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Capitolo III Il regime fiscale degli ETS

3.1. La commercialità degli ETS: la summa divisio

3.1.3. La portata interpretativa dell’art 79 CTS

La riforma della fiscalità degli ETS ha inteso perseguire l’obiettivo di garantire l’omogeneità e la semplificazione dei regimi fiscali vigenti nel settore del non profit, attribuendo primaria rilevanza alle finalità sociali realmente perseguite dall’ente. Il quadro normativo tracciato garantisce il superamento dei fenomeni distorsivi riscontrati in un sistema fatto di regimi speciali che si sono stratificati nel tempo, assegnando vantaggi fiscali non sempre in modo coerente e tenendo conto della effettiva attività svolta dagli stessi213.

Come già rilevato, indipendentemente dal quomodo dell’attività svolta, un ETS è tale se rispetta i requisiti ex art. 4 CTS e le finalità solidaristiche e di utilità sociale nonché le attività di interesse generale ex art. 5 CTS. L’art. 79 CTS, mediante il criterio della prevalenza, permette di inquadrare un ETS complessivamente come ente commerciale o non commerciale e, di conseguenza, individuare il regime fiscale ad esso applicabile. Altresì, l’art.

212 LOFFREDO F., Gli enti del Terzo settore, Giuffrè, Milano, 2018, 273

213 SEPIO G., La nuova fiscalità degli enti del Terzo settore, CNDCEC e FNC, Riforma del

Terzo settore, Informativa periodica, 4 agosto 2017; RECCHIONI L., Nuovo regime

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79 specifica che agli ETS si applicano le disposizioni di cui al titolo II del TUIR, “in quanto compatibili”214. Partendo da questo assunto, occorre

interrogarsi sulla portata interpretativa della norma testé analizzata e sul rapporto fra l’art. 79 CTS rispetto al Testo Unico e in particolare all’art. 73 TUIR.

Nello specifico, occorre chiedersi se possa essere considerato all’interno di un rapporto da genus (art. 73 TUIR) a species (art. 79 CTS), ovvero se si debba parlare di un vero e proprio doppio binario. È da notare che il CTS non è allineato fiscalmente con il d.lgs. 112/2017, nel senso che l’art. 79 CTS specifica che le disposizioni fiscali si applicano agli ETS diversi dalle imprese sociali215. Invero, per quanto concerne l’impresa sociale, l’art. 18 d.lgs.

112/2017 delinea un apposito trattamento fiscale per gli enti che svolgono attività di interesse generale con modalità prevalentemente commerciali, assicurando la non imponibilità degli utili o avanzi di gestione non distribuiti e reinvestiti nelle finalità istituzionali. Detta disposizione ha il pregio di colmare una lacuna del nostro ordinamento e contribuisce a realizzare un sistema impositivo che tiene realmente conto delle diverse modalità organizzative riscontrabili all'interno del mondo non profit216.

214 TASSANI T., L’inquadramento fiscale dell’ente del Terzo settore e la verifica della natura non commerciale, CNDCEC e FNC, Riforma del Terzo settore, Informativa periodica,

4 agosto 2017

215 LOFFREDO F., Gli enti del Terzo settore, Giuffrè, Milano, 2018, 272

216 SEPIO G - SILVETTI F. M., La (non) commercialità degli enti nel nuovo codice del terzo settore, Fisco, 2017, 38, 3621

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Il CTS fornisce un criterio positivo per stabilire la non commercialità delle attività di interesse generale, innovativo rispetto all’impostazione del TUIR il quale individua le attività non commerciali in negativo, ossia in via residuale, in quanto prive delle caratteristiche tipiche della commercialità indicate dall'art. 55 TUIR.

È d’uopo dare conto che il decreto correttivo (d.lgs 105/2018, artt. 23-29) è intervenuto sul Titolo X del CTS, con riferimento al regime fiscale degli ETS. Esso è basato sulla distinzione tra attività commerciali e non commerciali svolte e, dunque, sulla natura dell’ente. Tale distinzione consente di disciplinare in termini differenti la fiscalità degli enti che svolgono l'attività istituzionale con modalità commerciali rispetto a quelli che non esercitano (o esercitano solo marginalmente) l'attività di impresa.

L’art. 79 CTS individua le attività svolte dagli ETS non commerciali, in rapporto alle modalità con le quali sono gestite da parte dell’ente: essi hanno natura non commerciale se svolgono in via esclusiva o prevalente le attività di interesse generale indicate dall’articolo 5 CTS in conformità ai criteri gestionali individuati.

