CAPITOLO II – Gli strumenti di risoluzione attualmente previst
5.6 La posizione assunta dal Consiglio di Stato a seguito delle
Sentenze n. 2 e n. 4 del 2020
Con due recentissime pronunce, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha finalmente risolto una volta per tutte la tormentata vicenda circa la configurabilità della rinuncia abdicativa quale possibile strumento di soluzione delle occupazioni illegittime della Pubblica Amministrazione. Il Collegio, dopo che la questione gli è stata rimessa dalla Sez. IV del Consiglio di Stato, ha statuito con Sentenza n. 2 del 2020212, soffermandosi essenzialmente su due questioni: se la domanda risarcitoria avanzata dal privato espropriato possa essere qualificata come dichiarazione di rinuncia abdicativa del bene e se tale rinuncia abbia rilevanza giuridica213.
212 Ad. Plen. Cons. Stato, sentenza 20 gennaio 2020, n. 2, in Riv. giur. ed., 2020, 2, fasc. 1, pag. 322.
213 Per i fatti antecedenti all’Adunanza Plenaria n. 2/2020 si veda S. CALATRONI, Gli effetti della rinuncia abdicativa sulle occupazioni senza titolo della PA – Commento alla Adunanza Plenaria 2/2020, in Sviluppo e territorio – Novità normative e orientamenti giurisprudenziali in urbanistica, edilizia e ambiente, 12 febbraio 2020: “L’Amministrazione espropriante approvava con decreto il progetto per la realizzazione di un’opera pubblica, fissando al contempo i termini per la realizzazione dei lavori e per l’emanazione del decreto di esproprio. Tuttavia, mentre il Consiglio di Stato annullava con sentenza il suddetto decreto, il suolo di proprietà privata veniva irreversibilmente trasformato, in assenza di decreto di esproprio, mediante la realizzazione dell’opera pubblica. Il privato proprietario del suolo ricorreva quindi al TAR per il risarcimento del danno in conseguenza della illecita apprensione del bene, essendo ormai divenuta impossibile la restituzione dle suolo. I giudici di primo grado, ravvisando nel caso in esame una ipotesi di occupazione acquisitiva, ovvero un fatto illecito che si perfeziona a partire dal momento in cui il possesso del suolo di proprietà del ricorrente deve essere considerato sine titulo, hanno accolto l’eccezione di prescrizione del diritto del ricorrente al risarcimento del danno. Di ocnseguenza, il privato ha proposto appello contestando l’intervenuta prescrizione in quanto il fatto illecito ha carattere permanente e insistendo per il risarcimento del danno derivante dalla perdita del diritto di proprietà (acquisito a titolo originario dalla PA). Con sentenza parziale n. 5391/2019 (in Riv. giur. ed., 2019, pag. 1026), il Consiglio di Stato, sezione IV, ha dapprima statuito che, data la natura permanente dell’illecito commesso dall’Amministrazione, non fosse decorso il
L’Adunanza ha scartato definitivamente l’ipotesi ricostruttiva della rinuncia abdicativa in materia espropriativa, andando contro al proprio precedente orientamento, argomentando che essa si espone ad un triplice ordine di obiezioni.
In primo luogo, la rinuncia abdicativa non è in grado di fornire una spiegazione esauriente circa la vicenda traslativa in capo all’Autorità espropriante: se l’atto abdicativo è astrattamente idoneo a determinare la perdita della proprietà privata del bene trasformato, non è altrettanto idoneo a determinarne l’acquisto a favore della p.a.214 Le pronunce (ma anche gran parte della dottrina civilistica) che hanno fatto riferimento all’art. 827 c.c. come base legale di una dichiarazione di rinuncia del proprietario di un diritto reale immobiliare, non paiono condivisibili, perché l’acquisto (a titolo originario e non derivativo) si realizzerebbe in capo allo Stato e non all’ente espropriante attualmente in possesso del bene, che sarebbe escluso dalla vicenda giuridica pur avendone costituito la causa efficiente tramite l’illecita apprensione del bene del privato. La spiegazione dell’effetto traslativo, pertanto, sarebbe del
termine di prescrizione di cinque anni, ritenuto erroneamente applicabile dal TAR e che, in applicazione dell’art. 42 bis D.P.R. 327/2001, il giudice amministrativo avrebbe dovuto ordinare all’autorità che utilizza a fini pubblici il bene privato di emanare un provvedimento che disponesse l’acquisizione del bene al suo patrimonio indisponibile o la sua restituzione.”
