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La natura dell’incarico

Nel documento TESI DI DOTTORATO (pagine 75-80)

3. La diligenza secondo la riforma: riallocazione della diligenza ed oggetto

3.1 La natura dell’incarico

Ai sensi del nuovo art. 2392, c. 1, c.c., gli amministratori devono adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze.

Il grado di diligenza esigibile, dunque, va in primo luogo parametrato sulla natura dell’incarico. La specificazione sembra aver positivizzato l’indirizzo interpretativo dominante127, che rinveniva nell’amministrare

126 Cfr. F. VASSALLI, Sub art. 2932, in Società di capitali, a cura di G. Niccolini – A

Stagno D’Alcontres, Napoli, 2004, p. 80, secondo cui la centralità della diligenza si impone «non tanto perché esista un vero e proprio obbligo di diligenza da osservare, ma piuttosto perché la diligenza costituisce una condizione per l’esatto adempimento della obbligazione di amministrare una società con l’osservanza delle regole di legge e di statuto».

127 L’intervento chiarificatore del legislatore è dunque senz’altro opportuno,

eliminando in radice ogni possibile ambiguità concettuale che il previgente richiamo alla

diligenza del buon padre di famiglia faceva sorgere: cfr. P. MONTALENTI, Amministrazione

e controllo nella società per azioni, cit., p. 44; A. ZANARDO, Delega di funzioni e diligenza, cit., p. 165; più diffusamente, v. § 3, nt. 116.

una società di capitali l’esercizio di un’attività professionale, al quale applicare uno standard qualificato di diligenza128.

Del resto, secondo parte della dottrina appare ragionevole rinvenire nell’attività amministrativa, ormai avviata verso una sempre maggiore specializzazione tecnica e giuridica, l’esercizio di una “attività professionale”, anche considerando che su di essa si appunta una nutrita e variegata congerie di interessi. Sotto un profilo più propriamente giuridico, la difficoltà di ravvisarvi caratteristiche uniformi nell’esecuzione della prestazione129

non sembra d’ostacolo alla qualifica dell’attività amministrativa come attività professionale: la professionalità è comune a tutte le attività economiche esercitate con stabilità, continuità e sistematicità130 (cfr. art. 2082 c.c.).

128 Cfr. A. ROSSI, Responsabilità degli amministratori verso la società per azioni, in La

responsabilità di amministratori, sindaci e revisori contabili, a cura di S. Ambrosini, Milano,

2007, p. 5, secondo cui oggi «non sembra possano sorgere dubbi circa il fatto che, pur se l’amministratore di S.p.a. non debba essere un “professionista”, la diligenza da osservare non corrisponda ad un’oggettiva medietas ma, piuttosto, ad un modello di amministratore che va idealmente ricostruito […] senza che il metro valutativo possa ricondursi ad unum per ogni indistinto contesto imprenditoriale e organizzativo».

129 Cfr. G. VISENTINI, La diligenza come criterio di responsabilità dell’amministratore, in

Principi civilistici nella riforma del Diritto Societario, a cura di V. Afferni e G. Visintini,

Milano, 2005, p. 100.

130 V. ALLEGRI, Contributo allo studio della responsabilità civile degli amministratori,

Milano, 1979, p. 170, secondo cui, quanto «al carattere di continuità, si è visto che la dottrina commercialistica lo ha affermato come principale carattere della professionalità dell’imprenditore»; perviene alla medesima conclusione, sebbene con un diverso

percorso argomentativo, G. MINERVINI, Gli amministratori di società per azioni, op., cit., p.

201, il quale, richiamando L. Mengoni (L. MENGONI, Obbligazioni «di risultato» e

obbligazioni «di mezzi», op. cit.), ritiene dovuta la peritia artis allorché, ponendo attenzione

alle circostanze concrete del comportamento tenuto dal debitore all’atto di assumere l’obbligazione, sia «dato desumere la sua promessa, comunque identificabile attraverso un’interpretazione di buona fede del contratto, di eseguire la prestazione a regola d’arte, ossia con le qualità proprie delle prestazioni fornite dal buon professionista di quella

La contrapposizione tra quanti escludono la professionalità dell’agire amministrativo e quanti l’ammettono sembra risolversi peraltro in una contesa più propriamente concettuale: da un lato, si esclude che ciò valga ad assoggettare l’attività alle regole artis, tipiche delle professioni intellettuali; dall’altro, non si disconosce che la diligenza vada comunque graduata in funzione della specifica prestazione e delle circostanze del caso.

Proprio perché criterio unitario ed elastico, la diligenza ex art. 2392 c.c. non può certo profilarsi su un generico paradigma del “buon amministratore”: l’esercizio dell’attività non presenta caratteristiche uniformi nell’esecuzione della prestazione, potendo variare in dipendenza di una molteplicità di fattori, sia endosocietari, che esosocietari. Sotto questo punto di vista occorre valorizzare non solo le peculiarità della società e dell’impresa esercitata (tipo di società amministrata, sue dimensioni, strutture e possibilità finanziarie, settore d’attività), ma anche le caratteristiche e le condizioni dell’operazione relativamente alla quale si discuta131

specialità: e ciò a prescindere dalla oggettiva sussistenza, nel debitore, della qualità di professionista»; in giurisprudenza, ex multis, cfr. Cass. 24 agosto 2004, n. 16707, cit., secondo cui l’attività degli amministratori, «traducendosi nella gestione di un'impresa commerciale cui è connaturato il carattere professionale dell'esercizio di un'attività economica organizzata (art. 2082 cc.), assume dunque i colori della professionalità che naturalmente si riverberano anche sul parametro della diligenza (come del resto ora conferma anche il nuovo testo del medesimo art. 2392, riformato dal d. lgs. n. 6 del 2003)».

