Capitolo 3. La lingua e lo stile
3.3 Discorso del racconto
3.3.1 La narrazione
3.3.1.1 La terza persona singolare
Soffermandosi sulla voce in terza persona singolare, si può notare che esistono diverse tipologie di narratori: ad esempio, in Quando arrivano i lupi (1941), il narratore è esterno, onnisciente, conosce, quindi, tutti gli eventi, i pensieri, e informa il lettore circa i minimi dettagli. A tal proposito, è da notare l’incipit in cui il narratore compie una sorta di digressione filosofico-esistenziale che funge da commento alla storia che si accinge a riportare.
Tutta la nostra vita, dicono, è un libro già scritto nel quale, con una diligenza fors’anche troppo sofisticata, sono registrati i piccoli atti senza importanza, talora appena le parole o gli sguardi, che le imprimono una svolta avviandola per direzioni diverse e inattese. Insomma, saremmo creature catalogate: questo avviene a pagina…, questo a pagina…Chi lo sa se c’è franchigia, alla fine, quando il libro si chiude: ma poiché solo allora ne avremo conosciuto il vero ineludibile significato, sarà ormai troppo tardi apprendere il valore, mettiamo, d’un momento o d’un gesto che apparve, vivendolo, tanto irrilevante da essere presto dimenticato laddove ad esso era consegnato proprio il compito di mutare la nostra esistenza e può darsi che la pagina portasse in quel punto un segno particolare che ce ne avrebbe in qualche modo avvertiti. Dice una vecchia canzone: Dammi l’azzurro volume, che porti serrato sul cuore. Ma forse lì si tratta di un altro libro.367
179
Inoltre, molto manzoniano, è l’utilizzo della parentetica della quale si serve per commentare la storia e fornire un proprio personale, ma generale giudizio:
(Questa pagina è scritta nel libro: tanto ovvia e comune, eppure di lì comincia o cambia la vita di una creatura: memorie e lacrime, errori e gioie, anonimi dadi d’un bussolotto agitato – da chi? – per infinite combinazioni.)368
Questa impostazione narrativa è funzionale alla rappresentazione di una storia che ambisce ad essere esemplificativa di un determinato concetto, di un preciso pensiero: ovvero, quello che leggiamo nell’epigrafe che precede la storia e che introduce la prima raccolta, in cui si dice del castrante determinismo immanente alla vita e agli eventi che conduce gli esseri umani verso un preciso destino al quale non si possono sottrarre. Il narratore, la cui voce si fa sentire in maniera quasi perentoria, veicola il lettore verso questo tipo di interpretazione e ci offre questa storia come esempio chiaro di quello che si vuole esprimere.
L’impostazione narrativa è quindi molto tradizionale, la parola ai personaggi è conferita tramite l’utilizzo del discorso diretto, anch’esso molto tradizionale in quanto continuamente annunciato dai verba dicendi. Inoltre, in questo particolare racconto, la registrazione diretta dell’interiorità dei personaggi, se non tramite ciò di cui ci informa il narratore, è presente in pochissimi casi, evidenziati, tra l’altro, dall’uso del corsivo e dall’introduzione dei verba cogitandi:
Dio mio che occhi azzurri pensò illogicamente e quasi con angoscia.369
[…] mani rapaci lei pensò […] 370
Infine, troviamo un solo caso di discorso diretto libero, di caso, quindi, in cui il narratore cede pienamente la parola ai personaggi:
368 Ivi, 10. 369 Ibidem. 370 Ivi, 12.
180
[…] ma l’azzurro di quello sguardo la spaventava, e camminava aggrottata imponendosi di non girarsi, ripensando alle parole di lui e cercando di capirne il senso. Una ladra, mio Dio. Allora disse un poco risentita: «Ecco com’è, lei. Io credevo di potermi fidare».371
Diverso è il tipo di narratore sì esterno alla vicenda – quindi sempre un narratore che non è personaggio – ma che ha assistito direttamente alla vicenda che vuole riportare, e pertanto informa il lettore esclusivamente di ciò che ha visto e sentito il quel dato momento. È il caso del narratore di Il cavadenti (1942), il quale esclude il lettore dalla conoscenza di numerosi dettagli della storia che pertanto rimane incompresa. Manca qualsiasi tipo di giudizio e di commento: la sensazione che si prova nel leggere questo racconto è quella di una cinepresa che si sofferma sui personaggi e sui dettagli presenti nella stanza in cui è ambientata la scena. È un tipo di narrazione che fa sentire il lettore molto più partecipe alla storia, è come se fosse i suoi occhi e le sue orecchie, come se assistesse lui stesso alla scena. Non manca però una focalizzazione sui personaggi e sulla loro interiorità, ma anche questa è registrata in diretta e non valicando mai i confini temporali della scena presente.
«Enza,» egli disse «tu non ne puoi più, è vero?»
Lei lo guardò, sorpresa, e poi voltò il capo a guardare la finestra, il pezzo di strada che si vedeva attraverso i vetri: chiedendosi, stupita e stanca, perché Renato mettesse in mezzo queste storie, a un tratto. Ma sì, lui non doveva esasperarla. La finestra inquadrava un rettangolo di cielo grigio stinto appena incrinato, in fondo, dalla ciminiera d’una fabbrica, e dal fumo che ne usciva come pigramente, e ristagnava intorno faticando a dissolversi, si avvertiva la pesantezza dell’aria. Ecco, perché non parlava del tempo, Renato? Parlasse del tempo, che da vari giorni era afoso e appiccicaticcio e contribuiva ad estenuare, parlasse del tempo o d’altro ma lasciasse stare, per carità, quella storia: come gli venivano in mente certi pensieri, adesso?372
I pensieri dei personaggi emergono tramite la voce del narratore, che in questo tipo di narrazione, pur essendo sempre onnisciente, è maggiormente laconico rispetto al caso osservato in precedenza: in altre parole, si tratta di un narratore che effettivamente è al corrente degli eventi e dell’interiorità dei personaggi – interiorità che lui stesso, talvolta, palesa o che lascia affiorare cedendo la parola ai personaggi col discorso indiretto libero, o,
371 Ibidem. 372 Ivi, 153.
181
addirittura, riportando il loro flusso di coscienza – ma di cui trasmette molto poco al lettore. Quindi, se i pensieri vengono svelati e conosciuti in parte dal lettore, «quella storia» a cui si accenna rimarrà sconosciuta: è una voce narrante che decide di svelare meno di quello che effettivamente conosce.
Possiamo concludere che il narratore in terza persona è sempre un narratore esterno, ora onnisciente, ora più riservato e laconico, che predilige le vivide e dettagliate descrizioni esterne senza rinunciare all’interiorità e all’introspezione dei personaggi che talvolta denuda senza reticenza, tramite l’osservazione delle loro reazioni esterne, altre volte, invece, in maniera più sommessa, si eclissa a favore di un’emersione dei pensieri dei personaggi, cedendo loro la parola.