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Capitolo 2. La produzione novellistica

2.4 Punto franco

Punto Franco vede la luce nel 1965 ma i ventuno racconti che compongono la raccolta sono scritti tra il 1945 e il 1965.

Con l’espressione «punto franco» si indica la zona portuale dove le merci sostano in franchigia doganale, non soggette ad alcun dazio; infatti, come si legge in sovraccoperta, tale titolo pone l’accento sulla «libertà di composizione affidata all’estro di singoli momenti ed occasioni (in quanto tali, quasi esenti da «dazio critico»)»134. Inoltre, Aurelio Benevento individua nel titolo un’esplicita dichiarazione di poetica ritenendo che Prisco consideri i racconti «un genere minore, “franco” dagli impegni e dalle necessità del romanzo»135. L’opera – dedicata alle figlie dello stesso scrittore, Annella e Caterina136 – presenta una struttura molto simile alla precedente. Qui troviamo quattro sezioni, ognuna delle quali non

133 Ivi, 329. 134 Prisco 1977a. 135 Benevento 2001, 13.

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è più preceduta da un’epigrafe, bensì da una «prefazione autoriale»137 che fornisce delle coordinate interpretative e/o riassuntive dei racconti che seguono.

Nella prima prefazione che precede la prima sezione leggiamo:

Questi primi quattro racconti, uno dei quali già apparso in una precedente raccolta e qui riportato per meglio rendere un arco narrativo, possono anche sembrare a una superficiale lettura racconti di guerra: certo furono scritti in quel tempo esaurito e lontano che fu il nostro dopoguerra (ma è poi veramente così lontano, quel tempo, e così esaurito?), quando la gente uscita dal buio dell’oscuramento camminava per le strade in mezzo a cumuli di macerie costretta a tastare l’alfabeto Braille d’una vita retrocessa alle pure funzioni animali e raccontare poteva avere solo un senso e assumere un solo significato… Ma non si tratta, qui, di racconti di guerra: e un altro è il motivo che più profondamente li lega fra loro138.

I quattro racconti di questa sezione, Il tedesco, L’ospite, La sera è calma, a Trecase – già comparso nella raccolta precedente – e Le mele ruotano tutti intorno al motivo della guerra139. Infatti, nel primo racconto, i due giovani, Francesco e Gioconda, temono di finire vittime di un rastrellamento da parte dei tedeschi; il secondo rievoca il tempo dell’occupazione anglo-americana; nel terzo, si legge dell’occupazione da parte dei soldati; infine, l’ultimo racconto è ambientato a Pagani, e rievoca una vicenda accaduta al tempo dello sbarco degli alleati, nel settembre del 1943. Quest’ultimo racconto presenta un’ambientazione diversa rispetto ai primi tre: questo, infatti, è ambientato nel Salernitano, quelli, invece, nel vesuviano, in una regione geografica ormai ben conosciuta dal lettore.

Purtuttavia, come ci avverte lo stesso Prisco nell’allusiva prefazione sopraccitata, la tematica principale di questi primi racconti non è la guerra, come potrebbe apparire da una lettura superficiale. Il filo rosso, invece, che li unisce è la tematica della scoperta, dato che verrà confermato anche da quanto leggeremo nella seconda prefazione. In particolare, in Il tedesco e in La sera è calma, a Trecase i giovani protagonisti, Francesco e Annetta, fanno la felice e turbante scoperta della carnalità: Francesco viene colto da un impeto di voluttà nei confronti

137 Genette 1989, 175. 138 Prisco 1977a, 7.

139 La presenza di un medesimo racconto e dello stesso contesto storico, che funge da sfondo sul quale si dipanano le storie rappresentate, sancisce una comunione tra questa prima sezione e la raccolta precedente; vicinanza che si andrà perdendo con il proseguire dell’opera.

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di Gioconda mentre i due si stringono in un abbraccio dettato dalla paura di essere avvistati dai tedeschi.

Riannodò il fazzoletto e lo nascose in seno: aveva sotto le ascelle le mezzelune umide e scure del sudore, quel vestito giallo le andava piuttosto stretto: mentre s’assestava la scollatura, piano, quasi con compunzione, mi fissò un’altra volta e disse:

“Perché mi guardi con quegli occhi di scemo?

