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Occupazioni illegittime della Pubblica Amministrazione e attuali strumenti di risoluzione del contenzioso

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Academic year: 2021

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INDICE

INTRODUZIONE ……….. 6

CAPITOLO I – Inquadramento generale sull’espropriazione per pubblica utilità e ipotesi di occupazioni illegittime ………….. 9

1.1 Inquadramento generale ………. 9

1.2 L’espropriazione per pubblica utilità. Cenni ……… 10

1.3 Fasi della procedura di esproprio ………. 13

1.3.1 Il vincolo preordinato all’esproprio ………. 13

1.3.2 La dichiarazione di pubblica utilità ………. 14

1.3.3. Il decreto di esproprio ……… 16

1.3.4 L’indennità di esproprio …....……….. 17

1.4 L’occupazione d’urgenza preordinata all’espropriazione …….... 18

1.5 Criticità delle procedure espropriative ………. 20

1.6 Quando si verifica un’occupazione illegttima. Premessa ….…… 23

1.7 Le varie ipotesi di occupazione illegittima ……….. 25

1.7.1 L’immissione in possesso senza dichiarazione di pubblica utilità. L’occupazione usurpativa pura .………….…... 25

1.7.2 L’annullamento giudiziale della procedura ablativa. L’occupazione usurpativa spuria …………..…………. 28

1.7.3 La scadenza dei termini di pubblica utilità …..……… 31

1.8 Considerazioni conclusive ……… 33

CAPITOLO II – Gli strumenti di risoluzione attualmente previsti dall’ordinamento per fronteggiare le occupazioni illegittime: l’aquisizione coattiva ex art. 42 bis del D.P.R. 327/2001 …….….. 34

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2.2 Dalla teorica dell’accessione invertita all’art. 43 del D.P.R.

327/2001 ………... 34 2.3 Acquisizione coattiva da parte della p.a.: osservazioni

generali sul nuovo art. 42 bis del D.P.R. 327/2001 ………...…. 45 2.4 Il presupposto fattuale: l’utilizzazione da parte dell’autorità

di un bene privato modificato per scopi di interesse pubblico ..……. 47 2.4.1 Il presupposto fattuale. L’autorità utilizzatrice …...……….. 48 2.4.2 Il presupposto fattuale. La condotta posta in

essere dall’autorità utilizzatrice ………...…. 49 2.4.3 Il presupposto fattuale. L’oggetto ………. 52 2.5 Il presupposto della illegittimità dell’azione amministrativa …... 53 2.6 Il presupposto dell’interesse pubblico prevalente rispetto al diritto di proprietà del privato: l’elemento discrezionale e l’assenza di

ragionevoli alternative ……….... 57 2.7 Obbligo di motivazione del provvedimento di acquisizione …… 60 2.8 Il pagamento di un indennizzo per danno patrimoniale e non …. 62 2.8.1 Indennizzo per danno patrimoniale ……….. 66 2.8.2 Indennizzo per danno non patrimoniale …..………. 69 2.8.3 Risarcimento del danno da occupazione senza titolo ….….. 71 2.9 La natura dell’art. 42 bis alla luce delle più rilevanti questioni affrontate in giurisprudenza ……….……….. 76 2.9.1 La sentenza della Corte Costituzionale n. 71 del 30

aprile 2015 ………..……….. 77 2.9.2 La sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 2

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del 9 febbraio 2016 ……… 81 2.10 Considerazioni conclusive ……….………. 84

CAPITOLO III – Gli strumenti di risoluzione delle occupazioni illegittime alternativi all’art. 42 bis esperibili dalla Pubblica

Amminstrazione. Usucapione pubblica e accordo transattivo …. 86

3.1 Considerazioni introduttive ……….………. 86 3.2 Gli strumenti di risoluzione delle occupazioni illegittime

alternativi all’art. 42 bis esperibili dalla Pubblica Amministrazione. L’usucapione pubblica ………..……….. 87 3.2.1 Natura giuridica dell’usucapione …….………...……. 87 3.2.2 Operabilità dell’usucapione prima delle recenti pronunce del Consiglio di Stato ………...………. 89 3.2.3 La posizione dei Tribunali Amministrativi Regionali e

della Corte di Cassazione ……….. 93 3.2.4 Criticità circa l’operatività dell’usucapione in relazione

alle fattispecie di occupazioni illegittime …...………. 99 3.2.5 La posizione del Consiglio di Stato a partire dalle Sentenze n. 3346 del 2014 e n. 3988 del 2015 …………..………. 104 3.2.6 Considerazioni conclusive ……….. 113 3.3 Gli strumenti di risoluzione delle occupazioni illegittime

alternativi all’art. 42 bis esperibili dalla Pubblica Amministrazione. L’accordo transattivo ……….... 115

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CAPITOLO IV – Gli strumenti di risoluzione delle occupazioni illegittime alternativi all’art. 42 bis. La restituzione del bene al proprietario previa rimessione in pristino stato ……….. 120

4.1 Considerazioni introduttive ………...………. 120 4.2 La tutela restitutoria nel periodo di vigenza dell’accessione

invertita ……….……… 121 4.3 Il recupero della tutela restitutoria del privato danneggiato dopo le pronunce della Corte di Strasburgo ……….………. 120 4.4 La posizione della giurisprudenza interna sulla tutela restitutoria a seguito della giurisprudenza europea ………....… 121 4.5 Natura giuridica della tutela restitutoria previa rimessione in pristino stato del bene trasformato ……..………. 124 4.6 L’obbligo della P.A. di provvedere per porre fine all’illecito permanente ………...……… 127 4.7 L’orientamento attuale della giurisprudenza amministrativa ed ordinaria in merito alla tutela restitutoria ……….… 130 4.8 Analisi dei rapporti tra la tutela restitutoria e il potere di

acquisizione ex art. 42 bis ……… 132 4.9 Analisi del rapporto tra potere di acquisizione ex art. 42 bis e giudicato restitutorio, alla luce della giurisprudenza formatasi dopo Adunanza Plenaria, Consiglio di Stato, Sentenza 9 febbraio 2016, n. 2 ………...………. 137

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CAPITOLO V – Gli strumenti di risoluzione delle occupazioni illegittime alternativi all’art. 42 bis. La tormentata vicenda della rinuncia abdicativa alla luce della più recente

giurisprudenza amministrativa ……….…… 146

5.1 Considerazioni introduttive ……….... 146

5.2 Natura giuridica della rinuncia abdicativa ad un diritto …….… 147

5.3 La posizione della giurisprudenza amministrativa sino alla pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 2 del 2016 ……...………….. 148

5.4 L’orientamento inaugurato dalla Sentenza n. 2 del 2016 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, in linea con la posizione della giurisprudenza ordinaria ……….. 152

5.5 Orientamenti giurisprudenziali contrastanti dopo la Sentenza n. 2 del 2016 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato …...… 154

5.6 La posizione assunta dal Consiglio di Stato a seguito delle Sentenze n. 2 e n. 4 del 2020 ……….…... 162

5.7 Considerazioni conclusive ……….……….… 167

CONCLUSIONI ………. 170

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INTRODUZIONE

Il presente elaborato si occupa di una delle principali e più interessanti tematiche in materia di espropriazione per pubblica utilità, che impegna la giurisprudenza e fa discutere la dottrina fin dalla fine dell’ Ottocento: le occupazioni illegittime di un bene perpetrate dalla Pubblica Amministrazione ai danni dei privati per scopi di interesse pubblico.

Nonostante il legislatore, nella Costituzione e nel Testo Unico in materia di espropriazioni (D.P.R. n. 327/2001), regoli accuratamente le fasi della procedura di esproprio, nella prassi si verifica talvolta che -pur in assenza dei necessari provvedimenti – le Amministrazioni occupino e utilizzino un bene privato fino a trasformarlo irreversibilmente per soddisfare esigenze di interesse pubblico. Tali sono le cd. occupazioni illegittime, o occupazioni sine titulo, in relazione alle quali saranno analizzati, nel corso della trattazione, gli strumenti di risoluzione messi a disposizione dall’ordinamento.

Si tratta di un tema che ha visto, nel corso dei decenni, il susseguirsi di una mole di interventi del legislatore e soprattutto della giurisprudenza, sia italiana che europea, capace quest’ultima di impattare enormemente sui destini della nostra Nazione, risolvendo e ridefinendo i contrasti interpretativi in tema di occupazioni sine titulo.