214 Come si legge anche in Cons. Stato, Ad. Plen., sentenza 20 gennaio 2020, n. 4 “[…] la trasposizione della figura negoziale della rinuncia abdicativa dall’ambito privatistico al settore dell’espropriazione per pubblica utilità, al dichiarato fine di apprestare un ulteriore strumento di tutela al proprietario leso dall’occupazione illegittima e dalla trasformazione del fondo da parte della pubblica amministrazione, genera un’irrazionalità amministrativa di tipo funzionale, in quanto lascia “aperta” e irrisolta la questione dell’effetto acquisitivo in favore della pubblica amministrazione.”
tutto eccentrica rispetto al rapporto amministrativo che viene innescato dalla p.a. espropriante, rendendo palese l’artificiosità della soluzione teorica proposta. Ma l’Adunanza critica fortemente anche la soluzione proposta dal TAR Lazio215 e dal Consiglio di Stato stesso di collegare l’effetto traslativo all’ordine di trascrizione della sentenza di condanna al risarcimento del danno (e, quindi, della sua rinuncia abdicativa implicita a favore della p.a.), posto che l’istituto della trascrizione216 si pone solo sul piano della opponibilità ai terzi degli atti dispositivi dei diritti reali, ma non disciplina la validità e l’efficacia giuridica della stessa. Anche i Conservatori dei registri immobiliari si sono mostrati ostili verso la possibilità di trascrivere atti di liquidazione del risarcimento del danno indicato dalla Pubblica Amministrazione.
In secondo luogo, altra obiezione avanzata dall’Adunanza Plenaria riguarda la ricostruzione della rinuncia abdicativa come atto implicito, secondo la dogmatica degli atti impliciti217, senza però averne le
215 Si veda il paragrafo 5.5 di questo capitolo.
216 In tema di trascrizione immobiliare si veda U. BRECCIA – L. BRUSCUGLIA – F. D. BUSNELLI – F. GIARDINA – A. GIUSTI – M. L . LOI – E. NAVARRETTA – M. PALADINI – D. POLETTI – M. ZANA, Diritto privato – Tomo terzo, 2015, Milano, pagg. 1314-1315: “La trascrizione costituisce un fondamentale strumento di tutela del soggetto che, a qualunque titolo, acquisti diritti su beni immobili e intenda opporre ai terzi le situazioni giuridiche di cui è titolare (cd. funzione dichiarativa). La trascrizione di un atto, da cui derivi l’acquisto di un diritto, consente, infatti, al titolare di far valere il diritto nei confronti di chiunque affermi la titolarità del medesimo diritto sulla base di un altro atto, che non risulti anteriormente trascritto. […] La trascrizione di un atto non vale a sanare eventuali vizi da cui l’atto stesso sia eventualmente inficiato.” 217 “Nel campo del diritto amministrativo, come è noto, è ammessa la sussistenza
del provvedimento implicito quando l’Amministrazione, pur non adottando formalmente un provvedimento, ne determina univocamente i contenuti sostanziali, o attraverso un comportamento conseguente, ovvero determinandosi
caratteristiche essenziali, proprio perché quest’ultima riguarda solo gli atti amministrativi e non gli atti del privato. Sul piano del diritto sostanziale, a detta della Corte, da una semplice domanda risarcitoria del pregiudizio sofferto per la perdita del bene, attraverso la richiesta di una somma corrispondente al controvalore dello stesso, non è possibile desumere la rinuncia del privato al bene, poichè la richiesta di risarcimento danni denuncia inequivocabilmente un illecito di cui il soggetto leso chiede la riparazione, ma a fronte della pluralità di strumenti offerti dall’ordinamento nonché in presenza di una disciplina legale del procedimento espropriativo, la domanda risarcitoria non può costituire univoca volontà espressa di rinuncia al bene. Sul piano formale, invece, la suddetta domanda, contenuta nel ricorso giurisdizionale amministrativo, è una domanda redatta e sottoscritta dal difensore e non direttamente dal proprietario leso, che sarebbe l’unico soggetto avente la legittimazione ad abdicarvi, in quanto atto incidente e dispostitivo di un bene immobiliare proprio della parte.