Ma sapeva che non l’avevo guardata: avevo solo arrossito. Respirava di nuovo come poco prima, quasi a fatica che pareva un mantice. Mi avvicinai d’un passo, stordito, e lei domandò indicandosi il petto:

“Si vede che ci porto dentro i soldi?”

Allora esclamai sbiancandomi, con una voce che non era una voce: “Un tedesco, Gioconda!”

“Zitto!” lei disse alzandosi e m’attirò a sé: stemmo vicini, con il cuore che ci batteva, così non m’accorsi di poggiarle la testa sul petto, me ne accorsi dopo, quando ricordai quel momento, che sentivo sotto le nari l’odore forte pungente del suo sudore o del suo corpo robusto: in quell’attimo avevamo solo paura.140

L’attonita Annetta, invece, coglie in flagrante sua sorella Lucia mentre si sta intrattenendo con un soldato nero presso il canneto. In L’ospite, durante una serata trascorsa in compagnia di un soldato inglese, Barbara, la padrona di casa, scopre l’umanità che travalica i confini nazionali, un’umanità che va oltre le differenze imposte dal conflitto bellico e che fa scaturire un sentimento di comunione, di comunità, di vicinanza e di somiglianza sebbene la comprensione reciproca sia comunque impedita.

Ascoltava con una svagata e triste attenzione. Era strano che tutti facessero quasi le stesse cose, gli stessi gesti, le stesse azioni, e poi non si capivano – non si trattava d’una questione di lingua –, non riuscivano a capirsi divisi da una impossibilità, una incapacità d’intendersi, che pareva così ardua da lasciar abbandonare ogni tentativo di superarla141.

[…] Perché diceva contrabbandieri e non uomini? Perché inglesi e non uomini? Perché tedeschi e non uomini?142

140 Prisco 1977a, 16. 141 Ivi, 23.

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Infine, in Le mele, il giovane Pino Tarchetti si scopre capace di un atto estremamente violento contro una venditrice di mele alla quale vuole rubare i soldi per saldare un debito di gioco con i suoi amici, ma si scopre anche estremamente debole in quanto non riesce nel tentativo e si sente sollevato non appena viene arrestato.

“Ma che avete? Che volete fare?”

Pino non voleva far nulla; però le parole lo eccitarono e l’immediata reazione fu quella di far tacere la donna. Un peso di cinque chili, di bronzo, tondo, con l’anello al centro e il marchio di fabbrica inciso intorno, era lì accanto a lui: egli lo sollevò subito, automaticamente, e lo dette in testa alla fruttivendola.

“Aiuto! Mi ammazzano!” gridò ancora Marianna.

Pino abbandonò il cartoccio e continuò a colpire trattenendo la donna per un braccio perché non gli sfuggisse. Le mele rotolarono a terra, qualcuna imboccò la porta d’uscita e fu trovata infatti dopo, contro l’orlo del marciapiede, impolverata e solitaria. Pino colpiva a occhi chiusi: sulla testa, sulle spalle, dietro la nuca, con colpi brevi e ripetuti e una violenza di cui non aveva cognizione; quando allentò il bracciò sentì la donna afflosciarsi e cadere a terra. Allora posò il peso sul banco, articolò le dita indolenzite, si riassestò la giacca, scavalcò il corpo e si diresse vero la porta. Fu preso subito, e si sentì subito rasserenato.143

La seconda sezione comprende cinque racconti: La divisa, La cartolina, Il cavallo bendato, Un’altra prova e La veletta azzurra. Abbandonato lo scenario bellico, e più in generale, abbandonata un’ambientazione geografica ben individuabile, il tema che attraversa questa porzione è il medesimo della precedente, con la differenza che, qui, la tematica della scoperta si coglie più apertamente, anche, e soprattutto, in virtù del fatto che i protagonisti dei racconti appartengono tutti al mondo dell’infanzia144:

Il tema della scoperta, sul quale s’incentravano i precedenti racconti, si ritrova e si coglie più apertamente in questi altri che seguono: anche perché (o: ecco perché) i protagonisti di essi appartengono tutti a quel mondo infantile molto spesso più popolato di

143 Ivi, 56.

144 Nell’analisi della raccolta precedente, abbiamo già avuto modo di evidenziare la particolare attenzione dello scrittore torrese nei confronti di questo tipo di protagonisti.