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Dopo un breve excursus sull’istituto dell’accessione invertita, creato dalla giurisprudenza italiana negli Anni 80 per tentare di porre rimedio alle occupazioni illegittime – istituto poi espunto dall’ordinamento negli Anni Duemila grazie all’intervento della CEDU -, l’attenzione sarà dedicata allo strumento della acquisizione coattiva ex art. 42 bis del d.P.R. n. 327/2001, procedimento speciale introdotto dal legislatore per consentire alla P.A. la legale acquisizione al proprio patrimonio indisponibile della proprietà di un bene illegittimamente occupato, ove sussistano i presupposti e le garanzie previste dalla legge. La ratio della norma, che ha travolto definitivamente il meccanismo dell’accessione invertita, va ricercata nell’intento del legislatore di contemperare opposte esigenze, cioè la tutela del diritto di proprietà e la soddisfazione di interessi generali.

Saranno poi oggetto di esame anche il controverso tema della usucapione pubblica, che ha visto la giurisprudenza ordinaria e amministrativa assai mutevole negli anni, nonché la possibilità di porre fine all’illegittima occupazione mediante un accordo, avente natura transattiva, stipulato tra l’Ente occupante e il soggetto leso.

Il privato espropriato di fatto potrà avvalersi, però, anche della tutela restitutoria, chiedendo alla P.A. occupante la restituzione del bene previa rimessione in pristino stato, accompagnata dal risarcimento del danno per il periodo di illegittima occupazione.

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Tema più dibattuto è stato, invece, quello della rinuncia abdicativa del privato al diritto di proprietà, come forma di cessazione dell’illecito perpetrato dalla P.A.: il tema sarà, pertanto, oggetto di analisi alla luce della più recente giurisprudenza amministrativa, anche se non è dato sapere se la via delineata con l’autorevole doppio decisum dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nell’anno appena trascorso sarà o meno la soluzione definitiva.

Ciò che è sicuro, indipendentemente dalla modalità di risoluzione prescelta, è che l’ occupazione sine titulo obbliga l’Amministrazione a porre fine alla situazione di illegalità, essendo essa titolare del potere-dovere di esercitare la funzione amministrativa per decidere la sorte del bene espropriato, in ottemperanza ai principi di imparzialità e buon andamento della Pubblica Amministrazione.

L’obiettivo del seguente elaborato sarà quello di evidenziare, quindi, tutti i suddetti strumenti di risoluzione attualmente a disposizione dei privati e delle amministrazioni pubbliche, nonché i rapporti tra essi intercorrenti, posto che da sempre il tema delle occupazioni illegittime coinvolge un’ampia platea di soggetti, dai cittadini vittime di pratiche illecite, ai funzionari pubblici, ai dirigenti e agli amministratori; e soprattutto perché si tratta di una tematica in continua evoluzione. Buona lettura.

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CAPITOLO I

Inquadramento generale sull’espropriazione per pubblica utilità e ipotesi di occupazioni illegittime

1.1 Inquadramento generale

Il tema delle occupazioni illegittime, o occupazioni senza titolo, perpetrate della Pubblica Amministrazione ai danni dei privati, ha da sempre costituito uno dei maggiori problemi del nostro ordinamento. Queste sono il portato di procedure espropriative mai avviate ovvero avviate ma non concluse o annullate.

Per poter affrontare il tema suddetto, sarà però necessario esaminare sommariamente quella che è la regolare procedura di esproprio, attualmente disciplinata nel D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, poiché le occupazioni illegittime ne rappresentano una patologia.

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1.2 L’espropriazione per pubblica utilità. Cenni

L’espropriazione1 per pubblica utilità costituisce un istituto giuridico di primaria importanza, che trova le sue fondamenta nell’art. 42, comma 3, Cost.2, in base al quale l’autorità pubblica, mediante un procedimento minuziosamente disciplinato dalla legge, può acquisire coattivamente al proprio patrimonio beni di proprietà privata per motivi di pubblico interesse, dietro corresponsione di una indennità.3 La sottrazione coattiva della proprietà privata è quindi riconosciuta in capo ai pubblici poteri non in generale, bensì solamente nelle ipotesi

1 Per la nozione di espropriazione, si veda F. CINTOLI – M. R. SAN GIORGIO, Proprietà e Costituzione. I principi giurisprudenziali, Giuffré, 2002, pagg. 40-41: “In tale prospettiva, con la sent. n. 6 del 1966 (della Corte Costituzionale, ndr) si è chiarito che essa non può essere ristretta al concetto di trasferimento coattivo, né il relativo obbligo di indinnizzo ricondotto esclusivamente al medesimo concetto, dovendo ricomprendersi, invece, nel genus delle espropriazioni tutte quelle ipotesi nelle quali il godimento del bene sia in tutto o in parte sottratto, per finalità di pubblico interesse, al proprietario, restando privo di importanza decisiva il fatto che questi ne resti o meno titolare, con la conseguenza che “è da considerarsi di carattere espropriativo anche l’atto che, pur non disponendo una traslazione totale o parziale di diritti, imponga limitazioni tali da svuotare di contenuto il diritto di proprietà incidendo sul godimento del bene tanto profondamente da renderlo inutilizzabile in rapporto alla destinazione inerente alla natura del bene stesso o determinando il venir meno o una penetrante incisione del suo valore di scambio. È altresì da considerare come di carattere espropriativo l’atto che costituisca servitù o imponga limiti a carico della proprietà, quando le une e gli altri siano di entità apprezzabile, anche se non tali da svuotare di contenuto il diritto del proprietario”. Per un approfondimento si veda Corte Cost., sentenza 19 gennaio 1966, n. 6, con nota di M. LUCIANI, Corte Costituzionale e proprietà privata, in Giurisprudenza costituzionale, 1997, pag. 1369 .

2 Art. 42, comma 3, Cost.: “La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale.” 3 “L’atto di espropriazione (detto anche provvedimento ablativo) ha per effetto il

trasferimento coattivo per ragioni di pubblico interesse della proprietà o di altro diritto reale su un determinato bene dal privato alla pubblica amministrazione, con la conseguente conversione del diritto reale dell’espropriato in un credito ad una somma di denaro a titolo di indennità.” di P. VIRGA, Diritto amministrativo, I, Milano, 1989, pag. 495. Sull’espropriazione per pubblica utilità si veda anche M. ROSSANO, L’espropriazione per pubblica utilità, Torino, 1964; G. LANDI, Espropriazione per pubblica utilità, voce dell’ Enc. dir. XI, pag. 806.

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previste dalla legge in modo tassativo, ossia quando la legge attribuisce all’amministrazione il potere di dichiarare la pubblica utilità di un’opera.

Un importante riferimento normativo lo troviamo anche nelle fonti sovranazionali, e più precisamente nell’art. 1, comma 1, del Protocollo addizionale alla CEDU, che dispone che “nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali di diritto internazionale”.

Attualmente, i presupposti per un sano procedimento espropriativo, nel senso di non viziato patologicamente e quindi legittimo, sono disciplinati nel già citato Testo unico in materia di espropriazioni (D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327), modificato con D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302, che ha abrogato la Legge Fondamentale del 25 giugno 1865, n. 2359, emanata all’indomani della unificazione nazionale. Questo disciplina e al tempo stesso scandisce il procedimento espropriativo nelle sue varie fasi.

Ponendo l’attenzione sull’art. 42, comma 3, Cost., si nota come questo costituisca una norma indispensabile per la ricostruzione dell’espropriazione per pubblica utilità, perchè pone tre principi cardine:

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la riserva di legge relativa, in base alla quale il trasferiemento coattivo della proprietà può essere disposto direttamente dalla legge o da un atto amministrativo che, in forza di quest’ultima, legittimi l’interferenza dalla pubblica autorità nella proprietà privata;

i motivi di interesse generale, che costituiscono le ragioni indefettibili per le quali si può procedere a espropriazione, nonché le effettive esigenze rilevanti per la comunità in funzione delle quali l’utilizzazione del bene trasferito sia concreta e attuale, e non già meramente ipotetica. L’identificazione di tali esigenze può rinvenirsi nella stessa legge che prevede la potestà ablatoria, come anche in essa può trovarsi definita solo la fattispecie astratta: la scelta discrezionale del legislatore di perseguire proprio con lo strumento ablatorio obiettivi riconoscibili come “motivi di interesse generale” presuppone che, secondo un criterio di ragionevolezza, sia identificabile una plausibile idoneità del mezzo al fine;

l’indennizzo, a titolo di ristoro per il sacrificio imposto al privato e elemento cardine di contemperamento fra il potere pubblico autoritario e il diritto di proprietà privata4.

