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La quotazione in Borsa e i diritti televisivi

Nel documento La governance nelle società di calcio (pagine 44-49)

Nella seconda metà degli anni 90 il campionato vede l’arrivo di tantissimi campioni stranieri, tra cui quello di maggiore spicco è senza dubbio Luis Nazario de Lima, in arte Ronaldo. Il fenomeno, dopo essere diventato campione del mondo nel 1994 col Brasile senza aver giocato neppure un minuto, vive l’anno di grazia nel 1998, quando conquista la coppa Uefa e il secondo posto in campionato con l’Inter e deve arrendersi alle convulsioni alla vigilia della finalissima mondiale nell’edizione della Coppa del mondo in Francia 1998. Nonostante le pessime condizioni, Ronaldo viene obbligato dagli sponsor a disputare la finale contro la Francia; il calcio è ormai diventato un business, ed al “Dio Denaro” non si può

dire di no.

Sponsor, denaro, farmaci, doping, procuratori, plusvalenze, diritti TV, passaporti. Sono queste le parole d’ordine del quadriennio 1998- 2002 nel corso del quale, tra le diverse vicende, due sono quelle su cui vale la pena di soffermarsi:

a) la quotazione in Borsa;

b) la negoziazione individuale dei diritti televisivi.

In merito al primo punto, è stato già sottolineato come la Legge 485/96, eliminando il divieto di distribuzione degli utili, equipari le società sportive professionistiche alle tradizionali S.p.A., concedendo alle stesse, di conseguenza, anche la possibilità di essere quotate in Borsa.

Alla fine del 1997 viene approvato un nuovo regolamento per l’ammissione al mercato azionario, il quale riduce notevolmente i

precedenti vincoli. In particolare viene meno l’obbligo di presentazione degli ultimi tre bilanci in utile, un limite che sarebbe stato penalizzante per le società sportive. Per queste ultime, anche se il bilancio dovesse essere momentaneamente in perdita, per l’ingresso e la permanenza nel mercato borsistico occorre dimostrare che gli assetti organizzativi e patrimoniale siano in grado di assicurare stabili ricavi nel tempo che attenuino l’aleatorietà delle entrate legate ai risultati sportivi51.

Il primo club italiano ad accedere alla quotazione è la Lazio, la cui assemblea straordinaria delibera l’ammissione in Borsa il 17 gennaio 1998, mentre l’ingresso ufficiale a Piazza Affari avviene il 5 maggio 1998. Quel giorno la richiesta di titoli supera di circa sette volte l’offerta. Tra i piccoli risparmiatori le domande di sottoscrizione sono superiori di 10 volte rispetto alla quantità di azioni a loro riservate, questo nonostante che dal prospetto informatico si possa agevolmente rilevare che la Lazio ha chiuso gli ultimi due bilanci con un utile rispettivamente di soli 83.000 e 126.000 euro. Il collocamento frutta circa 60 milioni di euro, dei quali soltanto la metà finisce nelle casse sociali, mentre il resto va alla Cirio, la società controllante.

Il 23 maggio del 2000 tocca alla Roma varcare la soglia di Piazza Affari. Quel giorno le richieste di sottoscrizione da parte degli investitori superano l’offerta soltanto di 3,6 volte, deludendo un po’ le aspettative.

L’ultima società ad entrare in Borsa è la Juventus, il cui titolo viene

ammesso alle contrattazioni a partire dal 20 dicembre 2001. Dei tre club quotati, la Juve presenta il progetto di quotazione più credibile. La società bianconera, infatti, finalizza l’entrata a Piazza Affari al reperimento di risorse finanziarie necessarie alla realizzazione di importanti progetti industriali, quali la ristrutturazione e il rinnovamento dello stadio Delle Alpi e la realizzazione di “Mondo Juve” (un centro sportivo con annesso parco di intrattenimento e centro commerciale).

Il calcio del duemila gira, dunque, tutto intorno ai soldi. “C’era un tempo, quando Berta filava, in cui le formazioni si recitavano a memoria, le partite di campionato si giocavano solo la domenica e il mercoledì era l’unico giorno per le coppe. Le squadre scendevano in campo con maglie dai colori tradizionali, “macchiate” da un unico sponsor, gli introiti maggiori per le società erano forniti dagli incassi delle partite e solo i grandissimi campioni riuscivano a strappare ingaggi vicini al miliardo”52.