in una direzione, anche con riferimento a fasi istruttorie coerentemente svolte, a cui non può essere ricondotto altro volere che quello equivalente al contenuto del provvedimento formale corrispondente […]”, come evidenziato in Cons. Stato, Ad. Plen., sentenza 20 gennaio 2020, n. 2 in www.giustiziamministrativa.it. Si veda anche Poteri amministrativi impliciti e principio di legalità: una
convivenza dai fragili equilibri, a cura di V. M. DONOFRIO, in
www.ildirittoamministrativo.it: “Il potere amministrativo implicito è un potere non espressamente attribito dalla legge all’amministrazione, ciononostante funzionale al conseguimento del fine pubblico che la disposizione di rango primario comanda di perseguire nell’esercizio di poteri espressamente conferiti”. Per un ulteriore approfondimento sul tema, si veda N. BASSI, Principio di legalità e poteri amministrativi impliciti, Milano, 2001; F. MERUSI, I sentieri interrotti della legalità, in Quad. cost., 2006, pagg. 276 e ss.; G. MORBIDELLI, Il principio di legalità e i cd. poteri impliciti, in Dir. Amm., 2007, pagg. 703 e ss.
In terzo luogo, l’ultima e decisiva obiezione sollevata dall’Adunanza Plenaria nei confronti della rinuncia abdicativa è che questa non risulta essere provvista di una base legale nell’ambito degli espropri, dove il rispetto del principio di legalità è richiamato con forza sia a livello costituzionale nell’art. 42 Cost., sia a livello di diritto europeo.
L’art. 42 Cost., nel prevedere che la proprietà privata possa essere espropriata solo nei casi previsti dalla legge, non fa riferimento alla rinuncia abdicativa, ma anzi, quest’ultima sembra richiamare il tramontato istituto dell’occupazione acquisitiva, espunto dall’ordinamento per contrarietà alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Come l’occupazione acquisitiva rispondeva, nel silenzio della legge, all’esigenza pratica di definire l’assetto proprietario di un bene illegittimamente occupato e il conseguente assetto degli interessi, così la rinuncia abdicativa, anch’essa di matrice pretoria, finirebbe per presentare gli stessi problemi e dubbi interpretativi, entrando in contrasto con i principi costituzionali e della CEDU: si determinerebbe, in assenza di una base legale, un trasferimento del diritto di proprietà dal privato alla p.a., come accadeva nel ventennio di operatività dell’accessione invertita.
Come affermato dalla stessa Adunanza Plenaria nella Sentenza n. 4 del 20 gennaio 2020, ad analoga obiezione si espongono anche i tentativi di ricostruire in via pretoria fattispecie traslative complesse, mediate da
eventuali sentenze costitutive, atteso il principio di tassatività delle sentenze costitutive di effetti traslativi o acquisitivi di diritti reali, nè offrendo l’art. 34, comma 1, lett. e), c.p.a. una sufficiente base legale per pronunce di siffatto tenore. Infine, non appare configurabile nemmeno un’ipotesi di formazione tacita di un accordo traslativo tra parte privata e p.a. (ad esempio ipotizzando un atto di consenso del privato coessenziale alla dismissione della proprietà e la non opposizione all’acquisto da parte dell’amministrazione), attesa la necessità della forma scritta ad substantiam per i contratti traslativi della proprietà immobiliare218.
