l’odore del mare, e anche della nocciola, c’era l’odore anche della mia terra: e io ti ascoltavo a occhi chiusi, bevevo le tue parole, e mi sentivo smemorata, intorpidita, una cosa: diventavo una di quelle pietre bianche lisce che abbondavano a riva, levigate dall’acqua…ma una pietra può essere veramente felice? Io ero felice, Lorenzo. 272

Sentirsi una pietra logorata e lisciata dall’acqua equivale ad accettare il proprio destino che logora e tormenta, svelando il disincanto e la disillusione della vita. Come abbiamo notato, è dal passo soprariportato che è tratto il titolo del racconto e dell’intera raccolta: infatti, tutte e quattro le storie, come vedremo, presentano un finale di amara accettazione della propria sorte, una consapevole e dolorosa partecipazione agli eventi della vita.

A riprova di questo, la donna dopo aver ripercorso mentalmente e fisicamente i luoghi della sua felicità ed essersi ricongiunta con il ricordo dell’amore perduto, si abbandona tragicamente ma felicemente al mare:

La donna fu trovata all’alba, sull’arenile, da un gruppo di pescatori che s’avviavano coi remi a spalla a scendere in acqua le barche. Sembrava dormisse: era serena, con una virgola di capelli trattenuta fra le labbra serrate (o era un filo d’alga?), e aveva un atteggiamento molto composto. Questa volta il portiere dell’albergo Sirena non si sarebbe potuto sbagliare: l’espressione della donna, con gli occhi socchiusi, era proprio l’espressione di una persona felice. 273

La costruzione narrativa è abile e articolata: si alterna il racconto in terza persona in cui il narratore esterno focalizza la sua attenzione sul portiere dell’albergo, ed in particolare, su quello che lui pensa e percepisce della donna, condividendo con il lettore quello che scopre; e la narrazione in prima persona in cui prende la parola la donna stessa274. Entrambi i narratori espongono la medesima storia, quindi raccontano la stessa vicenda offrendoci due punti di

272 Ivi, 23. 273 Ivi, 25.

274 Questo tipo di doppio narratore costituisce un unicum in questa raccolta: infatti, nei racconti successivi il narratore è sempre esterno e focalizza la sua attenzione sui diversi personaggi delle storie.

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vista differenti, aggiungendo dettagli ed esplicitando piccoli aspetti che erano rimasti oscuri, in un primo momento.

Inoltre, sicuramente la narrazione in terza persona è più descrittiva e oggettiva, nonostante si sondino i pensieri del portiere; mentre la narrazione in prima persona è prettamente introspettiva: altro non è, infatti, che un dialogo interiore della donna con se stessa o con il ricordo di Lorenzo.

Il secondo racconto, Vigilia di Piedigrotta rievoca una vicenda reale avvenuta il 6 settembre 1860, in concomitanza con la partenza da Napoli del re Francesco II, il quale con la consorte lascia la città a bordo dell’imbarcazione “Messaggero”. Ad assistere alla scena è il giudice Di Donato, fedele filoborbonico, che partecipa con sincero cordoglio alla ritirata dei regali. La svolta storica, che porterà al tracollo della dinastia borbonica, è anticipata e annunciata anche dall’atmosfera che la moglie del giudice, donna Laura, percepisce dalla loro abitazione a Pizzofalcone dove sta preparando i bagagli per l’imminente partenza della famiglia alla volta di Ventaroli: un silenzio innaturale e crudele domina lo scenario irrigidendo i contorni esterni, silenzio che viene sconquassato solo da un suono di tromba prodotto da un bambino che gioca in cortile, mentre, intanto, dalla finestra penetra una luce fredda dando alla casa già una parvenza di casa abbandonata. Tutto questo contribuisce a innescare un infausto presentimento.

Tornato a casa, il giudice cerca di accelerare la propria partenza: si immedesima nel re e condivide con lui la sofferenza di dover lasciare la propria abitazione, di abbandonare la propria terra; inoltre, interpreta la partenza dei reali come un segno premonitore che legittima e rende giusta la loro partenza.

