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Capitolo 2: Essere genitori di un bambino con una malattia cronica fisica

2.3 Le sfide principali imposte dall’esperienza di avere un figlio con una malattia fisica

2.3.1 La reazione alla diagnosi dei genitori: diverse prospettive

Nell’ambito della teoria dell’Attaccamento il processo di elaborazione della diagnosi di un figlio è stato trattato attraverso la similitudine con il processo di elaborazione del lutto. Questa similitudine viene proposta in alcuni passaggi quasi come un’identità, dal momento che il processo che il genitore attraversa nel suo mondo interno è analogo alla morte di una persona: si tratta della morte del “bambino ideale” (Lecciso & Petrocchi, 2012; Ainsworth, 1985; Pianta & Marvin, 1996). Si tratta quindi di un processo che necessita, come il lutto, dell’attraversamento di una serie di stadi, nel corso di un periodo adeguato ad elaborare la perdita. Nel caso della malattia del proprio figlio tale perdita che

ha a che fare con aspetti narcisistici, aspetti relazionali, aspetti diagnostici legati alle caratteristiche della malattia in sé….

Il trauma della diagnosi è un processo che richiede un tempo di elaborazione, nel corso del quale è possibile che vengano messi in atto comportamenti meno responsivi e sintonizzati nei confronti dei figli, e che possono essere riparati. Si tratta di un processo di “mediazione” tra lo stile d’attaccamento genitoriale, l’elaborazione del trauma della diagnosi e lo stile di attaccamento del figlio (Lecciso & Petrocchi, 2012 p.77). Più che la malattia in sé, o del trauma della diagnosi, sarà il processo di risoluzione di quest’esperienza ad influenzare il comportamento e le rappresentazioni mentali di caregiving nel genitore e quelle di attaccamento nel bambino. In base a questa teoria, è importante valutare le capacità di elaborazione della diagnosi da parte dei genitori per individuare eventuali diadi “a rischio”. Questo è l’obiettivo dell’intervista strutturata

Reaction to Diagnosis Interview (Marvin & Pianta, 1996) che esporremo nel capitolo

successivo (cfr. Capitolo 4).

Gli studi più recenti su questi temi mettono in luce in modo crescente la multidimensionalità e la estrema varietà di fattori che concorrono all’esito dei processi elaborazione della diagnosi del proprio figlio: fattori che trascendono la malattia e fattori che invece sono strettamente connessi alle sue caratteristiche (cfr. Marvin & Pianta, 1996; Barnett et al., 2006; Milhstein et al., 2010; Eccleston et al., 2015).

Una premessa a questa concezione va reperita nel modello multifattoriale della

genitorialità (Belsky et al.,1995) che evidenzia quanto la qualità della relazione genitore-

figlio sia l’esito di una relazione circolare e dinamica tra fattori di rischio e fattori protettivi, in cui la diagnosi di disabilità o di una malattia cronica del figlio, in quanto evento stressante, non determina il medesimo impatto in ogni famiglia. Per comprenderne la portata è necessario andare oltre la malattia in sé, nella sua conoscenza generale, e rivolgersi piuttosto alle potenzialità ed alla peculiarità dei bisogni dei genitori e dei bambini coinvolti in prima persona. Sarà necessario quindi valutare fattori di rischio ed elementi di resilienza di ciascun sistema familiare (Belsky et al., 1995 in Lecciso, Petrocchi, 2012 p.55)

Alcuni autori hanno provato a schematizzare la sequenza delle reazioni emotive che i genitori attraversano in seguito alla comunicazione della diagnosi:

- shock, stordimento, in cui i genitori si confrontano con i vissuti di scissione tra bambino ideale e bambino reale;

- negazione del problema, in cui vengono messi in campo i primi meccanismi di difesa per negare la realtà, che rispondono al bisogno di riparazione della responsabilità inconscia percepita nei confronti della malattia del bambino; - alternanza di emozioni differenti: rabbia/collera, oppure senso di colpa/vergogna,

collegati a sentimenti di impotenza ed inadeguatezza. Tali sentimenti si acuiscono nei casi in cui si tratti malattie ereditarie.

Successivamente a queste fasi, il processo può biforcarsi verso esiti negativi ed esiti adattivi:

- adattamento alla realtà: è l’esito auspicabile che permette di accettare la malattia del proprio figlio e di attraversare la fase depressiva che porta all’integrazione di limiti e risorse, ed alla riorganizzazione della vita in senso realistico;

- stati di blocco, di rifiuto del bambino, di iper-coinvolgimento ed iper-protezione nei confronti del bambino, con la creazione di un “guscio” regressivo caratterizzato da limitazioni eccessive imposte al bambino, o di iper-stimolazione, non considerando i ritmi e le peculiarità del bambino, come a volerne negare le difficoltà.