Sulla base di queste argomentazioni, quindi, l’Adunanza Plenaria ha preso una posizione netta nei riguardi della rinuncia abdicativa in materia di espropriazione, ponendo fine, almeno per ora, ai contrastanti orientamenti giurisprudenziali avutisi negli anni e ribaltando la posizione assunta con la nota Sentenza n. 2 del 2016.
5.7 Considerazioni conclusive
Nonostante gli orientamenti che si sono fatti strada negli anni nella giurisprudenza amministrativa e ordinaria, alla luce degli elementi analizzati nel precedente paragrafo, la teoria della rinuncia abdicativa
218 Anche l’atto di rinuncia al diritto di proprietà su beni immobili è soggetto alla forma scritta ad substantiam ai sensi dell’art. 1350, n. 5 c.c., per cui vanno redatti per iscritto “gli atti di rinunzia ai diritti indicati dai numeri precedenti”, nei quali rientra anche il diritto di proprietà.
all’atto della sua applicazione pratica presenta criticità tali da dover ritenere escluso questo istituto dal novero degli strumenti attualmente a disposizione nell’ordinamento per porre fine ad una occupazione illegittima della Pubblica Amministrazione.
A seguito dell’introduzione, da parte del legislatore nazionale, dell’art. 42 bis nel Testo Unico sulle espropriazioni, la sorte del bene occupato e trasformato sine titulo dalla p.a. non può essere decisa dal proprietario, il quale non potrà determinarne l’acquisto in capo ad essa solo perché dichiari di averlo perso o di volerlo perdere, o di volere il controvalore del bene. Il proprietario del bene non è, quindi, titolare di una sorta di diritto potestativo a imporre il trasferimento della proprietà, mediante rinuncia al bene: solo la Pubblica Amministrazione, per le fattispecie disciplinate dall’art. 42 bis, può decidere di porre fine allo stato di illegalità determinato dall’occupazione illegittima del bene attraverso la sua restituzione, previa remissione in pristino stato, o mediante acquisizione coattiva al proprio patrimonio indisponibile, ferma restando sempre la possibilità di concludere un contratto traslativo con la parte lesa, di natura transattiva.219Non è quindi possibile attribuire rilievo alcuno all’atto di
219 “Il Collegio, da ultimo, chiarisce come l’art. 42-bis del D.P.R. 327/2001 rechi in modo compiuto la disciplina del procedimento volto alla ricomposizione dell’interesse privato del proprietario con l’interesse pubblico sotteso all’acquisizione del bene in capo alla P.A., la quale – secondo una scelta doverosa nell’an – può decidere di porre termine allo stato di illegalità determinato dall’occupazione illegittima del bene – assunto dal legislatore quale presupposto della norma – attraverso la sua restituzione al privato, previa rimessione in pristino, ovvero mediante l’acquisizione sanante. La fattispecie
liquidazione del danno, emanato in esecuzione di una sentenza di condanna, come affermato in alcune pronunce già citate, poiché da nessuna norma dell’ordinamento può ricavarsi l’attribuzione dell’effetto giuridico di rinuncia abdicativa alla fattispecie costituita dalla sentenza di condanna e dall’atto di liquidazione del danno.220
normativa di diritto amministrativo settoriale contemplata dall’art. 42-bis del D.P.R. 327/2001, quale tassativamente predeterminata in sede legislativa, pertanto, non può venire integrata in via analogica mediante il ricorso ad un istituto di matrice prettamente privatistica, quale la rinuncia abdicativa, che sortirebbe un effetto limitativo e derogatorio dell’istituto dell’acquisizione sanante ex art. 42 bis del D.P.R. 327/2001. Tale operazione ermeneutica risulta non necessaria, atteso che l’ordinamento offre una gamma di istituti idonei ad incrementare la garanzia dell’effettività della tutela del proprietario leso dall’illecito permanente della P.A., al quale risulterebbe altrimenti attribuito un diritto potestativo direttamente incidente nella sfera giuridica dell’amministrazione, mediante l’introduzione praeter legem di un’inedita fattispecie ablativa e traslativa, in guisa difforme rispetto ai principi di legalità, tassatività e tipicità che informano la materia dell’espropriazione per pubblica utilità.” di S. CALATRONI, Gli effetti della rinuncia abdicativa sulle occupazioni senza titolo della PA – Commento alla Adunanza Plenaria 2/2020, in Sviluppo e territorio – Novità normative e orientamenti giurisprudenziali in urbanistica, edilizia e ambiente, 12 febbraio 2020.