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disincantamenti che d’illusioni, attraverso i quali bisogna pure passare per conoscere il bene e il male e acquistarne l’impronta che ci accompagnerà nella vita145.

I giovani protagonisti sono ritratti nel momento di transizione dall’innocenza, dall’ingenuità e dall’incanto alla connivenza, alla maturità e al disincanto. Sono storie di importanti scoperte, di piccole conquiste di un mondo nuovo e adulto, sono scintille di meraviglia e di trasalimento che si producono dal crudo strofinio con la realtà.

Sono scoperte, queste, che, seppur necessarie, sono pur sempre patite, ed infatti il pianto dolce ed inatteso dei giovani personaggi che si interfacciano con la nuova realtà è una costante di questi racconti. È un pianto, però, che non riga solo i visi dei bambini, ma anche quelli degli adulti, sancendo ora la fine di un’epoca, ora lo scorrere del tempo; un pianto che cela sempre un dolore il quale rimane segreto e mai esplicitato.

A riprova di quanto appena affermato, diamo ora uno sguardo più da vicino ai singoli racconti.

In La divisa, la bambina, durante un viaggio in treno verso il collegio dove si sta recando a far visita al fratello, ha modo di osservare il mondo degli adulti, i quali sembrano assomigliarsi tutti tra di loro: preti, bersaglieri e gli stessi collegiali non si distinguono gli uni dagli altri. La giovane, giunta a destinazione, non riconosce il fratello in mezzo agli altri studenti, segno, questo, che lui è ormai approdato nel mondo degli adulti, ha adempiuto a quel destino al quale nessuno può sottrarsi; ed ecco che si fa strada una lacrima sul suo viso:

Poi si voltò ormai stanca di guardare sempre il cortile, e vide che Virgilio era già entrato, era lì fermo immobile sulla soglia del parlatorio a rigirarsi il cappelluccio in mano: aveva anche lui i capelli rasati e indossava la divisa grigia coi bottoncini d’oro e se la madre non gli fosse corsa incontro a baciarlo tutta felice e commossa lei non l’avrebbe proprio riconosciuto, non avrebbe capito lì per lì che si trattava di suo fratello Virgilio come non era riuscito a distinguerlo prima, nella colonna dei collegiali che avevano attraversato ordinatamente e in silenzio il cortile. Lo guardava stupita e dopo un attimo si sentì una lacrima rotolarle sulla gota: se la trovò, tiepida, all’angolo delle labbra serrate, con un senso di sorpresa, e un attimo dopo la risucchiò sveltamente cercando di non farsi vedere, come se fosse un gesto del quale dovesse vergognarsi146.

145 Prisco 1977a, 57. 146 Ivi, 64.

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In La cartolina, racconto in cui la trama si dipana con difficoltà, emergono diversi aspetti tra cui l’emozione del giovane protagonista per la sua prima gita al mare, l’amicizia che lui instaura con Ferruccio, umile figlio di un fabbro, le bugie che il protagonista gli racconta tra cui quella di provenire da una ricca famiglia per non dover ammettere di essere il figlio illegittimo di una povera serva; il senso di inferiorità provato da Ferruccio, il suo tentato suicidio in mare, ma anche i sensi di colpa del giovane bugiardo, la scoperta della responsabilità delle proprie azioni, e le conseguenze dei proprio gesti.

La scoperta di «un’affinità sentimentale»147 tra madre e figlio creata dal dolore causato dalla vendita di un vecchio cavallo ora costretto a girare, bendato, la noria è il tema principale di Il cavallo bendato.

E poi domandai: “E chi è il nuovo padrone, adesso?” e così tutti s’accorsero di me, e che piangevo anche, mentre io non lo sapevo, e mia madre mi sorrise e portando in tavola il vino mi s’avvicinò e mi tirò un poco i capelli, ch’era il suo modo di carezzarmi148.

Per una fortuita coincidenza, madre e figlio si ritrovano a loro insaputa nello stesso momento presso i nuovi padroni del cavallo per vedere la bestia un’ultima volta. Una volta ritornati a casa:

[…] e mi voltai a guardarla e la vidi che piangeva. Non l’avevo mai vista piangere, fino a quel momento. Il suo viso era diventato roseo, lucido, teso, le lacrime scorrevano dai suoi occhi che avevano un’espressione curiosa che non pareva dolore. […] Quel pianto somigliava alla pioggia sui prati di primavera: accendeva, scaldava, gonfiava. È strano come certe persone diventino così giovani quando piangono.