4 Secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale, l’espressione indennizzo dell’art. 42, comma 3, Cost., non va intesa in senso letterale. Il costituente ha tenuto conto anche di elementi storici e non ha adottato relativamente all’indennità il criterio dell’effettiva corrispondenza al valore venale dell’immobile. Pertanto, l’indennizzo non significa in ogni caso l’integrale ristoro del sacrificio subito per effetto dell’espropriazione, ma il massimo di contributo e di riparazione che, nell’ambito degli scopi di interesse generale, la pubblica amministrazione può garantire all’interesse privato secondo una valutazione che spetta al legislatore nell’esercizio dei suoi poteri discrezionali, purché non si tratti di indennizzo apparente o meramente simbolico. Cfr. Corte

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1.3 Fasi della procedura di esproprio

Il potere espropriativo è attribuito a tutte le amministrazioni competenti a realizzare un’opera pubblica, cioè Stato, Regioni e Comuni5, e si articola in quattro fasi, disciplinate nel D.P.R. 327/2001: apposizione del vincolo preordinato all’esproprio, dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, decreto di esproprio, determinazione in via provvisoria dell’indennità di esproprio.

1.3.1. Il vincolo preordinato all’esproprio

Il vincolo preordinato all’esproprio rappresenta l’atto di collegamento tra l’attività di pianificazione del territorio e il procedimento espropriativo, ma più in generale costituisce il fulcro dell’esercizio del potere espropriativo.6 Può essere posto all’esito delle procedure di pianificazione urbanistica ordinarie e speciali o in seguito all’atto di approvazione di un progetto preliminare o definitivo di un’opera pubblica. Proprio il rilievo assunto dal vincolo nella procedura ha imposto di prevedere la partecipazione dei proprietari interessati già nella fase preliminare della sua apposizione7. Ai proprietari coinvolti

Cost., sentenza 29 dicembre 1959, n. 67, con nota di F. BARTOLOMEI, Procedimento espropriativo ed indennizzo secondo la Costituzione, in Giurisprudenza costituzionale, 1959, pag. 1177.

5 Art. 6 D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327.

6 Si vedano B. MONTANARI, Sui vincoli di piano regolatore, in Foro it., 1980, III, pag. 476; G. LANDI, Vincoli di piano regolatore generale con effetti espropriativi, in Foro amm., 1984, pag. 616.

7 Cfr. sul punto M. CROCI, La nuova disciplina dell’espropriazione per pubblica utilità, Giappichelli, 2005, pagg. 16 ss., secondo cui la tematica della

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deve essere infatti inviato con un congruo anticipo un avviso di avvio del procedimento, affinché possano formulare nei trenta giorni successivi le proprie osservazioni. Il vincolo ha durata di cinque anni ed entro questo termine deve intervenire la dichiarazione di pubblica utilità, a pena di decadenza.8

1.3.2 La dichiarazione di pubblica utilità

La dichiarazione di pubblica utilità ha perduto, con il Testo Unico, gran parte della rilevanza che aveva sotto la vigenza della Legge Fondamentale del 1865: in passato la dichiarazione di pubblica utilità era, infatti, un atto discrezionale volto ad accertare la conformità dell’opera da realizzare all’interesse pubblico, così da giustificare il trasferimento coattivo del diritto di proprietà. Nell’attuale disciplina essa, pur continuando a costituire il presupposto del decreto di esproprio (come si evince chiaramente dall’art. 8, comma 1, lett. b D.P.R. 327/2001), non è più configurabile come fase autonoma in senso proprio del procedimento espropriativo: molte leggi speciali hanno dequotato questa fase, ritenendola assorbita in altri atti, come ad esempio il progetto definitivo di un’opera pubblica o un piano di

partecipazione dei soggetti interessati al procedimento amministrativo ha assunto particolare rilievo con la legge 241/1990. Detta legge ha infatti introdotto nel nostro ordinamento la disciplina generale del giusto procedimento, stabilendo nel Capo III (artt.7-13) le modalità informative e partecipative in favore dei soggetti nei cui confronti il procedimento, e quindi il provvedimento finale, è destinato a produrre gli effetti.

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lottizzazione. Si ritiene che già in questi tipi di atti risulti accertato implicitamente l’interesse pubblico alla realizzazione dell’opera, motivo per cui si può concludere che la dichiarazione di pubblica utilità non costituisca più un atto avente natura discrezionale9.

La dichiarazione di pubblica utilità può esser definita come il provvedimento che “esprime in maniera diretta la valutazione

dell’interesse pubblico specifico che si collega alla realizzazione dell’opera pubblica. Esso imprime sul bene una peculiare destinazione all’esproprio, traducendo il vincolo espropriativo risultante dalla programmazione urbanistica in una modificazione oggettiva del regime proprietario. Il bene, dopo la dichiarazione di pubblica utilità, non risponde più alla sua originaria identità e gli effetti che ne discendono, non solo si riflettono al di là del novero dei meri interessi procedimentali, ma addirittura provocano, sul terreno degli interessi sostanziali, una forte compressione del diritto del proprietario”10.

Per quanto riguarda i termini11, di primaria importanza per garantire l’ordinato svolgimento della procedura e l’attualità dell’interesse pubblico, occorre precisare che l’atto di dichiarazione di pubblica utilità ha un’efficacia limitata nel tempo fissata in cinque anni,

9 L’evoluzione dell’ordinamento in questo settore è stata ben scandita dalla nota decisione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, sentenza 13 gennaio 1999, n. 14, in Lavoro nelle p.a., 1999, pag. 775.

10 Cfr. F. CINTOLI – M. R. SAN GIORGIO, Proprietà e Costituzione. I principi giurisprudenziali, Giuffré, 2002, pag. 75.

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suscettibili di proroga, oppure il diverso termine indicato nella dichiarazione. Si tratta di un termine che ha natura perentoria, per cui la relativa scadenza determina l’inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità12.

1.3.3 Il decreto di esproprio

Con il decreto di esproprio si determina il trasferimento del diritto di proprietà dall’espropriando al soggetto nel cui interesse è stato avviato il procedimento di esproprio. Il suddetto decreto svolge una funzione di riepilogo dell’intera vicenda espropriativa e di riduzione ad unità dei vari atti procedimentali: per questo motivo non presenta carattere discrezionale (la discrezionalità si è esaurita nelle precedenti fasi procedimentali), bensì presenta il carattere della doverosità, in relazione alle fasi che lo precedono. L’efficacia del provvedimento è però subordinata al prodursi di due condizioni sospensive legali: la notifica e l’esecuzione del decreto, che deve avvenire nel termine perentorio di due anni mediante l’immissione in possesso del beneficiario dell’esproprio13. L’emanazione del decreto di esproprio determina, nei confronti dei terzi, l’estinzione automatica di tutti i

12 Per quanto riguarda la natura giuridica della dichiarazione di pubblica utilità, questa rientra nella categoria degli atti cd. plurimi e scindibili, con la conseguenza che il giudicato di annullamento produce effetti ripristinatori della pienezza del diritto già affievolito solo per l’interessato ricorrente, come evidenziato in M. CROCI, La nuova disciplina dell’espropriazione per pubblica utilità, Giappichelli, 2005, pag. 22.

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diritti, reali o personali, gravanti sul bene espropriato, salvo quelli compatibili con i fini cui l’espropriazione è preordinata14.