Quando il genitore non è attrezzato per accettare la realtà della malattia del figlio, non sarà in grado di creare un’adeguata zona di sviluppo prossimale (Vygotskyi, 1934) perché non sa definire il livello attuale dello sviluppo di suo figlio né sa determinare il suo livello potenziale. Questa situazione può avere ripercussioni negative non solo sulle possibilità di sviluppo del bambino ma anche sulla qualità della relazione stessa tra genitori e bambino.

Le reazioni emotive genitoriali appena discusse, tuttavia, non vanno ascritte unicamente a caratteristiche personali dei genitori, ma, in una certa misura, tutto il sistema sanitario e sociale può giocare un ruolo importante nel contribuire ad esiti più o meno adattivi, a cominciare dalla comunicazione della diagnosi. Sarebbe fondamentale che il personale sanitario sia attrezzato ad accompagnare il genitore nella scoperta della diagnosi, che non può e non dovrebbe esaurirsi in un’unica comunicazione, ma dovrebbe tenere conto della natura processuale della possibilità da parte del genitore di comprendere ed elaborare la diagnosi (Cannao, 2009).

Inoltre, ad esercitare un’influenza importante sulle reazioni genitoriali sono anche una serie di variabili ulteriori che potremmo individuare come “questioni diagnostiche” (Lecciso & Petrocchi,2012):

- la sintomatologia; - il piano terapeutico;

- la severità del disturbo e il tipo di diagnosi.

Alcuni studi (Pianta & Marvin,1996), segnalano che l’elaborazione della diagnosi può

essere facilitata quando la condizione medica è contraddistinta da stabilità e prevedibilità. Altre ricerche, in cui vengono messe a confronto diverse condizioni

diagnostiche, riportano risultati non univoci sui fattori che facilitano o ostacolano l’elaborazione della diagnosi: lo studio di Marvin e Pianta(1996) che confronta l’elaborazione della diagnosi da parte di genitori di giovani affetti da epilessia e da paralisi cerebrale, evidenzia che i fattori che principalmente incidono sulla non risoluzione della diagnosi hanno a che fare con, la natura progressiva del disturbo, l’imprevedibilità della condizione, l’assenza di speranza per la remissione della malattia.

Queste condizioni mediche non sono rilevanti di per sé rispetto al quadro clinico in generale, tuttavia sono quelle che esercitano l’influenza maggiore sulle rappresentazioni genitoriali dei propri figli, incidendo pertanto sui processi psicologici che il genitore si trova a fronteggiare.

C’è una vasta mole di ricerche si concentra sui processi di coping connessi alla malattia (Acquati & Saita, 2017). La finalità principale delle ricerche che esplorano le strategie di coping genitoriale è quello di individuare una relaziona tra il tipo di coping messo in atto e i comportamenti e gli esiti in termine di salute. Le modalità di interazione e di supporto dei genitori con i propri figli si rivelano fondamentali per l’adattamento del bambino. Provvedere risposte di coping efficaci implica un cambiamento di queste sia rispetto al mutare delle risposte del bambino sia rispetto al progredire dello stadio di sviluppo. È chiaro che il genitore nella posizione di caregiver di un figlio malato ha da confrontarsi con un livello variabile di stress, che Streisand e colleghi (Streisand et al., 2001) schematizzano in quattro domini principali:

1. il dominio della comunicazione;

2. il dominio del funzionamento emozionale; 3. il dominio delle cure mediche;

4. il dominio che attiene alla propria funzione in termini di ruolo genitoriale (role

function).

Inoltre, diversi studi hanno identificato variabili aggiuntive che influenzano in modo rilevante lo stress genitoriale e le strategie di coping, quali l’età dei genitori e del

bambino, che sembrerebbe costituire un fattore di incremento dello stress se entrambi di giovane età (Streisand et al., 2001), il sesso dei genitori, in cui si rileva un maggiore impatto dello stress sulle madri( Vrijomoet et al., in Dunn et al., 2012), e il grado di differenziazione tra il ruolo paterno e quello materno (Shoppe -Sullivan et al., 2008). Molti sono gli studi che misurano lo stress genitoriale equiparandolo al post-traumatic- stress-disorder (Streisand et al., 2001; Dunn et al., 2012), specialmente nei casi di diagnosi particolarmente infauste, quali le forme tumorali, e nei casi in cui l’implicazione del caregiver nelle cure è maggiore. anche il DSM5 adotta questo tipo di prospettiva nel prendere in considerazione gli aspetti psicologici della comunicazione di una diagnosi infausta (cfr. APA, 2014). Alcuni studi, inoltre mettono in relazione lo stile di coping genitoriale con gli esiti in termine di salute del bambino e con l’aderenza terapeutica (Compas, 2012; Comeaux & Jaser, 2010; Wiebe et al., 2005 in Turner-Cobb, 2013). In generale tali studi sono caratterizzati per una forte centratura sulla patologia presa in esame e su metodologie di analisi che si avvalgono di test psicometrici sugli stili di coping e sull’analisi di contenuto di produzioni narrative.