[…] Ma mia madre piangeva sempre, in silenzio149.

Più dolorosa e struggente è la vicenda raccontata in Un’altra prova, in cui viene rappresentata la vendetta del giovane Filippo che spara con un fucile al suo amico e compagno di banco,

147 Giannantonio 1977, 78. 148 Prisco 1977a, 79. 149 Ivi, 82

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Dino, poiché ritiene che non gli voglia più bene. La morte del giovane segna il passaggio alla vita adulta:

“Credevo fosse più facile… Ma per imparare ch’è dura, la mia vita, non potevo ricevere un’altra prova?...”

No, non c’è scelta: è strano che don Giuseppe lo ignori […]

Sì, forse Filippo è ridiventato bambino ora che piange, che si libera del suo segreto confessandogli in un orecchio senza velarne la terribilità tutta la sua storia.

[…] ma non è questo, ora, che lo sgomenta: lo sgomenta la sua ingenuità, la sua ignoranza… È ancora troppo inesperto: ma imparerà, imparerà… è ancora troppo giovane, la vita è così lunga… 150

Nell’ultimo racconto della sezione, La veletta azzurra, una bambina osserva sua madre mentre fissa l’orizzonte su un battello che sta attraversando il lago. C’è qui un tentativo di penetrare i pensieri della madre, la quale assorta non si accorge della fastidiosa veletta del suo cappello che le sbatte sul volto, agitata dal vento. La scoperta che compie la bambina, però, è un’altra: quando vede un giovane che con sguardo famelico e ammiccante si avvicina alla madre, la bambina le prende la mano mossa da un istinto di protezione:

Ma la madre la vide e la strinse. Ora si sentivano entrambe più protette. Lo sconosciuto fissò la bambina e non sorrise più, e poi si allontanò bruscamente. La bambina si sentiva importante, e al tempo stesso disperata e infelice. Sollevò il capo verso la madre. Sulla gota della mamma scivolava una lacrima: la veletta non fece in tempo a schiacciargliela, la lacrima rotolò sino all’angolo delle labbra della mamma e ne fu risucchiata. La mano della mamma le stringeva la mano sino a farle male: ma lei restava intrepida, senza svincolarsi o dir nulla. Non si sentiva più bambina.151

È con questa affermazione perentoria, che sancisce la fine della fanciullezza, che termina la seconda sezione; l’infanzia è un periodo ormai concluso, le illusioni e gli incanti si sono infranti: ci si addentra, inesorabilmente, nell’età adulta. Si evince l’idea che il passaggio all’età adulta sia sancito da un’esperienza particolare, da un trauma necessario; o meglio, emerge la consapevolezza che sia la stessa scoperta ad essere traumatica.

150 Ivi, 90-91. 151 Ivi, 98.

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Siamo, quindi, pronti ad introdurci nella terza sezione della raccolta, nella cui nota introduttiva leggiamo:

A partire dal racconto che segue i protagonisti di queste altre storie sono quasi sempre donne o meglio uomo e donna insieme: e potrebbe sembrare che il filo col quale avevamo badato a riunire i nostri racconti si sia a un tratto spezzato, al punto di doverlo cambiare: invece è sempre lo stesso filo e in fondo sempre lo stesso discorso: perché se l’età delle scoperte è lontana, o per lo meno è passata, è naturale che varcate le soglie della vita adulta nasca il problema del rapporto di noi con gli altri: di noi in mezzo agli altri…152

È la sezione più corposa ed eterogena della raccolta, conta infatti undici racconti: Viaggio al sud, La legge, Le scarpe, Il giubbino azzurro, I confetti, La moglie, Le rose, Il pic-nic, Il nodo della cravatta, I partigiani e Il suono del pianoforte.

Si tratta di storie che hanno come protagoniste giovani donne ritratte nel momento in cui si interfacciano con gli altri o «reagiscono a situazioni nuove o di emergenza»153.