Le casse delle società di oggi si riempiono soprattutto grazie ai diritti televisivi e, come rovescio della medaglia, le pay-tv impongono ai club quando giocare ed ai calciatori come rilasciare le interviste. La svolta decisiva nel mondo delle televisioni criptate arriva nel 1999 quando due provvedimenti (il n. 6869 del 10 febbraio ed il n. 7340 del 1° luglio) dell’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato (Agcm, cioè l’autorità antitrust) impongono alla Lega calcio di sospendere la vendita collettiva dei diritti televisivi dell’intero campionato e di passare alla negoziazione individuale; a partire

dalla stagione 1999/2000 ogni club ha la possibilità di negoziare singolarmente la cessione ad un network via cavo delle partite casalinghe dell’intera stagione. La Lega calcio avrebbe invece continuato a negoziare i diritti in chiaro in maniera collettiva.

Il provvedimento è avviato dalle pressioni dei club maggiori che propendono per una revisione del modello mutualistico, il quale prevedeva la ripartizione tra le diverse società dei proventi derivanti dai diritti televisivi venduti dalla Lega calcio per conto delle società stesse.

L’antitrust ravvisa che la Lega, vendendo i diritti per conto delle società di Serie A e B, pone in essere comportamenti restrittivi della concorrenza, formando un cartello tra le 38 società del calcio professionistico, e considera quindi restrittiva la vendita centralizzata dei diritti criptati. L’obiettivo della mutualità non è ritenuto sufficiente a giustificare tale modalità di vendita; a parere dell’antitrust, infatti, la redistribuzione delle risorse tra le squadre maggiori e quelle minori, necessaria per mantenere l’equilibrio agonistico delle competizioni, può essere egualmente raggiunta attraverso soluzioni meno restrittive sotto il profilo della concorrenza53.

Da allora le società maggiori vedono raddoppiarsi le entrate da diritti Tv, che diventano la voce di ricavi preponderante.

A livello normativo il provvedimento dell’Agcm è recepito con la Legge n. 78 del 29 marzo 1999, che converte il D.L. n.15 del 30 gennaio. L’art. 4 della Legge stabilisce che: “ciascuna società di

53 Cfr. U. Lago - A. Baroncelli-S. Szymanski, Il business del calcio, Egea, Milano 2004, pagg. 22-23.

calcio di serie A e B è titolare dei diritti di trasmissione televisiva in forma codificata. È fatto divieto a chiunque di acquisire, sotto qualsiasi forma e titolo, direttamente o indirettamente, anche attraverso soggetti controllati e collegati, più del sessanta per cento dei diritti di trasmissione in esclusiva in forma codificata di eventi sportivi del campionato di calcio di serie A o, comunque, del torneo o campionato di maggior valore che si svolge o viene organizzato in Italia. Nel caso in cui le condizioni dei relativi mercati determinino la presenza di un solo acquirente, il limite indicato può essere superato ma i contratti di acquisizione dei diritti in esclusiva hanno durata non superiore a tre anni. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato, sentita l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, può derogare al predetto limite o stabilirne altri, tenuto conto delle condizioni generali del mercato, della complessiva titolarità degli altri diritti sportivi, della durata dei relativi contratti, della necessità di assicurare l’effettiva concorrenzialità dello stesso mercato, evitando distorsioni con effetti pregiudizievoli per la contrattazione dei predetti diritti di trasmissione relativi a eventi considerati di minor valore commerciale”.

Ciò ha comportato che, dall’anno di introduzione della pay-w, le entrate da diritti televisivi abbiano raggiunto livelli esorbitanti, passando dai complessivi 200 milioni di lire della stagione 1995/1996 al miliardo e 50 milioni dell’ annata 2000/2001.

Osservando, invece, la composizione dei ricavi si nota come in termini percentuali si riducano sensibilmente i ricavi provenienti

dalle gare, mentre aumentino quelli derivanti dalle plusvalenze e dalla vendita dei diritti televisivi54.

Nel documento La governance nelle società di calcio (pagine 44-49)