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DI AUTRICI REAL

1. LA POESIA CORTIGIANA DEGLI AMBIENTI UFFICIAL

Come anticipato, i cinque casi presentati in questo paragrafo riguardano quelle cortigiane che hanno operato nei contesti ufficiali della corte, dei banchetti o delle case degli alti funzionari dello stato. Poiché le poesie da loro composte sono il prodotto diretto di tali contesti, esse sono qui analizzate come espressione dell’esperienza poetica femminile all’interno dei salotti dell’alta società. In linea con questo criterio selettivo, le cortigiane incluse in questo paragrafo sono, nell’ordine, Chang Hao 常浩, Zhang Yaotiao 張窈窕, due cortigiane anonime iscritte rispettivamente nel Registro delle Musicanti di Taiyuan 太原 e di Wuchang 武昌 e madama Liu 柳氏. Le poesie di queste autrici sono tutte incluse nel rotolo n. 802 del QTS, ad eccezione di quelle di Madama Liu che compaiono nel rotolo n. 800.

1.1 ––––––– Il topos della donna in pena: Chang Hao 常浩常浩常浩常浩

下階拜新月 拜月如有詞83

Discende i gradini e s’inchina alla luna nuova. Si inchina alla luna come avesse favella. –– Chang Hao ––

Le notizie di carattere biografico relative a Chang Hao attualmente disponibili si limitano ai pochi caratteri che anticipano le sue poesie nel rotolo n. 802 del QTS dove si legge:

常浩。妓也。詩二首。84

Chang Hao. Cortigiana. Due poesie.

Con una tale scarsità di dati è praticamente impossibile anche solo tentare di collocare questa poetessa in un momento preciso all’interno della dinastia Tang, tuttavia ella è generalmente considerata un’autrice del tardo periodo. La prima poesia riportata a suo nome nel QTS si intitola “Donata a madama Lu” (Zeng Lu furen 贈盧夫人) 85 erecita:

Una donna venusta ha cara la propria beltà, 佳人惜顏色 Per timore che svanisca come l’olezzo di fiori odorosi. 恐逐芳菲歇 Al crepuscolo lascia la sala dipinta, 日暮出畫堂 Discende i gradini e s’inchina alla luna nuova. 下階拜新月 Si inchina alla luna come avesse favella, 拜月如有詞 Chi le sta intorno, come potrebbe capire? 傍人那得知 Rientra, s’abbandona sul cuscino di giada, 歸來投玉枕 E sente le lacrime il volto rigarle. 始覺淚痕垂

Il verbo zeng 贈 (“donare, offrire in dono a”) presente nel titolo di questa poesia fornisce informazioni sulla natura del componimento. Tale verbo era usato, infatti, nei titoli delle poesie scritte in risposta ad altre, per ricambiare dei versi ricevuti in dono da un’altra persona o all’interno di un certame poetico. In questo caso non ci è dato sapere quale poesia Chang Hao avesse ricevuto da madama Lu, né quale fosse la natura dello scambio tra le due donne:

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“Donata a madama Lu” (Zeng Lu furen 贈盧夫人). QTS, 802.9025.

84

Ibid.

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potrebbe trattarsi di una gara di abilità poetica o forse, più semplicemente, di uno scambio di doni tra due amiche. Sebbene non vi siano informazioni precise sugli eventi che generarono questo componimento, la seconda ipotesi sembra, tuttavia, quella meno probabile, dato lo status del destinatario di questi versi suggerito dall’appellativo furen 夫 人 (“signora, madama”) presente nel titolo. Tale appellativo fa riferimento, infatti, ad una donna di rango medio-alto, moglie di un letterato o di un funzionario, e non di certo ad una cortigiana. Purtroppo, però, per quanto interessante sarebbe riuscire a capire cosa legasse due donne appartenenti a classi sociali così diverse, bisogna tuttavia arrendersi di fronte alla scarsità dei dati sopravvissuti all’incuria del tempo.