Ci sono racconti che presentano tematiche socialmente e storicamente connotate: ad esempio, Viaggio verso sud tocca il tema dell’emigrazione dei giovani che causa lo spopolamento del Sud, lasciando i paesi vuoti e abbandonati, ricoperti da una grigia coltre di desolazione; in particolare si pone l’accento sul contrasto tra una giovane turista che percepisce solamente desolazione e depressione in quei luoghi dimenticati, e una non più giovane barista che vive con cordoglio la triste situazione presente e custodisce dentro di sé il corruccio per un passato ormai lontano.

Il giovane dette ancora uno sguardo al manifesto sul muro: avrebbe voluto parlare a lungo con la donna, sentirla parlare, chiedere…che cosa? Si riaggiustò la macchina fotografica a tracolla e scosse il capo, come se sentisse la difficoltà, o l’inutilità, di quel colloquio: il fatto è, lo capiva, che apparteneva a un altro mondo, a un altro ordine, e vagamente pensava che gli sarebbe piaciuto almeno che la donna gli perdonasse questo, d’essere diverso, appunto, o semplicemente d’essere giovane e d’avere accanto quella compagna troppo festosa. La ragazza gli volgeva le spalle. Era giovane, magra, innocente. “Hai finito?” disse, come lo sentì indugiare. “Se vogliamo andare”.

152 Ivi, 99.

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Lui salutò la donna quasi con un’espressione colpevole, e uscì. Nella piazza i vecchi attorno alla fontana non dettero segno di vita, al loro passaggio. In macchina, mentr’egli innestava la chiavetta, la ragazza disse allungandosi contro lo schienale: “Tutti uguali, questi paesetti: uno squallore! Quando arriviamo al mare? Ho tanta voglia d’una bella nuotata!...”154

In La legge c’è la violazione della legge (da qui il titolo) da parte di una donna che trascina a casa il corpo di suo marito morto, rinvenuto sui binari della ferrovia, invece di aspettare l’arrivo del pretore, il giorno dopo.

La guerra, o meglio, i segni che questa ha lasciato compaiono in Le scarpe e I partigiani: nel primo racconto la vista, da parte di una giovane ragazza di città, dei monconi che una signora di paese ha al posto dei piedi che le sono stati amputati a causa di un bombardamento, turba profondamente la ragazza e provoca un moto di orgoglio nella signora; nel secondo, invece, si evince il senso di distacco, di vuoto incolmabile e di incomprensione che separa Clara dal compagno Elio e dai suoi amici, con i quali lui ha combattuto da partigiano, con i quali condivide la medesima esperienza bellica, e a cui sono andati a far visita.

Lei la guerra la ricordava così vagamente, era quasi una bambina, allora, e si trovava sfollata in campagna con i nonni e la mamma: ricordava questo, una lunga estate calda a giocare nei campi con i figli di certi contadini, quelli che avevano affittato il cascinale: facevano la guerra, fra di loro, ma per giuoco. E chi sapeva allora che c’erano da qualche parte i partigiani? Adesso si chiedeva disperata di che natura potesse essere il legame che univa suo marito a questi due sconosciuti. Era stato a letto con la donna, allora? Ma no, non era gelosia, la sua, lo capiva, cominciava a capirlo, ormai. E poi quando parlava di quegli anni, in casa, e anche ora, qui nel salottino di questo giudice e di sua moglie – i suoi compagni d’allora, ritrovati dopo tanto tempo –, Elio non nascondeva mai il suo odio per la guerra: la detestavano tutti, è naturale: anche Landi, anche Elena (be’ alla fine questo dolce non è da buttar via): ma lei, Clara, capiva questo, adesso, finalmente: capiva per la prima volta che quell’esperienza in qualche modo li aveva arricchiti, aveva dato loro, ad Elio e a questi amici, una dimensione umana e una misura e capacità di giudizio, di tolleranza, che a lei mancavano, per esempio: e le pareva quasi di sentirsi, a

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un tratto, come privata d’un bene, esclusa dalla possibilità di poter intendere, finalmente, che cosa è la vita.155

Al centro de Le rose c’è il tema del recupero della memoria: il profumo che proviene dal roseto della donna – che lo sta mostrando a degli amici che sono andati a trovarla durante una gita domenicale – le suscita un senso di rimpianto per la giovinezza ormai appassita e le fa tornare in mente il ricordo di un giovane soldato tedesco che aveva alloggiato lì durante il periodo dell’occupazione.

Tutte storie, queste, che sanciscono un distacco tra le nuove e le vecchie generazioni, separate