220 Si veda la massima del Cons. Stato, Ad. Plen., sentenza 20 gennaio 2020, n. 2 in Riv. giur. ed., 2020, 2, fasc. 1, pag. 322: “Poiché l’art. 42 bis del D.P.R. 327/2001 dispone che il titolo di acquisto possa essere l’atto di acquisizione (espressione di una scelta dell’Autorità), non si può attribuire alcun rilievo a tal fine a un atto diverso, vale a dire al successivo atto di liquidazione del danno, peraltro emanato in esecuzione di una sentenza; in altre parole, né dall’art. 42-bis, né da altra norma può ricavarsi l’attribuzione dell’effetto giuridico di rinuncia abdicativa alla fattispecie complessa derivante dalla coesistenza della sentenza di condanna e dall’atto di liquidazione del danno.”
CONCLUSIONI
Giunti al termine di questo elaborato, è possibile dunque trarre una serie di conclusioni.
Per fronteggiare l’annoso problema delle occupazioni illegittime della p.a., l’ordinamento ha messo in campo dei possibili strumenti di risoluzione del contenzioso, primo fra tutti l’art. 42 bis D.P.R 327/2001. Come emerge dall’analisi effettuata, con esso il legislatore ha inteso fornire alla Pubblica Amministrazione un procedimento eccezionale che, in presenza dei requisiti previsti dalla legge, le consenta di tornare a muoversi nell’alveo della legalità, come a mio parere correttamente affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 71/2015. La questione più problematica legata all’applicazione del suddetto istituto è però quella del rapporto intercorrente con le altre tutele previste dall’ordinamento, in special modo quella restitutoria. Può un Ente, che ha occupato senza titolo, magari per anni, un bene immobile, reagire all’istanza del proprietario volta a sollecitarne la restituzione previa rimessione in pristino stato, con l’acquisizione coattiva ex art. 42 bis (paralizzando, di fatto, la pretesa dell’attore anche a seguito di domanda giudiziale)? Secondo l’orientamento prospettato nella recente Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 4/2020, che appare a mio parere condivisibile, sì, poiché la valutazione della scelta se restituire il bene o acquisirlo
coattivamente rientra nel potere discrezionale della p.a., e il legislatore non ha imposto ad essa alcun termine per esercitarlo. La pubblica autorità dovrà, certamente, dimostrare che l’acquisizione costituisce l’extrema ratio per la soddisfazione delle attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico: dovrà motivare accuratamente nel provvedimento che non sussistono ragionevoli alternative all’acquisizione, ma di fatto l’ultima parola spetta ad essa, e non al proprietario, posto che la funzione amministrativa preordinata al perseguimento di scopi di pubblica utilità è pacificamente ritenuta prevalente rispetto al diritto di proprietà del singolo. Al privato spetta solamente la potestà di compulsare la p.a. occupante, ove non provveda essa stessa, mediante istanza/diffida, a porre fine alla situazione di illecito permanente, mediante restituzione o acquisizione (salvo sempre la possibilità di un accordo tra le parti, nella forma della compravendita o dell’accordo ex art. 11 L. 241/1990).