Dal punto di vista formale, questo componimento si presenta come una poesia codificata (lüshi 律詩) di otto versi pentasillabici, formata da due strofe simmetriche con rime alterne nei versi pari della prima stanza (xie 歇, yue 月) e nei versi n. 1, n. 2 e n. 4 della seconda (ci 詞, zhi 知, chui 垂). In essa, l’autrice rispetta solo parzialmente l’opposizione tematica tipica della poesia cinese classica secondo la quale ciascuna strofa andrebbe divisa in due distici che descrivono, rispettivamente, ciò che è “esterno” (wai 外) e ciò che è “interno” (nei 內) o introspettivo. La prima strofa, infatti, non rispetta questa ripartizione e i primi tre distici sono tutti incentrati su ciò che è esterno e transitorio: la bellezza esteriore che sfiorisce, l’olezzo dei fiori che si disperde e una donna che “esce dalla sala dipinta” (chu hua tang 出畫堂)86 per salutare la “luna nuova” (xin yue 新月). Come sottolineato dai verbi xi 惜 (“aver caro, custodire”), kong 恐 (“temere”), xie 歇 (“svanire”) e xia 下 (“discendere”), tutto appare precario ma allo stesso tempo ciclico, come la luna: la venustà matura pian piano e, giunta al suo culmine, decade. Lo stesso succede ai fiori, il cui profumo, una volta esploso nell’aria, si spegne in fretta. Nulla di tutto questo potrà rigenerarsi perché vive un ciclo unico fatto di nascita, maturità e morte. Solo la luna che, terminato un ciclo ne inizia un altro, si sottrae alla caducità della vita e delle cose in quello che è stato definito “a realm of permanence within change”87. In netto contrasto con i versi precedenti, il distico conclusivo è l’unico ad essere incentrato sulle tematiche interiori: in esso è descritto il “ritorno” (guilai 歸 來 ) della protagonista nella sala e il momento, estremamente intimo e personale, dell’abbandono in lacrime su un poggiatesta di giada.

Sul piano retorico, il ritmo della poesia è scandito da un parallelismo delicato e nascosto, sapientemente costruito sulla disposizione delle parole all’interno delle varie strofe e sulla

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Il termine hua tang 畫堂 (lett. “sala dipinta”) indica una sala elegante, dagli arredi sontuosi.

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loro organizzazione per classi grammaticali. Tale parallelismo raggiunge il suo culmine nel secondo distico della prima strofa, che recita:

Al crepuscolo lascia la sala dipinta, 日暮出畫堂 Discende i gradini e s’inchina alla luna nuova. 下階拜新月

In entrambi i versi che formano questo distico si susseguono, in posizione parallela, un’espressione composta da due ideogrammi che indicano discesa (rimu 日暮 “crepuscolo”, e xia jie 下階 “discendere i gradini”), un verbo monosillabico (chu 出 “uscire”, e bai 拜 “inchinarsi”) e un aggettivo seguito da un nome (hua tang 畫堂 “sala dipinta”, e xin yue 新 月 “luna nuova”).

Sul piano semantico, la poesia descrive una donna che esce in cortile per salutare la luna nuova prima di rientrare nella sala dipinta e abbandonarsi in lacrime sul cuscino. Entrambe le strofe di cui si compone l’opera sono dinamiche, ma tale dinamismo è lento e pacato. Esso è scandito dal ritmo flemmatico dei movimenti precisi e indolenti compiuti dalla protagonista mentre esce dalla sala, scende i gradini e si inchina all’astro notturno, prima di rientrare nelle proprie stanze. L’intera poesia è dominata da parole che trasmettono un senso di penombra e di semi-oscurità come la luna, il tramonto e una sala dipinta sul far della sera. Ma l’aspetto più interessante di questo componimento, dal punto di vista retorico, è l’anadiplosi tra il quarto e il quinto verso costruita sulle parole bai yue 拜月 (“inchinarsi alla luna”):

Discende i gradini e s’inchina alla luna nuova. 下階拜新月 Si inchina alla luna come avesse favella [...] 拜月如有詞

La forma ripetitiva utilizzata in questo distico rimanda ad un rituale magico o a una preghiera. Secondo Renzi, infatti, esiste “una relazione tra ripetizione e pratica della magia attraverso la parola” 88. E poiché quello di “inchinarsi la luna” era un rituale compiuto regolarmente dalle donne della Cina imperiale per preservare la propria bellezza, la presenza di questa figura retorica, detta in cinese dingzhen 頂真, in questo punto preciso dell’opera non è per nulla casuale. E casuale non è la posizione del termine “luna” (yue 月) che compare esattamente al centro dell’opera, a legare le due strofe, quasi a voler sottolineare che è l’astro notturno il vero protagonista di questo componimento. Sul piano figurativo, infatti, la poesia è tutta incentrata sul simbolismo della luna. Secondo l’iconografia cinese sviluppatasi a partire

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dallo Shujing 書經 (“Il classico dei documenti”) e ampliata poi dalla scuola dello Yin 陰 e dello Yang 陽 nel periodo Han, la luna – insieme con l’acqua, l’oscurità, la notte, il freddo – incarna il principio femminile dello yin. Per questo motivo, la luna è usata spesso nella poesia cinese come metafora privilegiata per la donna, in opposizione al sole che, invece, rappresenta l’uomo.