Ma Bebè Di Donato non partecipò a quei clamori: gli serrava la gola una commozione arida e delusa che somigliava alla sete e insinuava nella sua integrità di fanatico borbonico pensieri diversamente concreti: perché quella partenza lo feriva nei suoi sentimenti ma lo costringeva anche a non nutrire ancora illusioni: se il Re abbandonava per primo la patria anch’egli doveva badare a mettersi in salvo, e se con l’arrivo degli invasori scoppiava la rivoluzione, com’era probabile, sarebbe stato da stupidi trovarsi in mezzo o, peggio, scontarne le conseguenze.275

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[…]e questo non riusciva a capire, come la vita potesse continuare il suo corso, come nessuno rimpiangesse il sovrano, come quel giorno di lutto avesse la spensierata e crudele indifferenza di tutti i giorni.276

Il racconto si conclude con la partenza stessa della famiglia del giudice, alla quale, però, non si unisce Nandino, il primogenito, in quanto nutre delle idee politiche diverse da quelle del padre. Anche qui, come nel racconto precedente, emerge il disinganno della vita, la consapevolezza che tutto scorre, che la vita procede, separa e divide; si assiste al tramonto di un sogno, al tracollo di un’aspirazione e di un ideale.

Così come Claudia, in La Pietra bianca sola, accetta il suo destino e si getta in mare, felice di potersi ricongiungere con l’amore perduto, così la famiglia Di Donato parte, lasciando il figlio, accettando la scelta del ragazzo e restando fedele alla propria.

Si nota già dalla lettura dei primi due racconti l’eterogeneità della scrittura prischiana, capace di spaziare da un racconto prettamente intimo e personale ad un racconto in cui domina il contesto storico rievocandone un episodio saliente che funge da scenario ad una vicenda più personale e che protrae l’eco dei destini comuni.

Nel successivo racconto, Vapore dei greti, viene rappresentata la complessità che caratterizza alcuni rapporti umani, in particolare quelli amorosi:

- Ci sono degli uomini, vedi, delle creature, che hanno una vita piuttosto difficile. C’è in loro, come dire, un’ansia di creazione che li agita continuamente e che forse va più in là d’un puro fatto istintivo… un bisogno d’affermare la propria personalità, se stessi… […] – Chi può dire che cosa li spinge? – diceva suo padre sempre volgendole le spalle. – Non fanno che inseguire le loro illusioni, che incantarsi dinanzi alle proprie fantasie… È ambizione, bisogno, chi lo sa. È una specie di sete, una necessità. Riesci a seguirmi? […] - Per questi uomini il solo conforto può essere costituito da una donna. Ma è come una specie di fatalità, succede che anche lei vien presa nel giro di quest’ingranaggio, è come un incantesimo. Così soffre, una medesima pena anche se somiglia all’insofferenza: perché in quella donna tutto di lei è cancellato, annullato…come può essere, mi dirai, come può succedere che una donna rinuncia a tutto? Non lo so, Diana, forse solo l’amore compie questi miracoli. Si ama soffrendo.277

276 Ivi, 37. 277 Ivi, 57-58.

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È questa la condizione in cui si trova Diana, la protagonista del racconto, la quale è invischiata in una relazione che le causa dolore e totale annullamento.

Ma è una situazione più comune di quanto Diana creda: Silvia, la sua coinquilina è schierata dalla parte degli ambiziosi, di coloro che hanno la necessità di affermare se stessi; similmente il padre di Diana, sposato con Ada, donna che Diana non ha mai apprezzato e compreso finché non si rende conto del comune destino di sofferenza che le due donne condividono:

Dovremo considerarci non più con ostilità, ma come due creature che possono soffrire una stessa pena, ecco. Se tutti pensassero a questo. Disse Ada, deponendo il piccolo specchio: -È difficile, forse. Ma proveremo.278

L’ambiguo titolo del racconto, che sembra rievocare semplicemente un’atmosfera paesaggistica, è invece una metafora della situazione rappresentata:

- Così ci si attacca al proprio lavoro, ci si abbandona ad esso nella certezza d’arrivare, un giorno. E nulla più esiste, oltre questa certezza, tutto il resto è meschino e inutile, forse anche l’amore…Invece passa la vita, così, e ci si accorge d’essere improvvisamente vecchi e finiti. Non so come dirti, come spiegarti meglio, con un esempio… ecco, guarda, Diana!, guarda laggiù, oltre i campi, verso il canale. Tra i pioppi, vedi quella nebbia sul greto? Guarda, è sempre lì a mezz’altezza, grigia e opaca, non potrà mai diventare nuvola. È così per certi uomini.279

Diana, che era fuggita dall’uomo che amava per sottrarsi al destino di sofferenza a cui sarebbe stata costretta, e che era poi tornata alla casa paterna per lasciarsi dietro ulteriormente i propri problemi, comprende finalmente la verità che si cela dietro ai rapporti umani:

Ma non riusciva a parlare. Spiegare tutto: il ritorno, il pianto. Sandro. Sarebbe stato possibile? – Papà – gli disse, disperata. – non è disumano per una donna rinunciare in tal modo a se stessa? Non è meglio che una donna cerchi di liberarsi, di sfuggire a quest’incantesimo, come tu lo chiami? Perché dobbiamo soffrire così.