Le attività di interesse generale di cui all’art. 5 CTS sono considerate di natura non commerciale se svolte a titolo gratuito o dietro versamento di corrispettivi che non superano i costi effettivi ex art. 79, comma 2, CTS, al netto di eventuali apporti pubblici (connessi a regimi di accreditamento, contrattualizzazione o convenzione) e salvo importi di partecipazione alla

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spesa posti dalla legge a carico dell'utenza (si pensi, ad esempio, ai ticket sanitari)217.

L’art. 23 del decreto correttivo ha introdotto il comma 2-bis all’art. 79 CTS, in base al quale le citate attività si considerano non commerciali qualora i ricavi non superino di oltre il 10 per cento i relativi costi per ciascun periodo d’imposta e per non oltre due periodi di imposta consecutivi.

Gli ETS beneficiano di regimi fiscali in grado di valorizzare i diversi schemi con cui è possibile svolgere attività di interesse generale e senza scopo di lucro, senza subire penalizzazioni qualora i costi vengano coperti attraverso forme efficienti di autofinanziamento218.

L’art. 79 CTS indica specifici criteri per stabilire se le attività di interesse generale da questi svolte debbano considerarsi commerciali o non commerciali sulla base, quindi, di un criterio di prevalenza: detta analisi permette di stabilire se un ETS è complessivamente un ente commerciale o non commerciale e, in base a questa qualificazione, determinare quale sia il regime fiscale applicabile.

Un ETS è qualificabile come commerciale se, in concreto, i proventi derivanti da attività di interesse generale o secondarie svolte in forma di impresa

217 In particolare, il comma 2 dispone che le attività di interesse generale di cui all'articolo 5

svolte dagli enti del Terzo settore si considerano di natura non commerciale quando sono svolte a titolo gratuito ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e, comunque, non superiori alla metà dei corrispettivi medi previsti per analoghe attività svolte con modalità concorrenziali nello stesso ambito territoriale. Per determinare il costo effettivo si tiene conto anche del valore normale delle attività di volontariato e delle erogazioni gratuite di beni e servizi.

218 SEPIO G - SILVETTI F. M., La (non) commercialità degli enti nel nuovo codice del terzo settore, Fisco, 2017, 38, 3621

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prevalgono sulle entrate di natura non commerciale, che comprendono i contributi, le sovvenzioni, le liberalità, le quote associative ed ogni altra entrata assimilabile, nonché il valore normale delle cessioni di beni o prestazioni di servizi effettuati con modalità non commerciali219.

A mente del comma 3, non è commerciale l’attività di ricerca scientifica di particolare interesse sociale, svolte direttamente dagli ETS o affidate ad università o organismi di ricerca220. Le raccolte di fondi e contributi o apporti

pubblici erogati per lo svolgimento delle attività non commerciali di cui al comma 2 o di quelle di ricerca scientifica di cui al comma 3, pubbliche e occasionali, non sono imponibili secondo quanto previsto dal successivo comma 4. In questo caso, si tratta di non imponibilità e non di decommercializzazione, trattandosi di componenti reddituali che andrebbero regolarmente tassate se percepite da un soggetto che opera con criteri commerciali221. A mente del comma 6, si considera non commerciale

l’attività svolta dagli ETS associativi nei confronti dei propri associati o familiari e conviventi, in conformità alle finalità istituzionali dell’ente

219 Va detto, per completezza, che l'adozione di un criterio semplificato (rispetto a quello

previsto dall’art. 149 TUIR) come quello dell’art. 79 CTS, basato sull'analisi delle fonti di entrata potrebbe scontare talune rigidità applicative e condurre, per singoli periodi di imposta, alla riqualificazione commerciale di enti strutturalmente organizzati con modalità non commerciali, magari per il conseguimento di un provento straordinario che esula dalla sfera di non commercialità. Sul punto, SEPIO G - SILVETTI F. M., La (non) commercialità degli

enti nel nuovo codice del terzo settore, Fisco, 2017, 38, 3623

220 Si tratta di una disposizione che riprende l'art. 10, comma 1, lett. a), n. 11), D.Lgs.

460/1997 sulle ONLUS. La nuova formulazione e collocazione all’interno del CTS, però, porterebbe a pensare ad ambiti operativi più ampi e ad una maggiore flessibilità gestionale.

221 SEPIO G - SILVETTI F. M., La (non) commercialità degli enti nel nuovo codice del terzo settore, Fisco, 2017, 38, 3622

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(decommercializzazione); altresì, considera non imponibili le quote associative, salvo che le stesse costituiscano corrispettivi specifici versati a fronte della cessione di beni o prestazione di servizi222.