L’usanza diffusa tra le donne Tang di riverire la luna, proferendole profondi inchini, ha origini antiche. Essa affonda le radici nella leggenda secondo la quale la luna sarebbe abitata dalla dea immortale Chang’e 嫦娥, che ivi risiede da quando ha rubato l’elisir di lunga vita al marito Houyi 後羿. Nella tradizione cinese la figura di questa divinità, condannata a vivere da sola sulla luna per l’eternità, incarna la solitudine per antonomasia. Essendo tuttavia immortale, Chang’e è anche il simbolo dell’eterna giovinezza e, per questo motivo, è a lei che le fanciulle dell’antichità si inchinavano nella speranza di rallentare lo sfiorire della propria giovinezza. Ed è mossa da tale speranza che la protagonista di questi versi lascia la sala dipinta per recarsi nel cortile immerso nella penombra del crepuscolo. I primi due distici della prima stanza sono, infatti, in rapporto di causa-effetto tra loro: ella riverisce la luna perché ha paura di invecchiare e vuole a tutti i costi preservare la propria giovinezza prima che svanisca “come l’olezzo di fiori odorosi” (fangfei 芳菲). L’ansia di invecchiare era particolarmente diffusa tra le cortigiane, le quali, basando il proprio successo sulla bellezza fisica oltre che sul talento artistico, temevano la vecchiaia più di ogni altra cosa. La senilità segnava, infatti, la fine della loro carriera da intrattenitrici e l’inizio di una profonda solitudine, vissuta in ritiro in monasteri o residenze lontane dai salotti dell’alta società e dai centri urbani.

In questa poesia, il simbolismo della luna raggiunge il suo culmine nel distico che chiude la prima strofa, dove gli astri e la donna sono fusi in un fitto intreccio di movimenti senza soluzione di continuità: al tramonto, la fanciulla esce dalla sala dipinta proprio come la luna appare nel firmamento e, al pari del sole che, tramontando, lascia il palco all’astro notturno, anch’ella discende i gradini per inchinarsi ad esso.

La seconda strofa si contrappone alla prima spostando, in particolare dal secondo distico in poi, la scena all’interno della sala dipinta. Compiuto il suo rituale magico di bellezza, la protagonista rientra nelle proprie stanze e si abbandona alle lacrime. Il pianto della donna scaturisce dalla consapevolezza che nessuna riverenza potrà mai fermare lo scorrere inesorabile del tempo né liberarla dalla solitudine che, a quanto pare, domina ormai la sua vita. Questa solitudine è palesata dall’assenza di altre figure umane all’interno della sala che, per questo, resta avvolta da un silenzio denso, quasi assordante. Tale silenzio viene percepito soprattutto nei versi n. 5 e n. 6, quando la fanciulla si inchina alla luna “come se avesse

parole” (ru you ci 如有詞) ma, di fatto, non vi è nessun tipo di comunicazione. Tutto è muto perché la conversazione è oltre le parole. Di conseguenza, tali parole restano ignote alle “persone intorno” (bangren 傍人), non solo perché ella non le pronuncia a voce alta, ma anche perché, forse, intorno a lei ormai non c’è più nessuno. E più nessuno c’è ad attenderla nella sala dipinta che in passato, all’apice della sua carriera di cortigiana, pullulava probabilmente di artisti e letterati. Immersa in simili pensieri, la protagonista di questi versi si “abbandona sul cuscino di giada” (tou yuzhen 投玉枕), dove versa le proprie lacrime nella solitudine e nel silenzio delle camere femminili.

