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La ratio del divieto di pratiche commerciali ingannevoli

ingannevoli. - 6. Le dichiarazioni reclamistiche iperboliche. - 7. L’abuso di veridicità ed il sopradosaggio informativo. - 8. Le omissioni ingannevoli. - 9. I criteri tipici di valutazione della condotta omissiva. - 10. L’applicazione giurisprudenziale del divieto omissioni ingannevoli.

1. Profili generali

La disciplina delle azioni ed omissioni ingannevoli, contenuta negli artt. 6 e 7 della direttiva 2005/29/Ce e trasfusa negli artt. 21 e 22 c.cons., affronta la questione del diritto del consumatore a disporre di un patrimonio di informazioni adeguato a raggiungere una determinazione negoziale consapevole e, dunque, sufficientemente ponderata. Il consumatore deve infatti poter fare affidamento sul patrimonio di conoscenze maturato dal (o maturando da parte del) professionista101. L’esatta informazione costituisce infatti un elemento irrinunciabile a tutela della parte economicamente più debole o meno organizzata, affinché essa maturi una decisione consapevole sulla base di una esatta rappresentazione della realtà.

La disciplina delle pratiche commerciali ingannevoli si inserisce nell’alveo di quelle discipline che mirano a garantire al consumatore la disponibilità di un patrimonio di informazioni idoneo a porlo nelle condizioni di assumere un comportamento commerciale sufficientemente ponderato e consapevole. Il consumatore dovrebbe dunque poter fare affidamento sul patrimonio di conoscenze

101

In relazione al testo della Convenzione di Vienna, v. ad es. MAGNUS, sub art. 35, in VON STAUDINGERS, Kommentar

zum Bürgerlichen Gesetzbuch mit Einführungsgesetz und Nebengesetzen, Wiener UN-Kaufrecht (CISG), Berlin, 2005,

p. 348 ss.; NIGGEMANN, Die Pflichten des Verkäufers und die Rechtsbehelfe des Käufers, in HOYER - POSCH (a cura di),

Das einheitliche Wiener Kaufrecht, Wien, 1992, p. 84 s.; SIMITIS, Verbraucherschutz Schlagwort oder Rechtsprinzip?,

maturato dal professionista. Peraltro, nella disciplina delle pratiche commerciali scorrette non rileva semplicemente la mera reticenza da parte del professionista relativamente ad informazioni rientranti nel suo patrimonio di conoscenze, bensì l’effettiva induzione o l’idoneità ad indurre il consumatore ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. Ciò significa che, anche qualora l’induzione in errore da parte del professionista scaturisca da un’effettiva mancanza di informazioni in capo ad esso, ciò non fa sì che esso possa sottrarsi alla responsabilità a suo carico sancita dalla disciplina sulle pratiche commerciali scorrette. Chiari argomenti in tal senso si ricavano anzitutto dalla circostanza che tanto le previsioni di cui agli artt. 21 e 22 c.cons. quanto, soprattutto, quella dell’art. 23 c.cons. contengono ipotesi in cui la pratica commerciale viene considerata scorretta a prescindere dal patrimonio di conoscenze di cui disponga il professionista e del tutto indipendentemente dalla effettiva induzione in errore da parte del comportamento posto in essere dal professionista e dalla effettiva intenzione di quest’ultimo di influenzare il comportamento del consumatore. In ogni caso, non si mostra superfluo sottolineare che gli illeciti contemplati nella disciplina delle pratiche commerciali ingannevoli sono costruiti come illeciti di pericolo, non essendo infatti necessario, ai fini della concretizzazione di tali fattispecie, che la pratica abbia in concreto prodotto il proprio effetto lesivo (ovvero l’induzione del consumatore “ad assumere una decisione commerciale che non avrebbe altrimenti preso, bensì solamente che essa sia idoena a produrlo).

