Capitolo 4. L’identità dell’artista: tra genere, alterità e diversità
3. La pratica artistica come denuncia dello stato sociale
In una sala della mostra Slip of the tongue è esposta la serie di fotografie di Peter Hujar intitolata Palermo Catacombs #2, #4, #5, #8 e #10, stampe alla gelatina d’argento datate 1963 (fig. 67).
«Con la fotografia entriamo nella morte piatta» scrive l’intellettuale francese Roland Barthes. Durante un viaggio in Italia nell’estate del 1963 Peter Hujar raggiunge a Roma Paul Thek, suo compagno e amante. Trascorrono i mesi d’estate e autunno del 1963 a Palermo su invito di Topazia Alliata, la responsabile della galleria Trastevere. Durante quel soggiorno Hujar e Thek visitano le catacombe dei Cappuccini a Palermo, dove il primo fotografa il secondo in mezzo ai cadaveri che lo attorniano in ranghi serrati. Costruite nel XVI secolo per l’inumazione dei frati, le catacombe ospitano circa ottomila corpi sepolti soprattutto durante l’Ottocento, quando la cripta venne aperta alla borghesia siciliana, e fino al 1920, data in cui ebbe luogo l’ultima inumazione, quella di una giovane donna, Rosalia Lombardo. Dopo un lungo processo di disidratazione i corpi venivano imbalsamati e lasciati all’aria, in piedi, o deposti in bare talvolta munite di vetrine laterali, prima di essere allineati lungo i muri per categorie di genere, età ecc. durante la sua visita Hujar scatta con la Rolleiflex numerose fotografie di formato quadrato, poi è lui stesso a seguire le stampe, che sono il frutto di numerosi tentativi e presentano tutte le stesse piccole imperfezioni (un angolo inferiore destro che non è perfettamente ad angolo retto ecc.). Quindici anni dopo, nel 1976, per la pubblicazione del suo libro Portraits in Life and Death Hujar limita la serie a dodici fotografie inclusa
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la copertina, uno scatto delle catacombe che raffigura parzialmente tre corpi in piedi contro un muro su cui la luce proietta ombre vegetali348.
Le dodici immagini non mostrano mai una panoramica delle catacombe, ma si concentrano sui corpi, sulle diverse forme in cui si presentano – in una bara aperta dotata lateralmente di griglie o vetri, su vari livelli, in piedi o stesi – e sulle indicazioni scritte che li accompagnano, in particolare l’etichetta che ogni mummia porta al polso con il nome e le date di nascita e di morte. La presenza teatrale, la bellezza della disintegrazione e la forza ornamentale dei corpi sono individualizzate e dettagliate. In Portraits in Life and Death i ventinove ritratti di amici in vita e dei corpi delle catacombe sono messi sullo stesso piano per indicare l’interdipendenza e l’entropia tra uno stato e l’altro349
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Nella mostra sono esposte sparse nelle sale le fotografie di Peter Hujar intitolate Andrew’s Back (1973); Paul’s Legs (1979); Draped Male Nude (I) (1979); Pascal: Scarred Abdomen (1980); Draped Male Nude (III) (1979);
Chuck Gretsch (IV) (1981), stampe vintage alla gelatina d’argento di proprietà
del The Estate of Peter Hujar, concesse dalla Fraenkel Gallery di San Francisco e la Pace/MacGill Gallery di New York.
Che si tratti di esseri umani o animali, la maggior parte dei ritratti fatti dopo il 1975 è stata realizzata nel loft di Peter Hujar al 189 di Second Avenue, a Manhattan. Il luogo, che gli è stato lasciato dalla “superstar” trans gender Jackie Curtis, traslocata altrove, è allo stesso tempo intimo e professionale. Hujar vi crea il vuoto, in linea con la storia della pratica fotografica classica del ritratto in studio, tradizione che nel frattempo si è sbarazzata di tutte le quinte e scenografie che nell’Ottocento erano in uso da Parigi a Johannesburg. Il loft è praticamente vuoto, ammobiliato solo con un letto, un tavolo e alcune sedie che all’occorrenza servono da accessori. Sebbene Hujar, formatosi nella fotografia di moda, sembri qui aver optato per una forma classica – nella composizione,
348 E. Lebovici, Slip of the tongue, Op. cit., pag. 14. 349 E. Lebovici, Slip of the tongue, Op. cit., pag. 14.
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nell’inquadratura, nell’illuminazione, nel contrasto – il suo rapporto con i corpi di fronte all’obiettivo non ha niente di canonico. Anche quando è Caravaggio a ispirarlo, come nel Nu Drapé (I) che dorme svelando il sesso, il modello, lasciato libero di muoversi a suo piacere, è dotato di autonomia. «Per Peter Hujar non c’erano mostri e non c’era possesso», osserva uno dei suoi amici, il critico di fotografia Vince Aletti350.
