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La prestazione gestoria in ipotesi di deleghe speciali

Nel documento TESI DI DOTTORATO (pagine 118-122)

L’attribuzione al plenum di una competenza d’ordine valutativo presuppone ovviamente che la cura degli assetti e l’elaborazione dei piani siano effettuate altrove. Prima di riempire di contenuto le formule utilizzate dal legislatore occorre svolgere alcun brevi riflessioni sulla intestazione degli obblighi gestori in ipotesi di deleghe parziali. La ripartizione di competenze gestorie e competenze valutative contenuta dell’art. 2381 c.c. è invero compiuta sull’implicito presupposto che al delegato sia stata attribuita una competenza gestoria piena: quid iuris in caso di deleghe speciali?

Si possono immaginare due situazioni diverse: nella prima la gestione è ripartita tra più soggetti, ognuno

titolare di una propria competenza gestoria; nella seconda la delega di poteri abbraccia solo una porzione della gestione, affidata ad uno o più delegati, che per il resto rimane di competenza del board.

Nel primo caso l’elaborazione dei piani e la cura degli assetti e degli obblighi informativi vanno intestati collettivamente a tutti i delegati: l’intera gestione è loro competenza. La sola soluzione di continuità rispetto all’unico delegato è la frammentazione soggettiva dei compiti gestori, ciò che impone che tra i vari delegati vi sia coordinamento: si tratta di funzioni che per loro natura necessitano di un indirizzo unitario e che giammai potrebbero essere il risultato della sommatoria di contribuiti indipendenti.

Nel secondo caso la competenza gestoria è ripartita tra plenum e delegati: rispetto alla situazione immaginata dal legislatore la discontinuità è evidente. La necessità di un indirizzo unitario rimane ferma: non può dunque ammettersi che i singoli delegati vedano compressi i loro obblighi nei limiti imposti dall’oggetto della delega213,

213 La ricostruzione qui contesta poggia sul postulato che le singole deleghe,

sebbene parziali, coprano settori operativi autonomi ed autosufficienti. Mentre in questo caso la frammentazione soggettiva degli obblighi in discorso può certamente avere una sua logica – potendo ogni delegato curare in autonomia l’adeguatezza degli assetti della funzione rispettiva – immaginando un’ulteriore spezzettamento del potere gestorio essa viene meno. La critica è ancor più convincente, se si pone l’attenzione all’elaborazione dei piani, che già intuitivamente rifuggono una visione settoriale. Piani e assetti seguono nel disegno del legislatore la medesima soluzione: si impone dunque un indirizzo unitario tanto nell’elaborazione dei piani, che nella cura degli assetti. A favore della tesi qui

così segmentando tra delegati e consiglio la cura degli assetti e, soprattutto, l’elaborazione dei piani. L’alternativa, dunque, è tra l’intestazione piena sui delegati o sul consiglio. La tesi secondo cui, a prescindere dall’ampiezza della delega, gli obblighi in discorso sarebbero sempre di pertinenza degli amministratori delegati non persuade. Al di là della carenza di argomentazioni decisive214, ciò che davvero non convince è proprio l’addossare una impegnativa responsabilità su chi non necessariamente è in grado di assolvere il compito che gli si vuole demandare. Ragionando ad absurdum, si dovrebbe immaginare che qualsiasi delega gestoria, anche la più insignificante, includa quale immancabile effetto di legge la cura dell’intero assetto organizzativo, amministrativo e contabile, con ogni conseguente aggravamento di poteri e, soprattutto, di

capitali, in Società, 2003, p. 802; P. MORANDI, Sub art. 2381, cit., p. 682; G.D.MOSCO, Sub.

art. 2381, p. 600; P.MONTALENTI, Il sistema dei controlli interni, cit., p. 296.