1.3.4 L’indennità di esproprio

La determinazione dell’indennità di espropriazione, contenuta nel decreto di esproprio, rappresenta il connubio tra l’esigenza di tutela della proprietà privata e le ragioni di interesse pubblico sottese alla procedura. Secondo un orientamento ormai consolidato della Corte Costituzionale, l’indennizzo deve rappresentare un “serio ristoro” e affinchè ciò “possa realizzarsi, occorre far riferimento […] al valore del bene in relazione alle sue caratteristiche essenziali, fatte palesi dalla potenziale utilizzazione economica di esso, secondo la legge”15. Il procedimento di quantificazione dell’indennità trova fondamento negli artt. 20-22 del Testo Unico, che ne prevedono la definizione provvisoria e definitiva16. L’indennità di esproprio provvisoria viene individuata all’esito di una fase in contraddittorio con gli interessati, in cui è l’autorità espropriante a formulare all’espropriato un’offerta, che potrà o meno essere condivisa da quest’ultimo. L’espropriato, nei trenta giorni successivi all’offerta, può comunicare all’autorità

14 Art. 24 D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327.

15 Cfr. Corte Cost., sentenza 30 gennaio 1980, n. 5, con nota di AA.VV., L’indennizzo nell’espropriazione per pubblica utilità alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 5 del 1980, in Regioni e comunità locali, 1980, pag. 147.

16 Si veda, sul punto, M. CLARICH, Manuale di diritto amministrativo, Bologna, 2017, pag. 268.

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espropriante una dichiarazione irrevocabile di assenso rispetto alla proposta: in questo caso, il beneficiario della espropriazione e l’espropriato possono stipulare una cessione volontaria del bene con il pagamento immediato dell’indennità. Se invece l’espropriato non accetta la proposta, l’autorità espropriante emana comunque il decreto di esproprio, depositando l’indennità provvisoria che non è stata accettata presso la Cassa depositi e prestiti, e successivamente richiederà la determinazione definitiva dell’indennità ad una Commissione provinciale istituita presso l’ufficio tecnico erariale, come si evince dall’art . 11 del testo Unico17 .

Questa è, sommariamente, la macrostruttura delle procedure ablative che conduce alla concreta realizzazione di una espropriazione, ed è proprio partendo da questo quadro che possono ricavarsi le possibili forme di occupazioni illegittime, di cui si dirà in seguito.

1.4 L’occupazione d’urgenza preordinata all’espropriazione

La vicenda espropriativa può dar luogo ad un fenomeno che, negli anni, ha fortemente contribuito a intensificare le occupazioni illegittime della Pubblica Amministrazione, perché se ne è largamente abusato, ovvero l’occupazione d’urgenza preordinata

17 Per un approfondimento sul procedimento di determinazione delle indennità si veda M. CROCI, La nuova disciplina dell’espropriazione per pubblica utilità, 2005, pagg. 29 ss., ed Enciclopedia giuridica, vol. 6 , Sole 24 ore, 2007, pagg. 236 ss.

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all’espropriazione, disciplinata dall’art. 22 bis del Testo Unico18. Una volta avviato il procedimento espropriativo, l’amministrazione può acquisire la materiale disponibilità del bene del soggetto espropriando, e quindi iniziare a realizzarvi l’opera pubblica modificandolo irreversibilmente, nel momento immediatamente successivo alla dichiarazione di pubblica utilità, e ben prima dell’emanazione del decreto di esproprio (e quindi della conclusione del procedimento), ma solo in tre diverse fattispecie caratterizzate dalla presenza di un motivo di celerità atto a giustificare l’immediata immissione nel possesso. La prima fattispecie consente l’emanazione del decreto di occupazione d’urgenza nei casi in cui “l’avvio dei lavori rivesta carattere di particolare urgenza tale da non consentire, in relazione alla particolare natura delle opere, l’applicazione delle disposizioni di cui ai comma 1 e 2 dell’art. 20”. In questa ipotesi, l’autorità espropriante può emanare un decreto motivato in cui determina provvisoriamente un’indennità di occupazione e dispone l’occupazione anticipata dei beni: decreto che perderà efficacia qualora non si pervenga al decreto di esproprio nel termine di cinque anni. La seconda fattispecie è quella prevista per gli interventi di cui alla legge obiettivo (legge 21 dicembre 2001, n. 443), che integrano un’urgenza convenzionale, quindi già accertata per legge. L’ultima fattispecie riguarda invece i procedimenti espropriativi promossi nei confronti di un numero di destinatari superiore a

18 Si tratta di una novità introdotta dal D.Lgs. 27 dicembre 2002 n. 302, dal momento che nella originaria versione del Testo Unico non era prevista.

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cinquanta: in questo caso, il ricorso all’occupazione d’urgenza è giustificato da ragioni di celerità ed ha la funzione di semplificare la procedura.

Più in generale, in tema di occupazione d’urgenza preordinata all’espropriazione , il ricorso all’art. 22 bis è condizionato all’indefettibile necessità di una motivazione che dia conto dell’urgenza qualificata cui fa riferimento la norma, che deve essere comunque connessa alla particolare natura delle opere da realizzare sui suoli che si intendono fare oggetto di occupazione19.

1.5 Criticità delle procedure espropriative

I rigidi percorsi procedurali previsti dalla legge in tema di espropriazione per pubblica utilità, insieme ad altri fattori, hanno condotto nel nostro ordinamento all’affermarsi di prassi del tutto illegittime perpetrate dalle amministrazioni ai danni dei privati, fortemente lesive del diritto di proprietà sancito dall’art. 42 Cost. Si tratta di un’anomalia che, con il passare degli anni, si è appunto tramutata in prassi: le pubbliche amministrazioni esproprianti, anzichè procedere all’ablazione regolare dei beni dei privati secondo la normativa vigente, si immettono nel possesso anticipato dei beni dei privati, spesso trasformandoli irreversibilmente ed arrivando a

19 Si veda, sul punto, la massima di TAR Abruzzo, L’Aquila, Sez. I, sentenza 19 giugno 2007, n. 343, in Foro amm., TAR, 2007, fasc. 6, pag. 2115.

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realizzare l’opera pubblica senza aver affatto avviato la procedura espropriativa oppura avendola avviata, ma senza averla conclusa nei termini oppure a fronte di procedure legittimamente iniziate ma successivamente annullate da un giudice nazionale. L’affermarsi di queste deplorevoli prassi, che hanno dato vita, quindi, a illegittime occupazioni, è dovuta ad un insieme di cause da ricondurre essenzialmente al ruolo giocato dal legislatore e dalla giurisprudenza, ma anche dagli operatori di settore.

Da quando si è iniziato a parlare di espropriazioni per pubblica utilità, quindi ben prima della Legge Fondamentale del 1865, il legislatore ha emanato una serie molteplice e frastagliata di regolamentazioni e disposizioni di legge che non hanno reso semplice l’operato di chi avrebbe dovuto farne applicazione corretta e concreta. Queste numerose disposizioni hanno creato un sistema talmente complesso e caotico tale da rendere assai problematico trovare l’esatta disciplina di volta in volta applicabile al singolo caso concreto. Il problema si è in parte attutito con l’entrata in vigore, il 30 giugno 2003, del già citato D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (cd. Testo Unico sugli Espropri), che ha regolamentato in modo unitario la materia espropriativa, offrendo un quadro più o meno completo, ma non del tutto risolutivo, del problema delle occupazioni illegittime. Un ruolo di primaria importanza in tal senso è ricoperto oggi dall’art. 42 bis del Testo Unico, di cui si dirà più

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approfonditamente in seguito, il quale, anche se non brilla in chiarezza, mette a disposizione delle amministrazioni uno strumento acquisitivo in grado di superare il fenomeno delle occupazioni illegittime.

Accanto alla responsabilità del legislatore si colloca anche quella della giurisprudenza, che nel ventennio antecedente all’entrata in vigore del Testo Unico, ha introdotto forme di occupazioni senza titolo tradizionalmente denominate “occupazione appropriativa” (o “accessione invertita”) e “occupazione usurpativa”20: si tratta di istituti di origine pretoria, appunto, elaborati a fronte di situazioni di fatto in cui un bene immobile è stato oggetto di una procedura ablatoria illegittima e in costanza della stessa è stato trasformato (casi riconducibili alla cd. occupazione acquisitiva o alla occupazione usurpativa cd. spuria) oppure è stato sottratto a seguito di un’attività materiale di occupazione e trasformazione irreversibile posta in essere dal soggetto pubblico al di fuori di una procedura espropriativa (casi riconducibili alla occupazione usurpativa cd. pura).