131 In relazione alla disciplina pre-riforma cfr. F. BONELLI, La responsabilità degli

(importanza strategica ed economica, impellenza nell’assumerla, etc.), nonché la funzione concretamente ricoperta da ciascun amministratore132. Il pensiero corre inevitabilmente al nuovo testo dell’art. 2381 c.c., con il quale il legislatore della riforma ha delineato «un’articolazione interna del consiglio e del suo funzionamento in cui i rispettivi poteri e doveri del consiglio e degli organi delegati siano delineati con precisione, in modo che anche le rispettive responsabilità possano essere rigorosamente definite»133. Ne consegue l’esistenza di una pluralità di

vol. IV, Torino, 1991, p. 353, secondo cui «[s]arà pertanto il giudice che in definitiva dovrà apprezzare, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso (tipo di società amministrata, sue dimensioni e settore dell’attività esercitata, sue strutture e possibilità finanziarie, importanza e condizioni dell’operazione relativamente alla quale si discuta, tempo a disposizione dell’amministratore per prendere la decisione ecc.) […] se il comportamento dell’amministratore debba o no – alla stregua di come si comportano normalmente gli amministratori in analoghe circostanze – essere qualificato diligente»; negli stessi termini,

V. ALLEGRI, Contributo allo studio della responsabilità, op cit., p. 172 ss.; R. WEIGMANN,

Responsabilità e potere legittimo, cit., p. 152 ss. In relazione alla disciplina postriforma, cfr.

P. MONTALENTI, in P.MONTALENTI –S.BALZOLA, La società per azioni quotata, cit., p. 216;

ID., Gli obblighi di vigilanza, cit., p. 838 s.; A. ROSSI, Responsabilità degli amministratori, cit., p.

6 s., secondo cui deve «affermarsi un principio di diretta proporzionalità tra complessità e dimensioni dell’impresa amministrata, dall’un lato, e grado di diligenza del gestore,

dall’altro lato»; F. CENTONZE, La Suprema Corte di cassazione e la responsabilità omissiva degli

amministratori non esecutivi dopo la riforma del diritto societario, in Cass. Pen., 2008, I, p. 113;

v. in particolare A. ZANARDO, cit., p. 107 ss., cui si rinvia per gli ulteriori riferimenti

bibliografici.

132 E. CIVERRA, Inadempimento delle obbligazioni sociali e responsabilità degli

amministratori, in Società, 2005, p. 1120; A. ZANARDO, cit., p. 109 ss.; A.DE NICOLA, cit., p.

555; A: ROSSI, op. ult. cit., p.5; A. DE GREGORIO, Delle società e delle associazioni commerciali,

cit., p. 337, secondo cui «dovendosi giudicare dell’estensione dei doveri del singolo amministratore in rapporto ad una determinata azienda ed alla sua complessiva organizzazione amministrativa, il giudizio potrà essere diverso da caso a caso [ poiché ] c’è tutta una graduazione di attività amministrativa alla quale risponde una graduazione della diligenza dovuta dal singolo amministratore».

133 Relazione alla Riforma, § 6.III.2, Il consiglio di amministrazione e la circolazione delle

modelli astratti di amministratore diligente134, in funzione del ruolo concretamente ricoperto135 (amministratore delegato, presidente del consiglio, amministratore non esecutivo, dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili, etc.) e delle funzioni svolte (ad esempio la partecipazione ad un comitato), sul presupposto della legittima divisione di ruoli e competenze e della necessità di mantenere la responsabilità solidale entro i confini della responsabilità per fatto proprio136.

134 Per una posizione più sfumata, cfr. V. BUONOCORE, Le nuove forme di

amministrazione, cit., p. 406 s., secondo cui «l’incarico da considerare è quello

dell'amministratore, non suscettibile di diversificazioni che possano influire sulla configurazione della diligenza: unica è la funzione amministrativa - verrebbe di dire, con il compianto Ariberto Mignoli, che la professione di amministratore non è suscettibile di diversificazioni, anche gli eventuali delegati svolgendo, al di là delle attribuzioni specifiche, la medesima funzione gestoria e potendo essere il quid pluris da essi svolto apprezzato con un compenso aggiuntivo - e unico deve essere, di conseguenza, il criterio con cui viene valutato il comportamento dell'investito; e tale criterio, in alternativa a quello della diligenza del mandatario, non potrà che essere quello della diligenza professionale di cui al 2° comma dell'art. 1176 c.c. Sarà poi il giudice - ma questo è problema affatto diverso - a valutare in concreto, anche in base a parametri diversificati - si è forse dimenticato che è lo stesso codice civile a indicare, sia pure relativamente ad altri istituti, nella gratuità o nell'onerosità dell'incarico un possibile metro di valutazione del grado di diligenza applicato e della conseguente responsabilità? - il comportamento dell'amministratore per giudicare se egli abbia osservato il criterio prescritto dal codice nell'espletamento dell'incarico».

135 La questione è correlata al tema delle deleghe atipiche; per il relativo

approfondimento, v. Cap. IV, § 6.

136 Esplicitamente in tal senso anche la Relazione alla Riforma, § 6.III.4,

Responsabilità, ove è affermato che la «posizione di ciascuno dei vari soggetti solidalmente

responsabili va valutata distintamente, in relazione alle circostanze di ogni singolo caso e ai diversi obblighi che fanno loro capo».

Nel documento TESI DI DOTTORATO (pagine 75-80)