Attualmente, come evidenziato nel terzo e quinto capitolo, altre alternative non sono possibili.
In merito alla possibilità per la Pubblica Amministrazione, convenuta in un giudizio restitutorio, di paralizzare la pretesa dell’attore eccependo l’avvenuto acquisto della proprietà del bene illegittimamente occupato per usucapione, ritengo condivisibile l’orientamento formatosi a partire dalle sentenze n. 3346/2014 e n.
3988/2015 della Quarta Sezione del Consiglio di Stato. Il possesso illegittimo della p.a., in quanto frutto di occupazione sine titulo, non può configurarsi come un possesso utile ai fini dell’usucapione, posto che difetta del fondamentale requisito della non violenza, in linea con la nozione di violenza del possesso elaborata dalla Corte di Cassazione nella citata sentenza n. 22174/2012. Ma soprattutto, consentire alla p.a. di acquisire a titolo originario, per usucapione, un bene immobile occupato al di fuori di procedure espropriative conformi alla legge, contrasta con i principi in tema di proprietà espressi nella Costituzione e nella CEDU, e condurrebbe ad una situazione non dissimile da quella esistente sotto la vigenza dell’istituto dell’accessione invertita, come evidenziato anche in dottrina da M. Grisanti, il quale ritiene che la visione offerta della Quarta Sezione del Consiglio di Stato a partire dal 2014, ribaltando i precedenti orientamenti dei TAR, sia sicuramente conforme ai principi costituzionali e sovranazionali in tema di proprietà e ripristinatoria di una posizione di equilibrio tra p.a. e cittadino.
Ciò che è sicuro è che, anche volendo ritenere operante l’usucapione pubblica, non sarebbe possibile fino a quando non saranno decorsi vent’anni dall’entrata in vigore del T.U. sugli espropri, momento a partire dal quale può farsi decorrere il possesso utile ai fini dell’usucapione. Sarà interessante vedere se la giurisprudenza, a partire
dal 2023, si manterrà in linea con quanto prospettato dal Consiglio di Stato, oppure si riallinerà agli orientamenti passati dei TAR, soluzione che ritengo di escludere perché contrastante con i principi generali del nostro ordinamento.
Quanto alla problematica affrontata nel quinto capitolo, relativa alla rinuncia abdicativa implicita nella richiesta di risarcimento danni per equivalente da parte del privato alla proprietà del bene, sono necessarie alcune considerazioni.
Il Consiglio di Stato ha assunto negli anni atteggiamenti contrastanti e assai mutevoli, adottando soluzioni a mio avviso azzardate. Mi riferisco, nello specifico, all’ipotesi prospettata dalla Quarta Sezione nella sentenza n. 4636/2016, seguita poi anche da vari TAR e dalla Corte di Cassazione, di giustificare il passaggio del diritto di proprietà dal privato all’Ente occupante mediante la trascrizione dell’atto di liquidazione del danno. Ritengo che si tratti di una costruzione giuridica che sposta l’ago della bilancia a netto vantaggio, ancora una volta, della parte pubblica, e priva di fondamento giuridico, posto che non esiste alcuna norma dell’ordinamento che consenta di collegare alla dismissione di un diritto da parte del titolare l’effetto acquisitivo dello stesso a favore di un terzo.
È invece condivisibile, ed in linea con i principi cardine del nostro ordinamento, il doppio decisum dell’Adunanza Plenaria del Consiglio
di Stato cui si è giunti di recente (ci si riferisce alle citate sentenze n. 4 e n. 4 del 2020), con cui si è bandita la rinuncia abdicativa al diritto di proprietà implicita nella richiesta di risarcimento danni dal novero degli strumenti di risoluzione delle occupazioni illegittime. Il motivo principale è che non si tratta di uno strumento fornito di una base legale in materia di espropri, ma di un escamotage per reintrodurre meccanismi di trasferimento della proprietà alla parte pubblica alquanto discutibili. Appare corretto ritenere, da un punto di vista