Nella retorica della politica sessuale, il sesso è definito come differenziazione biologica e il genere come condizione sociale o culturale. La filosofa Judith Butler sostiene che il genere è una rappresentazione in divenire e non una qualità essenziale del corpo. Nello stesso tempo però il genere non è un qualcosa che l’individuo costruisce, ma un modello presistente di comportamento al quale aderiamo. Da questa distinzione scaturisce un’ambiguità – una spaccatura in cui la natura sessuale e la formazione dell’identità di genere non devono necessariamente corrispondere351
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La produzione artistica di Peter Hujar prende ispirazione, forse, da quella di Robert Mapplethorpe352, il più grande fotografo americano del Novecento.
A prescindere dai temi delle composizioni, le sue immagini sono caratterizzate da una perizia impeccabile e da un’impostazione classica; in particolar modo nel nudo maschile in bianco e nero, che viene presentato come una sorta di figura scolpita nella carne di un uomo umano. Nell’atmosfera di conservatorismo politico e culturale degli anni Ottanta, pervasa dal senso di panico intorno al problema dell’Aids, l’aggressiva derisione di Mapplethorpe dei tabù della nudità maschile, così come certe immagini a sfondo erotico omosessuale dal contenuto esplicito, ne fecero una figura controversa, insieme
350 E. Lebovici, Slip of the tongue, Op. cit., pag. 15.
351 S. O’Reilly, Il corpo nell’arte contemporanea, Op. cit., pag. 81. 352
Fotografo americano, nato e attivo principalmente a New York. Studiò pittura e scultura; verso la fine degli anni Sessanta si interessò alla cinematografia underground prima di dedicarsi alla fotografia, che apprese da autodidatta negli anni Settanta. Lo stimolo essenziale fu per lui l’accesso alla collezione fotografica del Metropolitan Museum of Art tramite l’amico John McKandry, che era il curatore delle stampe fotografiche in G. D’Autilia (a cura di), Dizionario della fotografia, Torino, Giulio Einaudi Editore, 2008, pag. 670.
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ad altri artisti «trasgressivi» come Andres Serrano. La sua morte prematura per Aids non fece che accrescere la sua notorietà in questo senso353.
Attraverso le sue fotografie, Mapplethorpe cristallizza il massimo investimento pulsionale su persone o cose, compie un viaggio nella vertigine dei sensi, dallo sguardo ai genitali, che ammette soltanto l’unione libera e circolare degli esseri, atta ad ampliare e superare l’ultimo concetto di erotismo. Quanto ritrae è l’esuberanza di un’arte amatoria che, rivolta al piacere di sé, prescinde dalla differenza tra amore e perversione, tra attivo e passivo, tra dominante e dominato, tra bene e male. Va oltre gli opposti e supera le distinzioni, perché interessato a muoversi negli intervalli o negli iati che, nel separare, attraggono le individualità, producendo quelle straordinarie sorprese di eventi personali e sensuali che si definiscono erotiche354.
L’investimento immaginario e libidinale che Mapplethorpe veicola attraverso l’esperienza dei collage e degli assemblage di matrice artistica, fissa immediatamente il soggetto dominante della sua opera: la ricerca di un pensiero “selvaggio” e altro, come quello omosessuale, da opporre a un linguaggio “civilizzato” e comune, quello eterofilo. La sua posizione sin dall’inizio è “ideologica”, aspira a introdurre la differenza e la sembianza diverse in una cultura che le esclude. Quanto lo interessa è immettere, nell’arte del vedere, che include la pittura, la scultura e la fotografia, lo scorrere parallelo alle norme e ai modelli. Vuole inscrivere nel suo spazio la cultura visiva omofila, le sue differenti apparenze e raffigurazioni, simboliche e metaforiche. Intende muoversi sulla soglia dei sessi, nell’intervallo che scorre tra il maschile e il femminile, per raccontarne non l’eccezionalità, ma la normalità. Aspira a mostrare che la natura eretica e l’irrapresentabilità della figurazione omofila ed omosessuale hanno un luogo nella storia dell’arte e della fotografia, passare e
353 G. D’Autilia (a cura di), Dizionario della fotografia, Torino, Giulio Einaudi Editore, 2008, pag. 671. 354
G. Celant, Il satiro Mapplethorpe e la ninfa Fotografia in G. Celant, Mapplethorpe, catalogo della mostra Mapplethorpe, Venezia, Palazzo Fortuny, 30 agosto – 13 dicembre 1992, Milano, Electa, 1992, pag. 11.