In conclusione, alla luce della Riforma del Terzo Settore, può dirsi superato quel principio – sinora cardine nella distinzione fra enti commerciali ed enti non commerciali – ex art. 149 TUIR, in forza del quale gli enti non commerciali possono perdere la loro qualifica laddove i proventi commerciali siano prevalenti rispetto alle entrate istituzionali. Detta disposizione, invero, non si applicherà più agli ETS venendo in rilievo, piuttosto, il criterio di prevalenza ex art. 79 CTS come sopra analizzato, ai fini della qualificazione dell’ente e dell’applicazione delle relative disposizioni fiscali. Invero, è il comma 5 del citato articolo a definire la commercialità o meno di un ETS; esso si sofferma sul raffronto tra le entrate riconducibili alle diverse attività svolte dall'ente e, dunque, su un dato che può essere riscontrato in modo rapido. Ancorché trovi ispirazione nell’art. 149 TUIR, esso si presenta di più immediata e semplice applicazione, in quanto l’art. 149 TUIR fornisce una serie di parametri concorrenti, al fine di consentire una valutazione globale ma che, in pratica, hanno sinora condotto a rilevanti incertezze sul piano dell'interpretazione, soprattutto in sede di accertamento223.

222 Quest'ultima disposizione ricalca l'art. 148, commi 1 e 2, TUIR ma si caratterizza per il

suo più ampio ambito applicativo, poiché comprende anche le attività istituzionali verso i familiari e conviventi degli associati.

223 FORTE N., TELEFISCO Nel Terzo settore potranno convivere enti non commerciali ed enti commerciali, QdF, 30 gennaio 2018

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Una volta che la Riforma avrà concretamente trovato attuazione, potranno convivere gli ETS commerciali e non commerciali: una volta iscritti nel RUNTS, gli uni e gli altri potranno fruire delle agevolazioni fiscali all’uopo previste dal titolo X del Codice del Terzo Settore224.

La portata interpretativa ed applicativa dell’art. 79 CTS, dunque, è rivoluzionaria nel senso di permettere che un ETS, ossia un ente che svolge attività di utilità sociale per fini solidaristici, possa svolgere attività commerciali, senza per ciò solo dover perdere la propria qualifica: a mutare saranno semplicemente le disposizioni fiscali di cui potrà (o meno) usufruire. Alla luce di quanto sopra, occorre considerare la portata interpretativa ed applicativa dell’art. 79 CTS: ossia se debba essere considerato come un “parametro di commercialità” autonomo rispetto all’art. 73 TUIR, trattandosi di una disciplina speciale che il legislatore ha voluto espressamente disciplinare ad hoc, derogando o comunque creando un doppio binario rispetto all’impostazione tradizionale.

Una considerazione del genere appare maggiormente in linea con l’ordinamento nazionale interno. Tuttavia, essa presta il fianco a un’obiezione: invece di riorganizzare e razionalizzare, una conclusione del genere porterebbe a delle disambiguazioni e rischia di creare dei problemi di coordinamento della normativa fiscale nonché di coerenza sistematica.

224 FORTE N., TELEFISCO Nel Terzo settore potranno convivere enti non commerciali ed enti commerciali, QdF, 30 gennaio 2018

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Un’ulteriore eccezione riguarda il crearsi all’interno dell’ordinamento di un doppio binario, ossia due nozioni di commercialità e di economicità: riconoscere che un ETS debba soddisfare una definizione diversa (indipendentemente dalla sua valutazione in termini di “migliore o peggiore”) di commercialità ed economicità non sembrerebbe razionale e, addirittura, rischierebbe di porsi in contrasto con i principi europei di non discriminazione e di concorrenza.

Pertanto, pare più opportuno e più coerente sia con l’ordinamento interno sia con una visione comunitariamente orientata negare che l’art. 79 CTS possa costituire un regime ad hoc per gli ETS ed affermare, piuttosto, che si colloca in un rapporto di specialità rispetto alle norme del TUIR, quindi in un rapporto da species a genus. In definitiva l’art. 79 persegue la finalità di garantire una certezza applicativa e di valorizzare i diversi modelli gestionali adottati dall’ETS, anche considerando il “valore normale” delle cessioni o prestazioni afferenti alle attività svolte con modalità non commerciali225.

225 TASSANI T., L’inquadramento fiscale dell’ente del Terzo settore e la verifica della natura non commerciale, CNDCEC e FNC, Riforma del Terzo settore, Informativa periodica,

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3.2. L’attività economica e lo scopo di lucro