Il tema della solitudine è ripreso anche nella seconda poesia attribuita a Chang Hao nel QTS, la quale si intitola “Inviata lontano” (Ji yuan 寄遠) e recita:

Anno dopo anno, la seconda luna 年年二月時

Per due lustri ha scandito il tempo del nostro addio. 十年期別期 La brezza primaverile non conosce fedeltà, 春風不知信 Mentre l’elato parasole, solitario, s’attarda. 軒蓋獨遲遲 Oggi, senza ragione, ho arrotolato la tendina di perle, 今日無端卷珠箔 Ed ho visto fiori nella corte avvizzire e cadere ancora. 始見庭花複零落 Il cuore di un uomo una volta partito più non ritorna, 人心一往不復歸 Mentre gli anni, i mesi, giungono sempre puntuali. 歲月來時未嘗錯 Che pena la baluginante toletta di giada: 可憐熒熒玉鏡臺 Coperta di polvere una coltre. Quando si riaprirà? 塵飛冪冪幾時開 Ripensando alla bellezza del tempo che fu, 卻念容華非昔好 Sopracciglia dipinte ancora del signore attendono il ritorno. 畫眉猶自待君來

Dal punto di vista formale questo è un componimento nello “stile antico” (gutishi 古體詩), detto zayan 雜言 (“versi di lunghezza diversa”) perché composto da quartine con versi di varia lunghezza. In questo caso, la metrica alterna versi pentasillabici ed eptasillabici. Ciascuna strofa contiene tre rime, rispettivamente nel primo, secondo e quarto verso (shi 时, qi 期, chi 遲 nella prima strofa e bo 箔, luo 落, cuo 錯 nella seconda, e tai 臺, kai 開, lai 來 nella terza).

Come nella poesia “Donata a Madama Lu”, anche in questo caso il titolo fornisce informazioni sulla natura della composizione: al pari di tutte le poesie che avevano questo verbo nel titolo, essa è stata scritta per essere “inviata” (ji 寄) a qualcuno ormai lontano. Sul piano descrittivo e fattuale questa poesia racconta, infatti, di una coppia di innamorati costretti

ogni anno a separarsi nel secondo mese del calendario lunare, ovvero in primavera, mentre il vento soffia senza costanza e la carrozza dell’amato funzionario viaggia lenta e solitaria lungo la strada. Sollevando la tendina di perle, la protagonista di questi versi osserva i fiori cadere in giardino: è tempo, ma egli non è ancora tornato. E davanti a questa scena ella pensa a quanto siano diversi il cuore umano e le stagioni: il primo – metafora dell’amato – tarda a ritornare, mentre le seconde giungono sempre con estrema puntualità e, con la loro ciclicità, scandiscono non solo il tempo dell’addio, ma anche il suo lento e progressivo invecchiare.

Nella strofa finale, lo sguardo dell’autrice si sposta dall’esterno del giardino all’interno della propria stanza. Lì ella rimira “la toletta di giada” (yu jingtai 玉鏡臺), che era solita usare quando era ancora giovane e bella e che ora è chiusa ormai da tempo, sepolta sotto uno spesso strato di polvere. Così, nel finale della poesia, lo sguardo dell’autrice si fa introspettivo e si concentra sulla donna che, sebbene sia ormai invecchiata, aspetta ancora il ritorno del proprio amato. Sul piano semantico, questa è l’unica strofa statica dell’intera poesia, in contrasto con le prime due, rese dinamiche dal vento che soffia, dall’immagine di una carrozza in viaggio verso una meta lontana, dai fiori che cadono e dal susseguirsi ciclico delle stagioni. Il tema dominante della poesia è, infatti, lo scorrere inesorabile del tempo e la bellezza che sfiorisce. Non a caso, la prima strofa si apre con una lunga serie di espressioni di carattere temporale che coprono l’intero spazio del distico iniziale, nel quale nove caratteri su dieci sono riferiti al tempo: niannian 年年 (“anno dopo anno”), er yue 二月 (“la seconda luna”), shi 時 (“tempo”), shi nian 十年 (“dieci anni”), qi 期 (“periodo”).