Infine, anche gli operatori di settore, cioè funzionari, dirigenti ed amministratori, hanno contribuito al dilagare del fenomeno patologico delle occupazioni illegittime, perchè, spesso soprattutto a causa della

20 Come anche di recente ribadito dal Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 7 novembre 2016, n. 4636, in Foro amm., II, 2016, fasc. 11, pag. 2644: “Nel tempo sono stati elaborati i distinti istituti della occupazione “appropriativa” e di quella “usurpativa”, caratterizzati, nel primo caso, “da una anomalia del procedimento espropriativo, a causa della sua mancata conclusione con un formale atto ablativo”, nel secondo caso dalla “trasformazione del fondo di proprietà privata”, in assenza della dichiarazione di pubblica utilià”.

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complessità e delle lungaggini delle procedure di esproprio, non si attengono alla lettera delle procedure previste dalla legge.

1.6 Quando si verifica una occupazione illegittima. Premessa In generale una occupazione illegittima, o occupazione senza titolo, si manifesta nell’ipotesi in cui la proprietà privata sia stata occupata , utilizzata e trasformata dall’amministrazione ai fini della realizzazione di un’opera pubblica o di pubblica utilità, e tale occupazione si riveli illegittima in quanto difetti dei presupposti legislativamente previsti. Si tratta, quindi, di un esercizio patologico dell’attività amministrativa. Per meglio dire, occorre che sia intervenuta un’immissione nel possesso di beni altrui da parte della pubblica autorità, e che la stessa immissione non abbia portato ad una acquisizione regolare, a mezzo di titolo acquisitivo, ma che sia rimasta semplicemente una detenzione illecita. Questo fenomeno può verificarsi, come si dirà meglio nei prossimi paragrafi, se l’autorità espropriante ha occupato il bene altrui in assenza di una valida dichiarazione di pubblica utilità o in maniera totalmente abusiva fin dall’origine, oppure se, pur in presenza di una valida dichiarazione di pubblica utilità, non abbia concluso la procedura espropriativa nei termini previsti dalla legge, oppure se un giudice nazionale ha annullato la procedura ablativa in maniera retroattiva. Un contributo notevole al dilagare delle occupazioni

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illegittime in Italia si è avuto anche con l’uso distorto che si è fatto dell’art. 22 bis del Testo Unico, che disciplina l’occupazione d’urgenza preordinata all’esproprio, cioè la preventiva immissione in possesso del bene rispetto alla conclusione della procedura espropriativa: l’occupazione diventa illegittima se, secondo quanto previsto dall’art. 22 bis, comma 6, il decreto di occupazione d’urgenza perde efficacia a causa della mancata emanazione del decreto di esproprio entro il termine previsto dall’art. 13 del Testo Unico21.

In tutte queste tipologie di ipotesi si pone un problema assai delicato, e cioè quello del rapporto tra i due fondamentali interessi che da sempre si contrappongono quando si tratta di esercitare pubblici poteri: l’interesse collettivo alla realizzazione dell’opera pubblica o di pubblica utilità da un lato, e la tutela del diritto di proprietà del privato dall’altro22.

21 Art. 22 bis, comma 6, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327: “Il decreto che dispone l’occupazione ai sensi del comma 1 perde efficacia qualora non venga emanato il decreto di esproprio nel termine di cui all’art. 13”.

22 G. SANTANIELLO, Espropriazioni per pubblica utilità: d) forme anomale, in Enciclopedia del Diritto, Milano, 1966, Vol. XV, pagg. 905 ss.

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1.7 Le varie ipotesi di occupazione illegittima

1.7.1 L’immissione in possesso senza dichiarazione di pubblica

utilità. L’occupazione usurpativa pura

L’ipotesi più grave e deplorevole di occupazione illegittima si verifica in presenza di comportamenti di mero fatto della Pubblica Amministrazione, posti in essere quindi al di fuori dell’esercizio di poteri amministrativi: si tratta dell’ipotesi in cui la manipolazione del fondo di proprietà privata è avvenuta in mancanza di una iniziale dichiarazione di pubblica utilità valida ed efficace23, discendente dall’approvazione, normalmente, del progetto definitivo di opera pubblica, ovvero dall’approvazione di strumenti urbanistici attuativi24. In queste situazioni la pubblica autorità si immette di fatto, in assenza della dichiarazione di pubblica utilità, nel possesso di beni altrui, modificando irreversibilmente lo stato dei luoghi e commettendo una

23 Corte Cass. S.U. sentenza 23 dicembre 2008, n. 30254, in

www.cortecassazione.it. Contra, però, Cons. di Stato Adunanza Plenaria, sentenza 22 ottobre 2007, n. 12; Cons. di Stato Adunanza Plenaria, sentenza 30 agosto 2005, n. 4; Cons. di Stato Adunanza Plenaria, sentenza 9 febbraio 2006, n. 2 e Cons. di Stato Adunanza Plenaria, sentenza 30 luglio 2007, n. 9, per cui si ha occupazione usurpativa pura solo nel caso di mancanza ab initio della dichiarazione di pubblica utilità, tutte in www.giustizia-amministrativa.it. 24 Così F. CINTOLI – M. R. SAN GIORGIO, Proprietà e Costituzione. I principi

giurisprudenziali, Giuffré, 2002, pag. 302: “Nel caso della cd. occupazione usurpativa manca la predetta dichiarazione di p.u. (e, con essa, il presupposto dell’accertamento dell’interesse pubblico alla realizzazione dell’opera) o perché mai intervenuta, neppure implicitamente (attraverso l’approvazione di progetti di opere pubbliche da parte dell’autorità amministrativa competente), o perché, pur materialmente esistente, inefficace ab initio, ovvero divenuta tale successivamente.”

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grave violazione del diritto di proprietà25, dando vita appunto alla forma più grave di occupazione illegittima, che per tempo ha preso il nome di “occupazione usurpativa pura”26, per distinguerla dagli altri casi, di cui si dirà in seguito27.

Recentemente, la Corte di Cassazione ha avuto modo di chiarire che l’avvenuta occupazione di fatto da parte di un ente pubblico, al di fuori di qualsiasi procedimento espropriativo, di un’area di proprietà privata, esula totalmente dalla materia delle espropriazioni per pubblica utilità, siano esse legittime o meno, per rientrare nella categoria della apprensione, ossia la detenzione senza titolo di un bene altrui, costituente un fatto illecito di diritto comune regolato dagli artt. 2043 e 2058 c.c.28, con le necessarie implicazioni sia in punto di prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante dalla permanenza

25 “ […] Qualora la dichiarazione manchi, ab initio o successsivamente per effetto di annullamento, difetta quel principale momento di collegamento fra l’astratta configurazione legislativa del potere ablativo e la concreta possibilità del suo nascere, assolvendo essa alla fondamentale funzione di creare per i beni su cui incide un vincolo di indisponibilità e di porre l’Amministrazione espropriante in grado di svolgere il procedimento ablativo.” di G. MARI, Riv. giur. ed, fasc. 01-02, 2016, pag. 69. Per un ulteriore approfondimento sulla funzione svolta dalla dichiarazione di pubblica utilità, in dottrina, si veda A. M. SANDULLI, Mancanza della dichiarazione di pubblica utilità e potere di espropriazione, in Giust. civ., 1960, I, pag. 881.

26 Il riconoscimento formale della cd. occupazione usurpativa è stato operato da Cass. civ., Sez. I, sentenza 18 febbraio 2000, n. 1814, con nota di S. SALVAGO, L’occupazione usurpativa non può essere espropriazione, in Foro it., 2000, I, pag. 1857.

27 Il Consiglio di Stato, Sez. IV, nella sentenza 7 novembre 2016, n. 4636, in Foro amm., II, 2016, fasc. 11, pag. 2644, definisce l’occupazione usurpativa come “trasformazione del fondo di proprietà privata, in assenza di dichiarazione di pubblica utilità”.

28 Cass. civ. Sez. I, sentenza 16 marzo 2012, n. 4207, in Giustizia civile, 2012, fasc. 3, pag. 347 e prima ancora Cass. civ. Sez. I, sentenza 18 febbraio 2000, n. 1814, in www.cortecassazione.it.

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dell’illecita occupazione, sia in punto di esperibilità delle azioni reipersecutorie a tutela della non perduta proprietà del bene.