278 Ivi, 60. 279 Ivi, 58.

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Finalmente suo padre accese una sigaretta: mandò in aria le prime boccate di fumo e disse: - È difficile spiegare perché: ma non crederlo disumano. E che ci resterebbe? E non è nemmeno egoismo, bada, aver qualcuno vicino che si aiuti: una donna che in fondo può essere lei la più forte… Mi riesce difficile farti capire questo, Diana.280

Pertanto, decide di tornare alla sua vita, di ritornare da Sandro e di riallacciare un rapporto con lui: decide di accettare la propria sorte, paga di una nuova consapevolezza.

- Ti ringrazio d’essere tornata – le disse infine gettando l’asciugamano sopra una poltrona. – Ho bisogno, lo sai, di qualcuno che abbia molta pazienza, con me. Chi lo sa? Forse ti farò ancora soffrire.281

L’ultimo racconto, Festa in famiglia, ha come tema centrale la mancata realizzazione personale e sentimentale dei tre figli di una coppia di anziani coniugi, i quali, in occasione della celebrazione delle loro nozze d’oro, riuniscono l’intera famiglia. In questa occasione emergono dissapori, verità celate, bugie raccontate e trascinate a lungo. Soprattutto, prende voce l’accusa che la figlia Tonina muove contro la madre, la quale ha sempre pensato al mantenimento di un certo status quo, si è sempre e solo interessata all’immagine della propria famiglia e agli interessi economici sacrificando la felicità dei figli.

E così Guido, il primogenito, sposa una donna molto ricca ma grassa ed estremamente cagionevole di salute:

Chi gli mettesti accanto? Una ragazza grassa, enorme, con tanti milioni quanti erano forse i suoi chili di carne…Ma già, quando si trattava di matrimonio non eravamo più creature, solo cifre. Era giusto che i quattrini sposassero i quattrini… E il matrimonio, eccolo là: borse d’acqua calda sin dal viaggio di nozze.282

Marco è costretto a sposare una giovane contadina solo per le sue proprietà:

- No, Marco è quello che beve. È stato sempre così, lo consideravate un poco di buono, un fannullone e invece è tanto un caro ragazzo… Ed era così giovane, poi, non

280 Ivi, 59. 281 Ivi, 61. 282 Ivi, 77.

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bisognava cercare di frenarlo e mettergli accanto una moglie e dargli subito delle responsabilità, il peso d’una famiglia… E l’ha scelta lui, del resto? Lisa è una brava donna, oh sanissima, una specie di contadina con molte terre e molte provviste… E Marco non ha trovato di meglio che farle fare un mucchio di bambini e così costringerla in casa senza doversela portare appresso e vergognarsene!283

Quanto a Tonina, lei è stata costretta a rinunciare alla persona che amava per sposare un uomo che non desiderava e dal quale presto segretamente divorzia, costringendosi, quindi, ad accontentarsi di numerosi amanti che, però, poco dopo la abbandonano.

Ma la vita prosegue, così come la festa organizzata dai coniugi, e mentre i familiari si sgravano di pesanti macigni che si portavano dentro da tempo, arrivano gli invitati alla festa, il clima si distende e si continua a mantenere una certa parvenza di tranquillità e di benessere.

Quattro storie che presentano tutte un destino comune: i personaggi, tutti appartenenti alla borghesia, sono ritratti di scorcio, ma non manca lo scavo psicologico che però non annulla l’interesse per l’ambiente, in particolare per le atmosfere e per le azioni. In queste pagine dominano i sentimenti, quelli nascosti e taciuti, quelli logoranti e sinceri; storie che nascono, che si svelano e poi tramontano, nel giro di poche pagine, nonché nel giro di poco tempo, lasciando un sentore di dispiacere nel cuore di chi ne viene a conoscenza, e che restano impresse nella mente per la loro quotidianità.

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