CAPITOLO 1 Il longevity risk
1.2 Il longevity risk sotto varie prospettive
1.2.2 La prospettiva degli emittenti di schemi previdenziali privati
Gli erogatori di rendite si possono classificare in due grandi macrocategorie: le imprese di assicurazione e i fondi pensione organizzati da lavoratori e datori di lavoro.
Gli schemi previdenziali aziendali, come già accennato, a loro volta possono prevedere due diversi regimi contributivi: vi sono i piani a prestazione definita (DB) e quelli a contribuzione definita (DC).
In base ai piani DB (un tempo ampiamente offerti negli Stati Uniti dagli sponsor aziendali) il lavoratore dipendente riceve un flusso costante di pagamenti che dipende dall’entità del suo salario, dagli anni di impiego, dall’età di pensionamento e da alcuni altri fattori. I pagamenti sono costanti, dunque in via generale non offrono copertura dal rischio inflazione. Nel caso di un piano DC, invece, i contributi vengono versati dal lavoratore su un conto individuale che alla data del pensionamento metterà a disposizione dell’aderente una somma di denaro pari al montante dei versamenti effettuati; in generale l’aderente può optare, sotto certe condizioni, per la trasformazione del montante in rendita vitalizia o eventualmente richiedere l’erogazione in capitale. Molti piani pensionistici godono di incentivi fiscali e prevedono contributi obbligatori sul fondo dei dipendenti a carico del datore di lavoro. Tipicamente i contributi versati vengono bloccati sino al raggiungimento di una certa età anagrafica dopo la quale eventuali prelevamenti possono essere effettuati, pur implicando sostanziose penalità. Le aziende che sponsorizzano piani DB sono responsabili del pagamento delle somme prestabilite per l’intera durata della vita dei dipendenti (e dei potenziali beneficiari); se le aspettative di vita ad età avanzata migliorano allora aumenta la lunghezza del periodo di pagamento delle prestazioni costanti. Per questo motivo i piani a prestazione definita hanno un’elevata esposizione al collective longevity risk, maggiore di quella che caratterizza i tradizionali prodotti assicurativi vita. I piani aziendali, infatti, sono naturalmente indirizzati ad una forte concentrazione della loro esposizione complessiva sotto il profilo socio economico, in quanto rivolti ad un gruppo di persone operanti nello stesso settore economico e con la stessa occupazione. Il profilo di rischio di tutti gli aderenti ha caratteristiche comuni e dunque conduce ad una minore diversificazione rispetto a quella consentita dalle tradizionali polizze vita (Crawford, 2008). I piani DC, invece, risultano esposti in misura minore al rischio di longevità, in quanto con essi lo
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sponsor si impegna soltanto a restituire un certo ammontare di denaro al momento dell’ingresso in quiescenza, senza promesse di flussi di pagamento vitalizi.
Chi si trova esposto all’incertezza sulla longevità della popolazione reagisce mitigando, trasferendo o condividendo il longevity risk tra un ampio numero di individui. Se dal punto di vista del singolo ci si sposta allora in quello degli sponsor di piani pensionistici privati, si può guardare ai contratti di adesione ai fondi come ad atti di trasferimento, in modo più o meno limitato, del longevity risk dall’individuo al fondo stesso. Per rimediare alle conseguenze negative di tale passaggio i fondi hanno fino ad ora perlopiù risposto offrendo sempre più piani DC piuttosto che piani DB, ricapitalizzandosi, implementando strategie di asset management che meglio si adattino alla natura delle passività previdenziali e da ultimo, soprattutto da parte degli sponsor di piani DB ormai già in essere, utilizzando strumenti cosiddetti “longevity-linked” offerti di recente dal mercato finanziario per rimuovere il longevity risk dai loro bilanci26 (Roy, 2012). Di seguito si riporta un grafico che dà un immediato colpo d’occhio sul progressivo spostamento nell’arco di una decina d’anni (precisamente dal 1999 al 2010) dal regime a prestazione definita a quello a contribuzione definita da parte dei fondi pensione aziendali di diversi Paesi sviluppati (si nota in particolare il forte incremento di asset a fronte di schemi DC registrato nel Regno Unito).
Figura 1.5 – Ripartizione tra asset di piani pensionistici DB e DC in vari Paesi.
Fonte: Towers Watson, Global Pension Asset Study, 2011.
26 Si vedano gli strumenti di Insurance-Linked Securitization e le cosiddette “mortality-linked securities”
trattati nel sottoparagrafo “Trasferimento del longevity risk al mercato finanziario” del paragrafo 1.2.3 - La prospettiva degli assicuratori e dei riassicuratori.
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Occorre fin da subito evidenziare come nonostante i vari sviluppi del mercato in questo campo, le soluzioni ad oggi disponibili per la copertura del rischio di longevità siano ancora piuttosto limitate. Ulteriori miglioramenti si rendono necessari per arrivare alla creazione di un insieme di strumenti efficaci, economicamente accessibili e prezzati in modo trasparente (Roy, 2012).
Strumenti per il cosiddetto “de-risking” dei piani DB oggi maggiormente utilizzati sono i pension buy-out e pension buy-in, e le cosiddette “longevity insurance”.