All’interno di questo eclatante caso rientra anche il fenomeno dei cd. sconfinamenti, ossia immissioni in possesso collegate ad originari piani particellari di espropri non rispettati. L’immissione in possesso di un immobile necessita di un piano particellare grafico e descrittivo, sulla base del quale l’autorità espropriante procede, ed è proprio sulla base del piano particellare, che indica la particella da acquisire e le relative consistenze, che si può comprendere quando scatta un’occupazione senza titolo ab origine. Laddove l’ente espropriante si immetta nel possesso di una particella non contemplata dal piano particellare, o occupi più di quanto previsto, ecco che scatta lo sconfinamento, che nella prassi è forse l’ipotesi più frequente di occupazione usurpativa pura29: l’amministrazione approva un dato

29 Si veda la massima di Corte Cass., S.U., ordinanza 14 ottobre 2020, n. 22193, in

www.cortecassazione.it: “Le Sezioni Unite hanno precisato che si è in presenza di una occupazione usurpativa nel caso di un comportamento di fatto dell’Amministrazione, in assenza di una dichiarazione di pubblica utilità, che è ravvisabile anche per i terreni nei quali si sia verificato uno “sconfinamento”, nel corso dell’esecuzione dell’opera pubblica, da aree legittimamente occupate. Tale forma di occupazione costituisce un illecito permanente in alcun modo ricollegabile all’esercizio di poteri amministrativi, onde l’azione risarcitoria del danno che ne è conseguito rientra nella giurisdizione del giudice ordinario. Vanno, pertanto, ascritti alla giurisdizione del giudie ordinario le controversie in tema di riduzione in pristino e risarcimento del danno da comportamenti, causativi di danno ingiusto, perpetrati in carenza assoluta di potere. Il che si verifica anche nella specifica ipotesi dell’occupazione di mero fatto del suolo privato e conseguente irreversibile trasformazione, in assenza di dichiarazione di pubblica utilità (cd.occupazione usurpativa), che, pur emessa, sia riferibile ad aree diverse da quelle di fatto trasformate, configurandosi in tale ipotesi un illecito a carattere permanente, lesivo di un diritto soggettivo.”

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progettuale con conseguente piano particellare e successivamente, in fase di esecuzione, non ne rispetta le indicazioni30.

In conclusione, la fattispecie della occupazione usurpativa pura, come forma più grave di occupazione illegittima, comprende sia i casi di occupazione del bene altrui in assenza di dichiarazione di pubblica utilità fin dall’origine, sia l’ipotesi degli sconfinamenti, e si tratta di illeciti permanenti (che non determinano il passaggio del diritto di proprietà all’ente occupante), capaci di rinnovarsi di momento in momento, con conseguente imprescrittibilità dell’azione risarcitoria e restitutoria attivabile dai soggetti lesi31. Oggi, tali forme patologiche di occupazione sono interessate dall’applicazione dell’art. 42 bis D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, di cui si avrà modo di discutere più ampiamente in seguito.

1.7.2 L’annullamento giudiziale della procedura ablativa.

L’occupazione usurpativa spuria

Altra ipotesi di occupazione illegittima, seppur meno grave della precedente, è quella per annullamento giudiziale della procedura di

30 Si veda Cass. civ., S.U., ordinanza 23 gennaio 2017, n. 1642, in

www.cortecassazione.it, cui con la Suprema Corte ha avuto modo di affermare che la fattispecie qualificabile come “occupazione usurpativa pura”, ovvero come manipolazione del fondo di proprietà privata in assenza di dichiarazione di pubblica utilità, è costituita da un comportamento di fatto dell’amministrazione, in assenza di dichiarazione di pubblica utilità, che è ravvisabile anche per i terreni nei quali si sia verificato uno sconfinamento.

31 Si veda Cass. civ, Sez. I, sentenza 12 dicembre 2001, n. 15170, in Giust. civ. mass., 2001, pag. 2140.

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esproprio avviata originariamente in modo corretto, nel rispetto delle norme di legge. In questi casi si è di fronte ad un’iniziale condotta della pubblica autorità incardinata su un procedimento ablativo legittimo, che solo in un secondo momento viene annullato da un giudice nazionale, potendosi trattare sia di un Tribunale Amministrativo Regionale, sia del Consiglio di Stato. Siamo di fronte a situazioni un tempo definite dalla giurisprudenza di legittimità “occupazioni usurpative spurie”: anche per questo tipo di occupazioni non esiste più il diretto richiamo odierno dalla giurisprudenza, perchè non esistono più come espressione, ma conservano comunque la loro operatività nel sistema attuale di tutela offerto dall’art. 42 bis del D.P.R. 327/2001, di cui si discuterà più ampiamente in seguito.

Per questa tipologia di occupazioni illegittime, la casistica è assai ampia.

Si possono verificare annullamenti della procedura ablativa per illegittima iniziativa dell’autorità espropriante, quando cioè l’espropriazione di un bene sia stata avviata da un soggetto incompetente per legge perchè privo di poteri ablativi: in tal caso, il proprietario del bene interessato potrà tutelarsi ricorrendo al giudice amministrativo e chiedendo l’annullamento della procedura per incompetenza, con conseguenze che inevitabilmente si ripercuoteranno sulla occupazione medio tempore intervenuta.

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L’illegittima occupazione di un fondo privato ai fini della realizzazione di un’opera pubblica può avvenire anche, secondo quanto contemplato dal comma 2 dell’art. 42 bis D.P.R. 327/2001, nel caso in cui “sia stato

annullato l’atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all’esproprio, l’atto che abbia dichiarato la pubblica utilità di un’opera o il decreto di esproprio”. La Corte di Cassazione ha avuto modo di chiarire che

l’annullamento della dichiarazione di pubblica utilità, determinandone l’eliminazione con effetto retroattivo, comporta una situazione di carenza di potere identica a quella che si verifica nel caso in cui essa non sia mai intervenuta o sia divenuta inefficace o debba considerarsi giuridicamente inesistente, facendo assumere all’operato dell’amministrazione i connotati di un comportamento materiale di fatto, privo di qualsiasi nesso con una pubblica utilità formalmente dichiarata e perciò inidoneo a far acquisire la proprietà all’espropriante32.

Altra patologia frequente che conduce all’annullamento della procedura espropriativa è la violazione delle cd. garanzie partecipative dell’espropriando, leso dall’autorità espropriante per l’assenza della

previa comunicazione di avvio del procedimento, e quindi per l’impossibilità di potervi intervenire.

I casi patologici sopra individuati costituiscono solo alcune delle svariate ipotesi di esito non corretto della procedura di esproprio, e

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l’ipotesi di occupazione divenuta illegittima per effetto dell’intervenuto annullamento ex tunc di atti del procedimento costituisce una vicenda pacificamente sussumibile in quella che la giurisprudenza definiva occupazione usurpativa spuria, come già evidenziato a inizio paragrafo33.

1.7.3 La scadenza dei termini di pubblica utilità

La terza categoria di occupazioni illegittime comprende le ipotesi connesse all’intervenuta scadenza dell’iniziale dichiarazione di pubblica utilità senza l’adozione, nei termini previsti dalla legge, di un valido ed efficace decreto di esproprio. Tali forme patologiche di occupazione sono il frutto di una non curanza del procedimento e di negligenza nello scadenzare gli atti, e trovano un riscontro normativo nell’art. 13 del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, in particolare dal comma 2 a 6. L’autorità espropriante può indicare, nell’atto dichiarativo di

pubblica utilità, i termini entro i quali deve essere emesso il decreto di esproprio e, in assenza, il termine previsto dalla legge è di cinque anni dalla data in cui è divenuta efficace la dichiarazione di pubblica utilità34. L’obiettivo perseguito dall’art. 13, a differenza della

33 Si veda, ad esempio, Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia, ordinanza 19 febbraio 2009, n. 52, in www.giustizia-amministrativa.it, per cui “in ipotesi di intervenuto annullamento della dichiarazione di pubblica utilità, […] l’attività esecutiva dell’amministrazione è qualificabile come mero comportamento materiale ed è riconducibile ad ipotesi di occupazione usurpativa”.