2. La ratio del divieto di pratiche commerciali ingannevoli

L’art. 20, quarto comma, lett. a), cod. cons., stabilisce che sono scorrette le pratiche commerciali ingannevoli di cui agli artt. 21, 22 e 23. Il profilo di particolare novità in tale disciplina consiste nella circostanza che il legislatore comunitario ha inteso con ciò dettare una disciplina unitaria, che prescinde dalla tipologia dei beni, dalla specificità delle pratiche e dalla natura dei mezzi di comunicazione impiegati102. Si è con ciò dunque inteso tutelare il consumatore nella sua

102 Sul punto v. in particolare HENNING-BODEWIG, Die Richtlinie 2005/29/EG über unlautere Geschäftspraktiken, in Gewerblicher Rechtsschutz- und Urheberrecht - Internationaler Teil, 2005, p. 630.

libertà di assumere decisioni consapevoli e libere103. Ciò sulla base di una doppia istanza di tutela: se il fine immediato di tale disciplina è rappresentato dalla tutela della libertà di autoderminazione del consumatore, scopo indiretto è quello di colpire i comportamenti scorretti dei professionisti che, traendo vantaggio dal loro illecito operare, falsano il gioco della concorrenza. Da una parte pure autorevole della dottrina italiana, si è affermato che le pratiche commerciali ingannevoli “altro non sono che la pubblicità ingannevole, almeno come essa è stata interpretata dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato”104.

Pare tuttavia in limine doveroso sottolineare che la nozione di pratica commerciale è idonea a ricomprendere non solamente le condotte del professionista che siano identificabili come messaggi pubblicitari, bensì, più latamente, tutti quegli atteggiamenti volti o comunque idonei ad incidere sulla facoltà di autodeterminazione del consumatore e che lo inducano o siano idonei ad indurlo “ad assumere una decisione di natura commerciale che altrimenti non avrebbe preso” (art. 21, comma 1, c.cons.). Alla luce dell’attuale assetto normativo è dunque possibile e doveroso affermare che oggetto del divieto di pratiche commerciali scorrette (e dunque anche – per quanto specificamente concerne il presente lavoro – ingannevoli) sono tutte le pratiche commerciali poste in essere dal professionista e non solamente quelle che si concretizzino in un messaggio pubblicitario. L’elemento di novità dello statuto in tema di protezione della concorrenza consiste in ciò, che il legislatore comunitario ha dettato una disciplina unitaria la quale prescinde dalla tipologia di beni, dalla specificità delle pratiche e dalla natura dei mezzi di comunicaz. impiegati. Si è così voluto rafforzare il principio di trasparenza nella contrattazione di massa per agevolare il consumatore – in reazione alle politiche permeate dal caveat emptor105 – a prendere decisioni consapevoli e quindi adatte a garantire la sua piena autodeterminazione. La tutela del consumatore assume dunque il rinnovato ruolo di mezzo capace di tutelare la competizione tra professionisti, che viene compromessa da pratiche commerciali disoneste, concepite per giovarsi della condizione di deficit

103 APOSTOLOPULOS, Das Europäische Irreführungsverbot: Liberalisierung des Marktgeschehens oder Einschränkung für die Anbieterseite?, in Gewerblicher Rechtsschutz- und Urheberrecht - Internationaler Teil, 2005, p. 292.

104 Così MELI, Le pratiche sleali ingannevoli, in I decreti legislativi sulle pratiche commerciali scorrette, a cura di A.

Genovese, Padova 2008, 87.

105 MICKLITZ, A General Framework Directive on Fair Trading, in The Forthcoming Directive on Unfair Commercial Practices, a cura di COLLINS, 2004, 70s.

informativo in cui si trovano i consumatori anche a scapito di altri imprenditori i quali, all’opposto, operano in modo trasparente106.

Il concetto di pubblicità non viene espressamente menzionato né all’art. 21, né tantomeno all’art. 22 c.cons. Nel divieto di condotte commerciali ingannevoli, infatti, il legislatore ha inteso ricomprendere senz’altro anche tutte le condotte qualificabili come emissione di messaggi pubblicitari da parte del professionista. Nel contempo, il messaggio pubblicitario ingannevole non assume ex se rilevanza ai fini della disciplina in esame: lo stesso sarà infatti colpito dal divieto solamente allorché si riveli attualmente o potenzialmente idoneo ad incidere sulla libertà del consumatore di assumere una decisione commerciale che non avrebbe altrimenti preso.