CAPITOLO II – Gli strumenti di risoluzione attualmente previst
5.3 La posizione della giurisprudenza amministrativa sino alla
pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 2 del 2016
La giurisprudenza amministrativa prevalente (ma anche la dottrina) ha da sempre formulato obiezioni circa la possibilità di collegare l’estinzione del diritto di proprietà del privato all’unilaterale volontà di quest’ultimo di abdicare al proprio diritto, poiché la rinuncia si porrebbe in contrasto con l’esigenza di tutela della proprietà e con i principi civilistici194. Peraltro, la configurazione dell’azione risarcitoria
194 “Il diritto del proprietario si caratterizza per la sua perpetuità: è opinione diffusa che una proprietà ad tempus sia una nozione contraddittoria e che se quindi ad un diritto è apposto un termine finale di durata non lo si possa più qualificare come proprietà, ma vada ricostruito come un diritto parziale” di A. TORRENTE – P.
alla stregua di negozio unilaterale avente effetto abdicativo nei confronti del precedente proprietario, non renderebbe ragione dell’ulteriore effetto che dovrebbe conseguire all’atto di rinuncia della proprietà, cioè l’acquisto in capo all’Amministrazione di tale diritto195, fatto che contrasterebbe con il principio di tipicità dei modi di acquisto della proprietà di cui all’art. 922 c.c.196 e con il tenore dell’art. 42 bis del D.P.R. 327/2001, che riserva l’acquisizione ad una decisione discrezionale della Pubblica Amministrazione197.
Sentenze più drastiche hanno sostenuto una radicale impossibilità di rinuncia al diritto di proprietà, sia in generale, sia come forma di risoluzione di un’occupazione sine titulo, perché “Il bene immobile privato diventerebbe, per effetto di una siffatta abdicazione, una res
nullius, teoricamente acquisibile in proprietà per semplice occupazione
SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, Milano, 1985, pag. 325. Sulla perpetuità del diritto di proprietà si vedano anche L. MILITERNI, voce Proprietà privata, Enciclopedia giuridica de Il Sole 24 Ore, Milano, 2007, pagg. 340-341; A. DE CUPIS, in Riv. dir. Civ., 1982, I, pag. 165; D. BARBERO, Sistema istituzionale del diritto privato italiano, 1962, pagg. 720 ss.
195 Questo accadrebbe se la rinuncia avesse carattere traslativo anziché abdicativo. In quel caso, “dovrebbero coerentemente applicarsi i principi tipici della derivatività (tra i quali il principio per cui nemo plus iuris in alios transferre potest quam ipse habet), con la conseguenza che l’ente acquisterebbe il bene anche, in ipotesi, gravato da diritti o garanzie reali”, di G. MARI, Occupazioni sine titulo, espropriazione indiretta, acquisizione sanante e obblighi restitutori: gli orientamenti della giurisprudenza (ordianria e amministrativa) a confronto, in Riv. giur. ed., fasc. 01-02, 2016, pag. 69.
196 “L’art. 922 c.c. nel disciplinare i modi di acquisto della proprietà, stabilisce che la proprietà si acquista per occupazione, per invenzione, per accessione, per specificazione, per unione o commistione, per usucapione, per effetto di contratti, per successione a causa di morte e negli altri modi stabiliti dalla legge” di L. MILITERNI, voce Proprietà privata, Enciclopedia giuridica de Il Sole 24 Ore, Milano, 2007, pag. 365.