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precedente disciplina contenuta nella Legge fondamentale del 1865, è quello di semplificare il più possibile la procedura espropriativa per cercare di ridurre al minimo il rischio di occupazioni illegittime per mancato rispetto dei termini di legge. Di conseguenza, l’avvenuta occupazione e irreversibile trasformazione di aree di proprietà privata da parte dell’autorità espropriante senza il rispetto dei termini fissati nella dichiarazione di pubblica utilità e, comunque senza l’adozione, nei termini, del decreto di esproprio, costituisce un’attività illecita che determina un pregiudizio in capo al soggetto di fatto espropriato, in ragione della perdita del bene utilizzato per scopi di interesse pubblico ma in assenza di un valido atto traslativo della proprietà. La Corte di Cassazione ha precisato che solo a partire dalla scadenza dei termini di pubblica utilità si può considerare illegittima l’occupazione: la scadenza dei termini contenuti nella dichiarazione di pubblica utilità non opera retroattivamente, quindi finchè perdura l’operatività della

comma 2 – gli effetti della dichiarazione di pubblica utilità si producono anche se non sono espressamente indicati nel provvediemnto che la dispone

comma 3 – nel provvediemnto che comporta la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera può essere stabilito il termine entro il quale il decreto di esproprio va emanato

comma 4 – se manca l’espressa determinazione del termine di cui al comma 3, il decreto di esproprio può essere emanato entro il termine di cinque anni, decorrenti dalla data in cui diventa efficace l’atto che dichiara la pubblica utilità dell’opera

comma 5 – l’autorità che ha dichiarato la pubblica utilità dell’opera può disporre la proroga dei termini previsti dai commi 3 e 4 per casi di forza maggiore o per altre giustificate ragioni. La proroga può essere disposta, anche d’ufficio, prima della scadenza del termine e per un periodo di tempo che non supera i due anni comma 6 – la scadenza del termine entro il quale può essere emanato il decreto di esproprio determina l’inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità

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suddetta dichiarazione e persiste l’efficacia del decreto di occupazione, quest’ultima è da considerarsi legittima35.

1.8. Considerazioni conclusive

Come si è avuto modo di evidenziare nei paragrafi precedenti, i casi di occupazione illegittima hanno da sempre rappresentato, e tuttora rappresentano, un serio problema per le pubbliche amministrazioni nazionali, che solo in parte è temperato dagli strumenti risolutivi che l’ordinamento mette a disposizione sia delle amministrazioni stesse, sia dei privati. Nei capitoli che seguiranno, l’attenzione sarà focalizzata su quelli che attualmente possono essere considerati i principali strumenti “risolutivi” delle occupazioni illegittime esperibili dalle amministrazioni pubbliche: l’art. 42 bis del D.P.R. 327/2001 come strumento di acquisizione coattivo per le pubbliche amministrazioni che hanno occupato illecitamente un bene, l’ usucapione pubblica (seppur nei limiti individuati dal Consiglio di Stato) e l’accordo transattivo; nonché gli strumenti di tutela a disposizione del privato espropriato di fatto, ovvero la restituzione dell’area, previa rimessione in pristino, e la richiesta di risarcimento danni per equivalente, implicante la rinunzia abdicativa al diritto di proprietà (la cui configurabilità è, però, oggetto di aspri contrasti giurisprudenziali). 35 Cass. civ., Sez. I, sentenza 28 gennaio 2010, n. 1877, in www.cortecassazione.it.

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CAPITOLO II

Gli strumenti di risoluzione attualmente previsti dall’ordinamento per fronteggiare le occupazioni illegittime: l’acquisizione coattiva

ai sensi dell’art. 42 bis del D.P.R. 327/2001

2.1. Considerazioni introduttive

Lo strumento rimediale che l’ordinamento oggi fornisce alle amministrazioni per acquisire al patrimonio pubblico un bene privato che sia stato da queste occupato, modificato e utilizzato senza titolo, evitandone così la restituzione, è previsto dall’art. 42 bis del D.P.R. 327/2001, rubricato come “Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico”. Prima di passare all’analisi di quest’ultimo, è necessario far riferimento brevemente a quelle che sono state le soluzioni offerte dalla giurisprudenza e dal legislatore nel corso del tempo.

2.2. Dalla teorica dell’accessione invertita all’art. 43 del D.P.R.

327/2001

Come già anticipato, nel silenzio del legislatore, il primo tentato rimedio al problema delle occupazioni illegittime perpetrate dalla Pubblica Amministrazione ai danni del privato fu di origine giurisprudenziale: si tratta della cd. accessione invertita o occupazione

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acquisitiva, costruzione giuridica che trova fondamento nella storica sentenza n. 1464 del 1983 emessa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (cd. Sentenza Bile)36. Con tale pronuncia le Sezioni Unite affermarono che se la Pubblica Amministrazione avesse irreversibilmente trasformato l’area del privato per la realizzazione di un’opera di pubblica utilità, avrebbe acquistato a titolo originario la proprietà della stessa, nonostante l’illegittimità della procedura e l’assenza di un formale provvedimento ablativo37, facendo uso di una

36 Corte Cass., S.U., sentenza 26 febbraio 1983, n. 1464, con nota di G. RAMACCIONI, La proprietà privata, l’indennità costituzionale e la competizione tra modelli, in Europa e dir. privato, 2010, fasc. 3, pag. 347: “Nelle ipotesi in cui la p.a. (o un suo concessionario) occupi un fondo di proprietà privata per la costruzione di un’opera pubblica e tale occupazione sia illegittima, per totale mancanza di provvedimento autorizzativo o per decorso dei termini in relazione ai quali l’occupazione si configura legittima, la radicale trasformazione del fondo, con irreversibile sua destinazione al fine della costruzione dell’opera pubblica, comporta l’estinzione del diritto di proprietà del privato e la contestuale acquisizione a titolo originario della proprietà in capo all’ente costruttore, ed inoltre costituisce un fatto illecito (istantaneo, sia pur con effetti permenenti) che abilita il privato a chiedere nel termine prescrizionale di cinque anni dal momento della trasformazione del fondo nei sensi indicati la condanna dell’ente medesimoa risarcire il danno derivante dalla perdita del diritto di proprietà […]”. In dottrina, invece, per l’applicaizone del principio dell’accessione invertita si veda R. CHIEPPA – R. GIOVAGNOLI, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2011, pag. 854. L’istituto ha sollevato numerose critiche: “I principali rilievi mossi nei suoi confronti possono essere così sintetizzati: l'introduzione nell'ordinamento di un vulnus al c.d. numerus clausus dei modi di acquisto della proprietà che ex artt. 42, c. 2, Cost. e 922 c.c., possono essere stabiliti solo dalla legge; l'assenza in materia di norme giuridiche dotate dei requisiti della chiarezza e dell'accessibilità; l'inadeguatezza degli strumenti di tutela attribuiti al privato per reagire alle indebite aggressioni al suo diritto di proprietà e dei criteri risarcitori individuati per reintegrare il valore del bene perduto” così F. TEDESCHI, L’art. 42 bis del testo unico delle espropriazioni e la possibilità per il privato di rinunciare (implicitamente) al proprio diritto di proprietà sul fondo illegittimamente occupato dall'amministrazione, in Riv. giur. ed., fasc. 3, 2013, pag. 446.

37 “Allorquando l’occupazione di un immobile da parte della pubblica amministrazione sia illegittima, l’edificazione su tale fondo di un’opera pubblica che importi una trasformazione radicale di esso, tale da provocare la perdita dei caratteri e della destinazione propria del fondo, determina l’acquisto a titolo originario della proprietà del suolo” di A. PAGANO, Repertorio ragionato di giurisprudenza amministrativa, Napoli, 2003, pag. 499.

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norma che dovrebbe disciplinare un caso differente: l’art. 938 c.c., disposizione che regola cioè l’ipotesi dell’accessione invertita38. Al privato, a fronte della perdita del diritto di proprietà, residuava soltanto il diritto al risarcimento del danno (e non anche la possibilità di ottenere la retrocessione del bene), sottoposto al breve termine di prescrizione quinquiennale decorrente dal momento della irreversibile destinazione del suolo occupato alla realizzazione dell’opera pubblica39 o dalla scadenza dei termini della occupazione legittima. Ai fini del decorso del termine di prescrizione quinquiennale, la situazione di abusiva occupazione costituiva un illecito istantaneo, con effetti permanenti, che si perfezionava con il compimento dell’opera pubblica, come affermato dalla Suprema Corte40. L’entità della somma pagata dalla p.a. a titolo risarcitorio era pari – dopo la dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 5-bis, comma 7-bis, d.l. n. 333/1992 – al valore che il fondo aveva in quel momento, con la rivalutazione per la eventuale diminuzione del potere di acquisto della moneta, fino al giorno della liquidazione.