In un’operazione di pension buy-out sia le attività che le passività del piano vengono trasferite dallo sponsor all’assicuratore attraverso un contratto di “rendita di gruppo”. Le polizze assicurative vengono sottoscritte a nome dei singoli aderenti, i quali in questo modo si affrancano del tutto dallo schema pensionistico e ricevono i pagamenti dall’assicuratore. Tale operazione consente dunque al promotore del piano di ridurre la dimensione del piano nel bilancio aziendale, sbarazzandosi contemporaneamente non solo del longevity risk, ma anche del rischio finanziario e del rischio di inflazione. Tuttavia a seguito di una siffatta operazione gli aderenti vengono esposti al rischio di controparte nei confronti dell’assicuratore. I pension buy-out possono essere strutturati in modo tale da coprire tutti o soltanto una parte degli aderenti al fondo. Generalmente i
pension buy-out completi sono seguiti dalla liquidazione dello schema pensionistico. Si
tratta di operazioni che attualmente occupano soltanto una piccola fetta del mercato assicurativo; sono di particolare appeal per gli sponsor di piccoli piani alla ricerca dell’eliminazione di costi di gestione divenuti eccessivi.
Anche i pension buy-in sono una forma di investimento che consente agli sponsor di schemi pensionistici aziendali di liberarsi dal longevity risk, dal rischio d’inflazione e dal rischio finanziario. La differenza sostanziale con i pension buy-out sta nel fatto che in questo caso la polizza assicurativa viene sottoscritta a nome del fiduciario del fondo e le passività rimangono nel bilancio dello sponsor dello schema pensionistico. Le passività vengono infatti assicurate attraverso una rendita con flussi perfettamente collegati ai pagamenti dovuti agli aderenti, ma il fondo continua a rimanere debitore nei confronti degli stessi. Il contratto di buy-in è revocabile e consente in qualsiasi momento la conversione in un contratto di buy-out.
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Di seguito si riporta uno schema in cui si confrontano le strutture contrattuali delle due operazioni di “trasferimento rischi” appena illustrate.
Figura 1.6 – Confronto tra un Pension Buy-out ed un Pension Buy-in.
Polizza assicurativa
Scritta in nome dei singoli aderenti.
Polizza assicurativa
Scritta in nome del fiduciario del fondo.
Piano pensionistico
Completamente liberato da attività e passività
Non più esposto al rischio di longevità, al rischio di inflazione e al rischio finanziario
Piano pensionistico
Le attività vengono trasferite, mentre le passività rimangono (anche se assicurate)
Trasferisce il rischio di
longevità, il rischio inflazione e il rischio finanziario
Aderenti
Completamente affrancati dal piano pensionistico
Ricevono i pagamenti dall’assicuratore
Aderenti
Rimangono nello schema Ricevono pagamenti dal piano pensionistico
Assicuratore
Rileva le attività (con i premi) e le passività
Paga gli aderenti
Assicuratore
Rileva le attività (con i premi) Assicura le passività del piano pensionistico
Fonte: Lane, Clark & Peacock, 2010.
Il volume di scambio di questo tipo di operazioni nel mercato inglese nel 2009 era di 3,7 miliardi di sterline, meno dei 7,9 miliardi del 2008; nel 2010 si registra una lieve risalita dei volumi di transazione a 4 miliardi di sterline (Lane, Clark & Peacock, 2010). La crisi finanziaria ha minato la domanda da parte dei fondi i quali alla luce delle forti incertezze sui mercati finanziari han preferito agire con maggior cautela rispetto al passato, così come dall’altro lato ha diminuito la capacità di assorbimento da parte delle compagnie assicurative, appesantite da più pressanti vincoli patrimoniali (Roy, 2012).
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a disposizione degli sponsor di piani DB impegnati nel de-
risking del loro bilancio è la realizzazione di una cosiddetta “longevity insurance transaction”. Si tratta di un’operazione di copertura dal longevity risk “disegnata su
misura” per lo specifico piano pensionistico generalmente attraverso l’uso di longevity
swap. Tale strumento derivato consente di convertire un’obbligazione futura incerta in
una passività certa, per cui lo sponsor paga all’assicuratore un flusso di importi prefissati contrattualmente in cambio di benefit variabili. La longevity insurance
transaction è generalmente utilizzata insieme ad una strategia di investimento di tipo fixed-income per aiutare lo sponsor a mantenere i rischi a cui è esposto a livelli da esso
gestibili. La figura 1.7 riporta graficamente il flusso in uscita annuo dei possibili pagamenti per un piano pensionistico che ha deciso di coprirsi dal longevity risk con uno swap.
Figura 1.7 – Pagamenti annui di un piano pensionistico con e senza longevity hedge.
Fonte: Lane, Clark & Peacock, 2010.
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Di seguito si riporta invece un grafico che mette in comparazione le principali differenze tra una copertura realizzata con un’operazione di buy-in rispetto a quella realizzata tramite la sottoscrizione di un longevity swap.
Figura 1.8 – Confronto tra i rischi trasferiti nell’ambito di un Pension buy-in e di un Longevity swap.
Fonte: Lane, Clark & Peacock, 2010.