Dal punto di vista retorico, in questa poesia l’autrice fa ampio uso del parallelismo e della tecnica – detta in cinese leizi 類字 (“caratteri simili”) – che prevede la ripetizione di due parole uguali nello stesso verso. Questa tecnica stimola l’udito e rafforza l’oralità e la musicalità dell’intero componimento, mettendo in relazione parole simili per accrescerne i richiami di senso. Le parole ripetute possono essere consecutive o separate tra loro da un altro lemma e hanno lo scopo principale di favorire la memorizzazione e, allo stesso tempo, la ritmicità dell’opera. Questa tecnica è sfruttata abbondantemente dall’autrice nella prima strofa, dove compaiono tre ripetizioni:

Anno dopo anno, la seconda luna 年年二月時, Per due lustri ha scandito il tempo del nostro addio. 十年期別期。 La brezza primaverile non conosce fedeltà, 春風不知信, Mentre l’elato parasole, solitario, s’attarda. 軒蓋獨遲遲。

Attraverso la ripetizione della parola nian 年 (“anno”), ad esempio, l’incipit della poesia pone l’enfasi sul trascorrere del tempo, sulla sua continuità e ciclicità e permette, così, al lettore di sentire con forza il peso della lunga attesa della cortigiana che “anno dopo anno” (niannian 年年) attende il ritorno del proprio amato. La ripetizione del carattere qi 期, invece, spezza in due il secondo verso e, in questo modo, rafforza la tragicità che caratterizza la separazione dei due amanti, costretti a lasciarsi ogni anno. Nella stessa strofa, in chiusura, la ripetizione del carattere chi 遲 (“lento, tardo”) sottolinea l’avanzare lento della portantina e, per estensione, anche del tempo. La stessa tecnica si ritrova anche nel distico che apre la terza e ultima strofa della poesia:

Che pena la baluginante toletta di giada: 可憐熒熒玉鏡臺, Coperta di polvere una coltre. Quando si riaprirà? 塵飛冪冪幾時開。

Qui l’opposizione tra gli aggettivi “baluginante” (yingying 熒熒) e “fitto” (mimi 冪冪), creata con la tecnica detta diezi dui’ou 疊字對偶 (“opposizione per ripetizione”), rende estremamente efficace l’immagine dello specchio, oggetto per sua natura lucido e brillante, che ora è sommerso da un fitto strato di polvere. In questo distico, Chang Hao riesce a sfruttare al massimo le potenzialità del proprio materiale iconografico, stimolando nel lettore sia il senso dell’udito, attraverso la musicalità generata da questa ripetizione, sia quello della vista, per il tramite dei due composti bisillabici yingying 熒熒 e mimi 冪冪 i quali, anche a livello grafico, sono particolarmente eloquenti.

Sul piano figurativo, in questa poesia l’autrice utilizza delle immagini che appartengono a quello che Renzi definisce “simbolismo pubblico”, ovvero a quella serie di simboli che fanno parte di un repertorio culturale comune, valido per tutti i membri di una data comunità, e che si contrappone al “simbolismo privato” dei singoli poeti89. Attraverso tale simbolismo, Chang Hao guida il lettore dal livello fattuale e descrittivo della propria opera, a quello più profondo e allusivo, che può essere così compreso senza sforzo da tutti coloro che sono familiari con quel dato repertorio. Fanno parte di questo simbolismo la luna, lo zefiro primaverile, i fiori che cadono, lo specchio impolverato e le sopracciglia dipinte. La luna nel primo verso, sebbene sul piano descrittivo indichi il secondo mese del calendario lunare, sul piano figurativo si carica di un significato diverso: essa simboleggia la solitudine che caratterizza ogni anno i giorni della protagonista proprio a partire da quel secondo mese quando, cioè, è costretta a separarsi dall’amato. Nel distico che chiude la prima strofa, la “brezza di

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primavera” (chunfeng 春風) è, invece, metafora della passione amorosa che è incostante come il vento della stagione mite. L’immagine di un “elato parasole” (xuan gai 軒蓋) che si attarda lungo la via, infine, rappresenta metonimicamente un’elegante carrozza che, a sua volta, è sineddoche dell’alto funzionario che viaggia al suo interno.

Nella seconda strofa, i fiori che avvizziscono e cadono simboleggiano la bellezza della protagonista che sfiorisce mentre gli anni e i mesi si susseguono senza tregua. Il lento invecchiare della cortigiana è sottolineato anche dall’immagine dello “specchio da toletta” (jingtai 鏡臺) ricoperto di polvere che compare nell’ultima strofa. Questa immagine, tratta dal repertorio iconografico della poesia cinese classica, è metafora di una donna che soffre per amore. Afflitta dalla stessa pena, la cortigiana, ormai invecchiata, lascia la toletta chiusa a ricoprirsi di polvere per paura di specchiarvisi e trovare un viso segnato dal tempo. Sul piano