L’attivazione di un monitoraggio del radicamento di neologismi nell’uso mi appare come una forma particolare di una procedura molto utile per studiare in generale lo sviluppo del lessico di una lingua e che mi risulta poco messa in pratica. La storia del lessico si è fondata, prevalentemente, sull’individuazione della data di ingresso di una parola in una lingua e, al massimo, sulla determinazione del periodo di declino. Più raramente, e solo per poche parole, si è cercato di studiarne la fortuna, cioè determinare il tempo impiegato dalla parola per accreditarsi, descrivere la competizione ingaggiata con altre parole semanticamente contigue, indicare l’estensione a tipi di testo diversi.
Neanche i dizionari storici, che pure, con la presenza di esempi dislocati nel tempo, danno dei primi spunti per un’ampia descrizione dell’evoluzione di ogni parola, per-mettono di ricostruire quella che possiamo chiamare la sua “qualità della vita”, dato che non vengono distinti gli hapax, o comunque gli usi marginali (per i quali, spesso, vengono riportati tutti gli esempi disponibili), dagli usi più diffusi, per i quali vengono riportate alcune attestazioni, che garantiscono la continuità di documentazione, ma senza dare elementi sul grado di rappresentatività degli esempi riportati rispetto all’in-sieme di occorrenze presenti nel canone di riferimento. Nel prosieguo di questa esposi-zione, presenterò alcuni dati che, sia pure con metodi poco raffinati e basati su una base documentaria ancora piuttosto esigua, ma sufficiente per i fini che qui ci interessano, si inseriscono proprio nella prospettiva della misurazione della “qualità della vita” delle parole (prospettiva di studio che, con strumenti e corpora ben più elaborati, stanno sviluppando studiosi di altre discipline; cfr. Trevisani-Tuzzi 2015).
In questa prospettiva, presento ora i risultati della ricostruzione della “qualità della vita” di alcuni forestierismi introdotti in italiano negli ultimi anni, quando possibile comparati con la loro alternativa italiana. Questo monitoraggio rivolto al passato può darci indicazioni su quali possono essere i casi che può incontrare un centro di monito-raggio che voglia avanzare proposte alternative ai forestierismi incipienti.
Il monitoraggio della storia recente delle parole prese in esame si basa sull’interro-gazione degli archivi storici dei due maggiori giornali italiani, «Corriere della Sera»
e «Repubblica», presentati congiuntamente o separatamente. Dopo i primi rilievi, relativi a selfie e spread, è risultato che l’andamento dell’uso delle parole esaminate è sostanzialmente analogo nei due giornali, a parte piccole differenze nei valori assolu-ti, del tutto trascurabili ai nostri fini e qualche accelerazione, in uno dei due giornali, dell’evoluzione cronologica rilevata. Il periodo di osservazione è il 1992-2014 (il ter-mine a quo è determinato dall’anno d’inizio della digitalizzazione del «Corriere della Sera»). Spiace non aver potuto prendere in considerazione l’archivio della «Stampa», uno degli strumenti più utili per le indagini sulla storia del lessico otto-novecentesco (grazie alla digitalizzazione dell’intera raccolta del giornale, dalle origini, nel 1867, al 2005); ma al momento risulta ancora oscurato l’archivio degli anni più recenti, fino a qualche mese fa pienamente disponibile.
I dati si riferiscono al numero di articoli che contengono le parole prese in esame, indipendentemente dal numero di occorrenze presenti nei singoli articoli e
indipen-dentemente dalla compresenza o meno nello stesso articolo delle due forme esaminate, nel caso siano stati presi in esame congiuntamente il forestierismo e una sua possibile alternativa italiana.
3.1. Selfie
Il primo caso, di assoluta semplicità, è quello di selfie, ‘foto scattata a sé stessi con uno smartphone o una webcam, che generalmente viene poi condivisa sui social network’.
La parola, sconosciuta prima del 2013, negli ultimi anni ha avuto un incremento enor-me, sia nei testi in italiano, sia in quelli in inglese. In italiano, la parola inizia a compa-rire nel 2013, con una ricorrenza molto limitata (appare in 15 articoli del «Corriere della sera» e 5 di «Repubblica»). Gli articoli diventano 386 («Corriere della sera») e 636 («Repubblica») nel 2014. Nei primi cinque mesi del 2015 gli articoli che usano selfie sono 265 nel «Corriere della sera» e 430 in «Repubblica» (con una stima a fine anno, rispettivamente, di 430 e 1032):
Figura 1 Andamento della presenza di selfie nel «Corriere della Sera» e in «Repubblica» (in numero di articoli)
Quando una parola viene introdotta nella lingua in tempi così rapidi e in quantità così massicce, è del tutto inutile proporre alternative, per quanto ben congegnate: il tempo necessario a riconoscere il fenomeno, individuare possibili alternative, condi-viderle e lanciarle è nettamente superiore a quello impiegato dalla parola ad affermarsi nel linguaggio giornalistico, in quello dei social media e nell’italiano comune.