38 La giurisprudenza avrebbe avuto tre alternative: la conservazione delle due proprietà divise, ciascuna in capo ad un differente titolare; l’acquisto da parte del titolare dell’area anche del diritto di proprietà sulla costruzione pubblica, in virtù della accessione ex art. 934 c.c.; la concentrazione di entrambe le proprietà in capo alla Pubblica Amministrazione. A tutela del pubblico interesse, le Sezioni Unite hanno optato per questa ultima soluzione. Si veda F. CARINGELLA – G. DE MARZO, Indennità di esproprio ed occupazione appropriativa nel panorama normativo-giurisprudenziale, II, Milano, Giuffré, 1997.

39 L’irreversibile trasformazione del suolo occupato si perfeziona con la “radicale trasformazione del fondo occupato con la sua irreversibile destinazione all’opera pubblica”: Cass. civ. Sez. I, sentenza 7 aprile 1994, n. 3292; Cass. civ. Sez. I, sentenza 12 aprile 1994, n. 3403, tutte in www.cortecassazione.it.

40 Cfr. Cass. civ. Sez. I, sentenza 20 novembre 1993, n. 11474; Cass. civ. Sez. I, sentenza 13 aprile 1994, n. 3427, in www.cortecassazione.it.

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Uno dei presupposti fondamentali dell’istituto pretorio dell’occupazione acquisitiva era costituito, appunto, dalla “irreversibile” trasformazione del bene del privato, che era integrata non da una semplice manipolazione del bene o dall’impiego di esso per il soddisfacimento di interessi generali, ma occorreva che “l’opera

dichiarata di pubblica utilità, anche se non ultimata, [fosse] emersa come strutturalmente e fisicamente nuova, così da evidenziare l’incompatibilità con essa dell’autonoma sopravvivenza del fondo inglobato”41. Il rigore dell’interpretazione di tale presupposto valeva ad escludere l’occupazione acquisitiva in presenza di modifiche non irreparabili del bene occupato. Anche la Corte Costituzionale, occupandosi nella sentenza 23 maggio 1995, n. 188 dell’istituto in questione, aveva evidenziato la rilevanza della radicale trasformazione del bene, affermando la necessità di un nesso di causalità diretta tra l’illecito della p.a. e la perdita del diritto di proprietà, nel senso che quest’ultima dovesse essere determinata, in via immediata e diretta,

“[dal]l’azzeramento del contenuto sostanziale del diritto e [dal]la nullificazione del bene che ne costituisce l’oggetto, ossia [dal]la vanificazione […] della individualità pratico-giuridica dell’area occupata, in conseguenza della materiale manipolazione dell’immobile

41 Cfr. Cass. civ. Sez. I, sentenza 16 marzo 1994, n. 2507, in

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nella sua fisicità, che ne comporta una trasformazione così totale da provocare la perdita dei caratteri e della destinazione dle fondo”42.

Si venne così a creare una singolare modalità di acquisto della proprietà a favore della pubblica autorità che alterava il rapporto tra il compimento di un’opera pubblica e il procedimento espropriativo, allora disciplinato nella Legge n. 2359 del 1865, e che celava un sistema in cui si rendevano leciti comportamenti che leciti non erano, in quanto lesivi del diritto di proprietà sancito dall’art. 42 Cost.

Nonostante questo, anche la Corte Costituzionale aveva appunto, al tempo, considerato il fenomeno dell’accessione invertita conforme ai principi costituzionali in tema di tutela del diritto di proprietà e di espropriazione per pubblica utilità43.

Ma anche se il meccanismo dell’accessione invertita costituiva una palese violazione del principio di legalità e si risolveva in un indubbio vantaggio per l’ente occupante, al quale in ogni caso era trasferita la

42 Corte Cost., sentenza 23 maggio 1995, n. 188, in nota di F . ARMENANTE, L’accessione invertita tra diritto vivente e lacune nell’ordinamento, in Diritto e giurisprudenza, 1995, 3, pag. 455 e A. VARLARIO SINISI, L’occupazione appropriativa ancora al vaglio della Corte Costituzionale. Una proprosta di legge in materia di accessione invertita, in Giustizia civile, 1995, 1, pag. 2308. 43 Cfr. Corte Cost., sentenza 31 luglio 1990, n. 384 e sentenza 23 maggio 1995, n.

188, in www.cortecostituzionale.it, con cui la Corte Cost. conferisce piena legittimità all’istituto dell’accessione invertita: questa, infatti, non deve vedersi come un fatto illecito, ma come un modo di trasferimento della proprietà consentito dall’ordinamento, in quanto giustificato dall’utilità pubblica dell’opera realizzata. Si fa riferimento anche alla funzione sociale della proprietà per garantire copertura costituzionale all’istituto, sulla base del preminente interesse pubblico a scapito di quello privato. Si veda anche R. BIFULCO – A. CELOTTO – M. OLIVETTI, Commentario alla Costituzione, Torino, 2006, pag. 877. Per una sintesi dell’indirizzo della Corte Costituzionale che ammetteva l’occupazione acquisitiva, si veda R. CARANTA, Espropriazione per pubblica utilità, in Enc. dir., agg., V, Milano, 2001, pag. 407.

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proprietà, questo rimase operante per circa un ventennio, fino a quando non cadde per opera della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, per contrasto con la Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo. La valutazione negativa dei giudici di Strasburgo nei confronti di questo istituto tipicamente italiano risale alle sentenze del 30 maggio 2000 (note, rispettivamente, come Soc. Belvedere-Alberghiera c/ Italia e Carbonara-Ventura c/ Italia)44, con le quali emerse la non conformità con il principio di legalità sancito nell’art. 1 del Primo Protocollo addizionale della CEDU: il diritto al pacifico godimento della proprietà del privato non può essere compromesso al punto tale da far derivare una perdita del diritto soggettivo in esito a comportamenti illeciti della p.a. In particolare, l’acquisto del diritto di proprietà dalla p.a. non è affatto compatibile con una condotta illegale della stessa, con la conseguenza che non costituisce impedimento alla restituzione dell’area illegittimamente espropriata la realizzazione dell’opera pubblica. Anche quando l’ingerenza della p.a. nel pacifico godimento di un bene avvenga per soddisfare un pubblico interesse, non è lecito prescindere del rispetto delle forme e delle condizioni previste dalle legge, perché l’osservanza del principio di legalità svolge un ruolo primario e finalizzato ad operare un giusto bilanciamento tra interesse

44 Pubblicate in Foro it., 2001, IV, pag. 233, con nota redazionale di R. SABATO. Per un commento, V. CARBONE, Occupazione appropriativa: l’intervento dirompente della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Corr. giur., 2001, 4, pag. 460; M. DE SALVIA, V. ZAGREBELSKY (a cura di), Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, III (1999-2006), Milano, 2007, pag. 204.

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pubblico e interesse privato. La Corte ha inoltre stabilito che l’accessione invertita costituiva solo una indebita ingerenza nel diritto di proprietà privata del singolo, a fronte del quale il soggetto danneggiato doveva poter pretendere la restituzione del bene che gli era stato sottratto, oppure il risarcimento integrale della diminuzione patrimoniale subita45.

Malgrado gli sforzi dei giudici italiani di mantenere in vita l’operatività dell’accessione invertita anche dopo i colpi ad essa inferti dalla CEDU, il legislatore intervenne con il D.P.R. 327/2001 (entrato in vigore soltanto il 30 giugno 2003) in modo da allinearsi alle indicazioni dei giudici di Strarburgo e normando, per la prima volta, un sistema che consentisse il superamento delle occupazioni illegttime. Pertanto, superato il ventennio di operatività dell’accessione invertita, il sistema italiano introdusse uno strumento di risoluzione unilaterale delle occupazioni illegittime: l’acquisizione coattiva sanante, disciplinata in origine dall’art. 43 del D.P.R 327/2001, introdotto principalmente per rispondere all’esigenza “di adeguare l’ordinamento italiano alla Convenzione”46 e per ovviare alla mancanza di una base legale dell’acquisizione del bene alla proprietà pubblica come effetto di occupazioni illegittime e sine titulo.

45 Si veda, su tali principi, Corte EDU, 30 maggio 2000, Belvedere Alberghiera s.r.l. c. Italia, op. cit.

46 Cons. Stato, Ad. Gen., parere 29 marzo 2001, n. 4, punto 13.3, in www.giustizia-amministrativa.it.

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