214 A favore criticata nel testo, cfr. M. IRRERA, Assetti organizzativi adeguati, cit., p.

259 ss.; secondo cui militerebbero a favore dell’intestazione in ogni caso sui delegati i seguenti argomenti: i) la lettera della legge, secca nell’attribuire gli obblighi in oggetto sui delegati tout court, senza eccezioni; ii) l’esistenza di altri casi di titolarità di poteri gestori anche esterni alla delega (i.e. il caso della rappresentanza legale); iii) la posizione più congeniale in cui si troverebbe il delegato per l’assolvimento degli obblighi in discorso, in quanto a “contatto” con la gestione. In senso contrario può replicarsi che: i) come è stato precedentemente chiarito (cfr. Cap. II, § 5, in particolare i sagaci dubbi e le serie

perplessità di V. BUONOCORE, Le nuove forme di amministrazione, cit., richiamate alla nt. 78),

l’art. 2381 c.c. è stato costruito sul postulato di una delega gestoria piena; ii) altro è il potere gestorio, altro è il potere di rappresentanza, e la titolarità del secondo procede

autonomamente dalla titolarità del primo (P. ABBADESSA, La gestione dell’impresa, cit., p.

109); iii) il delegato non sempre è in grado di tenere sotto controllo l’intero apparato aziendale, ciò dipendendo dall’oggetto della delega, che può essere più o meno ampio, a

seconda dei casi. I rilievi qui richiamati appartengono a P. ABBADESSA, Profili topici, cit., p.

responsabilità215: una rigidità del tutto contraddittoria con la razionalizzazione e la flessibilità che sono l’essenza della delega di funzioni.

La questione merita migliore impostazione. Il punto di partenza è una constatazione di per sé banale: la delega gestoria è modalità eventuale di articolazione dell’assetto organizzativo, sicché non possono esservi pregiudizi sull’attribuire funzioni prettamente gestorie in capo all’organo amministrativo. Altro è un assetto irrazionale alla gestione operativa, come tale non concepibile a livello anche normativo, altro è un assetto inadeguato, secondo un giudizio che va pur sempre calato nella concreta realtà d’impresa216: come è stato già posto in luce217, nella complessità e poliedricità degli interessi che si appuntano sulla singola impresa non possono accettarsi preclusioni di principio. In caso di deleghe parziali, pertanto, gli obblighi di curare gli assetti, i flussi informativi e l’elaborazione dei

215 M. IRRERA, op. ult. cit., p. 256 ss., secondo cui il legislatore avrebbe impresso una

conformazione inderogabile della gestione delegata, improntata a due livelli: impellenze operative in capo ai delegati, funzioni valutative di spettanza del consiglio. Si richiamano

anche qui i puntuali rilievi di P. ABBADESSA, Profili topici, cit., p. 496 s., che osserva essere

fortemente contraddittorio «interdire al consiglio di ritenere o avocare una funzione che, in difetto di delega (generale), gli sarebbe tranquillamente imputata».

216 Non coglie nel segno pertanto l’affermazione secondo cui «la gestione operativa,

day by day, dell’attività d’impresa non può essere assegnata tout court ad un organo

collegiale quale il consiglio di amministrazione», non fosse altro perché la gestione dell’attività corrente non necessariamente deve essere prerogativa quotidiana dell’organo amministrativo, che a tal fine potrebbe strutturare un assetto organizzativo ed amministrativo autosufficiente, deputandovi direttori generali o altri dipendenti dell’impresa. Peraltro, una simile ricostruzione sarebbe del tutto contraddittoria con le istanze di razionalizzazione e flessibilità, che sorreggono per secolare tradizione l’istituto della delega gestoria.

piani – e le relative responsabilità – permangono in capo al consiglio, che potrà assolverli direttamente, coordinando i vari delegati e facendosi collettore dei diversi contributi, ovvero farne oggetto di apposita delega218. Del resto, il coordinamento tra delegati e consiglio, ossia tra i protagonisti della gestione, non può che trovare nel secondo la sua sede operativa: la distanza con la tesi che assegna ai delegati la cura degli assetti e l’elaborazione dei piani, comprimendola nei limiti dell’oggetto della delega, è dunque più apparente, che reale.

Nel documento TESI DI DOTTORATO (pagine 118-122)