Va notato, tuttavia, che si tratta di un caso dotato di un’accentuata specificità: tra le pa-role prese in esame, selfie è l’unica denominazione che occorre con facilità nei discorsi
2013 2014 2015
1200
1000
800
600
400
200
0
Repubblica
Corriere
PER UN MONITORAGGIO DEI NEOLOGISMI INCIPIENTI
quotidiani in quanto designa un’entità di uso comune e che non dispone di un concor-rente attendibile (autoscatto è solo appaconcor-rentemente un sinonimo, in quanto indica un modo di fotografare nel quale la macchina scatta da sé stessa dopo un certo numero di secondi, e solo indirettamente l’abitudine di fotografare sé stessi; autofoto, voce paral-lela a un’analoga voce spagnola, ha avuto scarsissima diffusione).
3.2. Spread
Spread può apparire, alla nostra memoria di parlanti, una parola dalla storia simile a quella di selfie, con una totale assenza dai testi in italiano, fino a uno scoppio improvvi-so (databile in questo caimprovvi-so al 2011). Le cose in realtà stanno un po’ diversamente, come mostra il seguente grafico:
Figura 2 Andamento della presenza di spread nel «Corriere della Sera» e in «Repubblica» (in numero di articoli)
Spread ha certamente avuto nel 2011 un improvviso picco di presenze nei giornali esaminati (con una regressione immediata negli anni successivi), ma la vita della parola, per quanto grama, durava già da quasi un ventennio, con un andamento molto oscillan-te, soprattutto nel «Corriere della sera»: una media di una ventina di articoli all’anno nei primi anni Novanta, poi un incremento nel 1997 e 1998, rispettivamente con 66 e 76 presenze, una successiva fase di latenza fino al 2010, quando la voce riprende quota, con 104 articoli nel 2010, 577 nel 2011, 1641 nel 2012, per poi scendere a 765 nel 2013 e 538 nel 2014 (un andamento analogo, tranne qualche particolare, ha avuto
«Repubblica»).
2000 1800 1600 1400 1200 1000 800 600 400 200
0
1992 1994 1996 1998 2000 2002 2004 2006 2008 2010 2012 2014
Repubblica Corriere
3.3. Spending review
Un’analoga impennata ha avuto spending review, per la quale presento i dati aggregati, che comprendono le presenze sia nel «Corriere della sera», sia in «Repubblica»:
Figura 3 Andamento della presenza di spending review e revisione della spesa nel «Corriere della Sera» e in «Repubblica» (in numero di articoli, dati aggregati relativamente ai due giornali)
L’impennata del 2012 (1 036 articoli), cui fa seguito, negli anni successivi, un anda-mento oscillante, ma con un numero minore di presenze (646 nel 2013, 837 nel 2014), ha alle spalle una vita endemica, con presenze di qualche unità a partire dal 2004, fino al primo incremento (42 articoli) nel 2011.
Va notato che nel 2011, l’anno precedente a quello in cui si è rilevato il maggior utilizzo di spending review, si affaccia con un manipolo significativo di presenze anche il più ricorrente (per quanto inesatto) corrispondente italiano, revisione della spesa (già attestato in un articolo del 1996 e in uno del 2008, in 5 articoli del 1997 e in 4 del 1998, in anni per i quali non risultano occorrenze di spending review). Anche negli anni successivi al 2011 si riscontra una certa presenza del corrispettivo italiano, che risultava, invece, assente negli anni 2004, 2005, 2006, 2009, 2010, caratterizzati invece da una presenza, sia pure solo latente, di spending review.
3.4. E-commerce
Una dinamica diversa ha caratterizzato e-commerce nei suoi rapporti con l’italiano com-mercio elettronico. Me ne ero già occupato in Cortelazzo 2000, notando, a partire da una base di dati più ridotta di quella di cui si può disporre attualmente, che nei primi anni della sua introduzione il forestierismo aveva subito una forte concorrenza da parte del corrispondente italiano, anche se più lungo, e non era riuscito a sovrastarlo. Anche a proposito del concetto di ‘commercio elettronico’, si verifica (in questo caso nel 2000)
1200
1000
800
600
400
200
0 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014
spending review
revisione della spesa
PER UN MONITORAGGIO DEI NEOLOGISMI INCIPIENTI
un’improvvisa impennata delle relative denominazioni; l’impennata riguarda sia e-commerce, sia commercio elettronico. Poi, l’andamento di e-commerce segue da vicino quello di commercio elettronico (al punto che i tracciati delle due parole finiscono per sovrapporsi). Solo a partire dal 2006 la frequenza delle due parole inizia a differenziar-si notevolmente, portando, a partire dal 2010, a una netta prevalenza dell’anglicismo.
Figura 4 Andamento della presenza di e-commerce e commercio elettronico nel «Corriere della Sera» e in «Repubblica» (in numero di articoli, dati aggregati relativamente ai due giornali)
Si può vedere il fenomeno anche da un altro punto di vista, quello dell’incidenza della forma italiana sul totale delle due espressioni che designano la nozione di “com-mercio elettronico”. Nei primi anni (dal 1993 al 2000), caratterizzati da una ridotta presenza di tali denominazioni, si rileva una preponderanza della forma italiana, che è presente in più del 50% degli articoli contenenti almeno una delle due denominazioni.
A partire dal 2000 la situazione muta e prevalgono gli articoli in cui è utilizzato almeno una volta e-commerce; ma è solo dal 2009 che il numero di articoli contenenti e-com-merce sovrasta, con uno scarto sempre più rilevante, il numero di articoli contenenti commercio elettronico.