197 TAR Abruzzo, L'Aquila, Sez. I, sentenza 7 maggio 2015, n. 340, in
o invenzione. Il codice civile, però, ammette l'occupazione e l'invenzione, quali mezzi di acquisto della proprietà a titolo originario, solo per i beni mobili. È quindi evidente che il legislatore ha concepito un sistema tendente ad evitare che possano esistere beni immobili privi di proprietario a seguito di rinuncia abdicativa”.198Secondo questo orientamento, l’art. 827 c.c. - il quale, sotto la rubrica “Beni immobili vacanti”, afferma che gli immobili che non sono di proprietà di alcuno spettano al patrimonio dello Stato – andrebbe inteso come norma di chiusura avente la finalità di evitare la sopravvenienza all’entrata in vigore del medesimo Codice Civile di eventuali beni immobili privi di proprietario, mentre non potrebbe essere interpretato nel senso che
198 Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, sentenza 28 gennaio 2011 n. 676, con nota di A. LEONI, Rassegna delle pronunce adottate dalla giurisprudenza amministrativa a seguito della dichiarazione di incostituzionalità dell'art. 43 d.p.r. 8 giugno 2001 n. 327, in Riv. giur. ed., 2011, 1, pag. 203 . Più recentemente, TAR Calabria, Reggio Calabria, sentenza 26 marzo 2015 n. 310, in www.giustizia- amministrativa.it, la cui massima reca: “In caso di occupazione divenuta sine titulo di un'area, il giudice amministrativo non può condannare l'amministrazione al risarcimento nei confronti del proprietario per il controvalore del bene, quand'anche questa sia la richiesta formulata dal ricorrente: la legge non attribuisce rilevanza ad una dichiarazione unilaterale del proprietario, ma all'art. 42-bis d.p.r. n. 327 del 2001 attribuisce all'amministrazione il potere di acquisizione; inoltre, la domanda giudiziale volta al risarcimento per equivalente comporterebbe una rinuncia “condizionata'” alla pronuncia del giudice che liquidi il risarcimento ed il cui evento è comunque giuridicamente precluso, poiché — per il principio della separazione dei poteri — solo l'amministrazione può valutare quale degli interessi debba prevalere tra quelli “in conflitto” e decidere se restituire il terreno ovvero acquisirlo”.
Più drasticamente, TAR Puglia, Bari, Sez. II, sentenza 16 settembre 2014 n. 1111, in Riv. giur. ed., 2014, I, pag. 1066, secondo cui “Il diritto di proprietà non può essere fatto oggetto di atti abdicativi e, quindi, anche la richiesta di risarcimento formulata dal privato diretta ad ottenere il mero controvalore del fondo oggetto di occupazione sine titulo compromesso dall'opera pubblica, ancorché interpretata quale manifestazione della volontà di rinunciare alla proprietà del fondo, non può valere a determinare in capo al privato la perdita della proprietà del terreno illegittimamente occupato”.
sono automaticamente acquisiti al patrimonio statale anche i beni immobili vacanti in conseguenza di rinuncia abdicativa.
Per questo ordine di ragioni, l’indirizzo seguito dalla prevalente giurisprudenza amministrativa, antecedentemente al cambio di rotta avutosi nel 2016 ad opera del Consiglio di Stato, può dirsi di estremo sfavore circa la possibilità di configurare una rinuncia abdicativa al diritto di proprietà, implicita nella richiesta di risarcimento danni per equivalente monetario, da parte del privato espropriato illegittimamente, ma non sono mancate sporadiche sentenze del giudice amministrativo di orientamento opposto199.
199 Per fare un esempio, si può far riferimento all’ordinanza del CGA Regione Sicilia n. 265 del 21 febbraio 2013, in Riv. giur. ed., 2013, fasc. 3, I, pag. 446, con nota di F. TEDESCHI, dove si legge che “La tesi – ipotizzabile, ma non incontrovertibile – è che: 1) a fronte di un proprietario privato che non possiede; 2) il quale, anziché agire come ben sarebbe in sua facoltà, per la restituzione del bene in natura, agisca solo per conseguire il controvalore del bene (così affermando implicitamente di abdicare al proprio diritto dominicale); 3) nonché a fronte di un’amministrazione che, neppure per effetto della domanda giudiziale, esegua o almeno offra la restituzione del bene (accettando così implicitamente la rinunzia in proprio favore della proprietà sul bene); si realizzi una fattispecie traslativa atipica della proprietà del bene, dal privato all’amministrazione possidente, che ricomponga la cesura (necessariamente temporanea) tra possesso e proprietà. […] L’amministrazione, ove non voglia accettare gli effetti della volontà abdicativa del proprietario che abbia agito solo per il risarcimento, è dunque onerata di restituire la res prima della sentenza che, per la prima volta, abbia accolto la domanda.”